Capitolo n. 116 – gold
Robert stava scrutando la cittá oltre i vetri della finestra ovale, nella sua camera 405, soffermandosi su insegne luminose lontane ed auto veloci, che continuavano a vagare per il viale alberato, nonostante fosse notte fonda ed il temporale non smettesse da ore.
Beveva la seconda tonica, provava un’arsura insopportabile da quando era arrivato in albergo, dopo avere lasciato Jude sotto casa.
Aveva lasciato Jude, quella coniugazione verbale era inverosimile: non era mai successo, non lo aveva mai permesso.
Ad essere sinceri, non gliene aveva mai dato motivo.
Quello era il problema maggiore, la causa di una scelta tanto sofferta: isolarsi ed escludere Jude dai suoi malesseri.
Jude era il suo assoluto, non quelle melense o scontate frasi fatte “l’altra metá del mio cielo”, ma sí, ma sí era anche questo, peró il discorso era un altro, anzi, erano piú declinazioni del suo modo di esistere nella vita di Downey.
Il suo cervello sembrava arroventarsi in quelle riflessioni, mentre il cuore e lo stomaco erano stretti in una morsa irreversibile.
Aprí la terza lattina, sedendosi a quel punto, rannicchiandosi nel passato, nei ricordi.
Jude che prendeva tre aerei per consegnargli il regalo di Natale. Quando era successo? Il secondo anno, sí, era il secondo, sei ore di attesa, bloccato a Londra, ma lui doveva vederlo, portargli quell’orologio che gli piaceva tanto, arrossato e felice, come un bambino, nel sole di Malibu “Vorrei stare qui per sempre Rob… in Inghilterra si gela e poi…” – ma Robert lo bació, lo accarezzó, lo strinse, per poco, perché doveva riprendere un volo e tornare a quella famiglia sgangherata ed estranea, se non fosse stato per i bambini.
Susan gli compró lo stesso regalo, ma lui ancora adesso aveva al polso quello di Jude.
Il primo anno, invece, era stato il piú entusiasmante, ma anche tanto difficile da gestire.
Loro erano insieme molto spesso per lavoro, ma non bastava.
Se ne andarono in vacanza con le compagne, impazzendo quasi nel contenersi davanti a loro.
Era stato davvero imprudente, ma non importava.
Facevano l’amore ovunque ed appena ne avevano la possibilitá.
Una sera Jude arrivó al tavolo della cena, su quei divanetti semicircolari, nel lussuoso ristorante del resort caraibico, appiccicandosi a Rob, fissandolo con quelle gemme, che un poeta sostituí alle sue iridi, facendolo diventare cosí leggibile all’animo di Downey, che si perdeva ad ogni respiro – “Sai… sei dentro di me…sei venuto tanto a lungo, che ti sento ancora cosí tanto Rob…” – e su quelle parole, Jude gli sfiorava l’inguine – “Piccolo… io… ti desidero da fare male…”
Riuscirono faticosamente ad arrivare al dessert, per poi svanire con una scusa ridicola: si rifugiarono in un capanno per gli ombrelloni, strappandosi i vestiti e divorandosi l’un l’altro in un orgasmo selvaggio.
Robert si sentí tremare, si rialzó, concentrandosi sulle goccioline di pioggia.
“Jude…”
Si precipitó fuori, accorgendosi di avere lasciato la tessera elettronica dell’auto sul comodino.
Prese il cellulare dalla tasca della giacca, alzandosi il berretto della felpa, che indossava sopra a dei jeans strappati.
Era scarico: “Maledizione!”
Anziché rientrare e chiedere al portiere di notte di chiamargli un taxi, inizió a camminare, poi a correre, verso il quartiere dove abitava con Jude.
Fortunatamente la chiave della blindata non l’aveva persa, come tutto il resto.
Aprí piano, fradicio e sudato, il fiato corto, stravolto anche dal freddo.
Jude era sul divano, avvolto nudo in due coperte, il caminetto acceso, una bottiglia di cognac ancora sigillata sul tavolino ed il blister di sonniferi, mancante di una pasticca soltanto.
Robert si inginocchió, esausto e gocciolante.
Jude schiuse le palpebre, senza neppure spaventarsi.
“Rob… Rob! Mio Dio ti congelerai!” – si destó di colpo e gli tolse tutto – “Tesoro… mi … mi dispiace…” – mormoró Downey, assaporando le mani bollenti del compagno, che lo stavano ristorando, confortando, riportando alla vita, alla loro vita vera.
Lo sistemó sotto di lui, coprendolo con quel telo profumato, dopo un lungo bagno rilassante, intrecciando i loro corpi e scambiandosi tepore e baci dapprima leggeri, poi via via piú intensi.
“Non… non ci lasceremo mai… mai Robert…” – affondó nel suo collo con le labbra, dentro di lui con il suo sesso: Robert lo accolse come un dono, l’ennesimo.
Jared trascorse la giornata in piscina con i figli e Colin, sorridente ed all’apparenza rilassato, ma ad ogni tocco o sguardo di Colin, sembrava investito da una scossa elettrica.
Il livido del pugno di Jude era stato giustificato da uno stipite troppo affettuoso, tutti risero.
La sera si era coricato prima di tutti gli altri, dopo una doccia ed una tisana alla valeriana.
Colin lo raggiunse, avvicinandosi timidamente.
“Jay… posso tenerti tra le braccia…?”
Seguí un breve silenzio – “Certo Cole.”
Lo cinse da dietro, dandogli un bacio tra i capelli – “Stai bene con la barba…” – disse sorridendo.
Jared era bellissimo – “Cosa vuoi fare domani Colin?”
“Stare… stare con te, i bambini non ci sono…”
“Ok… ora dormiamo…?”
“Sí tesoro…” – replicó Farrell sconfortato.
Jared serró gli occhi – “Ti voglio bene Cole…”
“Io… io vorrei soltanto che tu mi perdonassi Jay…”
Probabilmente c’era un tempo in cui questo splendido irlandese era stato arrogante, ruvidamente innocente, spavaldo e curioso, ma quegli zaffiri cosí vividi gli avevano rubato un battito, senza piú restituirlo, ostaggio di un giovane uomo americano, affascinante, sensuale e tremendamente affabile con lui.
“Ho rischiato di perderti Colin… e sarei morto anch’io, odiandoti per avermi lasciato da solo, dopo che avevi realizzato i miei sogni, anche quelli impossibili…”
“Anch’io ti odio da morire Jared…” – premette i palmi sul suo petto, la loro pelle pulsava, in un’unica espressione di amore ed appartenenza.
Jared si voltó, cercando la sua bocca, abbandonandosi a Colin, che si spinse in lui facendogli male, ma il problema era un altro, era quel sentirlo estraneo, per la prima volta, in quell’aspirazione di essere altrove, da quando aveva scoperto il suo segreto, ma, soprattutto, dopo che Jude lo aveva giudicato spietatamente, dicendo, peró, solo la veritá.
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