Capitolo n. 178 - zen
La partita di squash
si concluse a favore di Louis.
“Mi hai fatto
vincere!” – esclamò ridendo, mentre Vincent lo sollevava, baciandolo poi con
gioia.
“No, è l’età e poi
mio forte è il ring, fare un po’ a botte, mettere dentro i delinquenti …” – lo lasciò
andare – “… una volta almeno” – mormorò pensieroso.
“Comunque hai barato …”
– disse più suadente, avvicinandosi e posando le braccia sulle spalle di Lux.
“Forse …”
“Ti darò la
rivincita, sai?”
“Ci spero, ora, però
facciamo una doccia, ti va?”
Avevano scelto una
cabina privata, dove potersi cambiare e
rilassare nella massima discrezione.
Avvinghiati sotto il
getto di acqua bollente, Louis espresse senza mezzi termini le proprie
intenzioni.
Lux le sedò,
divertito, ma senza lasciare alternative – “Certe cose le facciamo nella nostra
camera, mon petit”
“Uffi!” – ed il suo
broncio era adorabile, così il suo corpo bagnato, il respiro inciso dai baci di
Vincent, che non l’aveva mai liberato dalle sue ali solide.
Quello sport, Louis,
lo aveva scoperto insieme ad Harry.
Lux lo sapeva, dai
racconti del giovane.
Certo con il suo ex
gareggiare era più ostico: avevano iniziato a sfidarsi quando solo erano amici
di università.
Quindi la
competizione non si spense neppure quando divennero molto di più.
Harry non cedeva mai,
tanto meno Louis.
Ricordi.
Si affacciavano alla
mente del ragazzo, così come la prima volta negli spogliatoi si lavarono e
vestirono, spiandosi, rossi come peperoni.
Lou sorrise.
“Che c’è mon petit?” –
chiese gentile l’uomo, allacciandosi la camicia.
“Nulla … Pensavo …”
“Ok … Ok! Si va a
fare shopping! Voglio comprarti delle braghe molto larghe, come si chiamano?
Cargo? Perché quei jeans sono così attillati che ti si vedono le tonsille!” –
ringhiò allegro.
“Oh mon Dieux! Eppure
credevo ti piacesse il mio … ehm fondoschiena!”
“Mi fa impazzire … ma
sei una perenne tentazione!”
“Solo per te Vincent”
– e gli diede un bacio ulteriormente sensuale.
Lux se ne separò mal
volentieri, però era tardi e voleva cenare ad un’ora decente.
“Su andiamo cucciolo …
Troveremo un compromesso!” – e ridendo all’unisono, si diressero all’uscita,
verso il centro commerciale poco distante.
Jared posò il
trasportino nel living, scrutando l’ambiente sempre uguale.
Fissò il pianoforte,
per un istante interminabile, provando un nodo alla gola ed una commozione
quasi ingestibile.
“Ehi … buongiorno”
Geffen spuntò dalle
scale, la barba ispida, il colorito spento, un po’ dimesso nell’aspetto, cosa
poco consueta per lui.
La camicia ed i
pantaloni, Jared li ricordava più “giusti” sul suo fisico: ora gli apparivano
comodi, anche se perfettamente stirati.
“Glam ciao … ti ho
portato Amy, siamo andati in ospedale per delle vaccinazioni”
L’avvocato lo
strinse, paterno – “Ne sono felice, potevi avvisarmi …”
“Ho le chiavi,
scusami, non volevo invadere la tua privacy” – rise nervoso, mentre la bimba
sgambettava serena.
“Figurati, questa è
casa tua Jay, puoi venirci quando vuoi, ma almeno mi ritrovavi un po’ più in
ordine …” – e si specchiò, facendo una smorfia, quasi dolorosa.
“Tutto bene Glam?”
“Sì …”
“Sei … sei smagrito?”
“Qualche chilo, ma
recupererò durante le feste” – e tossendo, si accomodò sul divano – “Mettila qui,
non la prendo in braccio, perché mi sento un po’ debole, stanotte sono stato
poco bene in effetti”
“Mi dispiace, potevi
chiamarci”
“No, non era il caso …
Comunque grazie” – gli sorrise, gli occhi lucidi.
Poi diede un buffetto
ad Amy, baciandole le manine – “Sei bellissima …”
“Ti preparo qualcosa
da mangiare … ok?” – disse turbato il leader dei Mars.
“Ma no, chiama il
take away …”
“Nessun problema,
ormai sono un esperto!” – provò a scherzare, avviandosi ai fornelli.
“Abbiamo piantato in
asso tutti, al locale … Io agli hamburger e tu …”
“Factotum Glam!” –
rise solare, mentre pelava delle patate.
“Che intenzioni hai?”
“Faccio il passato di
verdure per Amy e noi ci mangiamo due spaghetti, aglio, olio e peperoncino,
ricetta infallibile di Antonio”
“Ok … la pasta è
nella dispensa”
“Sì, rammento …” –
replicò assorto Jared, arrossendo.
Geffen lo fissava, ma
i vagiti di Amy lo riportarono al presente, senza appello.
“Questi o questi,
papi?”
“Mmm quelli verdi …
no, ma anche blu erano … Sì, insomma ti sta bene tutto” – sorrise, ammiccando
alla commessa, rapita dalla bellezza di Louis.
“Ora provo la
t-shirt, poi decido!” – e rientrò nel camerino.
“Suo figlio è davvero
attraente, complimenti” – disse lei educata.
“Ecco … La ringrazio,
ha preso tutto da mamma!” – replicò disinvolto, sbirciando oltre la tenda, dove
Lou gli stava facendo una boccaccia.
Mentire non era una
prerogativa di Lux, a meno che non fosse strettamente necessario.
Scesero verso i
garage, scherzando su quello shopping, anche un po’ scabroso.
“Hai fatto colpo
sulla signorina, sai?”
“Pensavo il contrario
papi, sembrava filtrasse con te” – ribatté con un broncio dei suoi.
Lux si bloccò.
“Smettila subito …” –
bisbigliò il francese, azzerando la distanza tra loro, ma senza mollare le
borse del negozio di abbigliamento.
“Di fare cosa, papi?”
– lo provocò l’altro.
Vincent gli leccò le
labbra, Louis, in risposta, gliele morse leggero, per poi baciarlo, spingendolo
contro il muro.
“Ma guardali! Un
frocetto dal culo sodo ed il suo magnaccia!”
La voce di un tizio e
le risate di due suoi amici, rimbombarono in quell’ambiente praticamente
deserto.
Louis si staccò da
Vincent con uno scatto impaurito: Lux si parò davanti a lui, seguendo un
istinto immediato.
Puntò quei ceffi,
senza scomporsi, dopo essersi liberato le mani.
Quelle di Louis,
gelide, gli si erano come conficcate nelle spalle rigide.
“State cercando dei
guai? Lasciateci passare e farò finta di non avervi ascoltato!” – esordì l’affarista,
mentre i tre si erano sistemati a cerchio, isolandoli in quell’angolo, poco
illuminato per giunta.
Vincent controllò se
ci fossero delle telecamere di sorveglianza, ma non ne scorse alcuna.
“Cos’hai detto
stronzo? … Non sei nemmeno americano … E quel finocchio, quella puttana che se
la sta facendo sotto, LUI almeno lo è?!” – e sghignazzò volgare.
Lux non esitò oltre.
Colpì il più grosso
nel centro dello stomaco con un destro secco, poi scalciò verso gli altri due,
in una mossa di kickboxing piuttosto efficace, anche se non del tutto.
Lo afferrarono per il
busto, provando a bloccarlo, ma lui si difese ulteriormente con i piedi e le
gambe, oltre ad atterrarli, seppure ricevendo un paio di colpi allo zigomo ed
al torace.
Sanguinava.
“Vincent!!”
L’urlo di Louis fu
ciò che lo ferì maggiormente.
Il primo se la prese
con il ragazzino, dandogli un sonoro ceffone.
A quel punto, quella
che sembrava una stilografica, si rivelò uno stiletto micidiale.
Lux la teneva nel
taschino di ogni giacca.
“LASCIA STARE MIO
FIGLIO!!” – gridò inferocito, continuando a dare pugni in ogni direzione.
Sfregiò quindi quell’energumeno
dall’alito cattivo ed i denti poco curati.
Vedendolo in
difficoltà, i compari fuggirono e lui, per ultimo, li inseguì imprecando.
Vincent ansimando,
prese per un polso Louis, rimasto inginocchiato e tremante a ridosso del
cemento.
Salirono in auto e
tornarono indietro, recuperando ciò che avevano comprato.
In pochi secondi
furono sul boulevard, non senza avere oscurato la targa della fuoriserie di
Vincent, che tirò un sospiro di sollievo.
Lou era terrorizzato.
“Non si sa mai,
meglio prevenire …”
“Ma … ma è le legale?”
– balbettò lo studente.
Vincent rise
nevrotico – “No, ma al prossimo isolato la scopro, non temere … Ci manca solo
che ci fermi una pattuglia”
“Andiamo in ospedale
Vincent, tu sei”
“NO! No piccolo,
andiamo a casa nostra, mi medicherò lì”
“No, non sono d’accordo,
cavoli! Chiamo Scott!”
“E’ in Irlanda, l’hai
dimenticato? Smettila, so quel che faccio!” – si alterò.
Louis si ammutolì.
“Perdonami Vincent,
io non volevo farti arrabbiare …”
“Non sei tu … non dire
cazzate … Certo non ti vestissi in quel modo” – farfugliò quasi, rendendosi
conto di avere detto una cavolata tremenda.
Louis lo guardò,
esterrefatto.
“Ma … Il tuo ragionamento
mi sembra quello dei bigotti, che strepitano accusando le donne di indossare le
minigonne ed attirare gli stupri!” – protestò vivido.
Lux accostò,
ossigenandosi e stringendo il volante.
“Non … non so più
quello che dico Louis … Io avevo … avevo solo il timore di perderti, che
potessero … ucciderti o violentarti … Amore scusami”
Le sue iridi, cariche
di rammarico, ma colme della dignità di persona integra, capace di un’aggressività
destabilizzante, se provocata, ma giusta nelle sue motivazioni e scelte,
commossero Louis, fino alle lacrime.
Si appese al collo di
Vincent, singhiozzando – “Ti prego … Non avercela con me … Vincent … ti amo
tanto” – gli pianse nel collo, mentre Lux lo cullava amorevole.
“Andiamocene … Devo
mettere un cerotto … Lo farai tu, semmai …” – sorrise, dando un bacio sul naso
di Louis, che annuì, vibrando in ogni muscolo, il cuore a pezzi, per il
medesimo rischio corso in quel parcheggio.
Perdere Vincent.
“Poi si è coricato,
dopo pranzo … Addormentandosi quasi subito, con … con una sofferenza nel
respirare, mi è parso … Le labbra piegate … non so … Non so cosa stia
succedendo a Glam.”
Erano in poltrona,
dallo stesso lato della scrivania; come due vecchi amici.
Laurie seguiva
attento il racconto di Jared, sul suo pomeriggio alla villa sull’oceano di
Geffen.
“Forse è …” – Leto trattenne
il fiato, poi serrò le palpebre – “Forse è malato, però non mi dice niente” – e
guardò finalmente Hugh.
I suoi zaffiri persi,
in quell’inquietudine, mai scioltasi, in nessun modo.
“Cosa vorresti
sapere, Jay? Vorresti una conferma definitiva? E poi, se fosse come pensi, come
reagiresti?”
“Io ecco … dipende,
sì perché se fosse curabile, lo solleciterei a non mollare, mentre se … No, non
voglio neppure pensarlo!”
“Invece dovresti
farlo, per chiarezza intendo, perché è necessario, nel caso i tuoi sospetti
trovassero un fondamento” – replicò pacato l’analista.
“Tu … tu sai
qualcosa?” – lo incalzò il cantante.
“No” – bissò secco
Laurie.
Leto scosse la testa –
“Comprenderai i miei dubbi in merito …”
“Non è che essendo
sposato con Jim, lui mi tenga aggiornato sulla salute dei suoi pazienti:
sarebbe oltre modo scorretto, non trovi?”
“Certo, ma noi siamo
una famiglia”
“Non includerci Jared”
– sorrise – “Non farlo, perché non sarà mai così e tu lo sai”
“Forse … Ci snobbate?”
– ironizzò, senza smalto.
“Assolutamente no.
Torniamo al quesito fondamentale, vuoi? Diversamente stiamo perdendo tempo e,
non so tu, io non posso permettermelo”
“Ok doc … Ne morirei”
“O …” – sospirò tagliente
nello sguardo.
“Cosa pretendevi?!” –
sbottò Jared.
“Oppure rinasceresti?”
“Co cosa?”
“Ne riparleremo,
tempo scaduto mister a trenta secondi da Marte” – e gli fece l’occhiolino,
alzandosi e congedandolo, senza concedergli repliche.
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