venerdì 2 maggio 2014

ZEN - CAPITOLO N. 287

Capitolo n. 287 – zen



L’agente Costa, in presenza di Rossi, tranquillizzò Hiroki sulle condizioni di salute di Kiro.

Fu Dave a parlarne al giovane, su richiesta di Jared e Colin, molto preoccupati per la reazione dello stesso.

Hiroki si sentiva responsabile di quanto accaduto allo zio, inevitabilmente.

Leto si dimostrò paterno ed affettuoso, confermando la sua benevolenza al nuovo amico di Geffen, che ora era rimasto da solo con Hiroki, a consolarlo.

Erano nel living di Palm Springs, sopra al divano, il caminetto acceso, per i brividi che stavano tormentando l’avvocato da ore.

“Tesoro ora calmati e dimmi la verità: è per me che hai preso quelle due siringhe, vero?”

Hiroki annuì tremando, rifugiandosi nel suo petto, ancora spazioso e caldo.

Geffen lo strinse con delicatezza – “Non darti colpe quindi, anche se non dovevi correre un rischio simile, per un rottame come me” – sorrise, guardandolo di nuovo.

“Ma tu stavi male e … e volevi aiutarmi a New York, non hai esitato a dirmelo, quando hai saputo del mio trasferimento … Volevo ricambiare la tua generosità Glam” – disse triste.

Era penoso vederlo così sconvolto.
La sua indole solare e cristallina, sembrava essere stata inghiottita da un’ansia ingestibile.

“Oggi Vas ti porterà da Kiro, ok?” – aggiunse dolce, stendendosi per dormire.

“Posso restare qui Glam?”

“Certo piccolo … Prova a riposare un po’ anche tu, dopo ti sentirai meglio” – concluse a mezza voce, chiudendo le palpebre lento, ma con un bel sorriso, che rassicurò oltre modo il ragazzo, abbarbicato a lui, come se Geffen fosse uno scoglio.



Le nove trenta.
Le dieci.
Dieci e trenta.
Undici e quindici.

Lux controllò l’ora passando dalla terrazza, al salone, dal primo piano, al secondo, per poi fermarsi al terzo, della sua residenza deserta.

Fuori stava diluviando dall’alba.

“Ok mon petit, tempo scaduto e passato … Bon, me ne farò una ragione e …” – rise con le lacrime in gola – “… e magari la smetterò anche di parlare da solo” – inspirò, accendendosi una sigaretta e trangugiando un bicchiere colmo di whisky, di certo non il migliore aperitivo possibile.

Strizzò gli occhi, scuotendo la testa, sentendosi ribollire lo stomaco ancora vuoto, dopo una leggera colazione, consumata alle otto.

L’uomo ebbe un capogiro, per l’amarezza e non certo per l’alcol in circolo, sebbene volesse vedere il fondo della bottiglia.

“Un’ultima volta … un’ultima sbornia e poi basta Louis” – sospirò - “Basta fare cazzate, alla mia età, per te, così … non ha senso” – singhiozzò, senza sapere neppure cosa sarebbe potuto accadere durante il loro incontro ormai mancato.

All’apparenza.

Il suono del campanello lo fece trasalire.



Law varcò la soglia dell’ufficio di Harry con due beveroni al caffè e panna.

“Spero ti piacciano, come stai?” – lo salutò l’inglese, accomodandosi.
Avevano fissato un appuntamento di lavoro.

Un contratto nuovo ed allettante non convinceva a pieno l’attore e la consulenza di Styles poteva essergli utile.

“Ciao Jude, sì grazie, ottima scelta, ho giusto un calo di zuccheri a quest’ora” – rise, cercando la pratica.

“Sono negato per le scartoffie, come Rob … Ci siamo sempre appoggiati a Glam” – spiegò, aprendo i bicchieri.

“Già, siete ottimi clienti dello studio, come Farrell del resto …” – disse distratto dalla lettura di quel plico scritto a caratteri microscopici.

“Ci vorrebbe una lente d’ingrandimento alla Holmes!” – scherzò Jude.

“Uhm sì … buono questo brodo … Ecco, qui abbiamo un passaggio sospetto, avevi ragione, riguarda i diritti d’autore e di distribuzione … Insomma non ne ricaveresti nulla, se il film arrivasse alla sezione home video per capirci … Devono cambiare il paragrafo diciannove, mi pare ovvio” – sorrise convinto della propria affermazione.

Harry era in gamba e sicuro di sé, ma non spavaldo.
La sua educazione poteva quasi intimidire od affascinare, come si sentiva Law in quell’istante, mentre lo fissava attento.



Intirizzito e fradicio come un pulcino: Louis se ne stava appoggiato allo stipite della blindata, tenendosi chiuso il bavero del giubbino in jeans, zuppo come il resto.

Tremava e piangeva, in un modo quasi composto, senza eccessi, come cristallizzato in un’emozione, capace di non dargli vie d’uscita.

“Mon petit …”

“Io … io non volevo, davvero … e mi … mi dispiace così tanto Vincent” – balbettò, oscillando per andare verso di lui, che lo accolse veloce tra le proprie ali, stringendolo, senza esitazioni.

“Vincent …” – singhiozzò.

“E’ tutto a posto anima mia … tutto a posto, ok?” – gli sorrise, conducendolo all’interno, verso il primo bagno oltre l’ingresso.

Lux riempì svelto la vasca, passando a Boo un accappatoio e degli asciugamani, per tamponarsi i capelli gocciolanti.

Raccolse poi il suo corpo esile e nudo, immergendolo nell’acqua calda e profumata di sali speziati all’arancio e sandalo, un acquisto fatto con Louis tempo prima, durante le loro scorribande per negozi.

Erano frammenti, così cari al cuore dell’uomo, che adesso frizionava le chiome castane di quella meraviglia di persona, che era Louis, da quando era al mondo.

Un mondo che sarebbe divenuto invivibile senza Boo, pensò Vincent.

Glielo disse.

“Da ora in poi noi saremo ciò che tu vuoi: amici, complici, potremo dirci tutto e risolvere i problemi, superare gli ostacoli, senza più strapparci il cuore dal petto, come ieri, senza più torturarci, ok?” – gli mormorò dolce.

Era lacerato dalla commozione e dalla paura di perderlo.

Senza spogliarsi, entrò anche lui, trascinato da Louis, che lo abbracciò con tutta l’energia rimastagli.

“Grazie Vincent … Ti voglio bene …”

“Ed io a te … per sempre.”



La smorfia sul viso di Styles fu esaustiva.
Una fitta al fianco destro gli tolse il fiato.

Impallidì, sotto lo sguardo di Jude, che si preoccupò subito per lui.

“Harry che succede, ti senti male?”

“Sì cavoli … La mia appendice … Oh mio Dio” – e si contorse sulla poltrona, per uno spasmo ancora più insopportabile.

“Chiamo Flora, aspetta, devi andare subito in ospedale!”

“Sì … sì io chiamo Boo …”

Il suo cellulare, però, risultò irraggiungibile.

“Dove diavolo sarà andato …?!” – pensò ad alta voce Styles, come impaurito.

Si sentiva perso senza il sorriso di Louis.

Petra era ancora alla villa del nonno, vista la brutta giornata di pioggia, che impediva l’accesso al campo estivo, per l’ultima settimana di vacanza, prima dell’asilo, almeno per lei.

Harry doveva andare in tribunale, con Hopper, che lo soccorse immediato, chiamando un’ambulanza ed avvisando Steven dell’emergenza.

Marc tornò da Harry, Flora e Jude, ugualmente impegnato a cercare Robert al telefono, per chiedergli di passare a prendere le bimbe da Pam, al posto suo.

“Tesoro io vado con Harry, mi sembra spaventato … Mi raggiungi al reparto di Boydon se vuoi …”

“Ok Jude, magari chiedo a Colin e Jared di occuparsi delle bimbe, loro vanno da Meliti, penseranno anche a Diamond e Camilla, così passo dall’ospedale anch’io, vi serve qualcosa?”

“Prendi magari un cambio o due, Harry porta la mia stessa taglia direi”

Downey provò una strana sensazione, come se tra il marito e Styles ci fosse una confidenza, di cui non si era reso conto.
Fu solo un attimo.

“Rob ci sei?”

“Sì, sì, sono qui … D’accordo, passo al negozio di Ruth, poi arrivo” – e chiuse un po’ secco la chiamata, ma stava guidando e Law non diede peso alla cosa.



Le scapole sporgevano, tendendo la sua pelle diafana.
Hiroki non si era mai abbronzato sul serio nel corso della sua vita, ma forse, a Los Angeles avrebbe recuperato, rimuginò Glam, osservandolo.

Erano completamente nudi e Geffen non ricordava nulla.

“Tesoro … che abbiamo combinato?” – gli sussurrò nella nuca, facendolo sorridere.

“Avevi caldo e così ci siamo spogliati, tutto qui …” – mugugnò, raggomitolandosi più incollato di prima, a lui, che lo cinse da dietro, senza mutare la loro posizione iniziale.

“Ok … Sai mi sarebbe dispiaciuto diventare di botto così rincoglionito” – Glam rise.

“Un vero peccato …” – bisbigliò malizioso, intrecciando le loro dita sull’addome asciutto – “E’ così bello sentirti qui …” – Hiroki fece una leggera pressione sotto l’ombelico – “… e qui” – aggiunse flebile, deglutendo a vuoto, sensuale ed innocente.

Il Geffen di un tempo lo avrebbe ricoperto di baci, amandolo ripetutamente, ma già sembrava un miracolo ad entrambi, avere fatto l’amore qualche volta, dal loro primo incontro.

Forse solo una, a dire il vero.

Hiroki pensava a tutto, instancabile ed erotico, anche nel respirare.

Glam lo accarezzò tra le gambe, ritrovandolo eccitato e caldissimo.

Lo masturbò con metodo, facendolo vibrare, mentre lo stimolava esperto e generoso.
Nonostante le fitte, un po’ diffuse ovunque nella sua muscolatura, in parte consumata dalle terapie, Glam lo portò sino ad un orgasmo meraviglioso.


Hiroki si girò ansimando, nascondendosi quasi nel collo di colui il quale ormai rappresentava l’unico punto di riferimento stabile, in quell’universo di adulti, così difficile da affrontare.

Era tutto talmente incredibile, che voleva viverselo sino alla fine e lo stesso pensiero albergava nella mente di Geffen, perso quanto HIroki, in un bacio, che sembrava non volere finire mai.








 VINCENT


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