venerdì 19 aprile 2013

ZEN - CAPITOLO N. 94

 Capitolo n. 94  -  zen


§ Tu mi strappi dal cuore tutta la dolcezza, rendendomela nei sorrisi, che mi fai al risveglio, quando mi baci ed il sapore di te invade la mia anima, ricolmando il vuoto lasciato un attimo prima, quando ancora non c’eri, quando ancora non eri mio §

Era un vecchio sms di Geffen.
Robert lo aveva archiviato in una cartella blindata del suo palmare.
Si sentiva in colpa, ogni volta che lo leggeva, ma sempre lontano da Jude, che non doveva vedere quanto gli facesse ancora effetto.
La malattia li aveva aiutati a superare una separazione, che appariva insanabile, ma c’è sempre qualcosa di peggio nella vita.
Robert lo aveva conosciuto, questo qualcosa di peggio, purtroppo.

Le note di una musica particolare, segnarono l’ingresso dei futuri sposi.
Downey distolse lo sguardo dal cellulare, vedendo che Jude e Camilla erano prossimi al suo divanetto, dove l’americano si era sistemato, sotto una leggera coperta in cotone.
Voleva assistere alla cerimonia, nonostante fosse ancora debole.
Prima di venirsene via da Palm Springs aveva scambiato poche battute con Denny, ritrovandolo distrutto, per l’ennesima volta.
Sembrava una maledizione.


Hugh diede una carezza alla guancia sinistra di Jim, posandovi poi un bacio, carico di dolcezza.
Il pastore annuì.
“Questo è l’amore, amici carissimi qui riuniti oggi, per celebrare l’unione di queste due anime innamorate …”
Fu questa la sua introduzione, capace di destare un’emozione in chiunque dei presenti.

Le reciproche promesse giunsero nel silenzio ammirato generale.
Laurie non aveva mai staccato gli occhi da Mason.
Fu questi ad essere il primo a pronunciarsi.

“Lo so Hugh, tu starai sulle spine per tutto questo … So che non ami certe situazioni, ma oggi ti ritrovo diverso, come se fossi un uomo nuovo, dall’istante in cui mi hai chiesto di diventare tuo marito. Ne sono orgoglioso, terribilmente felice, perché non voglio alcun futuro senza di te, i difetti, i bronci, le battute, la tua vivace ironia … Sei il mio tesoro adorato, quindi ti sceglierò per sempre e mi auguro tu faccia altrettanto, senza dubbi, senza forzature. Il domani ci appartiene e ti amo da impazzire … Hugh ti voglio come mio sposo, nel bene e nel male, in salute e malattia …”
“Credevo bastasse un … Sì lo voglio!”
Jim rise, abbracciandolo forte.
Hugh si ricompose, scambiando le fedi, baciando i palmi di Mason, visibilmente commosso – “Io oggi nasco a nuova vita, Jim …” – poi lo scrutò, intenso – “… il mio piccolo, grande Jim … Una vita che voglio vivere insieme a te, amore mio, condividendo le gioie ed i dolori, noi ne conosciamo anche troppi, però non ci siamo mai arresi, vero?” – sorrise e Mason tremò, annuendo.
Si baciarono, lasciando che nel vento si levasse un applauso caloroso, tra petali e coriandoli, lanciati come al solito dai bambini entusiasti e limpidi nella loro partecipazione a quel connubio, così perfetto, in tutti i suoi difetti.


Denny aveva portato le gemelle, perché così era stato stabilito, prima della sua rottura con Owen, della cui assenza si stupirono in parecchi, almeno finché non fu loro dato un chiarimento.

Geffen gli portò una bibita, sfiorandogli la schiena, mentre si sedeva.
“Come stai?”
“Come lo zimbello della festa, anche se sono tutti così gentili, così … comprensivi” – disse irritato.
“Nessuno ti compatisce, te lo assicuro” – replicò sincero.
“Sai cosa cambierebbe? Non me ne importa … Poi qui, in questa sfera, siamo come al riparo, di sicuro nessuno offenderà il sottoscritto e tanto meno Mony e Cory, ma là fuori i lupi sono in agguato … E potrebbero soffrire, non posso permetterlo. Insisto: voglio andarmene Glam e ti prego di aiutarmi.” – lo guardò fisso, senza dargli scampo.
Geffen prese fiato – “Questa … questa tua esigenza io la devo rispettare, perché, anche se per nulla convenzionale, anch’io sono un padre e lo farò per le tue bimbe meravigliose, superando il … il mio dolore nel perderti Denny”
“Glam …”
“Non ci siamo mai presi in giro tesoro … Tu ed io abbiamo trovato un conforto reciproco, un’autentica armonia, forse un briciolo di purezza, che non ho mai meritato, perché ho sempre pensato che chi mi ha voluto bene, era ed è migliore di me”
Le iridi azzurre di Denny si incresparono di un pianto, fatto di mille afflizioni, accumulatesi nel tempo.
Geffen lo abbracciò, con tenerezza, suscitando la curiosità degli astanti, in alcuni casi costellata di una spontanea gelosia, che sembrava unire i pensieri ed i respiri di Jared e Robert, poco distanti.


“Ho i brividi, meglio che mi stenda”
Downey sorrise tirato, mentre si allungava sul letto della camera, dove l’aveva accompagnato Jude, preceduto da Colin.
“Faccio portare qualcosa di caldo?” – chiese gentile l’irlandese.
“No … vorrei dormire … scusatemi”
“E di cosa, amore?” – sussurrò amorevole Law, baciandogli gli zigomi, spargendo il suo tocco ovunque, su quel corpo esile.
“Jude io non volevo …”
“Non mi uccideranno … le lacrime …” – e lo strinse con accortezza sul petto.
Farrell li lasciò da soli.
Tomo apparve con un sorriso ed un vassoio di tramezzini.
“Ciao Denny … Volevo salutarti, ma c’era Glam”
“Non ho fame, comunque grazie per il pensiero” – replicò incolore.
“Ok … Come vanno le cose?” – domandò timido il croato.
“Mi prendi in giro?”
“No …”
“Come da copione, quello della mia fottuta esistenza a Los Angeles, ecco come vanno le cose!” – sbottò, provando ad allontanarsi, nonostante quell’angolo del parco fosse già piuttosto isolato dal resto della chiassosa cerimonia.

Tomo posò sulla panchina i viveri, affiancandosi a lui e scrutando il medesimo vuoto, dove i cristalli del suo ex erano rivolti, come spenti.
“Cosa vuoi che ti dica …? Cosa dovrei fare, Denny?” – domandò mortificato.
“Niente, cosa centri tu?”
“Faccio parte del pacchetto delusione, suppongo” – ammise, ma con tono simpatico, come solo Tomo riusciva ad avere in certi frangenti.
Era faticoso avercela con lui e Denny, in sostanza, aveva ben altri rammarichi.
“Tu sei il passato Tomo: abbiamo avuto un’esperienza bella, sino ad un certo punto, ma il tuo destino è Shan, come nella più banale delle soap, così come il mio è quello di essere preso per il culo, da chi mi loda come se fossi raro e prezioso, mentre invece divento spazzatura alla velocità della luce, non credi?” – bissò severo, guardandolo ora.
Anche Tomo lo guardò.
“Questa tua analisi è … spietata”
“E’ ciò che resta di me, non c’è altro da aggiungere.”


“Ti sei ingozzato abbastanza di vol au vent ai peperoni fritti, maritino? No, perché tra poco sarai un maritozzo” – ringhiò adorabile Laurie.
“Ho capito, rompipalle, adesso ce ne andiamo!” – e rise, baciandolo con molto trasporto.
“Era ora … dobbiamo consumare” – ridacchiò, senza staccarsi da lui.
“Riesci ad essere serio per trenta secondi?”
“No!” – ribatté facendo una smorfia.
“Ok Hugh … Caraibi arriviamo!” – e si dileguarono, dopo avere ringraziato gli invitati.
Mason cercò Robert, ma Jared gli spiegò che si stava riposando.
Scott lo rassicurò – “Ti aggiorno domani sulla sua convalescenza e poi c’è Preston che ti sostituisce, giusto?”
“Sì, infatti … Avete i miei numeri e quelli di McIntyre, non esitate a chiamarmi, ok?”


Matt stava contando i minuti, abbarbicato sulla sedia, circondata da trolley ed un paio di sacche, zeppe di libri.
Geffen arrivò con un incartamento, dove un giudice l’aveva nominato tutore del giovane, oltre che responsabile diretto di ogni sua azione, in attesa dell’udienza per la denuncia, che Kevin non aveva ritirato.
Scott gli aveva indicato una clinica sulle colline, un luogo per vip, ma ben sorvegliato: un giusto compromesso, per ottenere da Foster un nulla osta, peraltro già garantito.
Lui non voleva più avere nulla a che fare con quel paziente, che non aveva mai creato problemi, che si lasciava somministrare qualsiasi terapia, che non aveva mai dato in escandescenze, nonostante la presunta pericolosità di Alexander.
Forse i dosaggi di quel protocollo sperimentale erano davvero efficaci su di lui, mentre con altri soggetti si rivelarono un fallimento.
Eppure Foster provava inquietudine ad ogni sua visita di controllo, per constatarne i progressi.
Matt non faceva che parlare di Geffen, dicendo cose senza senso, quando le sostanze chimiche annebbiavano la sua consapevolezza: raccontava di viaggi, di essere sposato con lui, di avere persino concepito dei figli.
In seguito, non rammentava nulla, anzi si arrabbiava, ribadendo che non era pazzo.

Geffen sapeva di questi episodi, ma non volle desistere dalla sua impresa di salvare Matt.
Aveva lasciato la festa senza dare spiegazioni, ma solo raccomandandosi con Lula e Pamela di avere cura di Robert.

“Glam …!”
“Ciao … Sei pronto?”
Miller gli volò al collo e Geffen non riuscì a non stringerlo: percepiva le ossa della cassa toracica del giovane, così i suoi battiti accelerati.
“Ora andiamo, vuoi?”
“Sì … In prigione?”
“No, affatto” – sorrise – “E’ un … luogo tranquillo, ti ci troverai bene”
“Tu verrai a trovarmi?”
“Sì Matt … Non temere.”
“Fuori c’è Vassily?”
“No, sono da solo.”
“Lui ce l’ha con me … per Lula” – disse ansioso.
“Non agitarti … Hai l’emicrania?”
“Per fortuna no” – sorrise nervoso, raccogliendo la sua roba – “Alexander forse dorme … Mi ha abbandonato”
“Spero di sì, per il tuo bene Matt. Dai, muoviamoci.”



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