martedì 2 aprile 2013

ZEN - CAPITOLO N. 83

Capitolo n. 83  -  zen


Le dita di Robert esitarono sul campanello, che Mason gli aveva lasciato a disposizione, nel caso si sentisse male od avesse una crisi di claustrofobia.
La sua pressione ed il battito cardiaco erano monitorati, a tratti irregolari, con dei picchi solo sul finale della seduta di radioterapia.
Jude ebbe un sussulto e Colin lo abbracciò.
Jared non aveva proferito parola, sentendosi escluso ancora una volta dalla loro amicizia solidale, nonostante gli eventi burrascosi del passato prossimo.

“E’ spaventato … sta tremando, amore …!” – Law balzò in piedi, appiccicandosi al vetro, che lo separava dall’angusto laboratorio, dove onde di ultima generazione bombardavano la neoplasia alla gola dell’uomo che amava.
Il suo sguardo volò poi verso quello di Leto.
L’inglese si avvicinò al cantante, con aria mesta – “Non so cosa sia successo con Glam, però la sua presenza è importante per il mio Rob” – disse, come alienato da quel dolore insopportabile.

Jared se ne andò, senza che Colin glielo impedisse.


Foster mise un paio di firme.
“Per me il signor Miller può essere trasferito dove meglio crede: lei è il suo tutore?”
Geffen era perplesso.
“No, sono soltanto il suo avvocato”
“A quanto pare le cose sono cambiate, almeno da questa ordinanza, del giudice Miller. So che è in pensione, però uno dei suoi colleghi non ha esitato ad emetterla in sua vece.” – rivelò serio.
“Il mio ex non ha ritirato la denuncia, quindi ci sarà un altro processo, per l’accusa di aggressione e sequestro di persona, ai danni di nostro figlio Lula …”
“Questa non è una galera, Glam e neppure un ospedale psichiatrico, con modalità restrittive: qui noi facciamo ricerca, sperimentazione, anche su pazienti come Matt, però non li usiamo certo come cavie” – obiettò.
“La posologia dei nuovi farmaci sembra funzionare, però …”
“In effetti nelle ultime settantadue ore ci sono stati addirittura dei miglioramenti.”
“Alexander si è arreso …?”
“Chi può saperlo Glam … Ludwig Hallender, il luminare austriaco, che per molti è una sorta di stregone, ha formulato un protocollo innovativo, che sembra sedare gli istinti pericolosi in schizofrenici e paranoici seriali: Matt ne ha sottoscritto la posologia, quindi non ci resta che attendere.”
“Forse se il vostro analista potesse parlare con Alexander, farlo ragionare …”
“Questa è pura utopia Glam. Glielo assicuro.”


Owen parcheggiò, facendo scendere le bimbe, che Denny scortò sino all’ingresso della scuola.
Mentre tornava all’auto, Rice lo guardò, incantato dal suo sorriso pulito.
Appena risalito, i due si guardarono.
Il gallerista si sporse, dandogli un bacio estremamente dolce, togliendogli il respiro.
Le loro fronti si sfiorarono – “Scusami Denny, non ce la facevo più …” – mormorò, in carenza di ossigeno, accarezzandogli la nuca.
“E’ … è ancora presto per me … Mi sono assunto un’enorme responsabilità genitoriale” – disse distaccandosi a malincuore.
“Potrei aiutarti … Vorrei almeno provare a darti una sicurezza.” – e gli accarezzò gli zigomi.
Denny lo baciò intenso.
“Ho … ho tanta voglia di te Owen” – respirò in un sussurro, senza capire la ragione per la quale una lacrima gli rigò la guancia sinistra.
Rice gli stava rimescolando l’anima inquieta e delusa dalle precedenti esperienze.
L’uomo sorrise – “Non voglio che finisca ancora prima di cominciare, con la solita scopata Denny … Tu meriti il meglio e non voglio opprimerti con le mie abitudini, le mie false certezze … Il denaro non mi ha mai reso felice, sai?” – confessò emozionato.
Si strinsero, senza decidere ancora nulla, di ciò che sarebbe stato di loro.
Iniziò a piovere.


Matt si stava inzuppando, fuori in giardino, avvolto dai fianchi in giù solo da un telo di spugna bianca.
Geffen lo prese per un braccio, delicatamente, ma il giovane gli volò al collo, con un gesto colmo di gioia nel vederlo.

“Prenderai un raffreddore, dai rientriamo …”
“Io stavo bene qui Glam … Ok, come vuoi” – e rise, chiudendo poi la porta finestra, fremendo tra i bicipiti dell’altro, che ora lo teneva a sé, fissandolo.
“Credevo fossi in ospedale con Robert …”
“C’ero, in effetti, ma poi ho preferito venire da te, Matt.” – replicò incolore.

Matt prese un secondo asciugamano, abbandonato sul cassettone, per poi tamponarsi i capelli.
“Forse hai sbagliato, Rob ha più bisogno di me, non credi?” – domandò sereno, andando a stendersi sul letto.
“Ci sono Jude, Colin e Jared … Senza contare il resto della famiglia”
“Sì, quando qualcuno cade, il resto del clan lo soccorre … Mi sarebbe piaciuto farne parte” – rivelò assorto.
“In un certo senso, per un breve periodo lo sei stato Matt”
“Già … Quando proprio Jude ti ha quasi ammazzato, Lula non voleva nessuno tranne me … Non sembra neppure mai accaduto”
“Kevin pensa che tu sia un pericolo per Lula e così il resto del … clan, come lo chiami tu”
Matt si raggomitolò contro la testiera imbottita.
“Ha … ha ragione … Per colpa di Alexander … Non potrò mai più godere del sapore della libertà Glam … Io questo lo so”
Geffen andò finalmente a sedersi davanti a lui, prendendogli le mani.
“So che ti stai curando, che ti impegni per … per fare un passo avanti tesoro”
Matt chiuse le palpebre – “Torna da loro … Tu gli appartieni Glam … Io non ho nessun diritto su di te. Nessuno.”


Colin andò a spogliarsi nella dependance, dove di solito venivano ospitati Shannon e Tomo.
C’erano delle t-shirt del cognato in ogni angolo, oltre a bacchette e cd, piuttosto datati.
Farrell ne inserì uno a caso nel lettore, riscoprendo una vecchia melodia dei Mars.

“Ti ho visto rientrare … e mi sono chiesto come mai non salissi Cole”
Jared entrò nel living, senza fare rumore, osservando ogni mossa del marito, adombrato e teso nei movimenti.

“Rimango qui stanotte. Torna dai bimbi, non ho voglia di averti intorno, poi domani ne riparleremo” – ribatté svilito.
“Cole …”
“Cole cosa, COSA, CAZZO?!”
“Tu ce l’hai con me perché, una volta tanto, sono andato oltre l’ipocrisia e le apparenze rancide, che spesso coprono gli errori di tutti, anche i nostri!?!” – sbottò esasperato.
“Noi non siamo stati ipocriti o rancidi, NOI CI SIAMO PERDONATI! … Oppure era una misera finzione, Jared, dimmelo tu, perché io non lo capisco … Io mi sono arreso …”
“Colin … Io non volevo ferirti”
“E come credevi reagissi, quando mi hai tirato in mezzo, rivangando le cazzate commesse con Glam?! Ci sono finito a letto anch’io, ma è stato un errore pagato a caro prezzo! E ti ho fatto del male, però ho perennemente espiato o devo strisciare a vita?!”
“Colin …” – “Non toccarmi!!”
Jared lo isolò in un angolo, mentre lui provava a sfuggire al suo abbraccio.
Il pianto di Farrell era amaro ed affranto.
La sua schiena madida, sotto la camicia sottile: il busto di Leto vi aderì, mentre lo cinturava, altrettanto disperato.

I tuoni oltre i vetri divennero assordanti.
La luce andò via e loro scivolarono lungo la parete, mescolandosi uno nell’altro, entrambi in lacrime.
“Mi dispiace Colin … mi dispiace da morire …”
Il sapore della bocca di Jared, gli apparve estraneo e senza irruenza, Colin lo respinse.
“Dammi un po’ di pace … Lasciami respirare Jay” – e si rialzò, faticosamente, arrivando a tentoni verso un soppalco, all’interno del quale si chiuse a chiave, con una determinazione inquietante per il consorte, incapace di muovere un solo muscolo e reagire a quella notte così buia.









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