sabato 7 settembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 178

Capitolo n. 178  -  zen


La partita di squash si concluse a favore di Louis.
“Mi hai fatto vincere!” – esclamò ridendo, mentre Vincent lo sollevava, baciandolo poi con gioia.
“No, è l’età e poi mio forte è il ring, fare un po’ a botte, mettere dentro i delinquenti …” – lo lasciò andare – “… una volta almeno” – mormorò pensieroso.
“Comunque hai barato …” – disse più suadente, avvicinandosi e posando le braccia sulle spalle di Lux.
“Forse …”
“Ti darò la rivincita, sai?”
“Ci spero, ora, però facciamo una doccia, ti va?”

Avevano scelto una cabina privata, dove potersi  cambiare e rilassare nella massima discrezione.
Avvinghiati sotto il getto di acqua bollente, Louis espresse senza mezzi termini le proprie intenzioni.
Lux le sedò, divertito, ma senza lasciare alternative – “Certe cose le facciamo nella nostra camera, mon petit”
“Uffi!” – ed il suo broncio era adorabile, così il suo corpo bagnato, il respiro inciso dai baci di Vincent, che non l’aveva mai liberato dalle sue ali solide.

Quello sport, Louis, lo aveva scoperto insieme ad Harry.
Lux lo sapeva, dai racconti del giovane.

Certo con il suo ex gareggiare era più ostico: avevano iniziato a sfidarsi quando solo erano amici di università.
Quindi la competizione non si spense neppure quando divennero molto di più.
Harry non cedeva mai, tanto meno Louis.

Ricordi.
Si affacciavano alla mente del ragazzo, così come la prima volta negli spogliatoi si lavarono e vestirono, spiandosi, rossi come peperoni.

Lou sorrise.
“Che c’è mon petit?” – chiese gentile l’uomo, allacciandosi la camicia.
“Nulla … Pensavo …”
“Ok … Ok! Si va a fare shopping! Voglio comprarti delle braghe molto larghe, come si chiamano? Cargo? Perché quei jeans sono così attillati che ti si vedono le tonsille!” – ringhiò allegro.
“Oh mon Dieux! Eppure credevo ti piacesse il mio … ehm fondoschiena!”
“Mi fa impazzire … ma sei una perenne tentazione!”
“Solo per te Vincent” – e gli diede un bacio ulteriormente sensuale.
Lux se ne separò mal volentieri, però era tardi e voleva cenare ad un’ora decente.
“Su andiamo cucciolo … Troveremo un compromesso!” – e ridendo all’unisono, si diressero all’uscita, verso il centro commerciale poco distante.


Jared posò il trasportino nel living, scrutando l’ambiente sempre uguale.
Fissò il pianoforte, per un istante interminabile, provando un nodo alla gola ed una commozione quasi ingestibile.

“Ehi … buongiorno”
Geffen spuntò dalle scale, la barba ispida, il colorito spento, un po’ dimesso nell’aspetto, cosa poco consueta per lui.

La camicia ed i pantaloni, Jared li ricordava più “giusti” sul suo fisico: ora gli apparivano comodi, anche se perfettamente stirati.

“Glam ciao … ti ho portato Amy, siamo andati in ospedale per delle vaccinazioni”
L’avvocato lo strinse, paterno – “Ne sono felice, potevi avvisarmi …”
“Ho le chiavi, scusami, non volevo invadere la tua privacy” – rise nervoso, mentre la bimba sgambettava serena.

“Figurati, questa è casa tua Jay, puoi venirci quando vuoi, ma almeno mi ritrovavi un po’ più in ordine …” – e si specchiò, facendo una smorfia, quasi dolorosa.

“Tutto bene Glam?”
“Sì …”
“Sei … sei smagrito?”
“Qualche chilo, ma recupererò durante le feste” – e tossendo, si accomodò sul divano – “Mettila qui, non la prendo in braccio, perché mi sento un po’ debole, stanotte sono stato poco bene in effetti”
“Mi dispiace, potevi chiamarci”
“No, non era il caso … Comunque grazie” – gli sorrise, gli occhi lucidi.
Poi diede un buffetto ad Amy, baciandole le manine – “Sei bellissima …”
“Ti preparo qualcosa da mangiare … ok?” – disse turbato il leader dei Mars.
“Ma no, chiama il take away …”
“Nessun problema, ormai sono un esperto!” – provò a scherzare, avviandosi ai fornelli.

“Abbiamo piantato in asso tutti, al locale … Io agli hamburger e tu …”
“Factotum Glam!” – rise solare, mentre pelava delle patate.
“Che intenzioni hai?”
“Faccio il passato di verdure per Amy e noi ci mangiamo due spaghetti, aglio, olio e peperoncino, ricetta infallibile di Antonio”
“Ok … la pasta è nella dispensa”
“Sì, rammento …” – replicò assorto Jared, arrossendo.
Geffen lo fissava, ma i vagiti di Amy lo riportarono al presente, senza appello.


“Questi o questi, papi?”
“Mmm quelli verdi … no, ma anche blu erano … Sì, insomma ti sta bene tutto” – sorrise, ammiccando alla commessa, rapita dalla bellezza di Louis.
“Ora provo la t-shirt, poi decido!” – e rientrò nel camerino.

“Suo figlio è davvero attraente, complimenti” – disse lei educata.
“Ecco … La ringrazio, ha preso tutto da mamma!” – replicò disinvolto, sbirciando oltre la tenda, dove Lou gli stava facendo una boccaccia.

Mentire non era una prerogativa di Lux, a meno che non fosse strettamente necessario.

Scesero verso i garage, scherzando su quello shopping, anche un po’ scabroso.

“Hai fatto colpo sulla signorina, sai?”
“Pensavo il contrario papi, sembrava filtrasse con te” – ribatté con un broncio dei suoi.
Lux si bloccò.
“Smettila subito …” – bisbigliò il francese, azzerando la distanza tra loro, ma senza mollare le borse del negozio di abbigliamento.
“Di fare cosa, papi?” – lo provocò l’altro.
Vincent gli leccò le labbra, Louis, in risposta, gliele morse leggero, per poi baciarlo, spingendolo contro il muro.

“Ma guardali! Un frocetto dal culo sodo ed il suo magnaccia!”
La voce di un tizio e le risate di due suoi amici, rimbombarono in quell’ambiente praticamente deserto.
Louis si staccò da Vincent con uno scatto impaurito: Lux si parò davanti a lui, seguendo un istinto immediato.

Puntò quei ceffi, senza scomporsi, dopo essersi liberato le mani.
Quelle di Louis, gelide, gli si erano come conficcate nelle spalle rigide.

“State cercando dei guai? Lasciateci passare e farò finta di non avervi ascoltato!” – esordì l’affarista, mentre i tre si erano sistemati a cerchio, isolandoli in quell’angolo, poco illuminato per giunta.
Vincent controllò se ci fossero delle telecamere di sorveglianza, ma non ne scorse alcuna.

“Cos’hai detto stronzo? … Non sei nemmeno americano … E quel finocchio, quella puttana che se la sta facendo sotto, LUI almeno lo è?!” – e sghignazzò volgare.
Lux non esitò oltre.
Colpì il più grosso nel centro dello stomaco con un destro secco, poi scalciò verso gli altri due, in una mossa di kickboxing piuttosto efficace, anche se non del tutto.

Lo afferrarono per il busto, provando a bloccarlo, ma lui si difese ulteriormente con i piedi e le gambe, oltre ad atterrarli, seppure ricevendo un paio di colpi allo zigomo ed al torace.
Sanguinava.

“Vincent!!”
L’urlo di Louis fu ciò che lo ferì maggiormente.
Il primo se la prese con il ragazzino, dandogli un sonoro ceffone.

A quel punto, quella che sembrava una stilografica, si rivelò uno stiletto micidiale.
Lux la teneva nel taschino di ogni giacca.

“LASCIA STARE MIO FIGLIO!!” – gridò inferocito, continuando a dare pugni in ogni direzione.
Sfregiò quindi quell’energumeno dall’alito cattivo ed i denti poco curati.

Vedendolo in difficoltà, i compari fuggirono e lui, per ultimo, li inseguì imprecando.

Vincent ansimando, prese per un polso Louis, rimasto inginocchiato e tremante a ridosso del cemento.
Salirono in auto e tornarono indietro, recuperando ciò che avevano comprato.
In pochi secondi furono sul boulevard, non senza avere oscurato la targa della fuoriserie di Vincent, che tirò un sospiro di sollievo.
Lou era terrorizzato.

“Non si sa mai, meglio prevenire …”
“Ma … ma è le legale?” – balbettò lo studente.
Vincent rise nevrotico – “No, ma al prossimo isolato la scopro, non temere … Ci manca solo che ci fermi una pattuglia”
“Andiamo in ospedale Vincent, tu sei”
“NO! No piccolo, andiamo a casa nostra, mi medicherò lì”
“No, non sono d’accordo, cavoli! Chiamo Scott!”
“E’ in Irlanda, l’hai dimenticato? Smettila, so quel che faccio!” – si alterò.
Louis si ammutolì.

“Perdonami Vincent, io non volevo farti arrabbiare …”
“Non sei tu … non dire cazzate … Certo non ti vestissi in quel modo” – farfugliò quasi, rendendosi conto di avere detto una cavolata tremenda.
Louis lo guardò, esterrefatto.

“Ma … Il tuo ragionamento mi sembra quello dei bigotti, che strepitano accusando le donne di indossare le minigonne ed attirare gli stupri!” – protestò vivido.

Lux accostò, ossigenandosi e stringendo il volante.

“Non … non so più quello che dico Louis … Io avevo … avevo solo il timore di perderti, che potessero … ucciderti o violentarti … Amore scusami”
Le sue iridi, cariche di rammarico, ma colme della dignità di persona integra, capace di un’aggressività destabilizzante, se provocata, ma giusta nelle sue motivazioni e scelte, commossero Louis, fino alle lacrime.

Si appese al collo di Vincent, singhiozzando – “Ti prego … Non avercela con me … Vincent … ti amo tanto” – gli pianse nel collo, mentre Lux lo cullava amorevole.

“Andiamocene … Devo mettere un cerotto … Lo farai tu, semmai …” – sorrise, dando un bacio sul naso di Louis, che annuì, vibrando in ogni muscolo, il cuore a pezzi, per il medesimo rischio corso in quel parcheggio.
Perdere Vincent.


“Poi si è coricato, dopo pranzo … Addormentandosi quasi subito, con … con una sofferenza nel respirare, mi è parso … Le labbra piegate … non so … Non so cosa stia succedendo a Glam.”
Erano in poltrona, dallo stesso lato della scrivania; come due vecchi amici.
Laurie seguiva attento il racconto di Jared, sul suo pomeriggio alla villa sull’oceano di Geffen.

“Forse è …” – Leto trattenne il fiato, poi serrò le palpebre – “Forse è malato, però non mi dice niente” – e guardò finalmente Hugh.

I suoi zaffiri persi, in quell’inquietudine, mai scioltasi, in nessun modo.

“Cosa vorresti sapere, Jay? Vorresti una conferma definitiva? E poi, se fosse come pensi, come reagiresti?”
“Io ecco … dipende, sì perché se fosse curabile, lo solleciterei a non mollare, mentre se … No, non voglio neppure pensarlo!”
“Invece dovresti farlo, per chiarezza intendo, perché è necessario, nel caso i tuoi sospetti trovassero un fondamento” – replicò pacato l’analista.
“Tu … tu sai qualcosa?” – lo incalzò il cantante.
“No” – bissò secco Laurie.
Leto scosse la testa – “Comprenderai i miei dubbi in merito …”
“Non è che essendo sposato con Jim, lui mi tenga aggiornato sulla salute dei suoi pazienti: sarebbe oltre modo scorretto, non trovi?”
“Certo, ma noi siamo una famiglia”
“Non includerci Jared” – sorrise – “Non farlo, perché non sarà mai così e tu lo sai”
“Forse … Ci snobbate?” – ironizzò, senza smalto.
“Assolutamente no. Torniamo al quesito fondamentale, vuoi? Diversamente stiamo perdendo tempo e, non so tu, io non posso permettermelo”
“Ok doc … Ne morirei”
“O …” – sospirò tagliente nello sguardo.
“Cosa pretendevi?!” – sbottò Jared.
“Oppure rinasceresti?”
“Co cosa?”
“Ne riparleremo, tempo scaduto mister a trenta secondi da Marte” – e gli fece l’occhiolino, alzandosi e congedandolo, senza concedergli repliche.





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