One shot – L’ultimo bacio
Pov Sherlock Holmes
Erano caldi, ma anche gli ultimi, per quella giornata, I baci di Watson, su di me.
“Devi proprio andare, John …?” – chiedo inutilmente, conosco la risposta.
Questa volta non arriva neppure quella, è sufficiente un suo sguardo carico di colpa.
Sospira, sedendosi sul bordo del materasso.
Gli do le spalle, girandomi dall’altro lato, nudo, coperto da un lenzuolo sbiadito dall’uso, spesso incauto, da almeno tre anni.
Lui mi addolcisce con una carezza e parole sussurrate tra i capelli – “Resterei, se solo potessi …”
Potresti, se non ti fossi fidanzato, sbotterei, ma non mi resta che questo.
Un poco del suo tempo, ormai dedicato quasi completamente alla nuova casa, alla futura moglie, ai familiari acquisiti, lo studio rinnovato accanto all’appartamento che i genitori di lei, hanno donato alla coppia, con i migliori auguri.
Erano pronti al grande passo, anche se c’era un sottile rimando in questi sei mesi di convivenza all’apparenza serena.
Sinceramente non volevo sapere, spiare nei resti, che mi erano stati concessi: in fondo non ero così speciale per Watson, non più e la cosa peggiore restava un altro pensiero.
“E’ per i sensi di colpa, che torni ancora da me, John?” – chiedo, tornando a fissarlo, perché voglio il confronto, anzi lo scontro, persino le botte mi renderebbero vivo e partecipe di qualcosa, che non fosse quella nostalgia devastante, in cui mi abbandona ad ogni arrivederci: eh sì, perché una minima illusione la merito anch’io, forse sono diventato un essere che non conosco, simile ad una meretrice, pagato non con denaro, ma con la sua pietà.
Orribile.
Il mio collaboratore fidato e scaltro, in principio, poi il mio migliore amico, durante il percorso, quindi il mio amante, a sorpresa, infine l’amore di tutta un’esistenza, con forza e determinazione: la sua gelosia mi ha sempre esaltato, il suo senso di protezione, appagato, il contatto carnale, sublimato percezioni, che neppure conoscevo.
John io con te sono stato davvero felice.
Le mie iridi diventano pungenti, lui se ne rende conto e mi stringe – “So che tu puoi capire Sherlock … so che mi perdonerai … sai che ti amo, io … io ti amo.”
E te ne vai.
Rimugino su quella notte appena trascorsa.
Avevamo consegnato a Scotland yard un criminale recidivo, che infestava Piccadilly, portandolo personalmente sino al commissariato.
Pioveva a dirotto, il solito novembre londinese eppure in quel buio, mi sentivo come protetto, dalle tenebre e dai tuoi occhi, sempre vigili sulle mie follie.
La carrozza arrivò davanti a casa nostra, ops, mi correggo, casa mia, oltre l’una.
Sei salito veloce alla tua vecchia stanza, sapendo che c’erano ancora alcuni abiti.
Senza dire una parola, mi sono rifugiato in quel caos del mio alloggio personale, un caos che tanto si rivelava appropriato alla mia indole istintiva, ma confusa, soprattutto di fronte al tuo corpo nudo: non riuscivo proprio a smettere di tremare, quando ti palesavi, ai piedi del letto, dopo esserti tolto la vestaglia, un mio regalo, che consideravi prezioso.
“Ho deciso di restare … Sherlock potresti …?”
Ed io ho annuito, come quelle bamboline di porcellana, alle quali è stata staccata la testolina e poi rimessa alla bene e meglio, riducendola ad un movimento posticcio ed incerto, ecco, anch’io sono RIDOTTO in siffatta maniera indecorosa.
Sono un uomo intelligente, possiedo un talento, che pochi hanno ricevuto in dono eppure baratterei ogni mia conoscenza e virtù deduttiva, per averti senza compromessi, bugie, senza rimandare oltre una rinnovata convivenza insieme a te, John …
Ti amo … “Ti amo …” – ripeto in lacrime, mentre mi uccidi anche in questo bozzolo di illusione, maturata grazie ad un tuo sorriso, a questa proposta di non rincasare, là dove una bella donna ti attende trepidante e fiduciosa.
Siamo così simili, Mary ed io, così raminghi nell’elemosinare attenzioni da un soldato coraggioso in armi, ma pavido in amore …
Mi sento cattivo, crudele, ti respingo, proprio nel tuo divenire, che mi darebbe un piacere smisurato, protesti, mi scuoti, affondi cinico e spietato, perché nel tuo godimento è insita la bestia, che urla e pretende soddisfazione, in ogni essere umano, nessuno escluso.
Hai così abusato anche di questo, in me, oltre me … forse non mi ami poi così tanto …
Te l’ho urlato ed ho ottenuto due schiaffi, poi il tuo pianto e poi abbiamo di nuovo fatto l’amore, le tue premure generose, il tuo respiro caldo su di me, i nostri corpi mai davvero sazi, il mio cuore … il nostro cuore, in un unico battito, ancora una volta, le nostre bocche in un ultimo bacio John …
John …
“Non voglio più vederti … e questa volta non sto scherzando.”
Siamo in una taverna, ho reclamato qui la tua presenza, perché solo in mezzo allo squallore possiamo rendere nitida la visione di ciò che siamo diventati.
“Sherlock non puoi buttarmi fuori dalla tua vita, nemmeno se lo volessi, nemmeno uccidendomi.”
La tua replica è arcigna, severa, ma le tue iridi stanno oscillando, come il tuo ginocchio destro, che blocchi in una morsa, quando te ne rendi conto, arrossendo per giunta.
“Mi stai parlando, dietro a queste tue frasi fasulle, non esiste alcuna forza adesso, mio caro John, nessuna prepotenza, non puoi ottenere più nulla da me.”
“Io ho già tutto, di te, Sherlock.”
Lo affermi duramente, ma nel respiro affannoso successivo al mio silenzio gelido, le tue insane certezze stanno per crollare.
Una lacrima zampilla, per poi rimbalzare sul tuo zigomo sinistro, la parte più debole, quella del tuo cuore John …
“Non smetterò mai di amarti, però questo non potrà mai impedire che io preservi un briciolo di dignità … ed è di questo che mi nutro, ora, per abbandonarti, come tu hai fatto con me John, senza pietà per questo vecchio stupido, innamorato sino a morirne … di te.”
Mi alzo, sento il male invadermi, sto per svenire e se non fosse per quella birra, che ho trangugiato senza avvertirne il sapore, sarei persino disidratato dal dolore sordo, che mi sta divorando.
La via è deserta, acciottolata ed umida, sento il fetore dei bassifondi, le risa dei marinai, per qualche scherzo balordo, i rumori del porto, il marciume delle assi, l’olezzo del tabacco sputato sul marciapiede.
Mi sento finito, vorrei solo il tuo abbraccio, un posto sicuro, ma qui non esiste più nulla e nessuno che possa realmente salvarmi.
Qualcuno mi spinge, strappandomi poi l’orologio dal taschino: me lo avevi lasciato, con una dedica – § A te che dai un senso ai miei giorni, ti amo JW §
Mi riprendo dalla sorpresa e lo spingo contro al muro opposto, inizio a colpire quel disperato con una violenza indemoniata.
Solo il tuo intervento, gli permette di sottrarsi alla mia furia.
Riprendo il maltolto, come un bambino, a cui hanno rubato la luna.
Mi rannicchio in un angolo, le palpebre sbarrate dall’agitazione, il petto che sembra un mantice, sono sconvolto ed ho pudore della mia reazione, in tua presenza, perché ciò che mi tormenta è solo l’ennesima conferma di quanto tu avessi ragione: hai avuto tutto di me, John.
Mi soccorri – “Sherlock … Sherlock, ma poteva ucciderti …”
Mi stringi, soffocandomi con le tue braccia forti, il tuo profumo speziato, nel tuo collo io mi inebrio di questa fragranza e ti bacio, ti bacio e ti adoro …
“Ti adoro … angelo mio … John …”
“Amor mio … amor mio impagabile …” – e mi sussurri e mi baci e tu … tu sei il mio mondo …
Ed io che pensavo fosse l’ultimo bacio, sbagliavo.
THE END
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