The secret is over
John Watson stava riunendo i propri appunti in casse di legno, oltre a cimeli presi in giro per il mondo, liberando gli scaffali del proprio alloggio londinese, condiviso da molti anni con l’investigatore piú famoso dell’epoca, quel Sherlock Holmes cosí enigmatico, terribilmente complicato, semplicemente straordinario per intelligenza e fascino.
Aveva preso male non solo la notizia del suo trasloco, ma, soprattutto, del fidanzamento con una bella istitutrice, di nome Mary, per la quale il fidato amico se ne sarebbe andato via da lui.
Era insopportabile quel pensiero, ma, ormai, tutto ad Holmes sembró inevitabile.
Watson si insinuó nella sua stanza, quasi timidamente, chiedendo permesso, portando in segno di pace un vassoio colmo di pasticcini e tè bollente.
“Posso? Disturbo…?”
“Quando mai lei disturba dottore…” –replicó mesto, rannicchiandosi sotto alle coltri fredde, come quel giorno di autunno.
“Ancora a letto a quest’ora Holmes?”
“Non avendo di meglio da fare, non potendo cambiare il corso delle cose…Ha da propormi qualche alternativa, in qualitá di mio ex medico, di mio ex collaboratore, di mio ex amico, Watson?”
Lui in risposta fece cadere tutto sul tavolino poco distante – “Co… cosa? Ex amico?... No, dico, è davvero impazzito?!” – esclamó, sentendosi soffocare per il disappunto.
Holmes si mise a sedere ed allungó la mano verso la tazza, che Watson prontamente gli passó, sedendosi sul bordo – “Grazie John.”
“Prego… mi guardi Holmes.”
Lui lo scrutó con quelle chiazze scure e vivaci – “Ecco, la sto guardando Watson, cambia qualcosa?!” – domandó con veemenza.
“E cosa vuole che io cambi?”
Holmes non replicó subito, scese e si cambió.
“Dove… dove sta andando accidenti?!”
“Esco, ho bisogno d’aria, la testa mi scoppia…” – si voltó a fissarlo – “Il cuore…il cuore si contrae in pulsazioni incoerenti…”
Watson aggrottó la fronte – “Potrebbe tradurre questo enigma?”
Holmes rise amaro – “Ha messo via anche la sua perspicacia John in quelle casse tetre, come una tomba? Quella in cui sta rinchiudendo la sua vita, ingabbiandola in ritmi regolari, noiose consuetudini, svilenti disillusioni!”
Watson scattó in piedi – “Ma lei si rende conto di quanto sta offendendo i miei progetti, la mia promessa sposa e…” – “Sposa? Promessa? Lei ed io ci eravamo presi degli impegni, ora che ci penso, con la nostra casa, il nostro lavoro, il nostro cane...”
“Non mi puó fare sentire in colpa perché mi sono innamorato e perché voglio creare una famiglia!”
Holmes fu incapace di fermare il fremito, che si impadroní dei suoi zigomi, tanto meno ricacciare indietro il pianto, che stava per sopraffarlo – “Sai John quale è la cosa peggiore in tutto questo?... Il fatto che io mi stia umiliando, senza la minima speranza di farti cambiare idea.”
Watson gli andó vicino, prendendolo per le braccia, con misurata delicatezza, come se avesse paura di romperlo – “Le… le cose cambiano Sherlock, gli equilibri a volte si spezzano, ma noi resteremo amici, questo non puó rinnegarlo…”
“Quindi sarei io quello che rinnega QUALCOSA!?” – urló, sull’orlo di una sorda disperazione, poi scappó via, incapace di sostenere ancora la luce degli occhi di ghiaccio di Watson.
Il tizio era davvero grosso, troppo per la statura e la stazza di Holmes.
Lui quella sera voleva solo farsi male, cadere sotto ai pugni di quella montagna di muscoli, stramazzare nella polvere, piú in basso di quanto giá non fosse la sua anima.
Esitó prima di impostare la difesa, riuscendo a schivare i primi colpi, ma poi un gancio gli percosse lo stomaco ed il sapore del terriccio gli arrivó in gola.
Tremava, il sudore freddo lo stava attanagliando, ma il dolore piú grande restava ancora un altro: cosí si convinse che uno di maggiore intensitá o violenza, potesse farlo scomparire.
L’avversario lo prese per i capelli corvini, lui urló, ritrovandoselo ad un centimetro da naso: una testata tremenda gli sembró il colpo di grazia, ma rimbalzando contro la staccionata che delineava quel ring improvvisato e clandestino, piazzó un destro micidiale, dal quale l’altro non si salvó, crollando inerme e vinto.
Il delirio della folla apparí assurdo anche ad Holmes, strattonato dagli scommettitori, che gli riempirono le tasche di sterline.
Una zingara gli passó una birra, che lui tracannó esausto.
Voleva solo tornare a Backer Street, ma al momento gli sembró un’impresa impossibile.
Si accasció sui gradini di una chiesa, coperto solo dalla giacca sul torso ancora nudo, i pantaloni sgualciti, le scarpe e le calze consumate, nemmeno un cappello a proteggerlo dalla pioggia battente.
Si voltó, leggendo il nome di quella basilica, ricordando che Watson gliela aveva nominata per un ipotetico sposalizio.
Brindó, ridacchiando, a quel futuro giá segnato.
Passó poi a sproloquiare con un randagio, che dapprima lo annusó, per poi allontanarsi come se lui fosse stato un appestato – “Come si dice… solo come un cane…?” – tiró su dal naso, poi si strinse nella stoffa sottile.
Inizió a singhiozzare silenziosamente, come a non volere disturbare la notte con i propri spasmi interiori, che a tratti si sforzava di ridicolizzare, senza riuscirvi.
Serró le palpebre, frantumando la bottiglietta, ormai vuota, ai piedi di qualcuno che stava salendo verso di lui.
“Holmes…cosa diavolo…?!”
“Vattene… odioso fantasma del passato… venuto a tormentarmi peggio di questo amore senza un domani...”
Watson pensó che stesse vaneggiando, ma era invece lucido e presente a sé stesso.
Gli sfioró le gote indolenzite, prendendolo quasi in braccio, per portarlo in un posto sicuro.
Poco distante c’erano due stanze, che utilizzavano per esperimenti ed elucubrazioni sui casi risolti brillantemente.
Arredate con l’essenziale, un bagno con la vasca, che Watson riempí velocemente, accendendo poi il fuoco nel caminetto.
Spoglió con calma Holmes, che restava aggrappato al suo collo, come un bambino stremato da un gioco piú grande di lui.
Watson lo immerse, baciandolo sulla fronte – “Sono qui Sherlock… non volevo abbandonarti… io… io non ho mai pensato di farlo. Credimi.”
I loro sguardi si incrociarono, ma Holmes era allo stremo delle forze.
“Mi faccio portare della minestra da sotto.”
C’era una bettola, dove, peró, si mangiava molto bene.
Quando tornó, Holmes era piegato in posizione fetale, girato verso il muro, immerso sino al collo.
“Ti lavo la schiena… se me lo permetti Sherlock…”
Lui annuí, sciacquandosi il volto.
“Va meglio?”
“Sí John… uscirei… e vorrei stendermi.”
“Certo, prendo un asciugamano ed una coperta, aspettami qui…”
“Lo faró, ti ringrazio.”
Avvolto nel tepore di quel giaciglio scarno, ma comodo, assaporava la brodaglia di verdure e carne con appetito.
“Buona… come riescano a fare qualcosa di decente da Barny resterá un mistero inestricabile anche per me Watson.” – sorrise.
“Sí… temo di sí. Qui c’è anche il cartoccio con fish and cips che le piacciono, Holmes.”
“Troppo buono…”
“Devo farmi perdonare.” – abbassó i topazi screziati, verso il petto tonico dell’amico.
Vedeva i suoi battiti pulsare nelle vene del collo solido e repentinamente vi posó le labbra, dandogli un bacio profondo, succhiando piano quella vita indomabile e circoscritta sotto a quella porzione di pelle profumata, mentre con la mano destra lo cingeva dal lato opposto.
Holmes non si scompose, ma raccogliendo l’insistenza di quel gesto, cercó di ossigenarsi, ansimando per il piacere che Watson gli stava dando generoso.
Si spostó, facendogli posto – “Vieni John… ti prego…”
“Non devi pregarmi, lo desidero anch’io…”
“E se non corrispondesse a ció che desidero io?” – ribatté insolente, iniziando a spogliarlo.
Watson arrise a quei modi per lui abituali, ma che avrebbero irritato un santo.
Spense le poche candele, lasciando che il riverbero del focolare si prendesse cura dei loro sembianti ormai abbracciati, perduti, in un primo bacio, bocca a bocca, le lingue curiose, avide, come le dita del dottore, che percorrevano con metodo e lentezza snervante per Holmes, ogni centimetro di quest’ultimo.
La sua testa sprofondava nel cuscino, le gambe di Watson tra le sue, gli inguini bollenti, i carboni che assorbivano il mare cristallino, fiammeggiando in quel chiarore convulso, come le reciproche carezze.
Holmes si impadroní dell’erezione di Watson, massaggiandola fino a sentire la sua punta bagnarsi – “Non… non è abbastanza John…”
Lui gemeva, scompigliando le ciocche del compagno, aprendolo per possederlo senza rimandare oltre.
“Hai… hai ragione…asp…aspetta…”
Un misterioso unguento troneggiava sul comodino, inodore ed incolore – “Ti fidi di me?”
“Sí John… da quando ci conosciamo… da quando mi sono innamorato di te…ahhh…!”
Era dentro di lui. Gli sembró incredibile, che quel momento tanto agognato nelle proprie fantasie, si stesse realizzando.
Watson si fermó piú volte, indietreggiando, per poi incedere piú convinto ed in maggiore profonditá.
Lo stillicidio che annebbió la vista di Holmes, andó a morire sul petto di Watson, al quale si era appoggiato, resistendo per non respingerlo istintivamente: lo stava invadendo e lui soccombeva, provando un meraviglioso, ma incontrollabile smarrimento.
“Ti amo… ti amo John…” - le parole scivolarono, mentre i suoi fianchi si ergevano verso Watson, per riceverlo completamente.
Il medico infiló un guanciale sotto alle reni di Holmes, inclinandosi sul lato, cadenzando il ritmo divenuto alla fine simbiotico.
Mescolarono il loro sudore, mordendosi, leccandosi – “Aggrappati a me amore…” – “Sí… sí John…”
Holmes si avvinghió completamente, mentre l’altro brandiva le sbarre della testata in ferro battuto, puntandosi sulle ginocchia, colpendolo incessantemente, sentendo il proprio sesso ingrossarsi.
“Ommioddio… Sherlock… Sherlock!!”
Era al limite: spasmodicamente riprese a baciarlo, sollevandosi per vederlo godere insieme a lui.
Pochi affondi, poi dilagó, svuotandosi in piú direzioni, tra cui quella piú sensibile in Holmes, che inizió a gridare, supplicandolo di non smettere, nella speranza che prolungasse quell’orgasmo all’inverosimile.
Lo accontentó allo spasimo di ogni energia, appagando ogni suo senso.
“John…John…”
“Ripeti il mio nome… voglio sentirtelo dire all’infinito…” – gli sussurró all’orecchio, perdendosi poi sui suoi capezzoli, turgidi come il membro di Holmes, che Watson decise di accogliere tra le sue labbra arrossate e gonfie.
Si riveló bravissimo in quell’arte amatoria, Holmes si soffermava su tutti i dettagli, segnando le guance di Watson colme di sé, commuovendosi per tanta devozione.
Lo portó sino all’estremo confine, sublimando quel gesto nutrendosi del suo piacere, completamente.
Holmes sentiva il fiato spezzarsi e rinascere, in un continuo divenire.
Watson lo voltó con estrema dolcezza.
Si allungó sopra di lui, aderendo alla sua pelle madida ed accogliente – “Ho… ho bisogno di averti di nuovo Sherlock…”
“Fai ció che vuoi di me…”
“Grazie…” – la sua voce precipitó nella nuca di Holmes, che inizió a succhiare, mentre lo penetrava dapprima con due dita, dilatandolo, per poi riaffondare con un’unica spinta.
Lo teneva per un polso, guidandolo in quel groviglio di piccoli loculi fatti di maioliche e pietra, tirando poi una tendina e richiudendola, per custodire il loro segreto: “Adoro questo bagno turco Sherlock…”
Si immersero tra vapori speziati, baciandosi con foga e poi via via piú teneramente, masturbandosi a vicenda.
Si concedevano solo quel tipo di amplesso, in un luogo che appariva incantato ai loro sensi, cosí lontano dal mondo gretto e grigio, in cui si muovevano tra austeri lord e finti perbenismi.
“Ti amo John…” – “Ti amo Sherlock…”
Era un mormorio cristallino, ricambiato con altrettanta sinceritá.
Bació ancora il suo sorriso, la visione piú bella della sua intera esistenza.
Per sempre.
THE END
SI RINGRAZIA L'AMICA LADYWHO PER L'IMMAGINE DI HOLMES E WATSON
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