Capitolo n. 191 – zen
Il cellulare di Brent
suonò.
Un sms
§ Ciao … §
Era Brendan.
Il ragazzo rispose,
con un semplice ciao.
Un altro trillo.
§
Tutto a posto? Sei arrivato sano e salvo? §
A seguire una faccina
sorridente.
Brent replicò con un
semplice sì.
Trascorsero un paio
di minuti ed il capitano risentì in gola le pulsazioni, come quando se ne era
andato dal loft dell’analista.
Ancora un suono.
Brent sorrise.
§
La tua loquacità mi impressiona … Sale al primo posto nelle cose che mi
piacciono di te §
A chiudere una
linguaccia.
Brent rise.
E lo chiamò.
“Scusa … è che non
sono abituato a scrivere molto …”
“Ok ti perdono Brent”
“Stai fumando?”
“Sì … non dirmi che
senti l’odore delle mie Camel” – e rise, a propria volta.
Era agitato come uno
scolaretto, fumare era il minimo.
“No, lo capisco da
come respiri Brendan” – spiegò apparentemente calmo.
“Accidenti …” – e l’uomo
prese un’altra boccata, per poi schiacciare la sigaretta nel posacenere, sopra
il tavolino del living.
“Ok … l’ho spenta
Brent … Spero di non averti svegliato”
“Veramente soffro di
insonnia, forse per i turni di guardia, l’agitazione di non sentire l’allarme
per il cambio …”
“Passerà”
“Credi?” – divenne serio.
“Te lo auguro, anche
se si resta segnati da alcune cose, durante la nostra vita e sembra proprio di
non riuscire a scrollarsele di dosso …” – ribatté assorto.
“Capita anche a te?” –
Brent sorrise.
“Sì.”
“Dio che sonno … Cosa
ci hanno dato?”
Farrell si lamentò,
attaccato a due flebo e monitorato, in una camera sterile ed inaccessibile,
accanto a Geffen, sottoposto al medesimo trattamento.
“Non ne ho idea Colin
… Mi fa male la schiena, forse dovrei dirglielo”
“A me no … Le gambe,
in compenso, sono un formicolio continuo … cazzo!” – e tossì.
Glam si illuminò di
un sorriso – “Ehi guarda chi c’è …” – mormorò, indicando il vetro.
Contro lo stesso,
come stampati, stavano i palmi di Jared e tutto il resto di lui, divorato dall’angoscia
per entrambi ed il senso di colpa, per non avere espresso a Geffen tutta la
propria ansia e considerazione, per quella scelta, che in molti ritenevano
rischiosa.
Colin gli fece un
cenno, affinché prendesse la cornetta dell’interfono.
Leto capì e li salutò
subito.
“Ciao … Come procede?”
“Bene amore”
“Non può sentirti Colin,
se non schiacci questo”
Avevano una
pulsantiera accanto alla mano libera da aghi e sensori, ma quella dell’attore
era scivolata dalla lettiga e penzolava.
“Miseria Glam …”
“Aspetta, usiamo la
mia … Prova un po’ a parlare …”
“Jay mi senti?”
Il cantante annuì.
“Ci devono avere dato
un sedativo …” – gli spiegò il marito.
L’avvocato
intervenne, dopo che Jared lo puntò, per avere presumibilmente una replica
anche da lui.
“Per me siamo
rincoglioniti di nostro, niente di nuovo” – e rise tirato.
Colin gli fece una
pernacchia.
“In ogni caso
protesterò perché potevano almeno darci un letto matrimoniale, giusto irish
buddy?”
“Sì come no …” – ed intanto
Farrell avvampò.
Jared rise,
finalmente – “Siete impossibili”
“E’ geloso …” –
bisbigliò Geffen, ma poi rivolse a Leto una delle sue occhiate, così cariche d’amore,
da gridare nel silenzio.
“I bimbi vi salutano
e vi mandano questi” – e mostrò dei disegni buffi.
I due pazienti si
commossero.
Arrivò un’infermiera,
a decretare la fine di quella conversazione.
Jared strinse forte
quel pezzo di plastica, unico mezzo per comunicare con gli amori della sua
intera esistenza – “State tranquilli … Ok? … Ti amo tanto Cole …”
“Ti amo anch’io Jay”
“Ciao Glam … Ti … ti
voglio bene”
“Lo so …” – disse
pacato – “Ti voglio bene Jared.”
Jim si fece una lunga
doccia.
Hugh lo stava
aspettando nel suo studio, che l’oncologo non aveva mai lasciato, da quando
Nasir era stato ricoverato.
Tornò da lui, in
accappatoio, il volto affondato nell’asciugamano, con il quale si era tamponato
anche i capelli.
Laurie prese il phon
dal cassetto della scrivania, dove il compagno teneva lo stretto necessario per
l’igiene personale e gli si avvicinò.
“Siediti … Guarda che
poi mi paghi, un hair stylist come me non lo troveresti neppure a New York,
sai?” – disse piano, per non ledere quella sottile barriera, creatasi tra di
loro, per via della tensione accumulata.
Era come se li
proteggesse, seppure li tenesse distanti ed arrabbiati con la fatalità di quei
giorni orrendi.
“Metti in conto Hugh …”
– replicò stanco, ma non senza dargli una carezza sui fianchi, mentre lo
psicologo gli stava in piedi davanti, per pettinarlo.
“Dio quanti ne hai …”
“Cosa?”
“Mi riferivo alla tua
parrucca” – e si sforzò di sorridere.
“Ah … quella … sì, me
ne faccio mandare una da Chicago ad ogni Natale” – scherzò lieve ed un po’
distratto, da troppi pensieri tristi.
“Chicago? Vi ci
porto, a te ed al nostro Nasir, appena ne saremo fuori, perché noi tre ce la
faremo, ok?” – decretò con una sicurezza spiazzante.
Si guardarono.
Laurie si
inginocchiò, rifugiandosi nell’abbraccio di Jim, che lo cullò, baciandolo poi
intensamente.
“Ti amo da impazzire
Hugh e non vedo l’ora di andarci con il nostro cucciolo …”
Due lacrime rigarono
i suoi zigomi asciutti; Laurie gliele asciugò con i pollici, arridendo a quella
prospettiva con lo sguardo colmo di fiducia, anche se il suo pessimismo era da
sempre una peculiarità dura ad estinguersi.
Per Nasir, però,
tutto era cambiato.
Louis andò a trovarlo
prima della solita lezione all’università.
Lux rispose al
citofono un po’ frastornato; forse stava ancora riposando profondamente.
Era presto.
“Oui …?”
“Vincent sono io …” –
e fece un sorriso verso la telecamera.
“Mon petit … Che ore
sono?”
“Sette e trenta,
posso salire?”
“Certo … Vieni” – e gli
aprì.
Indossava boxer e
camicia bianchi, i primi aderenti, la seconda aperta sul busto scolpito e
tatuato, il tutto esaltato da un’abbronzatura dorata ed invidiabile: il fisico
del francese era tonico e vibrante, anche se si limitava a gironzolare scalzo,
per l’immenso salone, dove Louis portò quella luce inconfondibile, dono dei
suoi anni e della sua indole adorabile.
“Vuoi un caffè
tesoro?” – e gli fece strada verso la cucina.
Louis sembrava quasi
rincorrerlo – “Sì, grazie …!”
“Notizie dall’ospedale?”
– chiese preparando la moka.
“Nasir è stabile,
Glam e Colin tra poco andranno sotto i ferri … Me l’ha detto Brent, perché ha
parlato con Brendan …”
“Ok … Quei due se la
intendono” – abbozzò un po’ mascalzone.
“Forse …” – Lou deglutì
a vuoto, dopo averse sorseggiato il suo bicchiere di latte, che Lux ricordava
essere una sua preferenza appena alzato.
“Amore a prima vista,
impressione personale, ma … Ci potrei puntare un bel centone”
“Non scommetto su mio
fratello … E’ appena uscito da una relazione … con Matt” – ribatté turbato.
“Non era così
importante, se no sarebbe finita in maniera diversa” – bissò diretto, fissandolo,
ma senza alcuna allusione, anche se poteva sembrare il contrario.
“Probabile Vincent …Sei
di cattivo umore …?”
“No, anzi … Sono
felice quando mi fai visita, cerca di non perdere l’abitudine” – e si accese un
sigaro.
“Cavoli che fai?”
“Fumo”
“Eh lo vedo, ma peggiori,
cosa sono quelli?” – chiese preoccupato, andandogli accanto.
Lux si scostò, con
naturalezza, andando ad aprire l’ampia finestra sul giardino interno.
“Sono un vizio,
Louis, ne ho parecchi, anche se li ho trascurati da un pezzo …”
“Vizi, quali vizi?”
“Mon Dieu …”
“Mon Dieu un cazzo!”
Lux strabuzzò gli
occhi, anche in maniera buffa – “Mon petit che ti prende? Il cattivo umore mi
sa che è un tuo problema …” – ironizzò, dandogli un buffetto e riponendo l’avana
in una ciotola di alabastro – “Questo lo finisco dopo, quando mamma chioccia
sarà andata a scuola …”
“Io ero passato per
dirti delle cose e cosa trovo?”
“E cosa … trovi?” – e
calcò il suo accento, avvicinandosi troppo al viso di Louis, che non si mosse
di un millimetro.
“Ecco …”
“Mi fai certe scenate
Louis …” – e lo avvolse, dandogli un bacio sulla tempia destra.
“Se succede è perché ci
tengo a te …”
“Non volevo essere …
pesante …” – e tornarono a scrutarsi, senza interrompere il contatto.
“Anche volendo non ci
riusciresti … Tu risolvi i problemi, tu … tu ci sei Vincent” – disse sincero,
ma flebile.
Aveva il timore di
andare oltre, di dire cose che sentiva, ma che non voleva ripetere, per non
ferire quell’uomo, ancora lacerato dalla loro separazione.
Gli avvenimenti degli
ultimi giorni, sembravano avere mutato il disagio e, forse, reso più
accettabile il dolore, per non essersi dati un’ulteriore possibilità.
Invece sbagliavano.
Lux tornò verso la
penisola, per versare le bevande calde.
“Ti ascolto, mon
petit” – disse concentrato su ciò che stava facendo, pur di non incontrare e
perdersi ancora negli occhi di Louis.
“Era per … per il
ristorante di Brent … Entrerò in società con lui e non prenderò la casa, per
adesso … Harry è d’accordo”
Vincent immaginò le
sensazioni di Haz, senza credere molto alla versione di Louis.
“Ti ho già detto che”
“So quello che mi hai
detto Vincent, ma a me sembra giusto fare così, perché avevo persino pensato di
renderti quel denaro, provando a cavarmela da solo e”
“Così mi offendi!” –
lo interruppe brusco.
“Vincent io …”
“Credi di non
meritarti la mia benevolenza? O che la stessa fosse merce di scambio con la tua
presenza ed il resto?” – sbottò cattivo.
Ed ingiusto,
pentendosene all’istante.
Era il suo
temperamento e Louis doveva abituarsi, non c’era alternativa.
“Il … il resto era la
nostra storia d’amore … O l’ha dimenticato?” – replicò smarrito il giovane, con
il tono spezzato, come ogni suo respiro, adesso.
Lux avrebbe preferito
sprofondare.
“Non dimenticherò un
solo minuto di quanto abbiamo condiviso, ok Louis?” – affermò sconvolto, poi
proseguì, dopo essersi ossigenato – “Il fatto è che fa ancora troppo male, mon
petit, non posso farci niente.”
“Non pretenderei mai
il contrario, te lo assicuro” – ed annullando quell’esiguo spazio tra loro,
Louis cercò nuovamente il suo abbraccio, ma Lux sgusciò via, congedandolo
laconicamente.
“Ho un impegno Lou,
devo andare, buona fortuna per i vostri progetti. Salutami Harry e Brent.”
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