lunedì 30 settembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 191

 Capitolo n. 191 – zen


Il cellulare di Brent suonò.
Un sms

§ Ciao … §
Era Brendan.

Il ragazzo rispose, con un semplice ciao.
Un altro trillo.
§ Tutto a posto? Sei arrivato sano e salvo? §
A seguire una faccina sorridente.

Brent replicò con un semplice sì.
Trascorsero un paio di minuti ed il capitano risentì in gola le pulsazioni, come quando se ne era andato dal loft dell’analista.

Ancora un suono.
Brent sorrise.

§ La tua loquacità mi impressiona … Sale al primo posto nelle cose che mi piacciono di te §

A chiudere una linguaccia.

Brent rise.
E lo chiamò.

“Scusa … è che non sono abituato a scrivere molto …”
“Ok ti perdono Brent”
“Stai fumando?”
“Sì … non dirmi che senti l’odore delle mie Camel” – e rise, a propria volta.
Era agitato come uno scolaretto, fumare era il minimo.

“No, lo capisco da come respiri Brendan” – spiegò apparentemente calmo.
“Accidenti …” – e l’uomo prese un’altra boccata, per poi schiacciare la sigaretta nel posacenere, sopra il tavolino del living.
“Ok … l’ho spenta Brent … Spero di non averti svegliato”
“Veramente soffro di insonnia, forse per i turni di guardia, l’agitazione di non sentire l’allarme per il cambio …”
“Passerà”
“Credi?” – divenne serio.
“Te lo auguro, anche se si resta segnati da alcune cose, durante la nostra vita e sembra proprio di non riuscire a scrollarsele di dosso …” – ribatté assorto.
“Capita anche a te?” – Brent sorrise.
“Sì.”


“Dio che sonno … Cosa ci hanno dato?”
Farrell si lamentò, attaccato a due flebo e monitorato, in una camera sterile ed inaccessibile, accanto a Geffen, sottoposto al medesimo trattamento.

“Non ne ho idea Colin … Mi fa male la schiena, forse dovrei dirglielo”
“A me no … Le gambe, in compenso, sono un formicolio continuo … cazzo!” – e tossì.
Glam si illuminò di un sorriso – “Ehi guarda chi c’è …” – mormorò, indicando il vetro.
Contro lo stesso, come stampati, stavano i palmi di Jared e tutto il resto di lui, divorato dall’angoscia per entrambi ed il senso di colpa, per non avere espresso a Geffen tutta la propria ansia e considerazione, per quella scelta, che in molti ritenevano rischiosa.

Colin gli fece un cenno, affinché prendesse la cornetta dell’interfono.
Leto capì e li salutò subito.

“Ciao … Come procede?”
“Bene amore”
“Non può sentirti Colin, se non schiacci questo”
Avevano una pulsantiera accanto alla mano libera da aghi e sensori, ma quella dell’attore era scivolata dalla lettiga e penzolava.

“Miseria Glam …”
“Aspetta, usiamo la mia … Prova un po’ a parlare …”
“Jay mi senti?”
Il cantante annuì.

“Ci devono avere dato un sedativo …” – gli spiegò il marito.
L’avvocato intervenne, dopo che Jared lo puntò, per avere presumibilmente una replica anche da lui.

“Per me siamo rincoglioniti di nostro, niente di nuovo” – e rise tirato.
Colin gli fece una pernacchia.
“In ogni caso protesterò perché potevano almeno darci un letto matrimoniale, giusto irish buddy?”
“Sì come no …” – ed intanto Farrell avvampò.

Jared rise, finalmente – “Siete impossibili”
“E’ geloso …” – bisbigliò Geffen, ma poi rivolse a Leto una delle sue occhiate, così cariche d’amore, da gridare nel silenzio.

“I bimbi vi salutano e vi mandano questi” – e mostrò dei disegni buffi.
I due pazienti si commossero.
Arrivò un’infermiera, a decretare la fine di quella conversazione.

Jared strinse forte quel pezzo di plastica, unico mezzo per comunicare con gli amori della sua intera esistenza – “State tranquilli … Ok? … Ti amo tanto Cole …”
“Ti amo anch’io Jay”
“Ciao Glam … Ti … ti voglio bene”
“Lo so …” – disse pacato – “Ti voglio bene Jared.”


Jim si fece una lunga doccia.
Hugh lo stava aspettando nel suo studio, che l’oncologo non aveva mai lasciato, da quando Nasir era stato ricoverato.
Tornò da lui, in accappatoio, il volto affondato nell’asciugamano, con il quale si era tamponato anche i capelli.

Laurie prese il phon dal cassetto della scrivania, dove il compagno teneva lo stretto necessario per l’igiene personale e gli si avvicinò.

“Siediti … Guarda che poi mi paghi, un hair stylist come me non lo troveresti neppure a New York, sai?” – disse piano, per non ledere quella sottile barriera, creatasi tra di loro, per via della tensione accumulata.
Era come se li proteggesse, seppure li tenesse distanti ed arrabbiati con la fatalità di quei giorni orrendi.

“Metti in conto Hugh …” – replicò stanco, ma non senza dargli una carezza sui fianchi, mentre lo psicologo gli stava in piedi davanti, per pettinarlo.
“Dio quanti ne hai …”
“Cosa?”
“Mi riferivo alla tua parrucca” – e si sforzò di sorridere.
“Ah … quella … sì, me ne faccio mandare una da Chicago ad ogni Natale” – scherzò lieve ed un po’ distratto, da troppi pensieri tristi.

“Chicago? Vi ci porto, a te ed al nostro Nasir, appena ne saremo fuori, perché noi tre ce la faremo, ok?” – decretò con una sicurezza spiazzante.
Si guardarono.
Laurie si inginocchiò, rifugiandosi nell’abbraccio di Jim, che lo cullò, baciandolo poi intensamente.
“Ti amo da impazzire Hugh e non vedo l’ora di andarci con il nostro cucciolo …”
Due lacrime rigarono i suoi zigomi asciutti; Laurie gliele asciugò con i pollici, arridendo a quella prospettiva con lo sguardo colmo di fiducia, anche se il suo pessimismo era da sempre una peculiarità dura ad estinguersi.
Per Nasir, però, tutto era cambiato.


Louis andò a trovarlo prima della solita lezione all’università.
Lux rispose al citofono un po’ frastornato; forse stava ancora riposando profondamente.
Era presto.

“Oui …?”
“Vincent sono io …” – e fece un sorriso verso la telecamera.
“Mon petit … Che ore sono?”
“Sette e trenta, posso salire?”
“Certo … Vieni” – e gli aprì.

Indossava boxer e camicia bianchi, i primi aderenti, la seconda aperta sul busto scolpito e tatuato, il tutto esaltato da un’abbronzatura dorata ed invidiabile: il fisico del francese era tonico e vibrante, anche se si limitava a gironzolare scalzo, per l’immenso salone, dove Louis portò quella luce inconfondibile, dono dei suoi anni e della sua indole adorabile.

“Vuoi un caffè tesoro?” – e gli fece strada verso la cucina.
Louis sembrava quasi rincorrerlo – “Sì, grazie …!”

“Notizie dall’ospedale?” – chiese preparando la moka.
“Nasir è stabile, Glam e Colin tra poco andranno sotto i ferri … Me l’ha detto Brent, perché ha parlato con Brendan …”
“Ok … Quei due se la intendono” – abbozzò un po’ mascalzone.
“Forse …” – Lou deglutì a vuoto, dopo averse sorseggiato il suo bicchiere di latte, che Lux ricordava essere una sua preferenza appena alzato.

“Amore a prima vista, impressione personale, ma … Ci potrei puntare un bel centone”
“Non scommetto su mio fratello … E’ appena uscito da una relazione … con Matt” – ribatté turbato.
“Non era così importante, se no sarebbe finita in maniera diversa” – bissò diretto, fissandolo, ma senza alcuna allusione, anche se poteva sembrare il contrario.

“Probabile Vincent …Sei di cattivo umore …?”
“No, anzi … Sono felice quando mi fai visita, cerca di non perdere l’abitudine” – e si accese un sigaro.
“Cavoli che fai?”
“Fumo”
“Eh lo vedo, ma peggiori, cosa sono quelli?” – chiese preoccupato, andandogli accanto.
Lux si scostò, con naturalezza, andando ad aprire l’ampia finestra sul giardino interno.

“Sono un vizio, Louis, ne ho parecchi, anche se li ho trascurati da un pezzo …”
“Vizi, quali vizi?”
“Mon Dieu …”
“Mon Dieu un cazzo!”

Lux strabuzzò gli occhi, anche in maniera buffa – “Mon petit che ti prende? Il cattivo umore mi sa che è un tuo problema …” – ironizzò, dandogli un buffetto e riponendo l’avana in una ciotola di alabastro – “Questo lo finisco dopo, quando mamma chioccia sarà andata a scuola …”
“Io ero passato per dirti delle cose e cosa trovo?”
“E cosa … trovi?” – e calcò il suo accento, avvicinandosi troppo al viso di Louis, che non si mosse di un millimetro.
“Ecco …”
“Mi fai certe scenate Louis …” – e lo avvolse, dandogli un bacio sulla tempia destra.
“Se succede è perché ci tengo a te …”
“Non volevo essere … pesante …” – e tornarono a scrutarsi, senza interrompere il contatto.
“Anche volendo non ci riusciresti … Tu risolvi i problemi, tu … tu ci sei Vincent” – disse sincero, ma flebile.
Aveva il timore di andare oltre, di dire cose che sentiva, ma che non voleva ripetere, per non ferire quell’uomo, ancora lacerato dalla loro separazione.

Gli avvenimenti degli ultimi giorni, sembravano avere mutato il disagio e, forse, reso più accettabile il dolore, per non essersi dati un’ulteriore possibilità.

Invece sbagliavano.

Lux tornò verso la penisola, per versare le bevande calde.
“Ti ascolto, mon petit” – disse concentrato su ciò che stava facendo, pur di non incontrare e perdersi ancora negli occhi di Louis.
“Era per … per il ristorante di Brent … Entrerò in società con lui e non prenderò la casa, per adesso … Harry è d’accordo”

Vincent immaginò le sensazioni di Haz, senza credere molto alla versione di Louis.

“Ti ho già detto che”
“So quello che mi hai detto Vincent, ma a me sembra giusto fare così, perché avevo persino pensato di renderti quel denaro, provando a cavarmela da solo e”
“Così mi offendi!” – lo interruppe brusco.
“Vincent io …”
“Credi di non meritarti la mia benevolenza? O che la stessa fosse merce di scambio con la tua presenza ed il resto?” – sbottò cattivo.
Ed ingiusto, pentendosene all’istante.

Era il suo temperamento e Louis doveva abituarsi, non c’era alternativa.

“Il … il resto era la nostra storia d’amore … O l’ha dimenticato?” – replicò smarrito il giovane, con il tono spezzato, come ogni suo respiro, adesso.

Lux avrebbe preferito sprofondare.
“Non dimenticherò un solo minuto di quanto abbiamo condiviso, ok Louis?” – affermò sconvolto, poi proseguì, dopo essersi ossigenato – “Il fatto è che fa ancora troppo male, mon petit, non posso farci niente.”
“Non pretenderei mai il contrario, te lo assicuro” – ed annullando quell’esiguo spazio tra loro, Louis cercò nuovamente il suo abbraccio, ma Lux sgusciò via, congedandolo laconicamente.

“Ho un impegno Lou, devo andare, buona fortuna per i vostri progetti. Salutami Harry e Brent.”









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