Capitolo n. 175 – zen
Louis posò lo zaino
nell’ingresso.
“Non mi hai ancora
detto come è andato l’esame, mon petit?” – gli chiese Vincent dal living,
mentre stava cercando qualcosa in un cassetto.
“Spero meglio dell’altra
volta” – replicò Lou sorridendo e curiosando un istante dopo, cingendo Lux alle
spalle, nel medesimo secretaire.
“Cosa cerchi?”
“Il biglietto da
visita di un ottimo ristorante sulla costa, dobbiamo festeggiare” – e di voltò
radioso, stampando un bacio sulla guancia del ragazzo, che aggrottò la fronte
spaziosa.
“Festeggiamo …?”
“La tua promozione,
insomma il buon esito della prova, non ho dubbi in merito” – ed avvolgendolo,
iniziò a comporre il numero del locale, dopo averne scovato l’elegante brochure.
“Credevo rimanessimo
a casa” – mormorò innocente, non certo quanto il bacio, che audace, posò nel
collo dell’uomo.
Vincent perse un
battito.
E riattaccò
immediato.
“Non siamo obbligati,
Louis, però mi andava di uscire … Mi lusingano gli sguardi invidiosi degli
altri, sarò stupido …”
“No, hai ragione” –
gli sorrise, distaccandosi piano dal suo busto ben tonico e rivelato dalla
camicia aderente.
Louis si sfilò
maglione e t-shirt insieme – “Vado a farmi una doccia, poi semmai decidiamo …
Io non sono convinto” – rise vivace, poi corse su dalle scale.
“Mon petit non …!” –
Lux si interruppe, scuotendo il capo pensieroso – “… non correre …” – sussurrò –
“… Ok, non sei mio figlio, però ti amo anche in quel modo Louis …”
Gli sarebbe piaciuto
telefonare a Geffen, per consigliarsi ulteriormente, ma poi si sentì ridicolo:
mai avuto bisogno di sostegni psicologici quando si trattava di avere una
relazione, anche clandestina o temporanea.
In quei casi, certo,
ma qui si trattava di Louis, dell’amore più grande e profondo gli fosse
germogliato da un cuore, che Lux pensava ormai di pietra, arido quanto un
deserto, disincantato, deluso.
In realtà, non
aspettava che morire, per raggiungere Jacques e per questo era andato in
analisi per due anni, dopo la scomparsa del figlio, a Parigi, senza trarne
alcun giovamento.
La California gli
sembrò così piena di sole, di persone spesso eccentriche, la mecca del cinema
lo affascinava, tanto da produrre un paio di lavori indipendenti, di cui
nessuno si ricordava.
Esperimenti dai quali
Vincent prese le distanze in fretta, prima di buttarsi via in festini a base di
cocaina e prostitute di alto bordo od attricette in cerca di ingaggi,
esperienze che il francese aveva appena lambito, defilandosi senza rimpianti.
“Vincent ehi ho un
problema! Puoi salire?”
La voce del giovane
interruppe quella breve rimembranza, tanto da farlo sussultare.
Lux si impose la
calma, non doveva essere apprensivo, non doveva assolutamente lasciare
trapelare i propri turbamenti, perché Louis ne sarebbe fuggito, sentendosi
soffocare: almeno questa fu la deduzione dell’affarista, ormai giunto a
destinazione.
“Che succede?”
“Puoi entrare,
subito, subito” – rise.
Vincent si spogliò,
accontentandolo.
I getti d’acqua erano
tiepidi, piacevoli.
Le luci spente,
tranne quella del grande specchio, davanti al quale Louis si era guardato i
tatuaggi, prima di lavarsi: ognuno di essi era collegato a quelli che Harry
aveva sulla pelle.
Una pelle, che
adesso, Louis non voleva ricordare.
“Piccolo io credevo
che …” – Lux era a corto di ossigeno.
Lou si tirò indietro
i capelli fradici, come il resto, fissandolo, senza dargli scampo.
“Devo spiegarti
quanto ti voglio, Vincent?” – chiese con un candore spiazzante, consapevole di
quanto fosse sensuale.
“No … Sono abbastanza
grande e navigato per comprendere ogni tuo respiro, ogni dettaglio, nei tuoi
sorrisi, nelle tue carezze …” – e gliene posò una sulla guancia destra, con la
mano sinistra, che presto scese al petto di Lou, altrettanto carente d’aria,
così da ansimare appena i suoi capezzoli turgidi vennero ingabbiati da quelle
dita esperte.
Vincent glieli prese
entrambi, poi lo baciò, incrociando le braccia dietro al busto di Louis, che
gemette, scontrandosi con la lingua dell’amante, con il suo bacino più robusto,
anche se di poco, con i suoi anni, la sua esperienza, anche se non omosessuale.
Mai.
Era la prima volta
per Lux.
Lo abbracciò a
propria volta, con le ali più minute, ma muscolose: Vincent prese fiato,
staccandosi di poco, ma senza mai smettere di leccare le labbra di Louis, che
rispondeva con ansiti, lievi morsi, guardando Lux, vivendolo, senza pudore,
come se una simbiosi chimica e fisica si fosse impossessata di entrambi.
Erano compiuti,
realizzati.
Abbandonarono quegli
zampilli, rotolando sui tappeti di spugna pregiata.
Louis sotto, Vincent
tra le sue gambe, schiuse ed un poco oscene.
Le lastre intorno
rimandavano immagini scabrose, invitanti, in un crescendo di lascivia e
promesse da mantenere e soddisfare, senza più remore.
Lux si mise in
ginocchio, per ammirare il suo ragazzino: gli infilò i pollici in bocca, poi
gli indici, brandendo il suo volto bagnato e lucido, come i rispettivi sguardi.
Iniziò a masturbarlo
con la destra, mentre con le falangi mancine non esitò ad esplorare la fessura
di Louis, che urlò piano, mordendo la stoffa della camicia di Lux, sulla quale
erano crollati, ebbri di appartenenza e possesso.
Un gel venne in aiuto
a Vincent, senza alcuna premeditazione.
Lui non esitò, se non
per la cura con cui cominciò ad entrargli dentro, senza cedere ad una bramosia
di averlo, che lo stava soffocando.
Tranne che nel buon
senso, nell’amorevole attenzione, che riservava al suo petit, ormai al culmine
dell’abbandono e dell’accettazione del corpo sconosciuto di Vincent.
Fu totalizzante
sentirselo arrivare contro le pareti, nel dilatarsi di ogni membrana, di ogni
anello del proprio canale, avido di emozioni e di un amplesso, che Louis si
augurava prolungato al massimo.
Era ingordo,
disponibile, gli piaceva il sesso, elemento mai celato ad Harry …
§
Cazzo no! … No, non devo pensarci … a lui … che sia § - …
“Haa!!”
Un colpo di reni, lo
fece arrivare in fondo, ma Lux non si fermò, cinturandolo per sollevarlo e
lasciarlo avvinghiare a sé, come un naufrago in balia di una tempesta senza
fine.
Louis non si era
fermato, nel suo ondeggiare: se prima accadeva sopra a quel vaporoso giaciglio,
adesso era Lux che, facendo leva sui glutei del ragazzo, gli permetteva di
cavalcarlo senza alcuna fatica.
I denti di Vincent
erano affondati nella carne tenera del suo collo, il suo sudore si mescolava a
quello di Louis, così i reciproci umori.
Lux si insinuò, per
toccarlo e farlo venire con lui.
“Ecc … eccomi …!”
Lo baciò furente,
debordante, come il suo sperma, che sembrava non finire mai.
Louis non era ancora
pronto.
Così Vincent lo girò,
mettendolo carponi e, rientrano in lui, spalancò la bocca e le palpebre,
guardando il soffitto, tremolante, luminescente.
Erano in prossimità
del lavabo e Louis lo afferrò, inarcandosi, per il secondo amplesso, pronto a
consumarsi ed a renderlo partecipe a pieno, visto che Lux proseguiva nel
masturbarlo forte.
Senza pensieri, senza
limiti, Lou emetteva suoni e masticava parole voluttuose, eccitanti per i sensi
di Lux, che non ne aveva affatto bisogno.
Eppure tutto era
magnifico, puro, liberatorio.
Animalesco e carico d’amore,
in un mix erotico mai vissuto da nessuno dei due prima di allora.
“Dio sto … sto
venendo di nuovo mon petit …!”
Vincent percepiva gli
spasmi di Lou, che gli riempì ben presto il palmo di un nettare dolce ed
acerbo, come i suoi lamenti lussuriosi.
Lux era giunto in
quel lembo di carne e nervi, che se stimolati nella maniera giusta, come egli
stesso stava facendo, quasi inconsapevole, potevano ridurre Louis alla pazzia, portandolo
quasi sul punto di svenire.
Era largo e duro, questa
la sua percezione di Vincent, che artigliò le sue spalle e si svuotò,
inesorabile, fino all’ultima goccia di sé.
Crollarono.
La schiena di Louis
era liscia, ideale per spargerci ulteriori baci, mentre Vincent scivolava di
lato e raccoglieva tra i suoi bicipiti di ex campione di kickboxing il torace
del suo cucciolo, che ancora voleva essere stimolato nel punto, da cui l’altro
era appena uscito con accortezza.
Vi ci accompagnò la
mano sinistra di Lux, che sorrise, succhiandogli la nuca – “Amore mio … vuoi
ancora …?”
Louis annuì.
Vincent non gli
avrebbe mai negato nulla.
Senza mutare
posizione e voltando a sé la bocca di Louis, per carpirne il sapore, risalì
caparbio in lui, non senza il timore di stare esagerando.
Il giovane ricominciò
a godere, senza neppure essere aiutato, così Lux, che si sentiva il cuore
spaccargli il petto, talmente appiccicato al dorso di Louis, che anche questi
riusciva a coglierne le pulsazioni accelerate.
Quasi si
addormentarono, quando tutto sembrò essere giunto al termine.
Era unicamente una
pausa.
Questo Louis pensò,
fantasticando su come sarebbero arrivati all’alba del giorno dopo.
Mrs. Gramble apprezzò
gli sforzi di Jared e Colin.
Scattò un paio di
foto di rito, rilasciando anche una breve intervista con il leader dei Mars,
che confermava l’imminente apertura.
“Domani sarà un
pranzo sperimentale, speriamo di non deludere” – precisò solare Leto, senza mai
perdere di vista gli sguardi di approvazione di Colin, un po’ in disparte,
anche per controllare gli ultimi preparativi.
I frigoriferi erano
zeppi dei dolci prelibati di Sammy, mentre numerose teglie di lasagne e
tagliatelle, facevano bella mostra sui tavoli della cucina, pronte per essere
precotte.
Meliti e Rossi
vigilavano sulle zampe golose di Lula e Martin, pronte a fare qualche assaggio
non autorizzato.
Zio Shannon dovette
quindi provvedere a rifocillarli con delle squisite polpette, opera di Carmela,
aggregatasi insieme a Pam, per ultimare degli elaborati contorni italo
ispanici, colorati e di sicuro effetto.
“Bene ho saputo di
Chris e Tom … E della loro Luna”
Jared aveva invitato
Mrs. Gramble ad un tavolo, per una saporita cioccolata calda con panna.
“In effetti la
pratica è andata a buon fine, anche se definirla tale sa un po’ di asettico e
glaciale, mentre c’è tanto amore intorno al loro gesto” – replicò lei assorta.
“Qualcosa non va,
Miriam?”
“No, vede Jared, non
sempre è semplice … Ci sono così tanti bimbi in attesa e questo locale porterà
un po’ di sollievo alle nostre casse”
“Le donazioni della
nostra famiglia non sono sufficienti?” – domandò il cantante turbato.
I presenti iniziarono
a cogliere il loro dialogo, rallentando nelle mansioni, per ascoltare le
preoccupazioni dell’assistente sociale.
“Sono cifre
straordinarie, ci mancherebbe” – obiettò lei educata.
“Quindi non ci sono
abbastanza coppie disposte ad accogliere un figlio non naturale?”
“Sì, molti
preferiscono il concepimento assistito, innumerevoli nuclei gay optano per le
madri surrogate … Senza contare coloro i quali cercano il figlio ideale, ad
esempio ricorrendo alla clinica Mastersay”
“Quella dove scegli
colore degli occhi, dei capelli?”
“Sì quella … Ok, è
legalizzata, ma a me sa tanto di laboratorio degli orrori” – bisbigliò e Jared
fece un cenno di assenso.
“Certo ognuno ha
diritto di scegliere …” – aggiunse mesto il leader dei Mars.
“Poi ci sono i bimbi
malati, magari con l’esigenza di cure costose”
Nel frattempo Farrell
si era accomodato accanto a Jared, cingendolo con tenerezza, nel vederlo tanto
sensibile a quel discorso delicato.
“E nessuno li vuole?”
“In effetti … Questa,
ad esempio, è Amy … Ha una gamba più corta dell’altra, poi un insignificante
soffio al cuore, ma sono fattori discriminanti” – e mostrò la foto della
bambina, deliziosa, nella sua tutina arancio, sgambettante sopra il fasciatoio,
dov’era stata appena cambiata.
“La verità è che
siamo tutti nazisti!” – sbottò Leto.
Gli astanti si
cristallizzarono in un improvviso silenzio.
“Vogliamo i figli
perfetti e non è giusto! Sparta non è così lontana, in questi frangenti i
concetti di quella cultura tornano in auge, silenti ed orribili!”
“Jared …”
“Io … Io la vedo in
questo modo Colin … Non voglio offendere nessuno, tanto meno Chris e Tom, anzi …
E’ un gesto meraviglioso adottare un bambino, ma quando ascolto queste storie
io …” – e prese il fascicolo di Amy, scrutandolo intenso.
Quindi guardò
Farrell.
L’irlandese sorrise,
appoggiando la fronte a quella del marito.
“Ok Jay … Ok” – disse
piano, stringendolo poi forte e rassicurante.
Laurie, appollaiato
su di uno sgabello, con Nasir sopra il bancone del bar, osservava rapito quella
scena, carica di affetto e complicità.
“Come diavolo ci
riescono …?” – bisbigliò lo psicologo, tra sé e sé.
Geffen, in piedi, appoggiato
allo stesso ripiano, sorrise, poi lo puntò – “Ora capisci perché lo adoro, doc?”
Hugh bofonchiò,
facendo poi spallucce ed ammettendo quanto Jared fosse un catalizzatore di
emozioni senza pari.
“Bene, mi sa che
dovrò aprire un nuovo fascicolo per il clan Farrell Leto” – sottolineò l’avvocato,
allontanandosi, non senza avere dato un buffetto a Nasir, che già gli
dimostrava simpatia.
Inevitabilmente.
Cassel in Rio ai giorni nostri: un fisico da 30enne, anche se gli anni hanno reso brizzolati i suoi capelli, senza togliere alcunché al suo innegabile fascino ;-)
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