lunedì 8 aprile 2013

ZEN - CAPITOLO N. 88


Capitolo n. 88  -  zen


Geffen arrivò all’attico di Robert, con un trasportino, decorato con un grande fiocco rosso.
Pamela era andata via da poco e Jude lo accolse con Camilla in braccio.
“Zio Glam! Cosa c’è lì?” – chiese la bimba schernendosi.
“Che c’è Cami fai la timida?” – Jude sorrise, nonostante la stanchezza.
“Ciao, come vanno le cose?” – domandò l’avvocato gentile, transitando nell’ingresso, con quel regalo misterioso.
“Insomma … Drake e Pam sono rimasti qui un paio d’ore, Rob è in terrazza, sta riposando: è andata meglio questa volta, grazie a quel collirio” – spiegò fiducioso.
“Meno male … Ho un … presente per lui, anzi per tutti voi” – e sollevò il proprio dono inaspettato.
Law era curioso quanto la figlia – “Ok, andiamo di là, così lo vedremo insieme” – propose l’attore, facendo strada verso l’esterno.


David si aggiustò il colletto della camicia blu scuro, dopo averla infilata nei jeans, della stessa tonalità.
Amava l’ordine e poi era un uomo pulito, integro, i suoi sessantacinque anni non si coglievano, in alcun dettaglio, se non nel buon senso del funzionario federale.
Kurt spuntò dal corridoio, in accappatoio, intento a tamponarsi i capelli.
“Non è il massimo …” – esordì un po’ contratto.
“Cosa tesoro?” – replicò dolce Rossi.
“Svegliarsi da soli” – e gli si avvicinò, abbozzando un sorriso, con la paura di dire la cosa sbagliata, persino di infastidirlo.

“Brandon non lo faceva mai?”
“Cosa David …?” – chiese flebile.
“Andare presto al lavoro, dopo avere letto un sms all’alba, dove il responsabile della mia squadra mi convoca con urgenza per un nuovo caso a Tampa” – spiegò calmo.
Kurt chiuse le palpebre.
“Mi stai odiando, adesso? Per ciò che è accaduto stanotte tra di noi, Dave?” – e le riaprì, per fissare il suo interlocutore, ormai ad un passo da lui.
“No, affatto” – replicò, scorrendo gli zigomi del giovane con i pollici, mentre avvolgeva il suo capo scapigliato, ad incorniciare quel viso carismatico.
“Ti sento così distante, mentre siamo stati talmente vicini da” – e deglutì a vuoto, abbassando gli occhi, velati di un’emozione, che faceva a cazzotti con il suo carattere spesso concreto.
“Lo ammetto” – Dave sorrise – “E’ stato come affacciarsi dal ciglio di una scarpata e decidere di scendere, correndo, senza precipitare, arrivando sino in fondo … consci della propria, meravigliosa, pazzia …”
“E questo siamo noi …? Due folli?”
“Abbastanza” – e lo abbracciò, con la delicatezza di chi non voleva ferirlo ulteriormente.
“Cosa posso fare per farti cambiare idea, David?”
Il respiro del più anziano sembrò disperdersi nel collo di Kurt, che si sentì avvolgere con maggiore forza – “Nulla tesoro … Nulla.” – mormorò triste Rossi, dopo una lunga esitazione.


Downey era piacevolmente stupito.
“Allora come lo chiameremo, principessa?” – domandò raggiante Jude.
“Preston!” – esclamò lei, accarezzando il cucciolo di husky, che Robert teneva sul petto, con Geffen seduto al suo fianco.
“Preston? … Ma non è il nome del collega di Mason?” – bisbigliò l’americano al marito, che annuì complice.
“Il collega di Mason? Un medico, Rob?” – “Sì Glam, un’ottima persona, quanto Jim” – spiegò, ringraziandolo con i propri carboni, accesi su di lui, che non finiva mai di stupirlo.


Preston McIntyre stava valutando le cartelle cliniche passategli da Mason, nell’attesa di lui, stranamente in ritardo.
“Eccomi, scusa, c’era traffico.” – si giustificò entrando trafelato, posando la sua valigetta, appendendo la giacca ed infilando il camice.
Preston sorrise – “Notte in bianco?”
“Perché?” – reagì stranamente brusco.
“Hai una faccia e due occhiaie …” – rivelò simpatico – “Hugh parlava nel sonno?” – provò a scherzare.
“No. Andiamo a fare il giro di visite?” – ribatté serio.
“Ok … Volevo chiederti appunto alcune delucidazioni Jim”
“Lo farai in corsia. Muoviamoci.”


Jared compilò il questionario, passatogli dall’infermiera di Mason.
Indugiò su alcune caselle, poi sbirciò il bberry, con la tentazione di chiamare Colin, ignaro di quel suo controllo.
L’irlandese era al lavoro, per un nuovo film, agli studios locali.

“Ha fatto signor Leto?” – chiese garbata la signorina Evan.
“Sì … un attimo che firmo …”
“Perfetto, il dottor Mason sarà qui tra quindici minuti. La chiamerò io.”
“Ok … Posso bere un tè?”
“Deve fare la tac?”
“Sì …”
“Mi dispiace, anzi … Dovrà bere un liquido”
“Sì, lo conosco …” – Jared fece una smorfia buffa.
“Bene …”
“Nessun problema, riuscirò a sopravvivere” – e prese fiato, stringendosi nelle spalle magre.


Aaron Hotchner fu professionale ed affabile, mentre Rossi analizzava il file, sorseggiando il caffè preparato da Kurt.

“Conoscevo Brandon … E’ stato terribile sapere della tua perdita.” – disse educato e spontaneo.
“Grazie … Vi siete incontrati per quel caso, di cui mi ha parlato David …?”
“Sì, infatti. Brandon colse dei dettagli, che noi non avevamo considerato, fu determinante.”
“Lui era fatto così” – sorrise tenero, mentre Rossi lo guardava, con altrettanta affezione, come di riflesso – “Sapeva dirti le cose giuste al momento … giusto” – tirò su dal naso, poi tornò in camera, dicendo che preparava le proprie cose e prenotava un volo per il ritorno a Los Angeles.

“Se vuoi può aggregarsi sino a Tampa, poi da lì tornare in California. Cosa ne pensi David?”
“Hotch non so se è il caso, sull’aereo dell’FBI e”
“Per me non ci sono problemi: decidi tu.”
“Gliene parlo … ci vediamo tra venti minuti?”
“Perfetto.” – e se ne andò.


Quel naso rosso di gommapiuma gli stava a pennello.
Laurie finì di raccontare una favola ai bimbi ricoverati nel padiglione oncologico, sedando le loro lamentele, appena disse che doveva andarsene.
Quell’ora di volontariato si esauriva velocemente, ogni volta, tra i suoi scherzi, i giochi, le battute, sempre gradevoli, rivolte a quegli angeli dal destino avverso, come egli stesso li definiva.

Jim lo stava spiando, cogliendo la bontà di quell’uomo complicato e sottilmente ostile verso il prossimo, incapace di esplorare sensazioni e sentimenti, come bloccato dalla sua stessa infermità, come se quella gamba lo tormentasse anche quando non gli doleva.

L’oncologo si rifugiò quindi nel bagno, mentre Preston lo stava cercando, per provocarlo con la sua avvenenza, i suoi trent’anni scarsi ed una disponibilità, a tratti imbarazzante.

“E’ come una zecca”
Hugh rise alle sue spalle, facendolo sobbalzare.
“Ah sei tu …” – sussurrò Jim.
“No, la fata Morgana! Non vedi la bacchetta?” – e sventagliò il suo appoggio legnoso, come il suo sguardo.
Mason roteò, appoggiandosi al lavabo, dove si era rinfrescato.
“Bollenti spiriti? La zecca, di cui sopra, si è strusciata di nuovo contro la tua patta, Jim?” – domandò sarcastico ed arrabbiato, ma sempre con il sorriso stampato su quella faccia da schiaffi.
Mason si ossigenò – “Assolutamente.”
“Assolutamente sì od assolutamente no?” – bissò l’analista, infervorandosi nelle iridi celesti, mentre si avvicinava all’altro.
“CHE VUOI CHE CI VADA A LETTO COSI’ DA AVERE UN BUON MOTIVO PER INSULTARMI ANCORA?!”

Ecco ciò che non ti aspetti, pensò Laurie: una reazione fuori misura, da un’acqua cheta, come ogni tanto apostrofava Mason, facendolo incazzare a morte.

“Se solo si azzarda a …”
Laurie si morse il labbro inferiore, poi fece per andarsene, con uno dei suoi scatti, usati per uscire di scena, rimarcando la sua arroganza, che a Jim faceva solo tenerezza, non compassione, bensì pura ed insulsa tenerezza, almeno secondo Preston, perennemente acido verso lo psicologo.

“Forse dovrei sbrigarmi, sai Hugh? In fondo è strano che tu non mi consigli in proposito! Cogliere l’attimo! Scoparmelo e non pensarci più!” – sibilò aspro.
“No, dico, ti dà di volta il cervello, Jim?!” – tuonò, rivoltandosi a guardarlo, come il suo stomaco.
Mason tremò, distrutto da quella strenua e continua battaglia.
“Noi non ci riusciremo mai …” – disse sconfitto.
“A fare cosa, Jim, si puo’ sapere?!”
Gli era ad un palmo dal naso, dalla bocca, dai suoi occhi di cerbiatto, vividi quando facevano l’amore guardandosi, quando lui, il grande Hugh Laurie gli concedeva tanto, apparendo meschino, mentre invece si sentiva polverizzare ogni cellula, di autentica gratificazione per averlo nella propria vita.
Lui che aveva tante parole per tutti, per il suo Jim non aveva mai, per entrambi, le uniche due essenziali.

“Nulla … Devo lasciarti, ho un”
“NO!” – si impose, trattenendolo in una morsa, lasciando cadere il bastone.
L’espressione seguente, fu di dolore, per una fitta, che rese precario l’equilibrio di Laurie.
Mason lo sostenne, come d’abitudine, in ogni senso.
“Amore …”
“Dio Jim … sono così patetico” – stava per piangere, non tanto per lo spasmo, ma per un accumulo di percezioni devastanti.
Provò a ricomporsi, un tentativo vano, ormai: Jim non glielo avrebbe permesso.
Lo baciò, accarezzandogli la schiena, la nuca, confortandolo, anche se con palpabile disperazione.
“Jim potrebbe arrivare qualcuno” – brontolò confuso, arrossendo.
“Lo liquideresti con una delle tue battute al vetriolo o gli tireresti la tua bacchetta magica, caricata a salve, Hugh” – lo canzonò amorevole, per poi cullarlo.
Laurie tossì – “Non ho quattro anni”
“Infatti ne hai due e mezzo” – rise gioioso, tornando a baciarlo.
Un’altra bufera sembrò sciogliersi, nei loro sguardi colmi di appartenenza: non esisteva un luogo, dove sarebbero stati ugualmente felici.
Una verità incapace di nascondersi.




James Franco è il dottor Preston McIntyre :-)


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