Capitolo n. 110 - zen
“Voglio tornare a
casa nostra e … E poi dovremmo fare visita a Kevin.”
Robert stava
rimestando il proprio tè, senza avere ancora assaggiato i biscotti portati da
Jared e preparati appositamente da miss Wong per il marito di Jude, che lo
stava ascoltando con attenzione, mentre il cantante era in spiaggia, insieme a
Colin, i gemelli e Jay Jay, in visita a Glam ed accompagnato da Sveva.
“Mason ha detto che l’aria
di mare ti avrebbe aiutato a respirare meglio …”
“Hanno spostato l’oceano
da Los Angeles?” – rise mesto, protestando debole all’eccezione posta da Law.
Camilla, al tavolo
con loro, fece cadere la sua bambola e Downey si piegò a raccoglierla,
disturbato, però, da un noioso capogiro.
Inspirò forte, poi
corrugò la fronte, mutando di umore – “Accidenti” – masticò incattivito,
urtando immediato la sensibilità della figlia.
Jude la prese in
braccio, dandole una coccola e portandola da Vassily e Peter, che con Lula
stavano costruendo una tenda indiana, nel giardino della villa.
“Scusami, non volevo”
“Robert cosa succede?
Ti riporto dove vuoi, ma se”
“Sto bene! … Insomma …”
– e si commosse.
Jude lo strinse
prontamente a sé, inginocchiandosi ai suoi piedi, dopo avere girato la sedia in
suo favore, per accoglierlo meglio sul proprio cuore disperato.
“So che ogni cosa ti
apparirà complessa ed insostenibile Rob …”
“Tesoro io non ho
abbastanza coraggio per due e vederti appassire, giorno dopo giorno, accanto al
relitto, che sono diventato …” – singhiozzò nel suo collo, aggrappandosi a lui
come un naufrago.
Jude avrebbe voluto
spiegargli quanto quel contatto, quell’esigenza reciproca, lo rendesse invece
felice, di una gioia quasi inconcepibile.
“Ora calmati Robert …
Ciò che il male ci ha sottratto, come il peggiore dei vigliacchi, è ristabilito
dall’amore che ci unisce, non dimenticarlo mai. Mai, ok?” gli disse dolce, guardandolo nuovamente.
“Angelo mio …” –
replicò sommesso, abbandonandosi poi ad un bacio, che riuscì a ricompattarli,
ancora una volta, indissolubilmente.
Jay Jay interagiva
con i pargoli di Colin e Jared in modo incredibile, come se fossero degli
autentici fratellini.
L’armonia di quell’istante,
l’avrebbero voluta immortalare nel tempo, sia i coniugi Farrell / Leto, che lo
stesso Geffen.
Sveva li osservava,
incuriosita dal loro complesso legame.
Una logica
sentimentale, li avrebbe voluti nemici, mentre invece Glam riusciva a diventare
l’ancora di salvezza, quasi il collante di coppie come la loro e quella formata
da Downey e Law.
In ciò si inseriva
come un elemento indecifrabile Matt, che dalla clinica aveva mandato una lunga
lettera all’avvocato, dove riuniva una serie di pensieri sconclusionati, senza
però mai smettere di ripetere quanto lo amasse.
Glam la condivise con
gli amici, con una certa riluttanza, ma ne rimase in qualche modo sconvolto,
tanto da cercare il loro consiglio, nel decidere cosa fare di quel malsano
rapporto, creatosi tra lui ed il giovane.
Jared era
visibilmente imbarazzato.
“Voi … Voi parlate,
giusto?” – chiese timido.
Colin e Sveva avevano
ampiamente compreso il modo in cui si erano ridotte le cose tra Glam e Matt,
mentre Leto sembrava non volerlo accettare, come al solito, quando si trattava
delle relazioni dell’uomo più controverso della città e della sua esistenza.
“Sì, accadeva Jared …
Poi ci sono state circostanze particolari, in cui ho … abbiamo degenerato. So
che ti apparirà contorto”
“A me sembra solo
pericoloso e ne avevamo già discusso” – ribatté secco.
“La mia intenzione
era e rimane quella di porre fine allo spauracchio del carcere duro, per Matt,
dopo il processo, che ci sarà a breve, per la denuncia di Kevin …”
“Ma non hanno
appurato la sua doppia personalità?” – si intromise Colin.
“Certo, tanto è vero
che sarà condannato Alexander, ma lui vive nel corpo di Matt, che è innocente e
mai avrebbe minacciato Lula … o chiunque”
“Per quelli come lui
non c’è il manicomio criminale …?” – chiese Sveva.
“Appunto ed è anche
peggio del penitenziario: verrebbe messo in isolamento, in un ambiente senza
prospettive o comunque tra persone folli, maniaci, psicopatici … Avete idea di
come vadano le cose in quei luoghi?” – sbottò svilito.
Jared annuì – “Dai
film, dalle cronache, sì, ovvio, però tu pensa a cosa farebbe Alexander, se
avesse l’opportunità di fuggire, come adesso.”
“E’ sorvegliato, non
si trova in un albergo Jared …” – obiettò Glam, fissandolo, senza ostilità.
“Tu, però, continui
ad illuderlo, visto che è palesemente innamorato di te: smetti di incontrarlo
oppure evita di ferirlo, non vedo altra via.”
Tim lo aveva aiutato
a farsi una doccia.
Kevin sembrò a
disagio in frazioni differenti di quel loro incontro comunque intimo ed
esclusivo.
“Preferiresti qualcun
altro, amore?” – domandò il giovane improvviso, mentre gli sistemava la
t.shirt, sul corpo ancora completamente nudo.
Kevin si coprì con il
lenzuolo, tornando a stendersi.
Respirava a fatica,
ma doveva aspettare solo un paio di giorni,
poi la fasciatura sarebbe state rimossa ed avrebbe indossato un busto in
silicone microforato, grazie al quale lo avrebbero dimesso senza ulteriori
giorni di noiosa degenza.
“Vorrei fare surf,
per il resto ho tutto ciò che voglio” – replicò poco disinvolto.
“Ok … Solo che sento
il tuo”
“Il mio cosa Tim?” –
bissò aspro, puntandolo.
“No … Niente, non è
il momento a quanto pare”
“In che senso? Parli per
enigmi e non lo sopporto”
“Tu non sopporti le
mie mani, Kevin, il mio sguardo, le carezze ed i baci, che vorrei ti fossero di
conforto!” – protestò deciso, sedendosi sul bordo.
Il bassista deglutì a
vuoto, gli occhi lucidi – “No … No, il fatto è che …”
“Kevin …”
Lo abbracciò senza
esitare, ma la reazione del compagno gli apparve ulteriormente distaccata.
“Tim pochi giorni
prima che mi accadesse questa … Questa cosa … Io sono stato prepotente con te
nel fare sesso e …”
“Che … che diavolo
dici?” – sorrise esterrefatto.
“Mi è sembrato di
vivere la sequenza, ma al contrario, io subivo e quei maledetti mi … mi
volevano …”
“Non farlo Kevin …
Mio Dio non mettere sullo stesso piano la nostra complicità con quell’abominio
del centro commerciale … Ti prego … Non permettere a due figli di puttana di
farci vergognare per come facciamo l’amore, per i nostri giochi, l’intesa
spesso scabrosa, che ci unisce e ci completa: noi siamo anche questo, non
trovi?!” – gridò piano.
Kevin si sciolse
finalmente in quell’intreccio di braccia, a cui non si sottrasse più, cercando
la bocca di Tim, per intossicarsi del suo sapore, sperando che il ragazzo non
ponesse limiti a quell’approccio sensuale e vivido.
La sua lingua scivolò
presto sul busto di Kevin, nuovamente spogliato e tonico, nonostante le bende,
che Tim superò con una serie di baci leggeri, ben presto più intensi ed erotici
tra le gambe del suo fidanzato.
“Chiudi … chiudi la
porta piccolo …” – ansimò e Tim corse a farlo, seppure controvoglia.
Si denudò in pochi
secondi, infilandosi tra le lenzuola, dove avrebbe ridato un piacere assoluto
ad un Kevin ancora provato da quell’esperienza negativa, ma pronto a rinascere
insieme a lui, che lo amava senza riserve.
Il giudice Master
fece una delle sue classiche smorfie, assai note a Geffen, appoggiato al davanzale,
in attesa di una risposta.
“Ok io ti devo un
favore Glam …” – quasi grugnì.
“O sì oppure no, Al,
non è difficile”
Aveva un paio di
fascicoli sotto il naso e ci stava giocherellando nervosamente da circa un
minuto, dopo avere ricevuto un’esplicita richiesta da parte di Geffen.
“E pretendi un mio
assenso per entrambi i casi, scordatelo!”
“Ok, mi accontento di
uno, anche se resto in credito”
“Neanche per sogno,
cazzo!”
“Invece sì, Al e lo
sai benissimo che non sto scherzando: eri nella merda dieci anni fa, con quella
prostituta minorenne ed io non ho esitato!”
“A parte il fatto che
ero innocente!”
“E le prove dicevano
l’esatto contrario: ti ho creduto allora e ti credo ancora oggi, però la tua
carriera sarebbe andata in pezzi, così il tuo matrimonio. Era il tuo vizio,
almeno ammettilo” – sibilò feroce.
“Certo Glam, non occorre
tu me lo rammenti!”
“D’accordo,
calmiamoci.”
“Perfetto Geffen
quindi scegli: o Miller od il simpatico duo di stupratori!”
“Concedimi un attimo …”
“Devo andare in aula,
i signorini stanno aspettando: sono
recidivi, sai? Eppure l’altra volta se la sono cavata dicendo che lo
sbarbatello si prostituiva ed era consenziente …” – rivelò, scorrendo i
paragrafi principali degli atti, dopo avere inforcato gli occhialini dalla
montatura nero pece.
“Cosa …?”
“E ti stupisci Glam?
Certo per Kevin è un’altra storia, ma non esiteranno a gettargli addosso una
bella dose di fango. Vuoi esporre il padre di tuo figlio a questo?” – chiese sarcastico.
“No, assolutamente,
ma voglio sapere chi era lo sbarbatello:
merita giustizia anche lui oppure ci sono come al solito persone di serie A e B
in questo posto del cazzo?!”
“Dunque Matt oppure
Kevin?!”
Geffen chiuse le
palpebre, ossigenandosi, quindi le riaprì su Master, sempre più accigliato.
“Kevin. Voglio
vederli marcire in prigione per quello che gli hanno fatto.” – sentenziò lucido.
“Sarà fatto ed ora
sparisci, accidenti a te!”
I loro nomi non avevano
importanza.
Erano rifiuti della
società e non avevano mai fatto nulla per migliorare la loro situazione.
Cresciuti in un
ambiente squallido, anziché provare a studiare e lavorare, scoprirono presto
che era meno faticoso procurarsi cibo e droga picchiando e saccheggiando il
prossimo.
Gli abusi sessuali,
perpetrati ai danni di almeno tre ragazzine e quel sbarbatello, senza un’identità precisa per Geffen, non erano mai
stati utili ad ingabbiarli definitivamente: lui voleva farli espiare per ognuna
delle loro vittime.
Master non esitò ad
applicare la legge, senza ascoltare le loro volgari giustificazioni, che il
legale d’ufficio tentò timidamente di esporre, sotto lo sguardo feroce di
Geffen, seduto tre file dietro, rispetto alla scrivania degli imputati.
Il più massiccio, O’Connor,
provò ad insistere – “Ma quel frocetto ci stava, chiedilo al mio socio, non abbiamo fatto alcuna fatica a
convincerlo, solo che mentre ci appartavamo, è inciampato per le scale, da un
livello all’altro del parcheggio, si è fatto male così, cazzo è andata così!” –
e si voltò verso Glam, a cui il sangue era salito alla testa già da troppo.
“E tu … tu che cazzo
hai da guardare …? Perché quello mi fissa in quel modo, giudice gli dica di
smettere!” – gridò agitandosi.
“Di chi sta parlando?”
– replicò Master.
“Di … di quello … Che
stava lì …”
Glam era sparito.
La sentenza fu
emessa, senza attenuanti.
I due furono separati
e condotti in ascensore in tempi differenti.
Quando lo stesso salì,
anziché scendere nel piazzale, dove una camionetta avrebbe scortato i detenuti
in penitenziario, O’Connor chiese spiegazioni, alterandosi non poco con gli
agenti di scorta.
“Non ti dobbiamo
spiegazioni, stronzo. Vedi di tacere.”
“Altrimenti? Eh?! Ho
anch’io i miei diritti, accidenti!”
Le porte si aprirono:
a quel piano c’erano lavori in corso ed all’apparenza nessuno.
Per poco.
Le guardie scesero,
lasciando il posto a chi li stava aspettando.
“Cosa cazzo state
facendo …? Cosa cazzo state”
“Ciao, so che volevi
conoscermi.”
Glam entrò, chiudendo
e bloccando la cabina alla rampa sottostante.
O’Connor era
ammanettato.
Si schiantò sulla
parete in vetro retrostante, senza che Glam lo sfiorasse, nel vano tentativo di
sfuggirgli.
“Potrebbe sembrare
impari, ma Kevin era tenuto fermo dal tuo compare, mentre per te ci sono i
ferri, quindi non lamentarti, ok?” – disse a mezza voce, minacciandolo con i
pugni chiusi ed alzati, che non rimandarono un diretto al volto ed un sinistro
al fegato di quel coglione.
Piegato in ginocchio,
O’Connor assestò una spallata ai fianchi di Geffen, che gli afferrò la nuca,
sbattendola poi contro una delle barre laterali, procurandogli un vistoso
taglio alla tempia destra.
Quindi lo afferrò per
il bavero della tuta arancione, scuotendolo senza remore e fissandolo rabbioso –
“Potrei ucciderti, se quei poliziotti non fossero stati tempestivi, sai?
Ringraziali, quando li vedrai, se sopravvivrai alla galera, ok? OK BASTARDO??!”
Nessun commento:
Posta un commento