One shot - Say a lie – S. H.
Holmes stava guardando Londra attraverso la finestra della sua camera in Baker Street.
Abbracciato al cuscino, nel suo letto freddo e vuoto, in una penombra animata a tratti dal chiarore proveniente dai lampioni esterni.
Una splendida luna piena delineava i contorni dei palazzi circostanti, dei loro comignoli fumanti, dietro a qualche finestra, rimasta accesa, qualcuno passava con un libro o con una tazza di tè.
In fondo non era poi cosí tardi.
Aveva cenato con Watson al Royal, festeggiando il proprio compleanno.
“Non posso trattenermi… Mary mi sta aspettando.”
Quelle parole erano prevedibili, ma lo ferirono ugualmente.
Ormai non riusciva piú a trattenere il suo amico del cuore, Watson si era definito cosí, irritandolo, alla loro prima discussione sul suo fidanzamento, che Holmes non riusciva ad accettare.
Acqua passata, se lo ripeteva ogni mattino, quando al risveglio non lo ritrovava piú rannicchiato dietro alla sua schiena, pronto ad inondarlo di baci, salutandolo con gioia.
Era ció che di piú dolce ed inconsueto ci si potesse aspettare da lui, l’investigatore geniale ed anticonformista, soprattutto se la sera prima si era massacrato di botte, in incontri di boxe a scommessa, vincendo la quale potevano pagarsi l’affitto senza odiosi ritardi.
Watson non era un buon amministratore di sé stesso, ma era tutto ció che Holmes amava, dal primo momento in cui lo vide.
Sarebbe morto per lui, ma non divagava mai in certi discorsi melodrammatici, cosí puerili: si prendeva in giro da solo, la sua anima si contorceva a ridosso di quel cuore, che perdeva un battito, quando Watson sorrideva, quando si sfioravano, quando con un unico sguardo, si intendevano alla perfezione.
Ecco cos’era per lui: l’amore perfetto, altro che amico del cuore.
Su quella riflessione sbuffó, abbandonandosi al primo accenno di sonno, che un rumore familiare rimandó all’improvviso.
“John…?!”
“Sí sono io.”
“Credevo che…”
“Ho cambiato idea.”
Sorrise.
“Non potrei esserne piú felice, di questa volubilitá provvidenziale…”
Watson scrolló le spalle, ridendo piano: amava quel modo di esprimersi di Holmes, lo affascinava, ma mai quanto la sua passione e devozione.
Si mise seduto sul bordo, slacciandosi piano la camicia, dopo essersi sfilato i pantaloni.
Holmes si voltó lentamente, piegando il braccio ed appoggiando la tempia al palmo sinistro – “Uno… spettacolo incantevole…”
“Spettacolo Sherlock?” – replicó scocciato.
“Una visione. Sí, sei una visione.” – cambió registro, compiacendosi di quell’infantile permalositá dell’altro.
Watson si distese, cingendo la vita ad Holmes, che si appoggió al suo petto, dopo averne baciato i capezzoli giá turgidi.
“E … a me niente?”
“Scusami John…” – e lasció che le loro labbra si fondessero, in un lungo e profondo idillio.
Lo sguardo di Watson gli provocava quasi uno spasmo interiore, un’esplosione di sensi, che mai nessuna donna aveva saputo destare, neppure lontanamente.
Holmes fece scorrere due dita dispettose in quell’incavo caldo e succoso – “Voglio prepararti con calma, ora che sei qui con me…”
Watson lo lasció fare, schiudendo le gambe, per consentirgli di accedere a quella fessura stretta e preziosa, pronta a riceverlo.
Pretese baci piú focosi, ma Holmes voleva godersi anche quel passaggio, quando lo sentiva nei primi momenti del suo desiderio – “Sei… sei meraviglioso John… meraviglioso…”
Lo dilató con cura – “So… sono pronto Sherlock…”
“Lo so anima mia…” – la sua ultima frase precipitó nel suo collo, con un morso leggero, mentre la penetrazione simultanea fu come un fuoco tagliente e totalitario, che mozzó il respiro ad entrambi.
Le palpebre di Watson custodirono per pochi secondi lacrime, che poi copiose scorsero sui suoi zigomi, appena tornó ad ammirare Holmes, che sembrava cercare una ragione per tutto quel piacere, che riusciva ancora a stupirlo.
John si domandó se avrebbe potuto perderlo, un giorno che si fosse stancato di lui, ma era praticamente impossibile.
I loro fianchi trovarono presto la posizione migliore ed il ritmo continuo a crescente, per donarsi un godimento reciproco quasi assurdo.
Watson andava verso di lui, aprendosi oscenamente, per avere l’assoluto appagamento, catturandone la bocca, dove depositare gemiti sempre piú intensi.
Holmes si sollevó, assestando colpi laterali, cercando l’essenza carnale del compagno, prima di inondarlo con tutto sé stesso.
“John… John… ommioddio… JOHN!”
Lui inarcó la schiena, strappando il lenzuolo consumato da tutti i loro amplessi – “È… è troppo…Dio! Perché non mi sbatti piú spesso!?” – esclamó sentendo che l’altro era al limite.
Holmes si bloccó, sbarrando le sue iridi scheggiate di carbone ed inchiosto, ormai liquide per l’estasi.
Uscí da John lentamente, sentendo contrarsi l’addome, a cui stava negando un agognato epilogo.
Watson non comprese subito il gesto, per alcuni secondi pensó che Holmes volesse tormentarlo entrando ed uscendo da lui, fino a venire, ma quando lo vide in piedi, in mezzo alla stanza, alla ricerca nervosa della vestaglia sciupata, ebbe una fitta allo stomaco.
“Sherlock…?”
“Cosa?” – sbottó, afferrando il violino, per strimpellarlo insulsamente.
Watson si appoggió alla testata imbottita, fissandolo incredulo – “Ma… ma che succede?”
“Cosí è questo per te.”
“Qu… questo cosa??” – balbettó, tormentandosi il volto sudato.
“Io… io facevo l’amore con te… l’ho sempre fatto… e tu… tu definisci in un modo tanto grezzo, squallido, i nostri rapporti… tu mi sbatti, quindi? Ed io farei altrettanto, giusto John?!” – gli domandó tornando a scrutarlo, livido e rabbioso.
“Era… era solo…”
“È con lei che fai l’amore allora? Ma sí, certo, che sciocco quesito, che stupido, stupido essere minuscolo ed inutile, ma quale mente illuminata, sono soltanto un omuncolo, un diverso, sará per questo allora, sí, ripensandoci, riflettendoci, sono un reietto, che hai raccolto nel suo vizioso labirinto, illudendolo, ma non per troppo, alla fine la veritá è emersa. Impietosa!”
Era tipico per Holmes fare voli pindarici, che dal cervello arrivavano nei suoi discorsi come un fiume in piena.
Watson si rivestí velocemente.
“Ho… ho litigato con Mary per stare insieme questa notte, perché era il tuo compleanno, perché pensavo fosse ingiusto lasciarti solo!!”
“Non la voglio la tua elemosina John! Non voglio gli avanzi che quella donna mi lascia!!”
“Ma quali avanzi, quale ELEMOSINA!!!” – lo investí con veemenza e furia.
“Non potrei definirla con ALTRO NOME JOHN!!” – ribatté, sfigurato da un dolore sordo.
Cosí avvertí il suono che fece la porta, un attimo dopo, quando Watson se ne andó, senza aggiungere altro.
Mary sapeva che era una serata importante per il suo fidanzato.
Fece uno sforzo per accettare la sua assenza, sorridendo a quella banale giustificazione, un caso su cui volevano lavorare, potevano arrivare all’alba, tra esperimenti e supposizioni avvincenti.
Per Holmes e Watson era una prassi all’ordine del giorno, ma lei aveva capito quanto il loro legame fosse intenso ed intoccabile.
Avrebbe perduto volentieri qualche battaglia, pure di vincere la guerra.
Ebbe un sussulto, sentendo i passi lungo la scala.
“Cara sono io!”
“John… avete… avete giá risolto la vostra inchiesta?”
“Sí. Sí, incredibilmente… inaspettatamente!”
“Mi… mi sembri arrabbiato.”
“Ho…” – respiró forte – “Ho avuto un diverbio con Holmes, ma ci sono abituato.”
“Mi dispiace John.”
“É… è un ingrato!”- sbottó.
“Sai che il suo ego occuperebbe tutto il Tamigi…”
“Non basterebbe! Minimo il mare del Nord… la Manica… no, non basta un intero pianeta…”
“Ora calmati John…”
“Sí… sí certo… devo darmi una rinfrescata… dammi un minuto, scusami Mary.”
“Fai pure…” – disse gentile e comprensiva, come abitudine.
John, specchiandosi, notó che lei ed Holmes avevano molto in comune: erano innanzitutto succubi delle sue bugie, del resto non aveva fatto alcuna fatica per concedersi quelle ore in compagnia del socio, cosí come era falso il modo in cui giustificó la propria alterazione a Mary, una donna ed un uomo che lo amavano, che lo proteggevano spesso, che sapevano l’una dell’altro, perché ingannarsi, erano persone intelligenti e pensavano con il cuore, che rendevano tanto simile in quell’innamoramento incondizionato.
Tornó da lei, infilandosi sotto quelle coltri tiepide e preziose, assaporando la sua pelle candida, strappandole quasi le vesti di seta, per possederla, senza alcun riguardo.
Mary accettó quella prepotenza insolita, tanto irriverente, quanto breve.
John si allontanó, soffocato da un nodo in gola – “Mi… mi vergono Mary…io… io non dovevo…”
“Tesoro va tutto bene, te lo posso assicurare.”
“No, no che non va bene!!” – sbraitó fuori di sé.
Sparí dopo cinque minuti.
Le acque del Tamigi erano ipnotiche, nelle loro evoluzioni.
Torbide ed inarrestabili, come le sensazioni che attanagliavano i pensieri di Watson.
“I mulinelli hanno un movimento concentrico e preciso, come i rintocchi del Big Ben.”
“Riesci ancora a trovarmi…”
“Non ti stavo cercando John. Vagavo come te, in questo buio… rassicurante.” – si strinse nelle spalle, appoggiandosi al parapetto in pietra.
“Fa freddo… un freddo insopportabile Sherlock…” – mormoró, senza muoversi dal lampione, che sembrava sostenerlo.
“Ció che è veramente insopportabile a questo mondo è che niente é… davvero insopportabile John.”
“Rimbaud?”
“Sí… esatto.”
“Un altro… come ci hai definiti? Reietto? Diverso?”
Holmes fece qualche passo e Watson lo fronteggió, senza mai abbassare le iridi, che ricordavano due opali preziosi – “Era… era solo colpevole di amare. Quando accade a persone… come noi, diventa un reato John.”
“Sopporterei anche una condanna, per te.”
“Impossibile John. Ad un passo dal matrimonio, suggerisco di velocizzare le pratiche, è un ottimo alibi per fare fesso il sistema.” – ribatté secco.
Watson fece altrettanto, dandogli un sonoro ceffone.
Holmes non reagí, asciugando con il fazzoletto il rivolo di sangue che traboccó dalla gengiva lesionata.
Watson deglutí, cercando poi ossigeno – “Sherlock…! Sono imperdonabile…!”
Allungó la mano, ma Holmes si ritrasse – “Sbagli, ancora una volta. Mary ed io siamo talmente stolti da averlo fatto ogni giorno, quasi a nausearci. E questa non è l’inutile bugia, dietro la quale nascondersi per non perderti, anzi…È solo la triste veritá alla quale temevo di non potermi sottrarre… non prima del nostro ultimo incontro. Addio John.”
La nebbia lo inghiottí, nonostante il suo nome risuonasse come una cantilena amara, salendo dal cuore di John Watson, che nonostante tutto non fece un passo per fermarlo.
THE END
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