One shot . L’ultima cosa
Pov John Watson
“Ecco, questa era … l’ultima.”
Sospiro di queste parole, mentre lui, Holmes, sta fissando, in un luogo al centro del mio petto, dove qualcosa si sta contorcendo come una salamandra impazzita.
Respiro, cercando il suo sguardo, raccolto in un pensiero doloroso.
Holmes inspira, inclinando di poco la testa, fa una leggera smorfia, che ha comunque qualcosa di dolce, dove imprime una risposta, che sa di battuta conclusiva: “Sì, era l’ultima cosa. Devo andare Watson, mi scuserà se non l’aiuto con queste casse, ma se ha la pazienza di attendere dieci minuti, arriverà Barny con la carrozza e potrà … potrete andarvene: mi saluti miss Mary, sperando che il tè di nonnina non l’abbia intossicata irrimediabilmente. Buona fortuna.”
Uscì, senza darmi il tempo di replicare, ma poi, in fondo, cosa avrei dovuto aggiungere?
Ero mortificato e pentito di quella mia scelta, inutile nasconderlo oltre.
Mi ero agitato parecchio durante le restanti notti nella mia stanza di Backer street, ormai vuota di tutto ciò che avevo costruito in tanti anni di lavoro insieme a Sherlock Holmes, il mio maestro, mentore … il mio … l’uomo che amavo, senza mai avere il coraggio di confessarglielo, sostenuto, per assurdo, anche dal suo silenzio, nel rivelarsi a me completamente.
Era terribilmente egoista: palesava amore ed affetto nei miei riguardi in ogni gesto, anche quando mi canzonava oppure mi trafiggeva con battute pungenti, anche sul mio ostinato desiderio di fidanzarmi, poi di sposarmi, poi … “… di moltiplicarsi Watson, ma ne è proprio sicuro?? Di questi tempi …” – ed aveva ridacchiato, amaro, durante la nostra ultima cena al Royal, mentre Mary era sparita per incipriarsi il naso, ottima scusa per dare campo libero al mio socio di “sfogarsi” ed annientarla con deduzioni sagaci ed irriverenti.
Maledetto Holmes …
Benedetto amore mio … Già mi manca, la cosa mi terrorizza, ma è solo la verità.
Guardo fuori, attraverso i vetri del mio nuovo studio: Mary sta sistemando gli oggetti, che permettevo soltanto ad Holmes di maneggiare: lui lo faceva con cura ed attenzione, mentre lei sembra avere fretta di incastrarli tra scaffali e mensole, così come ha fatto con me, grazie a sguardi languidi e moine sapienti.
E’ una bella e giovane donna, anche Sherlock lo ha ammesso, capace di fare un passo indietro di fronte alla nostra amicizia, ma non mi basta.
Forse pretendevo che fosse proprio Mary a mettermi di fronte all’evidenza: il morboso attaccamento, che sovente dimostravo verso Holmes, poteva divenire motivo di rottura, che non avevo il coraggio di decidere autonomamente.
Quel legame, agli albori, mi stava logorando, ancora prima del matrimonio, sognato da Mary e rifuggito nei discorsi dal sottoscritto.
Il troppo amore ed il minimo amore, avevano fatto di me un codardo, dimentico di imprese anche folli al fianco di lui, che mi spronava a dare il meglio ed a non arrendermi se qualcosa andava storto.
Ora tutto va storto, amico mio, ora tutto non ha più molto senso … amore … mio.
Questi temporali londinesi sono un’abitudine, una sorta di coltre grigiastra ed umida, dove rifugiarsi.
Torno a casa, la mia vera casa, quella che ho condiviso con Holmes, ma lui non c’è.
La proprietaria si acciglia, poi sentenzia “Potrebbe non tornare per settimane, fosse la prima volta dottore.”
Sì, d’accordo, ma dove puo’ essere?
Suo fratello, in campagna, è l’unica alternativa.
Un tipo intrattabile, rintanato tra quattro mura, sono secoli che non mette il naso fuori, così strambo da risultare anche simpatico, seppure dietro ad un uscio massiccio.
“Sherlock chi??!”
“Ma suo fratello, mr Holmes!!”
Anche lui è un Holmes, ma sembra non rammentare neppure quello.
“Ah … mio fratello … sì … sì, certo, ma non è qui!”
“Dove potrebbe essere?” – domando frenetico nell’ottenere le insperate risposte, che cadono nel vuoto.
Sono nuovamente in carrozza, la porto personalmente, ha smesso di piovere, ma la tregua durerà poco.
“Il vecchio mulino …” – penso ad alta voce.
Una reminescenza provvidenziale.
Quando era piccolo, vi si rifugiava a riflettere sul destino del mondo e su come fare disperare insegnanti e genitori.
“Ad essere sinceri John, mi rintanavo tra quelle tavole di legno marcio, quando ero triste …”
Di rado mi chiamava John e quando succedeva, il motivo era di piena confidenza e stima.
Con non poca fatica lo localizzai, oltre un bosco di pioppi, alla destra di un altarino votivo, a non so quale Santo, ma ciò mi bastò per esultare.
Doveva essere lì.
Stava rannicchiato sul bordo del canale ricavato all’interno, dove la ruota girava veloce, creando un vortice ipnotico.
Il pavimento cigolava, per nulla rassicurante.
“Holmes …”
Il mio tono era impaurito, per come le sue iridi apparivano spente e tetre.
Aveva freddo, la barba ispida, i capelli in disordine, come tutto il resto.
“Holmes!” – ma non si girò.
Ritornai al calesse, prendendo coperte ed un cesto, colmo di cibo e bevande calde.
Rientrai, scontrandomi con il suo sorriso a metà.
“Watson non credevo volesse fare un pic nic, con questo tempo poi …”
“Sherlock ero preoccupato.”
“Per cosa?”
“Per … per te …”
“Non ho bisogno di niente.” – dici con un accenno di orgoglio, che soccombe all’evidente gioia nel rivedermi.
“Io di te, invece, ho davvero bisogno.” – ribatto con risolutezza, ora o mai più, tanto vale aprire tutti quei cassetti rimasti chiusi a chiave per un’eternità insopportabile.
Mi avvicino con passo svelto, voglio solo abbracciarti, anche se non me lo permetterai, anche se incoccerò con la tua testardaggine e la ribellione, che ti distingue su ogni altro essere umano.
Ti sollevo – “Ehi! Watson, ma!!”
Ti stringo.
Dapprima sei recalcitrante, in un modo talmente timido da farmi sorridere: in verità non vuoi sfuggire, ma neppure darmela vinta facilmente.
Sento il profumo delle tue chiome, poi della colonia sul foulard, che ti protegge la gola, credo persino di avvertire i tuoi battiti, rimescolati ai miei.
“Sherlock …” – sussurro, le energie sembrano vacillare.
“John …” – dici di rimando, mentre le tue mani sfiorano la mia schiena incerte, ma felici.
Stai vibrando, ti rilassi, ora siamo vicini sul serio.
Mi sfili il cappotto e consenti ai nostri petti di incollarsi, liberati anche dalle giacche, che volano su di una cassapanca logora.
Dietro ad essa, un paio di candele accese, un libro aperto, tre foto, che ritraggono noi, infine un pagliericcio, che sembra comodo.
“Vieni … stendiamoci … sono stanco John …”
“Ce-certo …”
Mi stupisci per l’ennesima occasione: decidi tu, anche se potrei sbagliare su tutto.
Ti allunghi sotto di me, che mi insinuo tra le due gambe, pur restando girato sul fianco: “Sto gelando …” – mormori, intrecciando le dita della tua mano sinistra a quelle della mia destra.
Recupero una coltre di lana e ricopro entrambi.
Sorridi, appoggiando la fronte al mio busto – “Dove vogliamo andare, adesso, John?”
“Da … da nessuna parte …”
“Credi? Eppure siamo già in viaggio.”
“E non hai paura Sherlock?”
“Di cosa? Di te? Di noi? Di questo?”
Sembri provocarmi, ma mai come quando fai scorrere l’altra mano sino al mio inguine, mettendoti anche tu sul fianco, per osservare come reagisco.
Sussulto, ma non mi distacco: l’eccitazione pervade ogni recettore sensibile, sei spregiudicato, pur conservando una fierezza misurata nei tuoi movimenti.
“Pensi di trovare il tuo domani, qui, con me, ora, John?”
Sei severo, brandisci la mia erezione, celata dalla stoffa pesante, il tuo quesito si rafforza, pretestuosamente e senza via d’uscita.
Deglutisco aria muschiata, le mie narici sanno di cera stantia, di quei moccoli in procinto di terminare, i tuoi occhi sono liquidi, la tua bocca è morbida ed invitante: ti bacio con un trasporto, che forse neppure auspicavi.
Ti atterro, impadronendomi dei tuoi polsi, costringendoti sotto, così come imprigiono le tue braccia dietro alla schiena, che si inarca, sbattendo contro al mio busto, contratto in spasmi lussuriosi.
Strappo i bottoni della tua camicia a morsi, li sputo ovunque, sembro un cane rabbioso, ma tu dimeni l’addome in maniera sensuale, ossigenandoti e spargendo baci sul mio volto, ad ogni mio ritorno nella posizione iniziale, che dura un nulla, visto che è adorabile ridiscendere, leccandoti il collo, poi i capezzoli, mordicchiando le costole, che fanno bella mostra di loro, sotto alla pelle pallida ed uniforme.
Sei meraviglioso Sherlock – “ … sei … sei una visione … ti voglio … ti voglio!” – è un urlo quello che fuoriesce, accompagna una mossa veloce, quasi militare, che adotto per denudarmi e completare la stessa manovra con i tuoi pantaloni ed il resto.
La tempesta esplode più carica di prima.
Noi siamo al riparo, direi al sicuro, se non fosse per il rumore assordante, che copre i nostri spasimi.
Un bussare improvviso ci fa trasalire, sembra provenire dall’inferno, tanto è cupo e minaccioso.
“Sherlock sei lì??!! Avanti rispondi!!“
“Mycroft … !” – bisbigli, bloccandoti.
“Guarda che ti stanno cercando, un certo Watson! Ok, se sei lì dentro vedi di provvedere, non sono uscito per fare un viaggio a vuoto, che diamine!”
I passi che si allontanano, poi il silenzio.
Nel frattempo non mi sono mai fermato, ho proseguito nel baciarti con calma dispettosa, beandomi del tuo stupore – “Devi averlo davvero messo in ansia John, per ottenere questo miracolo …”
“Sei bello quando ridi … mi sono innamorato di te anche per questo Sherlock …”
Mi accarezzi la nuca, riportandomi alla tua bocca: ci baciamo di nuovo.
E’ bellissimo.
I nostri sessi rigurgitano rivoli caldi, perfetti per agevolare la mia discesa in te.
Voglio che accada, con premura o con impazienza, purchè accada.
Al mio primo accenno di invasione, ti irrigidisci.
Bacio le tue tempie, massaggiando i tuoi glutei – “Calmati Sherlock … farò … del mio meglio per …”
“Quanto parli John … quanto sei … logorroico…” – e mi mordi il mento, offrendoti con una spontaneità disarmante.
Sono dentro di te.
Mi stai aiutando anche in questo – “Mioddio …” – affondo e non riesco a tacere, mi ritraggo e strizzo le palpebre, le tue sono in preda ad un tremolio, fino a che non ti abitui a me, che riesco a prenderti profondamente.
Provo a toccarti, la tua eccitazione mi esalta maggiormente ed il mio ritmo sale, fino a provocarmi un senso di smarrimento.
Sei parte integrante di ogni mia cellula, la alimenti e la ritempri, facendomi prolungare questo amplesso all’infinito: è un capogiro, svelto ed efficace, ora puoi prevaricarmi, salendo e scendendo secondo il tuo piacere.
Stai sperimentando, ad inclinazioni differenti, lo capisco dalle espressioni del tuo volto madido e sfigurato dall’estasi.
Ecco, ci siamo, ora hai qualcosa di inspiegabile da descrivere, sei al culmine ed all’unisono debordiamo, tu sul mio ventre ed io nei tuoi solchi palpitanti.
I tuoi palmi si imbrattano del seme, che hai sparso generoso: le tue falangi si insinuano e la mia lingua le percorre, poi succhio avido, mi sento sporco e non sono mai stato così a mio agio.
Rasenta la brutalità, la tua maniera di aprirmi le cosce, poi di penetrarmi, l’indice ed il medio, tormentandomi con il pollice, sei osceno – “Sherlock … Sherlock …”
“Puoi ripetere il mio nome … se vuoi davvero appartenermi, dovrai sopportare ogni mia fantasia John.” – affermi audace, dilatandomi con insistente aggressività.
“Girati!” – mi ordini ed io voglio dimostrarti devozione e contrizione, fino a sciogliere i tuoi dubbi.
Lo spasimo che pervade la fibra di muscoli, dove infrangi la mia castità, è pari soltanto a quello causato dal tuo mordermi le scapole, da entrambi i lati, ripetutamente.
Scoppio in lacrime, silenziose e febbrili.
Serro i denti e frantumo i bordi di quel giaciglio di fortuna.
Mi stai montando, impietoso e scurrile anche nel descrivere le tue sensazioni lascive: non importa.
“Sono tuo … Sherlock … sono tuo ahhhh!”
Rallenti, passando da un volo virile ad uno più screziato, traboccante di tenerezza.
Cerchi le mie mani, le raccogli, baciandomi le spalle, la nuca, il collo – “Ti amo John … ti amo da morire.” – e vieni, tremando e piangendo, il tuo busto posato al mio dorso, la tua bocca alla mia.
Ti sto imboccando, ma preferisci suggere un nettare più stimolante, piegandoti a baciarmi.
Dapprima giochi con il mio ombelico, ma poi scivoli ed io con te, reclinandomi nel cuscino, fatto dei nostri indumenti sgualciti.
“Vorrei darti piacere in ogni possibile modo John …”
I miei gemiti suggellano la tua prospettiva deliziosa.
“Torna da me Sherlock … voglio avvolgerti e …”
“Ma non sono mai andato via John.” – sorridi e sei meraviglioso.
“Neppure io …”
Ti sistemi, arabescando sul mio petto onde e gabbiani stilizzati: fuori albeggia, dalle fronde degli alberi la rugiada sembra accendersi nei primi raggi del sole.
Sono felice.
“Ho fatto un grande pasticcio Sherlock …”
“Mary …?”
“Infatti.”
“Nulla di irrimediabile, se le tue intenzioni sono serie.”
“Con te lo sono dall’inizio.” – dico convinto.
“A questo punto siamo compromessi, dovremo convolare a giuste nozze ahahahh!”
Come riesci ad essere così irriverente eppure così adorabile, non lo scoprirò mai.
Ti porto in ginocchio, davanti a me, con un gesto repentino: cerco nelle tasche qualcosa e tu frughi curioso con i tuoi laghi di inchiostro.
“John, ma …”
“Eccolo. Sì … eccolo qui …” – sorrido, brandendo il tuo anulare sinistro – “Viene dall’India, da un mercatino di cianfrusaglie, ma era l’unico oggetto degno di considerazione Sherlock …”
Una fede di giada, che ti sta alla perfezione.
“John, ma io non posso ricambiare e …”
“Sbagliato! Era una coppia di anelli. Se vuoi Sherlock …” – esito, ma tu sembri ruggire – “Ovvio che voglio!” – e mi imiti, gioioso e veloce.
“Qualcosa di nostro Sherlock …”
“Sbagli: noi abbiamo un mare di cose in comune John, che nessuno potrà portarci via. Vero …?” – adesso sei tu nel dubbio, ma baciandoti sciolgo anche questo ultimo nodo.
“Ti amo Sherlock …”
E’ bello dirtelo, così viverti e riscoprirti ogni istante, da quel pomeriggio, che ho trascritto in un nuovo diario, così che quell’ultima cosa riposta mestamente, diventasse una qualunque, delle decine, che ho prontamente riportato nel nostro alloggio.
Per sempre.
THE END
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