Capitolo n. 184 - sunrise
Lo scoglio dal quale Downey stava scrutando l’oceano, lo faceva apparire agli occhi di Geffen, ancora più esile ed inerme.
“Ho … ho preparato qualcosa da mangiare, Rob” – disse intimorito dalla cupezza del suo sguardo, che si tramutò in qualcosa di dolce, appena Glam interruppe i suoi pensieri dolorosi.
“Sì … sì eccomi, mi spiace non averti aiutato”
“Figurati …” – gli sorrise, prendendogli la mano destra, con estrema delicatezza, affinché lo seguisse, senza cambiare idea, magari girandola in una decisione estrema, per scrivere la parola fine a quei giorni terribili, dopo il compleanno di Colin.
Jude si era trasferito e villa Meliti, nonostante il resto della famiglia vivesse con estremo disagio la sua presenza.
Pamela aveva insistito, considerato l’ottimo rapporto con Camilla, che non doveva essere ulteriormente traumatizzata.
Le era stata spiegata la decisione di separarsi, dai genitori, ma non all’unisono, come si dovrebbe fare con i bambini.
La versione dei fatti era stata la stessa, su regia di Brandon, che gestì entrambi gli incontri con la piccola, preoccupandosi che Robert e Jude mantenessero una sommaria serenità.
Il risultato, comunque, rimaneva triste e sconsolato, negli occhi grandi di Camilla, che vedeva nei rispettivi padri, tutto il suo mondo, andato in pezzi.
“Sono salati, vero Rob?”
“No … sono squisiti è … è che non mi va niente” – disse opaco, ciondolando la forchetta tra il piatto di pasta ed il bicchiere.
“Sono due giorni che non mangi”
“Sai Glam, dovrei vergognarmi, con tutta la gente che muore di fame … Mia madre lo ripeteva quando avanzavo il cibo, di ottima qualità peraltro … almeno i soldi non mancavano, eravamo benestanti, ma avrei dato tutti i miei giochi, i vestiti, la cameretta bene arredata, la bicicletta puntualmente ultimo modello, in cambio di una carezza di mio padre, in uno stato di lucidità e di affetto concreti e non sempre alterati dalla droga e spesso dalla bottiglia …”
“Era un bravo regista, se non rammento male …”
“Oh sì, grazie a lui mi si sono spalancate le porte di Hollywood … e delle camere da letto dei suoi pusher, quando mi ridussi anch’io alla stregua di un verme, senza più dignità, senza più amici, senza lavoro … Da straordinaria promessa, da bimbo prodigio, mi ero trasformato in pochi anni in un relitto …”
“Eppure sei qui Robert e sei … sei bellissimo, dentro e fuori” – replicò sincero.
“Un sopravvissuto … come te Glam”
Si fissarono, ma non per molto.
“Ok, magari un po’ di gelato” – Geffen sorrise, quasi in imbarazzo, avviandosi verso la penisola della cucina.
“No, mangerò tutto … questi spaghetti sono deliziosi e poi … e poi io voglio stare bene, ecco” – quel singulto, che gli girava nello stomaco, da quando si era accomodato al tavolo, sembrò risalire e stringere la sua gola, come una morsa, che non lasciava scampo.
Glam corse da lui, per stringerlo forte – “Adesso basta Rob …” – gli disse piano, entrando con la propria voce nel suo orecchio sinistro, così come il suo respiro, il che ricordò a Downey di quando si salutarono al matrimonio di Dean e Sammy, ritrovando quelle sensazioni di turbamento, che all’epoca l’attore non si seppe spiegare.
Ora, invece, gli era chiaro quanto Geffen potesse essere non soltanto un ancora di salvezza, durante quell’esilio dorato a Palm Springs, distante da Jude e dal fallimento della loro unione, ma soprattutto un uomo di cui fidarsi e, a poco a poco, innamorarsi perdutamente.
“Tu … tu mi rispetterai, vero Glam …?” – gli chiese in lacrime, amare ed asciugate in fretta, perché lui aveva una dignità, come gli ripeteva Geffen, perché Jude non meritava tanta sofferenza, perché doveva finire quel martirio, ma la sua vita era stata gettata via, così che ogni nuovo evento gli appariva irrimediabilmente tardivo.
Glam gli accarezzò gli zigomi, poi il suo pollice scese al mento, infine le sue mani ampie, sembrarono scortare Downey davanti ad uno specchio.
Erano lì, in piedi al cospetto di un cristallo pregiato ed incorniciato da un maestro vetraio in Murano, un pezzo unico: Geffen alle spalle di Downey, i loro sembianti incollati ed immobili, anche se dentro ogni emozione sembrava implodere, colorata e carica di aspettative.
“Guardati Robert … Cosa vedi?” – gli disse piano, cingendogli la vita magra, come il resto, prosciugatosi ulteriormente in quelle ore di snervante malinconia.
“Sono … vecchio …”
“Sciocchezze” – Glam sorrise, era bellissimo, abbronzato, virile, presente a sé stesso, nonostante Jared gli avesse sferrato l’ennesimo colpo basso.
Rob chinò il capo, con una risatina poco convinta e sconsolata, ma Glam, sicuro e diretto, con il palmo destro riportò il volto di Downey dritto ad osservare il riflesso di loro, mentre con il sinistro premeva l’addome teso di Downey, sopra alla t-shirt aderente – “Non ammetto che tu possa cadere, Robert, sai che non lo permetterò, per nulla al mondo, ora che sei qui”
Il tono di Geffen era perentorio ed aveva il sapore di quelle decisioni, alle quali non ci si poteva sottrarre: lui infondeva certezze, anche quando si camminava sulle sabbie mobili, era il suo carisma, l’arma vincente in aula, ma, specialmente, la giusta cura per guarire e dimenticare.
Se solo fosse stato possibile, rifletté Downey.
“So cosa stai pensando Rob” – inspirò, dandogli poi un bacio sulla nuca, tra i capelli corvini, infine sulla spalla sinistra, avvolgendolo con entrambe le braccia muscolose, rivelate dalle maniche corte della sua maglietta nera.
“Tu sei abituato a combattere Glam … a vincere … a perdere … Ritrovi la forza, non so da dove, dopo tante battaglie perdute, tu sei … TU sei ancora qui”
“E tu con me, senza forzature Robert, senza sensi di colpa, senza riconoscenza, se non quella reciproca di regalarci un sorriso ed io me lo farò bastare, per tutto il tempo necessario, perché tra noi due non deve accadere nulla che non vogliamo, nulla muterà, il nostro affetto, la nostra intimità, i battiti di questi vecchi cuori, li senti anche tu?”
Downey si voltò lentamente, cercando gli specchi celesti di Geffen, che ebbero un lieve, impercettibile, sussulto.
“L’ho visto Glam …”
“Cosa …?” – gli sorrise, aderendo a lui.
“L’amore che hai tu per me … La sua forma … pulita ed autentica”
“Ed a me sconosciuta, lo riconosco Robert”
“Ne sono … orgoglioso” – e gli accarezzò la tempia, alzandosi sulla punta dei piedi, per posarvi un bacio leggero, ma Glam lo sollevò, cinturandolo meglio per il busto “Non devi fare alcuna fatica Rob”
Si baciarono, inghiottendosi l’un l’altro, con intensità.
Sembrò ad entrambi di staccarsi dal suolo e volare via, finalmente.
Si erano addormentati quasi subito, sul letto di una delle camere in mansarda: era un ambiente particolare, sovrastato da una cupola azzurra, attraverso la quale ammirare un firmamento incandescente quella notte.
Geffen faticò a sentire il cicalino del video citofono.
Si svegliò, sbrigandosi a rispondere, per non svegliare Robert.
Controllò l’ora, erano le nove e trenta di mattina.
Quando scorse la figura di Jared ed il suo volto teso, perse un battito.
Voleva smetterla di emozionarsi in quel modo, ogni volta che lo vedeva, ma sembrava una battaglia persa in partenza.
Nel mentre invase il living e la tranquillità della casa, con la sua palese agitazione, Glam ebbe l’impulso di prenderlo a calci e cacciarlo.
Le iridi di Jared, però, erano cariche di apprensione e sgomento.
“Perdonami Glam, non volevo disturbarti, senza avviso, ma temevo non volessi parlarmi.” – disse vuotandosi del gin in un bicchiere da coca cola, quelli usati da Lula.
“Che diavolo stai facendo, cazzo?!” – esclamò Geffen, strappandogli la bottiglia e gettando quel veleno nel lavandino, prima di guardarlo ubriacarsi.
“Non lo so, va bene??!! So unicamente che voglio salvare Colin da questo complotto assurdo e sono qui a supplicarti perché ciò avvenga …”
“Ed in che modo? Non riesco più a reggerti, se proprio vuoi saperlo, dopo il modo in cui hai reagito a quello che chiami complotto, accidenti!” – gli urlò in faccia.
Jared tremò, appoggiandosi alla parete, senza più nessun impeto.
“Non ci credo Glam, a ciò che ha raccontato Jude, anche se so perfettamente che è stato violentato … come me”
Geffen deglutì a vuoto: voleva stringerlo a sé, consolarlo, per l’ennesima volta, ma si dominò.
“E come te, da Colin” – disse calmo, fissandolo.
Jared ricambiò quello sguardo gelido, con il proprio, vivido di disperazione.
“Peccato che io lo ricordi, in ogni singola, orribile sfumatura, mentre sia Jude che Colin non ne hanno più traccia nelle rispettive menti: ti pare possibile??”
“Io so che Jude è svenuto, colpito da un pugno di Colin. Questo spiega la sua … amnesia, mentre per tuo marito la soluzione è da ricercarsi nel mix di farmaci ed alcolici, di cui ha abusato.”
“Tu quindi credi alle loro versioni, Glam?” – domandò speranzoso.
Geffen annuì.
“Allora aiutami a trovare la verità …”
“Ma quale dovrebbe essere, secondo te Jared, sentiamo!?” – sbottò, gettandosi su di una poltrona.
“Non ne ho idea!! Eppure è una sensazione, che mi tortura da quando ho scoperto cosa era successo alla End House!” – affermò deciso.
Geffen inspirò.
“Credo ti si possa accontentare, a tuo rischio Jared” – disse serafico rialzandosi, per prendere il palmare dalla scrivania.
“Cioè … ?! Co-cosa intendi?”
“Scott ha visitato Jude con un kit apposito, che i medici devono utilizzare in caso di stupro”
“Sì ne ho sentito parlare Glam …” – replicò triste.
“Ok, allora saprai che vengono prelevati dei campioni per identificare il DNA dell’aggressore …”
Jared si sentì gelare.
“E Scott ha questi …” - “Sì” – ribatté secco Geffen, componendo il numero dell’amico.
“Ne parlerò con Colin e”
Leto si interruppe, appena Scott rispose.
“Sì ciao sono io … dobbiamo vederci Scotty, è importante … Ok, ci sarò”
Riattaccò, senza volere percepire le sensazioni di Jared, allontanandosi da lui, inutilmente.
“Hai fatto colazione?” – chiese paterno.
“No Glam … Senti, ma Rob è di sopra?” – disse timidamente.
“Sta riposando, è a terra.”
“E’ … è bello sapere che tu lo stai aiutando … credo anche per Jude, sai?” – e tirò su dal naso, asciugandosi un po’ di sudore con la manica del giubbetto di jeans.
“Jared io non ho dimenticato del casino in cui ti sei cacciato: tanto meno della promessa che hai fatto di ricoverarti alla clinica Foster” – disse con la dovuta durezza.
“Ci … ci sto lavorando” – e si raccolse nella felpa, troppo grande per il suo busto.
“Hai freddo?”
“Posso mangiare qualcosa Glam … ?”
“Certo … ecco qui, spero ti piacciano ancora” – e gli passò dei croissant al cioccolato, senza però più sorridergli, come avveniva un tempo, che sembrava dissolto in una lunga scia di amarezza.
“Sì, cavoli” – mormorò come un bambino davanti alla vetrina di una pasticceria.
Glam provò una rimescolanza di rabbia, tenerezza, desiderio e delusione, tanto da spingerlo ad uscire da quel confronto, per portare un vassoio a Robert, con un gesto che ferì Jared, cosa che l’avvocato non riusciva ad ignorare, almeno quanto il pianto del cantante, appena rimase da solo, tra quelle pareti di un luogo caro ai suoi sensi in passato, ma terribilmente estraneo, in quell’istante di abbandono totale.
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