Capitolo n. 316 - gold
Amelie stava giocando con il pizzetto di Colin, appoggiata al suo petto, mentre lui era intento a scrutare il signor Wong, impegnato con l’allestimento delle luminarie in giardino.
Di tanto in tanto piegava il capo, verso la piccola, che rideva al solletico della sua barba curata e scura.
Jared entrò nella stanza, senza fare rumore, cingendolo per la vita e posando la fronte sulla spalla sinistra del compagno, che sorrise.
“Resti con me oggi …?” – chiese il cantante, timidamente.
“No … ho un’intervista, te lo avevo detto … ci vediamo stasera, ok?”
“Ok …” – mormorò, pensando che non era un impegno così importante, ma accettò la sua risposta, facendo scivolare le mani lungo le braccia di Colin, che gli passò la figlia, dando ad entrambi un bacio fugace, prima di andarsene.
Jamie rimase quasi un’ora al telefono con Kurt.
“Marc a momenti casca, mettendo il puntale … è stata una scena buffissima!”
“Ci credo … Noi invece prendiamo sempre un pino vero, piuttosto basso, così che Martin possa decorarlo senza problemi … Qui nevica sai?”
“Da noi la temperatura si è abbassata di poco, c’è vento fuori … tornate a Los Angeles per Natale?”
“Non ne sono sicuro Jamie, in effetti l’abitudine è ritrovarsi alla End house o da nonno Antonio … Quest’anno c’è anche la villa di Geffen, magari organizza qualcosa lui.”
“Sarebbe meglio che Glam e Jared rimanessero lontani per le feste, temo che ci siano di nuovo dei casini, almeno così mi ha accennato Marc, però tu sai che a me non interessano i pettegolezzi Kurt.”
“Ok, allora che ne diresti di sparlare di Shannon ed Owen??”
“Approvo! Ahahahahh”
Geffen azionò il telecomando del suo hummer, dopo essere sceso con il portatile ed una borsa del take away giapponese.
Entrò sentendo nell’aria un buon profumo di cacao.
“Bene arrivato, la cioccolata è quasi pronta … Isy stai calma, ce n’è per tutti.” – e sorrise – “Giornata pesante al lavoro?”
“Ciao Jared … una causa vinta e l’altra sospesa … ehi principessa, ma che bella pagliaccetto rosso … Vieni qui …” – e la sollevò dal seggiolone, dandole una miriade di buffetti sul visino allegro.
“Ci pensi tu a lei? … Deve mangiare prima il passato di verdure.”
“Hai sentito Isotta? Che bel menù … Sarà meglio che vada a cambiarmi allora, questo completo mi è costato una fortuna.”
“Ti sta benissimo, sembri proprio un avvocato di fama …”
“Spiritoso ahahahah Cerco una tuta.”
Passò in camera, rovistando nel cassettone, ma Jared aveva già provveduto.
“Ho scelto questa … tieni.”
“Grazie tesoro.”
“Figurati … Ciao Glam.”
“Ciao Jay.” – e gli diede un bacio leggero.
“Sono felice che tu sia qui …”
“Avevi parlato di una sorpresa, sono curioso.”
“Si tratta di quello.” – ed indicò uno scatolone, tempestato di etichette colorate sui lati.
“Da dove arriva?”
“L’hanno consegnato ieri, il mittente è … asilo di Haiti.” – e gli mostrò una ricevuta.
“Jared non capisco …”
“Ti faccio vedere, l’ho aperto subito.”
Conteneva parecchie decorazioni, in particolare delle palline con le foto dei piccoli dell’orfanotrofio e festoni con scritte simpatiche per Geffen, che si commosse.
“Accidenti …”
“Ho comprato un abete bianco, finto ovviamente, al market dell’angolo … volevo farlo con te, qui nel nostro villino … Un’isola che non c’è direi … un altrove, che esiste solo per noi Glam.” – affermò serio e fiducioso nell’approvazione dell’altro, che non tardò a concretizzarsi.
Diedero il pranzo ad Isotta, che si addormentò sul petto di Geffen.
“Mettiamola nella culla … noi dobbiamo lavorare …” – bisbigliò Jared sereno.
“Ok … da dove cominciamo?”
“Dalla stella direi … guarda c’è uno scatto con noi due davanti al centro.”
“Sì, quando feci installare il luna park …”
“E qui Glam c’è Lula, che ti sbrodola la camicia con la sua pizzetta …”
“Guarda soldino di cacio … è stato un giorno speciale.”
“Come quasi tutti quelli trascorsi sull’isola Glam, hai ragione …” – ed inghiottì un singulto, premendo le dita sulle palpebre, per ricacciare indietro due lacrime inopportune.
“Jared …”
“Non è nulla … scusami, vado un secondo in bagno …”
“Come vuoi … “ – replicò perplesso, decidendo quindi di seguirlo.
Lo vide lavarsi il volto e poi estrarre dalla tasca dei jeans un blister di pasticche, che conosceva alla perfezione.
Jared ne ingurgitò un paio, prima che Geffen potesse impedirglielo.
“Ehi, cosa sono queste porcherie?!!”
Gli volò di fronte, afferrandogli i polsi – “Jared cosa cazzo …” – “E’ … è solo per non impazzire … per andare avanti … non posso farne a meno …” – spiegò piangendo, piegandosi verso di lui, che lo strinse senza esitazioni.
“Jared non devi … tu non …”
“Io non dovrei più esistere, annullandomi in qualche groviglio di abitudini spente, diventando ciò che non sono … anche se non so più, esattamente, chi sono.”
“E finire così? Ti sembra giusto?!” – esclamò, divorato dall’angoscia.
Accadde.
E fu bellissimo.
Jared si sentiva come in pace, assolto da qualcosa, che gli opprimeva il cuore, impedendogli di respirare: adesso, invece, sembrava librarsi, in un vento caldo, fatto del sapore di Glam, della sua pelle dorata, di quel corpo sconfinato e compatto, che lo prendeva e lo lasciava andare, senza mai abbandonarlo davvero.
Fu una prolungata e metodica preparazione, quella che Geffen gli riservò.
Gli apparvero come gesti premeditati, quel susseguirsi di premure, umide, torbide, sconvolgenti: percepiva le sue dita, la sua lingua, il suo sesso, ovunque potesse vibrare di sensazioni assurdamente piacevoli.
Era come un’onda, che saliva nel suo intimo, che ritornava tra le sue gambe esili, bagnando il suo inguine pulsante, carpendo i suoi fianchi sottili e vibranti, fino ai capezzoli di Jared, che si inarcava e si lasciava distruggere appassionatamente ad ogni spinta, che pregava non fosse ancora l’ultima.
Dalla sua gola salivano gemiti completamente rapiti da quell’amplesso totalizzante.
I baci di Glam erano profondi, lascivi, ma così amorevoli, come i sussurri di ciò che provava.
Gli rinnovava il proprio, incondizionato amore, anche se non avrebbero trovato via di scampo alle loro scelte, ormai consolidate ed inevitabilmente granitiche.
Scivolarono dal letto, ritrovandosi su di un tappeto, che era morbido abbastanza, da farne un nuovo giaciglio.
Jared, aggrappandosi all’amante, si lasciò montare selvaggiamente.
In quel preciso istante, ne aveva bisogno ed urgenza, di perdere letteralmente i sensi e la ragione, raggiungendo un orgasmo, che lo fece esplodere in grida, arginate da altri baci, per non svegliare la bambina, ma soprattutto in un pianto liberatorio.
Robert posava il suo sguardo innamorato sulle scapole di Jude, perfette, come se le avesse disegnate un artista talentuoso ed incantatore.
Avevano mangiato tra le lenzuola, assaliti da una pigrizia improvvisa, dopo una mattinata a fare compere.
Camilla riposava nel box, circondata da giocattoli e peluche, non avevano voluto disturbarla, spostandola nella sua culla.
La vedeva da quell’angolazione, sorridendo ai suoi lievi fremiti, forse stava sognando, mentre lui lo faceva ad occhi aperti.
Baciò la nuca di Jude, che affondò maggiormente nel cuscino, protestando flebile.
Con l’indice ed il medio, volle insinuarsi in quella fessura, che lo aveva accolto generosamente, prima che il suo splendido ragazzo inglese si rilassasse, avvolto dalle sue ali appagate.
Lo invase febbrilmente, riprendendolo con vigore.
Il suo palmo destro mise a tacere la sorpresa di Jude, che superò l’immediata confusione, tramutandola in superba lussuria.
Iniziò a mordere e leccare le falangi del suo uomo, che lo stava cinturando e colpendo, dove sapeva di farlo godere allo spasimo.
Non pago di quel trattamento, Robert non si risparmiò nel toccarlo, per farlo dilagare insieme a lui, con pieno successo.
“Lo so, è squallido …”
“No, affatto Colin …”
La suite era oltremodo lussuosa ed il pranzo, che avevano consumato in terrazza, estremamente raffinato.
Le labbra dell’irlandese distribuivano tiepidi baci nel collo di Justin, che tremava ad ogni sua iniziativa.
Farrell gli aveva semplicemente chiesto di stare con lui, di non lasciarlo solo, perché era al limite di uno stress davvero insopportabile e pronto a ricadere in pericolose abitudini.
“Non devi farlo, se non lo vuoi sul serio …” – gli aveva detto, dopo averlo baciato, al termine del suo incontro con quel giornalista, con cui aveva appuntamento.
Justin aveva semplicemente annuito.
Colin gli era venuto dentro, perdendosi nelle sue iridi screziate di azzurro, prolungando quel contatto di baci bollenti.
Si rimise in ginocchio, accompagnando Justin a sedersi sulle sue cosce, dandogli le spalle: succhiò la linea della spina dorsale del giovane, con una lentezza estenuante.
Lo piegò poi in avanti, facendo in modo che si ancorasse alla testata, per penetrarlo agevolmente.
Ci riuscì, conficcandosi in lui, con il fragore di uno sparo assordante.
“Colin!!”
L’attore non diede alcuna risposta, se non sotto forma di una presa capace, che aiutava Justin a cavalcarlo oscenamente, per un tempo che andò a liquefarsi, in quel luogo senza nome e senza futuro.
Nessun commento:
Posta un commento