Capitolo n. 237 - gold
I soci della Derex stavano illustrando il loro progetto a Colin e Jared, senza destare particolare interesse, almeno finchè non iniziarono ad insultare velatamente il mondo gay.
La coppia si scambiò un’occhiata dapprima stupita, poi disgustata, infine divertita.
Il privato di entrambi era da sempre blindato, ma il resto del mondo sapeva come stessero le cose, ciò nonostante quegli imbecilli ne erano ridicolmente inconsapevoli.
“Dunque mister Farrell, aderirete a questa nostra … iniziativa?” – e smarcò un sorriso arrogante, il maggiore, l’unico che sapesse parlare bene Inglese.
Colin tossì, avvolgendo Jared e con tono pacato replicò – “Vede monsieur Derex, il mio compagno sta aspettando un bambino e dovremo dosare gli impegni.”
L’altro si guardò in giro e poi aggrottando le sopracciglia tossì – “Aspetta … cosa?”
“Cole il signore forse pensa che ci siamo persi un bimbo nel ristorante …” – e rise complice.
“Ehm … ma …”
“Assolutamente, abbiamo sei figli, ce li teniamo tutti al sicuro! Ne vorremmo comunque un … settimo! Il sette è un numero che ci piace, vero Jay?”
Lui annuì, spalancando quei fanali blu, mentre Farrell gli accarezzava gli addominali – “E … ci stiamo lavorando!” – aggiunse l’irlandese, strizzando l’occhiolino.
“Vero … oddio Cole!”
“Cosa?!!”
“Ho … voglia!!” – e si morse il labbro inferiore, in quel modo, che faceva sbroccare il suo uomo.
“Di nuovo succo di papaya e limone?!”
Jared scosse la testa.
“Patatine e tofu fritto allora amore mio??!”
“No tesoro …” – e gli infilò la lingua nell’orecchio, sussurrandogli – “Ho voglia di questo …”
Uno dei produttori sputò il Martini, nel seguire quello scambio di battute, ma loro non avevano ancora finito – “Scusate! Ma quando Jared ha voglia, non posso rimandare, ottimo segno! Vieni cucciolo!” – e prendendolo per mano lo trascinò lungo il corridoio, verso la reception, dove chiedere una suite.
Jared faceva ciao, chiedendo scusa in un francese un po’ improvvisato, davanti allo sbigottimento dei loro interlocutori.
“Che due coglioni!!”
Scoppiarono a ridere in ascensore.
“Hai ragione Jay …”
“Ehi hai preso davvero una stanza Cole …”
“A me la voglia di te non passa mai …” – e lo spinse contro lo specchio, baciandolo con irruenza.
“Dimostramelo …”
La camera arancione accolse i gemiti di Chris e Tomo, che non riuscirono a rimandare il loro desiderio di appartenersi subito.
Le parole erano ridotte al minimo, ciò che contava era la forza dei loro sguardi e dei gesti, impregnati di rimpianto.
“Volevo … volevo averti dentro … per sempre …” – gemette il più giovane, cercando la bocca del croato ancora ed ancora.
“Perdonami per averti deluso così tanto Chris … perdonami …” – e con impeto si spinse più a fondo, come a depositare la sua richiesta in un punto irraggiungibile del cantante.
Chris si aggrappò allo schienale, mentre Tomo lo sollevata cinturandogli la vita: le gambe del primo erano avvinghiate ai fianchi del secondo, che in ginocchio stava colpendo ogni fibra pulsante con il proprio membro, sul punto di esplodere.
“E’ tanto che … che non lo faccio …” – disse inghiottendo due lacrime, ma Chris non smetteva di donarsi, senza pretendere nulla di più.
Fu un amplesso vivido di sensazioni, animato da un sentimento, che temevano si fosse perduto.
Era come essersi scusati di ogni sbaglio, di ogni singola scelta, anche se al momento sembrava la migliore.
“Bagnami … bagnami tutto Tomo … ahhhh!”
Fu incredibile, come sentirsi perdere nella gola di quell’uomo, che non si era mai sentito alla sua altezza: Chris era una concentrato di perfezione, da intimorire chiunque.
Jared fece capolino, con in braccio la sua principessa – “Ciao Robert, Isy ed io volevamo darti la buona notte, anche da parte di Colin.” – e sorridendo andò a sedersi sul bordo del letto, dove Downey era rilassato, con addosso una tuta nera, sul petto un libro di poesie e sul naso gli occhialini da lettura.
“Ciao … guarda qui chi abbiamo …”
“Tieni … fai la brava con zio Rob …”
“Certo, lei è bravissima …” – e le diede un bacio sulla testolina e poi un altro sulla tempia di Jared, che era assorto nel decifrare cosa passasse per la mente di Robert – “Grazie per la visita … ed irish buddy?”
“Distrutto …”
“Sì, lo sospettavo.” – e rise.
“Ma … come fai a …?”
“Ti esce sempre una rughetta qui, dopo che …”
Jared rimase interdetto – “Ma dai ti prendo in giro ahahahah!”
“Accidenti Rob!! Sei di buon umore, stai meglio …”
“No, anzi … comunque volevo ringraziarvi per quello che state facendo, per me e Camilla.”
“Nessun problema, noi siamo felici di avervi qui, ma sarebbe meglio se …”
“Lo so Jared. Il tuo Colin mi ha riferito la versione di Jude, poi ho letto la sua lettera, dopo di che ho assistito all’incontro di Camy con il suo …”
“Con il tuo sposo Robert, con l’uomo che adori e che ti venera, nonostante uno sbaglio gravissimo, ma che so tu potrai perdonare …” – ribattè speranzoso.
Downey gli accarezzò le chiome castane – “Vai a nanna adesso Jared … ed anche tu, splendore …” – e gli ripassò Isotta, con un sorriso.
“Dormi bene Robert, se hai qualche necessità … sai dove trovarci.”
Jude contava gli arabeschi disegnati sul tendaggio, davanti alla porta finestra del terrazzo.
Il materasso sembrava gelido ed il senso di abbandono talmente greve, da risultare insopportabile quella notte.
La bottiglia di gin, sul comodino, sembrava urlargli “su scolami idiota!”, ma lui resisteva strenuamente.
Mordendosi le nocche, liberava il solito pianto, prima di assopirsi, aiutato da alcuni sonniferi, anch’essi rimasti nel cassetto: non doveva ridursi peggio di così, aveva Camilla, aveva anche altri piccoli a cui badare.
L’istinto primario, ogni dannata mattina, era di tagliarsi la giugulare, con il rasoio old style, che usava per radersi.
La schiuma da barba si tingeva di rosso, l’odore ferroso intossicava le narici, tutto tremendamente semplice, efficace e veloce; un suicidio da manuale, senza disturbare neppure il vicinato con puzza di gas o spiaccicandosi sul marciapiede.
Anche un veleno gli risultava ottima come idea, ma occorreva procurarselo, destando un vespaio di domande.
Quello per i topi era così … disgustoso, ma chi mai lo aveva assaggiato, pensò.
Era un delirio di elucubrazioni nevrotiche, che andava peggiorando.
Si girò sul fianco, brandendo il guanciale di Robert; pianse.
Lo sistemò alle sue spalle, come a sentirlo, nell’atto di custodirlo, caro ad entrambi, lo spooning, il dormire come due cucchiai.
“Mi manchi …” – singhiozzò, ma nessuno poteva sentirlo.
“Mi manchi da morire Rob …” – lo volle ripetere, come se potesse servire a qualcosa, come se quell’oscurità, nell’ascoltarlo, divenisse meno oppressiva e svilente.
“Anche tu mi manchi Judsie …”
Il tempo si era fermato.
Il passaggio dal parlare da solo a sentire le voci si era concretizzato: le allucinazioni erano la fase successiva e Jude ne prese coscienza, quando vide Robert ai piedi del letto.
Sbagliava su tutto.
Downey si spogliò, senza mai interrompere il contatto visivo, almeno sino all’istante in cui nudo, si scontrò con la pelle del suo Jude, calda e tremante, impaurita e sconvolta, almeno quanto il suo animo.
“Rob … Rob … tu sei …”
“Non dire niente … non dire niente …”
“Rob …” – e si baciarono, anzi, fu Downey a baciarlo, perché Law era come cristallizzato dalla sorpresa.
I loro corpi entrarono in una sorta di liquefazione spontanea, fondendosi in un armonioso orgasmo al semplice sfiorarsi.
Le lingue parlavano nel silenzio, i palmi toccavano ogni centimetro di carne, che sembrava rinascere grazie a quel tocco magnifico.
“Dimostrami quanto mi ami Jude …” – gli disse rocamente, portandoselo tra le gambe.
Il biondo non sapeva più dove spargere i propri baci, animato da un trasporto, che gli stava annebbiando i sensi e la vista, unitamente alle lacrime, che Rob asciugava con una dolcezza infinita.
Ora che lo aveva penetrato, con l’incertezza insopportabile dei suoi sensi di colpa, con l’indice sinistro Jude toccava quel punto di connessione carnale, come a sincerarsi che nulla era frutto di quell’immaginazione, intossicata dalle sbornie serali.
Era sobrio, non voleva più avvicinarsi al bicchiere, lo doveva a Robert ed alla loro bambina.
“Camy … Camy è … il tesoro delle nostre vite …” – gemette singhiozzando nel collo di Robert, che lo cullava ormai, mentre i suoi muscoli si contraevano in un orgasmo caldo e continuo.
Lo raggiunsero in un unico spasimo, che li fece contorcere e gridare, come belve ferite.
I loro cuori avevano vacillato, consci che potesse essere un domani insulso, se si fossero realmente perduti, separandosi.
Jude spostò un ciuffo dispettoso dalle ciglia di Robert, che aveva serrato le palpebre gonfie di pianto.
Si sfogò lentamente, stritolando il busto di Jude nel suo, come sei i pezzi di loro dovessero ricomporsi, per dare una possibilità alla loro coppia di continuare ad esistere, ma non ce n’era alcun bisogno: non era mai accaduto veramente.
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