Capitolo n. 317 - gold
“Questo è il momento peggiore …”
Jared allungò la mano sinistra sull’addome di Glam, accarezzandolo.
Lui stata dormendo e si destò a quel tocco fresco ed affettuoso.
“Scusami …”
“Jared … è tardi?” – chiese sotto voce.
“Sempre.” – e sorrise amaro, sollevandosi per baciarlo.
Geffen lo avvolse, sovrastandolo di lato, per poi guardarlo, prima che si distaccassero per l’ennesima volta.
Rimasero come sospesi, senza dire niente.
Isotta si mise a piangere.
“E’ da cambiare …”
“Ci penso io Jared, rimani qui.”
“Non posso … faccio … una doccia …” – e sorrise, mentre il cuore gli saltava nella gola, come imbizzarrito.
“Ok, ti raggiungo …”
Qualche minuto dopo, Geffen entrò bel box con la piccola.
“Spero tu abbia un’altra tutina, la nostra principessa ha fatto un disastro … direi che il passato di verdure è da abolire.” – e rise, ma Jared rimase appoggiato alle piastrelle, aiutandolo comunque a lavarla con delicatezza.
Isy sembrava divertirsi, era felice ed anche il padre avrebbe voluto esserlo, in quella situazione, che aveva sognato spesso, nel buio dei suoi pensieri, in quel rifugio, inaccessibile a chiunque.
“Ti dispiace chiamare un taxi Justin?”
Colin si stava rivestendo, mentre il ragazzo fissava il cielo, oltre la porta finestra, disteso a pancia in giù, al centro di quelle lenzuola sporche di loro.
“Non preoccuparti, in qualche modo tornerò a casa, come te …” – ed inspirò, nascondendo il volto nel cuscino, che stava quasi stritolando.
§ Guardo solo schiene, da troppi giorni.
A volte parlo, a volte rimango zitto. Nessuno si volta veramente indietro ed io resto da solo, con i miei errori, le mie paure, il fallimento totale, che mi piomba addosso come un treno …
Spero tu stia meglio di me.
Un bacio, JL §
Brandon lesse quello strano messaggio di Jared, aggrottando la fronte.
Era in università e stava andando a pranzo con dei colleghi, dopo una tediosa riunione, andata per le lunghe.
Provò a chiamarlo, ma il cellulare del cantante risultò spento.
Gli scrisse di contattarlo quanto prima, provando una sensazione sgradevole.
Fece un ulteriore tentativo, ma gli rispose miss Wong, dicendo che né lui e né Colin erano ancora rientrati per la cena.
Lei non sapeva che Jared era passato dal retro, andando direttamente in soffitta, dove c’erano camere semi vuote oppure intasate di cose vecchie, ricordi, fantasmi.
Un temporale investì Los Angeles: era previsto, ma non con la violenza, con cui si scatenò.
Il traffico iniziò a bloccarsi sulla super strada, innervosendo Farrell, che si stava dirigendo alla End House, svuotato da ogni emozione.
Qualcuno aveva staccato la spina, ogni immagine recente, risultava insopportabile al suo cervello stanco.
Distrattamente volgeva lo sguardo al sedile del passeggero, dove prima c’era seduto Justin, destinazione resort, mentre adesso gli stava ammiccando una bella bottiglia di gin, destinazione nuovo purgatorio.
Conosceva alla perfezione quel luogo, perdersi tra i suoi meandri affabili era persino rassicurante.
Il palmare ebbe un sussulto, nel vano in plastica.
Colin attivò il bluetooth: era Jared.
“Scusa il ritardo, sono bloccato, sto arrivando!” – disse tra il fragore dei tuoni, anticipando una qualsiasi lamentela da parte del compagno, ma Jared non aveva intenzione di assillarlo con alcuna rimostranza.
“Ciao Cole …”
“Jay … ciao, volevo avvisarti, ma …”
“Cole …” – ripetè sommesso.
“Sì, ti ascolto.” – replicò sforzandosi di non apparire angosciato.
“Volevo salutarti.”
“Jared … Jared dove sei??!” – domandò concitato, sentendo che c’era qualcosa che non andava nel suo tono.
“A … a casa …”
“Non ti senti bene?”
“Volevo soltanto salutarti Colin …”
“Jared, cosa …”
La linea cadde e forse anche delle suppellettili, dal rumore che chiuse la conversazione bruscamente.
“JARED!!”
Il baccano dei clacson gli apparve come una piovra, mentre scendeva, dopo avere abbandonato il suv sul marciapiede, con le chiavi inserite.
La pioggia lo inzuppò, mentre correva veloce tra le auto e le invettive di chi lo stava notando: erano solo due isolati, ma Colin ebbe l’impressione di non arrivarci mai.
Compose il numero di Simon, urlandogli disperatamente i suoi timori.
“Cercalo sta succedendo qualcosa!! Simon ti prego …” e quel “ti prego” andò a ripetersi, affannoso, mentre Colin inciampava, cadeva tra le pozzanghere e si rialzava, sentendosi scoppiare un dolore lancinante tra le scapole ed il petto.
Richard si ricordò del localizzatore installato nella loro guardiola e collegato ai diversi portatili, per sapere dove si trovassero i componenti della famiglia.
“Quarto piano, ala sud, se questo coso funziona!” – esclamò, mentre inseguiva Simon all’interno dell’abitazione.
“D’accordo! Tu chiama un’ambulanza, sperando che non serva!” – gli urlò, dopo avere sfondato una porta, che dava su di un corridoio angusto.
Era un ex marine, esperto in tecniche di pronto soccorso e fece il possibile per rianimarlo: quando vide due flaconi di sonniferi ed antidepressivi, Simon comprese che serviva a Jared una lavanda gastrica e probabilmente un miracolo.
§ E’ un mondo di ovatta.
Lo stomaco mi fa male, ma non importa.
Curioso come tutti corrano: stupidi, non sanno come si sta in pace, qui, fermi, allungati tra fresie e quadrifogli, a scrutare il cielo, intrecciati a te …
Colin …
Dove sei finito?
Lo so, stai cercando dei biscotti, ma sappiamo entrambi che sull’auto del nonno non ne troverai mai … piuttosto dei sigari, che lui fuma di nascosto dalla moglie … è buffo, allampanato e spelacchiato in testa, ma sorridente, qualunque cosa succeda …
Ti amo Colin … sento il tuo profumo, mi stai … baciando …
Passerei la vita a baciarti, così almeno non dovrei ascoltare giustificazioni, bugie, cavolate …
Glam?
Quell’albero, a cui è appoggiato si chiama Thomas …
Non so spiegarlo, ma lui si chiama così Shan … Sei accanto a me, fratellone … che poi uno dovrebbe credere che sei grande e grosso, invece come altezza … la mia risata copre i tuoi insulti amorevoli …
Glam è andato via, anche … anche Colin … Shan, almeno tu …
No, neanche lui è qui con me.
Devo cavarmela da solo.
Ok, ci sono abituato. §
“Cosa diavolo è successo Colin …?”
Meliti ripeteva, pacato, quella domanda, senza ottenere una spiegazione.
Robert era riverso contro al petto di Jude, soffocato da un pianto interminabile; Glam e Kevin, seduti sul pavimento, si erano cristallizzati in un mutismo alienato.
Shannon tremava, tra le braccia di Owen, che lo confortava aiutato da Tomo e Chris.
Xavier si era rannicchiato sulla panchina di quella saletta, mentre Phil restava impalato sulla soglia, in attesa di qualche novità.
“Io … io vado da Jared …” – mormorò distrutto dal dolore Farrell, incrociandosi con Marc e Jamie, che si stavano aggregando agli amici, in quella veglia triste.
Le sue dita erano gelide, come i suoi zigomi, pallidi.
Il bip dei tracciati sembrava regolare.
“Non si trattenga oltre cinque minuti … sto facendo uno strappo alla regola signor Farrell …” – gli sussurrò l’infermiera, con gentilezza.
Colin raccolse il polso di Jared, portandoselo alle labbra, per riscaldarlo, inutilmente.
“So che … che sei in un posto bellissimo amore … la tentazione di rimanerci è forte …” – disse dolcemente, per poi riprendere fiato, prima di proseguire.
“Avrei dovuto non darti retta, quando mi hai chiesto di andare avanti … di non arrendermi … Spesso la nostra ostinazione ci ha ripagati di molte sofferenze, ma poi … Jay non so cosa non abbia funzionato dopo l’Africa … non so più niente, senza di te …” – e sorrise, tra le lacrime.
“Mi devi un favore, sai? … Tu me lo devi … io … io non ti ho lasciato … E tu non devi lasciarmi …!” – ma un singhiozzo lo bloccò.
“Perdonami Jared … voglio vederti felice … lo desideriamo tutti … io … io sono pronto a qualsiasi cosa, purchè accada … qualsiasi … cosa.”
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