sabato 20 aprile 2013

ZEN - CAPITOLO N. 96

Capitolo n. 96  -  zen




Nel parco antistante l’ospedale, un gruppo di studenti aveva allestito un punto di incontro, dal quale facevano volare delle lanterne, suonando chitarre e violini.

Jared, Colin, Marc, Christopher, Tim e Kevin, giunti per ultimi, scesero tra loro, mentre Scott e Steven parlavano con Preston, che dalla finestra li vide unirsi ai cori ed ai canti, come a celebrare il ritorno di Robert.

Lula era sulle spalle di Vassily e giocava con un aquilone, la cui tela era dipinta delle stesse tonalità del mantello di Syria, ma nessuno poteva saperlo.

David e Kurt arrivarono con Martin e si aggregarono, chiedendo spiegazioni, ma intuendo che qualcosa di straordinario doveva essere accaduto.

Jude era al telefono con Camilla, per rassicurarla ed informare il resto della famiglia su quel miracolo.

Glam, invece, stava per entrare nella stanza di Downey, non prima di avere sbirciato ciò che stava avvenendo tre piani sotto di loro, in un tripudio di luci e colori sgargianti e gioiosi, come il suo animo.

La sua figura massiccia e solida, apparve a Robert come una visione.
Per Jude aveva perso un battito, ma adesso, il cuore dell’attore sembrò accelerare, come se gli stesse correndo incontro.
Solo idealmente: le gambe gli dolevano, così la schiena.
Gli tese le mani, Geffen le strinse, sedendosi sul bordo e posando un bacio sulla fronte di Rob, che gli sorrise, fissandolo.
Se qualcuno avesse definito diversamente ciò che traspariva dai loro sguardi, senza chiamarlo amore, avrebbe commesso un errore clamoroso.
Eppure Glam aveva preso la sua decisione molto tempo prima e mai avrebbe incrinato nuovamente il legame tra i due artisti.
Se lo impose, perché avrebbe voluto stringerlo forte, cullarlo, baciarlo e portarlo via da lì, via anche dal pianeta, se solo fosse stato possibile.
E forse lo era, più che avere un’opportunità di essere una coppia.

“Tu … tu dovresti riprenderle dal mare …” – disse in un soffio Downey, staccandosi piano da lui, ma senza allontanarsi troppo dal calore di Glam, che fece un’espressione incuriosita.
“Cosa tesoro …?”
“Le … le nostre fedi”
Robert parlava a fatica, così Geffen gli risistemò la mascherina, ma lui, dopo un paio di boccate più intense, se la ritolse: voleva, doveva dirgli ciò che aveva in mente.

“Ho avuto il tempo per pensarci Glam … Voglio stare con te, finire i miei giorni insieme …”
“Finire?” – mormorò incupendosi.
“Sì, io sento che”
“No. No Rob, non dire sciocchezze, adesso sei spaventato, ma, devi credermi, tu non te ne andrai, ok?”
“Jude … Jude capirà … Lo amo da morire, lo amo così tanto, però non posso rinnegare ciò che ci unisce, Glam”
Il suo tono divenne sempre più debole – “Tienimi con te, Glam …”
Geffen lo raccolse, come se fosse un bambino gracile ed indifeso, racchiudendolo tra le sue ali robuste, ma tremanti – “Rob … Rob noi”
“Dimmi che mi ami … ne ho bisogno”
“Ti amo come non ho mai amato nessuno al mondo. Nessuno.”
Downey sorrise, lasciando scivolare le proprie mani tra le scapole di Geffen, tra le quali sembrava essersi ancorato, ma per poco: le sue energie si stavano spegnendo.

Scott accese l’interfono – “Glam dovresti uscire, lui si è addormentato”

L’amico gli ubbidì, dando un’ultima carezza a Robert, senza smettere di guardarlo, mentre le infermiere regolavano una seconda flebo ed il respiratore.

“Hai ascoltato …?” – chiese come stranito, appena fu davanti a Scott.
“Sì, ma lui non ricorderà nulla, è sotto morfina, per le fitte agli arti ed alle costole … In compenso, di certo non mentiva.”
“Come se avesse sognato, intendi?” – replicò scosso.
“Glam vieni di là, voglio auscultarti e”
“Rispondimi Scott!”
Il medico annuì, per poi aggiungere – “Senza contare l’esperienza avuto con Lula”
“Sì … ovvio … Devo andarmene, ma se succede qualcosa, avvertimi subito. Te ne prego.”
“Lo farò Glam. Preston ti accompagnerà, ti telefono domani mattina, ok?”
“Sì, va bene, vi ringrazio” – e guardò McIntyre, pronto ad uscire per il fine turno.


Il passo di Denny era spedito ed appena vide Geffen nel corridoio aumentò l’andatura.

“Ciao Glam, come sta Robert?”
“Molto meglio …”
Preston lo guardò, era difficile non notare l’avvenenza di Denny, che non si accorse di lui, non subito.
Geffen rimediò, quasi distrattamente.
“Lui è l’oncologo che segue Rob, con Jim …”
“Preston McIntyre, piacere” – e gli allungò la mano, che Denny strinse, ricambiando le presentazioni.

Il dottore notò un’escoriazione sulle nocche del giovane – “Ehi questa la dobbiamo disinfettare”
“E’ solo un graffio”
“Cos’hai combinato Denny?” – domandò Geffen, presagendo la sua risposta.
“Ho rotto il naso a quel coglione, che mi ha cornificato prima dell’altare” – sbottò senza badare alle occhiate di McIntyre.
“Hai fatto bene piccolo … Sentite io vado da mio figlio, tu fatti controllare questa ferita e poi ci aggiorniamo, in qualche modo …”
“Sì, per New York … O Boston …” – ribatté speranzoso.
“Ti trasferisci?” – si intromise Preston, arrossendo appena Denny lo scrutò.
“Forse … Ok, mettiamoci un cerotto. Te la bevi una birra, dopo, così ricambio la cortesia, Preston?”

Erano già scivolati via da lui, che aveva nella testa le parole di Downey, così limpide, così vivide.
Così da dimenticare.
Senza esitazioni.


Dave lo abbracciò.
“Glam come ti senti?”
“Un grosso spavento, non mi ci voleva … E tu? Sono felice di vederti”
“Anch’io … e di essere tornato da Kurt.”
“Sì, è magnifico, guarda come è sereno …” – e lo indicò, incastrato tra Kevin e Jared, impegnati nell’esecuzione di una ballata irlandese, che Colin e Jude stavano ballando intorno ad un falò, acceso in un bidone in ferro, di quelli usati per l’olio esausto delle macchine.

“Siamo una gabbia di matti … Sempre detto” – sussurrò Geffen, più a sé stesso che a Rossi.

“Sediamoci, vuoi? Da questa parte, ho visto un muretto comodissimo” – disse garbato l’agente; era adorabile averlo vicino e Glam stava ringraziando la buona sorte, per potersi sfogare con lui.
Rossi lo ascoltò, senza interromperlo.

“Ci sono dei momenti nel nostro percorso individuale, in cui essere sinceri con chi si ama, diventa un atto quasi eroico, Glam.”
“Impedirò a Robert di esserlo con Jude, non sarebbe giusto e poi …”
“Ho come la sensazione che Jude potrebbe capire: sarebbe il gesto d’amore più grande, verso il marito, nel rispettare i suoi sentimenti, nel dargli l’occasione di viverti senza bugie, senza nascondervi … Non credi?”
“Per i sensi di colpa?”
“No Glam, non questa volta: assolutamente.”
“Rob non morirà …”
“Jude non può saperlo, nessuno può in realtà, nemmeno Lula, temo”
Geffen lo fissò – “No!”
Le sue iridi erano incendiate di pianto.
Rossi sorrise affettuoso – “Non sarebbe un tradimento, ogni giorno andrebbe vissuto come un dono, da dividere tra voi, che siete gli uomini della sua vita. Una vita fantastica.”
“Potrei anche farlo … Ma lui rimarrà nella sua famiglia, mi avrà sempre tra i piedi” – si commosse – “Non lo mollerò un secondo, perché lui è” – prese un lungo respiro, lasciando alle stelle la sua convinzione più legittima, alzando gli occhi verso quel cielo, sopra Los Angeles, che per fortuna non si era spento per Robert e per chi lo adorava.


Jim gli stava sopra, come quando lo fecero in auto, la sera di un capodanno di venti anni prima.
In quell’occasione non avevano candele accese intorno, incensi profumati, un giaciglio comodo e setoso, neppure il gel sotto il cuscino, che Hugh aveva usato copiosamente, per lubrificare entrambi.
“Non farti male …” – gemette, mentre Jim si lasciava impalare, frenetico ed impaziente.
“Conosco ancora l’anatomia masc ahhh”
Laurie avrebbe riso, tacciandolo di pedanteria in altri frangenti, ma non quella notte.
Avvolse i suoi zigomi nei palmi speziati del suo dopobarba, baciando Jim, confortandolo, mentre lo aiutava a trovare la posizione migliore, per godere a pieno di quell’amplesso.
Con una delicatezza, consona a Mason, questi si preoccupava della gamba di Laurie, spesso messa a dura prova dal suo stargli tra le gambe e spingersi, senza alcuna cautela, fino al punto più vivo del suo eterno amante, assestando colpi anche rabbiosi, per quel suo handicap, sedato a forza di Vicodin.

Jim avvampò, impigliando le proprie dita nelle chiome di Hugh, guardandolo, in un modo diverso.
“Ho … ho tanta paura di perderti”
Una cosa che non gli aveva detto mai, seppure Mason avesse la costanza di non mescolare mai i propri sentimenti ad esternazioni scherzose, a quei giochetti, tipici di Laurie, che rifuggiva l’amore verbale, raccontato, svelato, non certo per pudore, ma solo per uno stupido orgoglio, ormai scomparso, per come reagì l’analista.

“Non accadrà, ci amiamo troppo … quindi è impossibile Jim”
Lo ristrinse a sé, inclinandolo su di un fianco, per risalire in lui, in un ritmo crescente, totalizzante, senza che l’arto gli dolesse, perché Hugh provava unicamente amore e piacere e poi ancora amore, slancio, amore ed amore …
Senza mai smettere di baciarlo.





 
Robert

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