mercoledì 29 maggio 2013

ZEN - CAPITOLO N. 123

Capitolo n. 123  -  zen


Il sapore della coperta era un misto tra il borotalco e l’olio all’eucalipto.
Disgustoso.
Tom, però, l'avrebbe strappata a morsi, mentre Chris lo stava facendo venire per la terza volta.
Od era la quarta?

Il tenente gli aveva chiesto di mangiare giusto un hamburger insieme, dopo giorni di cibi pronti, scaldati nel micro onde del loro appartamento e consumati in perfetta solitudine, come un cane bastonato.

Tom era stato ospitato a villa Meliti, per lavoro: l’odiosa cervicale di Carmela traeva giovamento dallo shiatsu effettuato dal terapista, mentre quest’ultimo godeva della cucina della moglie di Antonio, molto gentile e cordiale, nel giocare a carte insieme a lui ogni sera.
Senza trascurare l’assegno esorbitante, che l’uomo gli aveva staccato, estremamente grato per il sorriso ritrovato dalla moglie, grazie all’intervento di Tom.

Iniziarono a baciarsi, inebriati da una frase inaspettata pronunciata da Chris.
“Concepiamo il nostro bambino, Tommy … Lo voglio assolutamente”
Una parte di Tom voleva eccepire su quel concetto, ma l’anatomia non importavano a nessuno dei due: il loro progetto, finalizzato all’adozione, aveva lo stesso peso, la medesima intensità.
Se non maggiore.
L’essenziale era crederci.

Avevano fatto l’amore.
Poi scopato.
Rifatto l’amore.
Ora stavano di nuovo scopando, oscenamente complici, Chris tra le cosce di Tom, riverso sul lettino dei massaggi, la bocca spalancata in ricerca di ossigeno, ormai bruciato e divorato dai rispettivi ansiti, mentre se lo sentiva entrare ed uscire, senza alcun freno, forte di una virilità inaudita, peculiarità esclusiva del poliziotto, che gli aveva cambiato l’esistenza.


Qualche flash chiazzava il buio.
La discesa alla piazzetta di Lasysos, delineata da muretti in pietra, sui quali si riunivano drappelli di adolescenti, si animava di qualche commento e pochi scatti, al passaggio di Colin.
Lui guardava fisso davanti a sé, le mani in tasca, la testa vuota.
Una ragazza gli chiese un autografo e di fare una foto.
Quella che gli mostrò, raffigurava l’attore con Jared, sul set di Stone.
“L’ho visto un sacco di volte, è un film bellissimo” – esordì lei, che forse aveva vent’anni ed a Farrell sembrò incredibile come le potesse interessare ancora, dopo tutto quel tempo.
Dopo quell’eternità.
“E’ stato l’errore più grossolano della mia vita, accettare quella parte.” – la freddò.
Poi fuggì via, verso i vicoli, con l’impellenza di vomitare anche l’anima.
Aveva detto una cazzata, dettata dalla rabbia, pensò.
Gli bruciò poi, tra i pensieri, un termine ben diverso: abominio.


“Anche tu non riesci a dormire Glam …?”
Downey glielo chiese, raggomitolato contro il corpo massiccio di Geffen, dandogli la schiena.
L’avvocato posò un bacio sulla nuca dell’attore, respirandogli nel collo la propria angoscia – “Sono frastornato Rob … Così felice di averti qui”
“Però?” – lo interruppe, girandosi, intrecciandosi a lui, con gambe e braccia, completamente nudi.
Glam sorrise, in quella rifrazione d’argento e turchese, come i suoi occhi lucidi.
“Però l’ho desiderato talmente tanto questo momento di noi, Robert, che ora non riesco a crederci: forse è banale come spiegazione, ma non so dartene di migliori, sai?” – ed inspirò, stringendolo caldo a sé, per togliergli ogni male terreno.

Fu questa la riflessione di Downey, nel totale abbandonarsi ai suoi baci, adesso.


Vassily si immerse nel Mediterraneo, mentre Peter alimentava il fuoco, acceso poco distante dalla loro tenda.
Quella notte l’avrebbero trascorsa così, ricordando i tempi dell’addestramento nei marines sovietici.
Certo l’atmosfera era ben diversa e faceva un freddo allucinante, mentre l’isola di Rodi era un autentico paradiso.

“Ehi mi lasci solo?!” – esclamò gesticolando, in direzione del biondo, che si tuffò immediato.
Vassily lo raccolse, come se non pesasse nulla, nonostante anche Peter avesse una corporatura notevole, ma mai quanto il compagno, che iniziò a baciarlo con molta tenerezza.

“Siete carini, un sacco!”
La frase era un biascichio contorto ed inquinato dalla vodka, che Jared si era scolato in un bar, appena fuori il villaggio.
Aveva poi guidato sino a lì, con l’auto noleggiata da Colin, “scomparso nelle tenebre …”, spiegò ai body guard, preoccupati per il suo stato pietoso.
Jared piangeva ed imprecava alla luna, insultando sé stesso e gli spettri immaginari, con i quali combatteva, a pugni e calci, che andavano a vuoto, nell’aria fresca dell’imbrunire.
Vass se lo caricò sulle spalle, sedando le sue proteste, assai inutili per farlo desistere da quel salvataggio inevitabile.
“Peter rientriamo”
“E qui …?” – replicò deluso.
“Butta della sabbia su quei tizzoni, non vorrei che qualche coglione si facesse male … Poi semmai scendiamo di nuovo, ok?” – propose calmo.
“Ok …”
“Scu scusami Peter …” – singhiozzò Leto, ma nessuno lo rimproverò oltre.


Vassily bussò piano.
Geffen era ancora sveglio: guardava Robert dormire.
Era bellissimo.
Si separò lento da lui, indossando delle braghe ed una t-shirt, schiudendo la porta, con l’idea si trattasse di Lula.

“Capo abbia pazienza …”
“Vass … Che succede?”
“C’è un naufrago in cucina” – scherzò.
“Eh …?”
“Si tratta di Jared: temo abbiano litigato, lui e Colin …”


Lula prese la tazza con il nome di Jared.
Le aveva dipinte prima di coricarsi.
“Questa è tua zio … Il mio caffè ti farà rinascere!” – sorrise, porgendogliela, non senza scrutarlo turbato.
Leto lo guardò, scompigliandogli i capelli e notando che accanto al proprio nome, il bimbo aveva disegnato anche una triad azzurra.
“Sei … un amore …” – e lo strinse forte, ricominciando a piangere.
“Zio vedrai che tutto si sistema … Papà lo dice sempre”
“Vo volevo solo lui fosse felice … invece ho sbagliato ogni cosa … ogni scelta …” – balbettò, stravolto.
Lula gli diede una delle sue carezze a mano aperte, sforzandosi di mostrarsi sereno.
“Se almeno io fossi riuscito a non … a non deluderlo … Ho perduto gli amori più grandi della mia vita … e sono così arrabbiato Lula …”
“Anche con zio Robert?”
“Temo di sì … E’ un discorso … complicato …”
“Io lo capisco, sai? Tu credi che lui abbia avuto il privilegio di essere amato da zio Jude e da papà, perché malato …”
“E’ una considerazione cattiva, ma l’ho fatta Lula … Sei talmente sensibile”
“E’ accaduto perché ti senti abbandonato, però zio Colin e papà sapranno perdonare questa leggerezza … Sei ferito e nessuno riuscirà a guarirti, ne sei convinto, ma sbagli”

“Sto pagando per la mia arroganza”
“No Jared”
“Glam …”
“Ciao papà!”
“Soldino sei stato fantastico con zio Jared, ma ora vorrei parlare un po’ con lui, torna a nanna, ok?” – gli chiese amorevole.
“Okkei, torno da Brady, ma sul tavolo c’è la mia brodaglia, anche per te!” – e rise, fuggendo via, dopo avere dato un bacio al cantante.

“Hai … hai ascoltato, Glam?”
“Sì, eravate … incantevoli.”
“Già … Lula senza dubbio, però io mi sento uno schifo” – ribatté depresso.
“Dov’è Colin?”
“Non ne ho idea … Forse a sbronzarsi come me, ma non è più quel tipo di stronzo, mentre io sono fermo al palo, da quando avevo sedici anni, a quanto pare”
“E gli adulti avevano disatteso le tue aspettative, giusto?” – gli domandò pacato, sedendosi al suo fianco.
“Sì … Tu sai tutto di me” – tirò su dal naso.
Geffen sospirò – “Ho imparato ad avere pazienza, ad aspettare, grazie a te, sai? Era incredibile, ma avevi cambiato la mia indole”
“Credo relativamente a queste cose”
“No, anzi … Proprio perché a mia volta ero amareggiato e ce l’avevo con il mondo intero, tutto mi era dovuto e me lo prendevo, senza attendere, senza lasciare alternative a chiunque entrasse in contatto con il sottoscritto, nei sentimenti, negli affari … Prendere o lasciare, era diventato un motto, una … regola.”
“Usando un termine orrendo, ti avrei addomesticato, con i miei capricci?”
“Non lo erano … Le chiamerei esigenze, spesso legittime Jared” – lo guardò.
“Clint direbbe, muovi il culo ragazzo e smettila di lagnarti! Giusto Glam?”
Geffen rise – “Per averlo incontrato per poco, lo conosci bene il vecchio
“Abbastanza …”
“Non avrebbe torto, però certi traumi non li superi da solo e se avviene, le conseguenze talvolta sono pessime.”
“Tu sei andato oltre tuo padre, che ti pestava Glam, non sei diventato il peso di nessuno, quanto me”
“Puoi sminuirti finché vuoi, ma la verità è che hai tolto dalla merda Colin e chissà quanti altri amici hai salvato, vero Jared?” – bissò severo.
Leto fissò il vuoto, avanti a sé – “Ma non ho salvato me stesso … Pensavo funzionasse, ma non c’era mai un sollievo concreto, risolutivo …” – rivelò emozionato.
“L’hai mai provato, Jared? In qualche modo?”
“Sì … Con te Glam … L’ho sempre saputo, ma ho preferito restare insieme a Colin, seppure ti amassi e lui … Lui mi ha riconquistato, giorno dopo giorno, facendomi sentire speciale … semplicemente adorato … Eppure non bastava, se puntualmente languivo per te … Un perfetto idiota, a mettermi poi in competizione con Robert” – e deglutì a vuoto.
“Non penso si tratti di questo …”
Jared lo puntò  - “Tu lo ami? Sei felice per quanto ha deciso Jude?”
Geffen ebbe un’esitazione.
“Come … Come dicevo a Rob, sono confuso per … per la gioia”
“Ok … In fondo sei persino credibile” – si alzò, rimettendo il giubbotto di jeans sgualcito, come il suo aspetto, come il suo cuore.
“Senti Jared, cerchiamo Colin e”
Un suono lo interruppe.
Era il cellulare di Leto.
“Non serve, è lui. Sì, pronto”




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