Capitolo n. 287 – zen
L’agente Costa, in
presenza di Rossi, tranquillizzò Hiroki sulle condizioni di salute di Kiro.
Fu Dave a parlarne al
giovane, su richiesta di Jared e Colin, molto preoccupati per la reazione dello
stesso.
Hiroki si sentiva
responsabile di quanto accaduto allo zio, inevitabilmente.
Leto si dimostrò
paterno ed affettuoso, confermando la sua benevolenza al nuovo amico di Geffen, che ora era rimasto da
solo con Hiroki, a consolarlo.
Erano nel living di
Palm Springs, sopra al divano, il caminetto acceso, per i brividi che stavano
tormentando l’avvocato da ore.
“Tesoro ora calmati e
dimmi la verità: è per me che hai preso quelle due siringhe, vero?”
Hiroki annuì
tremando, rifugiandosi nel suo petto, ancora spazioso e caldo.
Geffen lo strinse con
delicatezza – “Non darti colpe quindi, anche se non dovevi correre un rischio
simile, per un rottame come me” – sorrise, guardandolo di nuovo.
“Ma tu stavi male e …
e volevi aiutarmi a New York, non hai esitato a dirmelo, quando hai saputo del
mio trasferimento … Volevo ricambiare la tua generosità Glam” – disse triste.
Era penoso vederlo
così sconvolto.
La sua indole solare
e cristallina, sembrava essere stata inghiottita da un’ansia ingestibile.
“Oggi Vas ti porterà
da Kiro, ok?” – aggiunse dolce, stendendosi per dormire.
“Posso restare qui
Glam?”
“Certo piccolo … Prova
a riposare un po’ anche tu, dopo ti sentirai meglio” – concluse a mezza voce,
chiudendo le palpebre lento, ma con un bel sorriso, che rassicurò oltre modo il
ragazzo, abbarbicato a lui, come se Geffen fosse uno scoglio.
Le nove trenta.
Le dieci.
Dieci e trenta.
Undici e quindici.
Lux controllò l’ora
passando dalla terrazza, al salone, dal primo piano, al secondo, per poi
fermarsi al terzo, della sua residenza deserta.
Fuori stava
diluviando dall’alba.
“Ok mon petit, tempo
scaduto e passato … Bon, me ne farò una ragione e …” – rise con le lacrime in
gola – “… e magari la smetterò anche di parlare da solo” – inspirò,
accendendosi una sigaretta e trangugiando un bicchiere colmo di whisky, di
certo non il migliore aperitivo possibile.
Strizzò gli occhi,
scuotendo la testa, sentendosi ribollire lo stomaco ancora vuoto, dopo una
leggera colazione, consumata alle otto.
L’uomo ebbe un
capogiro, per l’amarezza e non certo per l’alcol in circolo, sebbene volesse
vedere il fondo della bottiglia.
“Un’ultima volta … un’ultima
sbornia e poi basta Louis” – sospirò - “Basta fare cazzate, alla mia età, per
te, così … non ha senso” – singhiozzò, senza sapere neppure cosa sarebbe potuto
accadere durante il loro incontro ormai mancato.
All’apparenza.
Il suono del
campanello lo fece trasalire.
Law varcò la soglia
dell’ufficio di Harry con due beveroni al caffè e panna.
“Spero ti piacciano,
come stai?” – lo salutò l’inglese, accomodandosi.
Avevano fissato un
appuntamento di lavoro.
Un contratto nuovo ed
allettante non convinceva a pieno l’attore e la consulenza di Styles poteva
essergli utile.
“Ciao Jude, sì
grazie, ottima scelta, ho giusto un calo di zuccheri a quest’ora” – rise,
cercando la pratica.
“Sono negato per le
scartoffie, come Rob … Ci siamo sempre appoggiati a Glam” – spiegò, aprendo i
bicchieri.
“Già, siete ottimi
clienti dello studio, come Farrell del resto …” – disse distratto dalla lettura
di quel plico scritto a caratteri microscopici.
“Ci vorrebbe una
lente d’ingrandimento alla Holmes!” – scherzò Jude.
“Uhm sì … buono
questo brodo … Ecco, qui abbiamo un passaggio sospetto, avevi ragione, riguarda
i diritti d’autore e di distribuzione … Insomma non ne ricaveresti nulla, se il
film arrivasse alla sezione home video per capirci … Devono cambiare il
paragrafo diciannove, mi pare ovvio” – sorrise convinto della propria
affermazione.
Harry era in gamba e
sicuro di sé, ma non spavaldo.
La sua educazione
poteva quasi intimidire od affascinare, come si sentiva Law in quell’istante,
mentre lo fissava attento.
Intirizzito e
fradicio come un pulcino: Louis se ne stava appoggiato allo stipite della
blindata, tenendosi chiuso il bavero del giubbino in jeans, zuppo come il
resto.
Tremava e piangeva,
in un modo quasi composto, senza eccessi, come cristallizzato in un’emozione,
capace di non dargli vie d’uscita.
“Mon petit …”
“Io … io non volevo,
davvero … e mi … mi dispiace così tanto Vincent” – balbettò, oscillando per
andare verso di lui, che lo accolse veloce tra le proprie ali, stringendolo,
senza esitazioni.
“Vincent …” –
singhiozzò.
“E’ tutto a posto
anima mia … tutto a posto, ok?” – gli sorrise, conducendolo all’interno, verso
il primo bagno oltre l’ingresso.
Lux riempì svelto la
vasca, passando a Boo un accappatoio e degli asciugamani, per tamponarsi i
capelli gocciolanti.
Raccolse poi il suo
corpo esile e nudo, immergendolo nell’acqua calda e profumata di sali speziati
all’arancio e sandalo, un acquisto fatto con Louis tempo prima, durante le loro
scorribande per negozi.
Erano frammenti, così
cari al cuore dell’uomo, che adesso frizionava le chiome castane di quella
meraviglia di persona, che era Louis, da quando era al mondo.
Un mondo che sarebbe divenuto
invivibile senza Boo, pensò Vincent.
Glielo disse.
“Da ora in poi noi
saremo ciò che tu vuoi: amici, complici, potremo dirci tutto e risolvere i
problemi, superare gli ostacoli, senza più strapparci il cuore dal petto, come
ieri, senza più torturarci, ok?” – gli mormorò dolce.
Era lacerato dalla
commozione e dalla paura di perderlo.
Senza spogliarsi,
entrò anche lui, trascinato da Louis, che lo abbracciò con tutta l’energia rimastagli.
“Grazie Vincent … Ti
voglio bene …”
“Ed io a te … per
sempre.”
La smorfia sul viso
di Styles fu esaustiva.
Una fitta al fianco
destro gli tolse il fiato.
Impallidì, sotto lo
sguardo di Jude, che si preoccupò subito per lui.
“Harry che succede,
ti senti male?”
“Sì cavoli … La mia
appendice … Oh mio Dio” – e si contorse sulla poltrona, per uno spasmo ancora
più insopportabile.
“Chiamo Flora,
aspetta, devi andare subito in ospedale!”
“Sì … sì io chiamo
Boo …”
Il suo cellulare,
però, risultò irraggiungibile.
“Dove diavolo sarà
andato …?!” – pensò ad alta voce Styles, come impaurito.
Si sentiva perso
senza il sorriso di Louis.
Petra era ancora alla
villa del nonno, vista la brutta giornata di pioggia, che impediva l’accesso al
campo estivo, per l’ultima settimana di vacanza, prima dell’asilo, almeno per
lei.
Harry doveva andare
in tribunale, con Hopper, che lo soccorse immediato, chiamando un’ambulanza ed
avvisando Steven dell’emergenza.
Marc tornò da Harry,
Flora e Jude, ugualmente impegnato a cercare Robert al telefono, per chiedergli
di passare a prendere le bimbe da Pam, al posto suo.
“Tesoro io vado con
Harry, mi sembra spaventato … Mi raggiungi al reparto di Boydon se vuoi …”
“Ok Jude, magari
chiedo a Colin e Jared di occuparsi delle bimbe, loro vanno da Meliti,
penseranno anche a Diamond e Camilla, così passo dall’ospedale anch’io, vi
serve qualcosa?”
“Prendi magari un
cambio o due, Harry porta la mia stessa taglia direi”
Downey provò una
strana sensazione, come se tra il marito e Styles ci fosse una confidenza, di
cui non si era reso conto.
Fu solo un attimo.
“Rob ci sei?”
“Sì, sì, sono qui … D’accordo,
passo al negozio di Ruth, poi arrivo” – e chiuse un po’ secco la chiamata, ma
stava guidando e Law non diede peso alla cosa.
Le scapole
sporgevano, tendendo la sua pelle diafana.
Hiroki non si era mai
abbronzato sul serio nel corso della sua vita, ma forse, a Los Angeles avrebbe
recuperato, rimuginò Glam, osservandolo.
Erano completamente
nudi e Geffen non ricordava nulla.
“Tesoro … che abbiamo
combinato?” – gli sussurrò nella nuca, facendolo sorridere.
“Avevi caldo e così
ci siamo spogliati, tutto qui …” – mugugnò, raggomitolandosi più incollato di
prima, a lui, che lo cinse da dietro, senza mutare la loro posizione iniziale.
“Ok … Sai mi sarebbe
dispiaciuto diventare di botto così rincoglionito” – Glam rise.
“Un vero peccato …” –
bisbigliò malizioso, intrecciando le loro dita sull’addome asciutto – “E’ così
bello sentirti qui …” – Hiroki fece una leggera pressione sotto l’ombelico – “…
e qui” – aggiunse flebile, deglutendo a vuoto, sensuale ed innocente.
Il Geffen di un tempo
lo avrebbe ricoperto di baci, amandolo ripetutamente, ma già sembrava un miracolo
ad entrambi, avere fatto l’amore qualche volta, dal loro primo incontro.
Forse solo una, a
dire il vero.
Hiroki pensava a
tutto, instancabile ed erotico, anche nel respirare.
Glam lo accarezzò tra
le gambe, ritrovandolo eccitato e caldissimo.
Lo masturbò con
metodo, facendolo vibrare, mentre lo stimolava esperto e generoso.
Nonostante le fitte,
un po’ diffuse ovunque nella sua muscolatura, in parte consumata dalle terapie,
Glam lo portò sino ad un orgasmo meraviglioso.
Hiroki si girò
ansimando, nascondendosi quasi nel collo di colui il quale ormai rappresentava
l’unico punto di riferimento stabile, in quell’universo di adulti, così
difficile da affrontare.
Era tutto talmente
incredibile, che voleva viverselo sino alla fine e lo stesso pensiero albergava
nella mente di Geffen, perso quanto HIroki, in un bacio, che sembrava non
volere finire mai.
VINCENT
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