Capitolo n. 91 - zen
Separate paths
I vicoli di Tampa gli
sembrarono ancora più bui, luridi di immondizie abbandonate ovunque, mentre lui
si sentiva di avere fatto altrettanto con la persona più preziosa al mondo.
Un mondo che spesso
lo aveva spaventato, deluso, manipolato.
Un mondo in cui Derek
stentava a riconoscersi, sempre con il buio alle spalle, che sapeva di tabacco
scadente, che suonava di sputi per terra, che respirava di sordidi rantoli,
mentre lui piangeva e pregava, anche se non credeva più a niente e nessuno.
Almeno finché non
incontrò Spencer.
I palmi caldi di
Rossi raccolsero il volto di Kurt, abbassato a guardarsi la punta delle scarpe,
ad un metro da una pozzanghera, a venti metri dal jet di Meliti, con cui Kevin
e Tim erano venuti a prenderlo.
La soglia di
quell’hangar privato, sembrava definire la linea di confine tra quel presente,
che gli riempiva il cuore ed un domani incerto, nel quale non vedeva l’ora di
ritrovare Martin, di stringerlo, dicendogli che zio Dave stava bene e che, forse,
lo avrebbero rivisto ancora, da qualche parte, prima o poi.
“Tesoro”
“Sì, ho capito David,
non ripeterti” – tirò su dal naso e sollevò anche lo sguardo su di lui.
“Qualunque cosa io
possa aggiungere adesso, sarebbe un’odiosa cantilena e tu meriti la mia onestà
Kurt, la mia … obiettività: non posso offrirti nulla, non con questo lavoro,
non con i miei ritmi” – disse serio, ma trafitto nell’addome da un dolore
inaspettato.
“Se almeno ci
avessimo provato, potrei darti ragione o meno Dave” – disse amaro, ma poi
sorrise.
Rossi lo strinse a
sé, sentendo nel proprio collo, ma ben oltre, il respiro di Kurt, che lo
penetrava, lo completava, come nessuno aveva fatto mai.
“Tu mi hai fatto
l’amore, nella maniera più dolce ed incredibile io potessi desiderare, David …
Di questo ti sarò grato per sempre … Per il tuo rispetto, per tutte le cose di
cui mi sono innamorato”
“Kurt”
“No, ascoltami: non
ho sedici anni … Non ho nemmeno più abbastanza sogni, per illudermi. So quello
che dico … Io so che … avrebbe funzionato. Fattene una ragione Dave” – e rise
sconsolato, in lacrime, distaccandosi da lui, ritardandone l’attimo definitivo,
sino all’ultimo centimetro di pelle, che riuscì a sfiorargli, prima di correre
verso l’aereo, sulla cui scaletta si erano affacciati Kevin e Tim, per andargli
incontro con un ombrello.
Spencer lo guardava,
steso sul fasciatoio-
Gregory, al timbro
della sua voce, attraverso il collegamento via web cam, gli sorrideva,
succhiandosi i piedini.
La tata, di massima
fiducia, assunta dalla coppia, gli aveva fatto il bagno e si apprestava a
preparargli quella che Derek definiva “la poltiglia latte e biscotti più
saporita del pianeta”, innescando nel piccolo delle reazioni buffe ed ilari, da
antologia.
“Dai la buona notte a
papà” – disse lei, anche se Twist non poteva accontentarli, se non con i suoi
occhi, che arridevano al genitore, che lo salutava con la mano, in un gesto
fanciullesco ed incantevole.
“Ciao amore … un
bacio anche da papà Derek … Lui è … è”
“Sono qui tesoro.”
Morgan spuntò alle
sue spalle, cingendolo per mostrarsi a Gregory, come se fossero un’unica
persona: era questo ciò che provava e che non aveva mai smesso di raccontare a
Reid, quando questi dubitava di avere un futuro insieme a lui.
Il giovane girò il
viso nell’incavo di Derek, sussurrando – “Mio Dio grazie … Grazie di essere qui”
“E dove dovrei essere?”
– mormorò dolce, scrutandolo – “E’ qui il mio posto Spencer.”
Ferdy stava
blaterando di abiti alla moda, locali chic, tendenze d’arredo, da almeno venti
minuti, che Laurie cronometrò attento.
Allo scoccare del
ventunesimo, diede un colpo secco con il bastone, sul pavimento del ristorante cinese – “Time out!
Ora caricati di ossigeno i polmoni, così potrai ricominciare a tediarci tra
tre, due, uno Preston verifica il battito
eeee via!”
Mason, brillo di
sakè, scoppiò a ridere, piegandosi verso i vetri decorati a tema, con dragoni e
serpenti, a cui iniziò a dare dei nomi, osservato da Hugh, un po’ stranito, ma
mai quanto Ferdy, mentre McIntyre avrebbe voluto strozzare l’analista, ma era
indeciso fra questi ed il suo nuovo amichetto.
“Jim suvvia, un po’
di contegno! Dicevi di quell’accostamento blu/viola, tra tendaggi e carta da
mettere nei cassetti, Ferdy …?”
Il ragazzo avvampò – “Vado
in bagno, vieni con me Preston?”
McIntyre lo squadrò
imbarazzato – “Credo tu sia abbastanza grande da trovartelo da solo.”
Laurie si sporse,
come la rana Kermit dei Muppets, così almeno lo apostrofava sempre Mason quando
faceva certi siparietti, bisbigliando a Ferdy – “Ma … sta parlando del bagno o
del tuo attrezzo …?”
“Hugh!” – l’oncologo
gli diede uno strattone, ma Laurie non si scompose, bofonchiando – “Era un
chiarimento fondamentale per me …”
“Che disastro ahahh”
“Pensa a guidare Jim,
ma sei abbastanza sobrio per farlo?”
“Perché non guidi tu?
Mi fai sempre fare il tassista”
“Ti lamenti?”
“No” – replicò dolcemente,
accarezzandogli la gamba – “Stai bene Hugh?”
“Sì … grazie Jim” –
arrossì, poi fissò il parabrezza per pochi secondi, quindi estrasse qualcosa
dalla tasca della giacca scozzese.
“Comunque Preston se
li cerca su internet certi sciagurati, io lo so e poi”
“Vuoi sposarmi Jim?”
Glielo chiese di
botto, aprendo il cofanetto delle fedi in oro giallo, semplici, pulite, come i
cristalli di Mason, piantati su di lui, dopo che aveva inchiodato.
“Hugh …”
“Dopo venti …
lunghissimi …”
“Hugh”
“Bellissimi! Anni …
amore … Lo vuoi si o no?” – e la sua insistenza covava il terrore di ricevere
un rifiuto.
Improbabile.
Almeno da come Jim
gli si conficcò nella bocca, afferrandogli la nuca, il collo, tempestando poi
con ulteriori baci quelle fattezze, che adorava, commuovendosi senza limiti.
“Sì … Sì, dannato
zuccone, che lo voglio … Da una vita intera.”
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