Capitolo n. 83 - zen
Le dita di Robert
esitarono sul campanello, che Mason gli aveva lasciato a disposizione, nel caso
si sentisse male od avesse una crisi di claustrofobia.
La sua pressione ed
il battito cardiaco erano monitorati, a tratti irregolari, con dei picchi solo
sul finale della seduta di radioterapia.
Jude ebbe un sussulto
e Colin lo abbracciò.
Jared non aveva
proferito parola, sentendosi escluso ancora una volta dalla loro amicizia
solidale, nonostante gli eventi burrascosi del passato prossimo.
“E’ spaventato … sta
tremando, amore …!” – Law balzò in piedi, appiccicandosi al vetro, che lo
separava dall’angusto laboratorio, dove onde di ultima generazione bombardavano
la neoplasia alla gola dell’uomo che amava.
Il suo sguardo volò
poi verso quello di Leto.
L’inglese si avvicinò
al cantante, con aria mesta – “Non so cosa sia successo con Glam, però la sua
presenza è importante per il mio Rob” – disse, come alienato da quel dolore
insopportabile.
Jared se ne andò,
senza che Colin glielo impedisse.
Foster mise un paio
di firme.
“Per me il signor
Miller può essere trasferito dove meglio crede: lei è il suo tutore?”
Geffen era perplesso.
“No, sono soltanto il
suo avvocato”
“A quanto pare le
cose sono cambiate, almeno da questa ordinanza, del giudice Miller. So che è in
pensione, però uno dei suoi colleghi non ha esitato ad emetterla in sua vece.” –
rivelò serio.
“Il mio ex non ha
ritirato la denuncia, quindi ci sarà un altro processo, per l’accusa di
aggressione e sequestro di persona, ai danni di nostro figlio Lula …”
“Questa non è una
galera, Glam e neppure un ospedale psichiatrico, con modalità restrittive: qui
noi facciamo ricerca, sperimentazione, anche su pazienti come Matt, però non li
usiamo certo come cavie” – obiettò.
“La posologia dei
nuovi farmaci sembra funzionare, però …”
“In effetti nelle
ultime settantadue ore ci sono stati addirittura dei miglioramenti.”
“Alexander si è
arreso …?”
“Chi può saperlo Glam
… Ludwig Hallender, il luminare austriaco, che per molti è una sorta di
stregone, ha formulato un protocollo innovativo, che sembra sedare gli istinti
pericolosi in schizofrenici e paranoici seriali: Matt ne ha sottoscritto la
posologia, quindi non ci resta che attendere.”
“Forse se il vostro
analista potesse parlare con Alexander, farlo ragionare …”
“Questa è pura utopia
Glam. Glielo assicuro.”
Owen parcheggiò,
facendo scendere le bimbe, che Denny scortò sino all’ingresso della scuola.
Mentre tornava all’auto,
Rice lo guardò, incantato dal suo sorriso pulito.
Appena risalito, i
due si guardarono.
Il gallerista si
sporse, dandogli un bacio estremamente dolce, togliendogli il respiro.
Le loro fronti si
sfiorarono – “Scusami Denny, non ce la facevo più …” – mormorò, in carenza di
ossigeno, accarezzandogli la nuca.
“E’ … è ancora presto
per me … Mi sono assunto un’enorme responsabilità genitoriale” – disse distaccandosi
a malincuore.
“Potrei aiutarti …
Vorrei almeno provare a darti una sicurezza.” – e gli accarezzò gli zigomi.
Denny lo baciò
intenso.
“Ho … ho tanta voglia
di te Owen” – respirò in un sussurro, senza capire la ragione per la quale una
lacrima gli rigò la guancia sinistra.
Rice gli stava
rimescolando l’anima inquieta e delusa dalle precedenti esperienze.
L’uomo sorrise – “Non
voglio che finisca ancora prima di cominciare, con la solita scopata Denny … Tu
meriti il meglio e non voglio opprimerti con le mie abitudini, le mie false
certezze … Il denaro non mi ha mai reso felice, sai?” – confessò emozionato.
Si strinsero, senza
decidere ancora nulla, di ciò che sarebbe stato di loro.
Iniziò a piovere.
Matt si stava
inzuppando, fuori in giardino, avvolto dai fianchi in giù solo da un telo di
spugna bianca.
Geffen lo prese per
un braccio, delicatamente, ma il giovane gli volò al collo, con un gesto colmo
di gioia nel vederlo.
“Prenderai un
raffreddore, dai rientriamo …”
“Io stavo bene qui
Glam … Ok, come vuoi” – e rise, chiudendo poi la porta finestra, fremendo tra i
bicipiti dell’altro, che ora lo teneva a sé, fissandolo.
“Credevo fossi in
ospedale con Robert …”
“C’ero, in effetti,
ma poi ho preferito venire da te, Matt.” – replicò incolore.
Matt prese un secondo
asciugamano, abbandonato sul cassettone, per poi tamponarsi i capelli.
“Forse hai sbagliato,
Rob ha più bisogno di me, non credi?” – domandò sereno, andando a stendersi sul
letto.
“Ci sono Jude, Colin
e Jared … Senza contare il resto della famiglia”
“Sì, quando qualcuno
cade, il resto del clan lo soccorre … Mi sarebbe piaciuto farne parte” – rivelò
assorto.
“In un certo senso,
per un breve periodo lo sei stato Matt”
“Già … Quando proprio
Jude ti ha quasi ammazzato, Lula non voleva nessuno tranne me … Non sembra
neppure mai accaduto”
“Kevin pensa che tu
sia un pericolo per Lula e così il resto del … clan, come lo chiami tu”
Matt si raggomitolò
contro la testiera imbottita.
“Ha … ha ragione …
Per colpa di Alexander … Non potrò mai più godere del sapore della libertà Glam
… Io questo lo so”
Geffen andò
finalmente a sedersi davanti a lui, prendendogli le mani.
“So che ti stai
curando, che ti impegni per … per fare un passo avanti tesoro”
Matt chiuse le
palpebre – “Torna da loro … Tu gli appartieni Glam … Io non ho nessun diritto
su di te. Nessuno.”
Colin andò a
spogliarsi nella dependance, dove di solito venivano ospitati Shannon e Tomo.
C’erano delle t-shirt
del cognato in ogni angolo, oltre a bacchette e cd, piuttosto datati.
Farrell ne inserì uno
a caso nel lettore, riscoprendo una vecchia melodia dei Mars.
“Ti ho visto
rientrare … e mi sono chiesto come mai non salissi Cole”
Jared entrò nel
living, senza fare rumore, osservando ogni mossa del marito, adombrato e teso
nei movimenti.
“Rimango qui
stanotte. Torna dai bimbi, non ho voglia di averti intorno, poi domani ne
riparleremo” – ribatté svilito.
“Cole …”
“Cole cosa, COSA,
CAZZO?!”
“Tu ce l’hai con me perché,
una volta tanto, sono andato oltre l’ipocrisia e le apparenze rancide, che
spesso coprono gli errori di tutti, anche i nostri!?!” – sbottò esasperato.
“Noi non siamo stati
ipocriti o rancidi, NOI CI SIAMO PERDONATI! … Oppure era una misera finzione,
Jared, dimmelo tu, perché io non lo capisco … Io mi sono arreso …”
“Colin … Io non
volevo ferirti”
“E come credevi
reagissi, quando mi hai tirato in mezzo, rivangando le cazzate commesse con
Glam?! Ci sono finito a letto anch’io, ma è stato un errore pagato a caro
prezzo! E ti ho fatto del male, però ho perennemente espiato o devo strisciare
a vita?!”
“Colin …” – “Non
toccarmi!!”
Jared lo isolò in un
angolo, mentre lui provava a sfuggire al suo abbraccio.
Il pianto di Farrell
era amaro ed affranto.
La sua schiena
madida, sotto la camicia sottile: il busto di Leto vi aderì, mentre lo
cinturava, altrettanto disperato.
I tuoni oltre i vetri
divennero assordanti.
La luce andò via e
loro scivolarono lungo la parete, mescolandosi uno nell’altro, entrambi in
lacrime.
“Mi dispiace Colin …
mi dispiace da morire …”
Il sapore della bocca
di Jared, gli apparve estraneo e senza irruenza, Colin lo respinse.
“Dammi un po’ di pace
… Lasciami respirare Jay” – e si rialzò, faticosamente, arrivando a tentoni
verso un soppalco, all’interno del quale si chiuse a chiave, con una
determinazione inquietante per il consorte, incapace di muovere un solo muscolo
e reagire a quella notte così buia.
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