giovedì 5 settembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 177

Capitolo n. 177 – zen


Fecero l’amore al buio.
Louis glielo aveva chiesto, così come aveva fatto, pregandolo di portarlo via dall’ospedale, senza attendere gli esiti, né del sangue e tanto meno della ecografia di Harry.

Abituatisi all’oscurità, gli occhi di Vincent, scorgevano le espressioni tese del suo volto magnifico.
L’uomo stava sopra a Louis, che ne limitativa i movimenti, perché troppo avvinghiato al suo corpo di cinquantenne tonico, con gambe e braccia a tratti tremolanti, anche se incollate da sudore ed umori di entrambi.

Lux lo baciò, gemendo con il principio del proprio divenire.
Louis ansimò, schiudendo le sue ali, completamente; le mani a cercare le lenzuola, i piedi a contorcersi, per la prostata inondata da Vincent, dalla foga dei suoi ultimi colpi.
Come se fossero battiti di un cuore, che si ribellava a quella non gioia improvvisa.

Il temporale, fuori, si stava avvicinando.
I lampi, dall’orizzonte arrivarono sopra la villa, così i tuoni.
Le grida di piacere di Louis si mescolavano ad essi, perché Vincent lo voleva ancora, tanto da precipitare dal letto, scivolando in un’anticamera adiacente la stanza padronale, su di un parquet illuminato dal camino in pietra e ferro battuto, importato direttamente dalla vecchia abitazione dei Lux, come cimelio di famiglia.

Vincent si bloccò, vedendo la pelle del ragazzo avvampare, il suo respiro entrare in affanno.

“Lou … amore” – disse con il fiato altrettanto esiguo.
“So sono qui … Non lasciarmi” – singhiozzò inerme.
Vincent uscì piano da lui, che si inginocchiò, sollevandosi quanto il compagno, per rinnovare quella sua ricerca di protezione e presenza.
Lux ne era una garanzia perpetua e consolidata, dal primo istante del loro legame.
Louis non poteva avere dubbi.
“Anch’io sono qui, mon petit enfant …” – e gli sorrise, vedendo che si era tranquillizzato.

Lo prese in braccio, riportandolo tra le coltri ancora tiepide.
Louis si raggomitolò in esse, assopendosi all’istante, stremato.
Vincent lo vegliò per qualche minuto, accarezzandogli i capelli; poi se ne andò in terrazza.


“E’ spaventata da questo fracasso, ma non dovevano essere anti rumore quelle finestre?” – sibilò Jared, mentre Colin dava il biberon ad Amy.
“Lo sono, devi solo chiuderle” – replicò sotto voce, sorridendo.
“Opsss … Mi sono distratto … Fatto!” – e tornò immediato da loro, accarezzando la testolina della piccola, che gli sorrise.
“Vai da papi Jay e digli di non agitarsi per ogni cavolata” – bisbigliò divertito l’irlandese.
Leto sbuffò.
“Non sono mai stato così teso con uno dei nostri bebè!”
“Dio sei adorabile Jay …” – ed inclinando la testa, in quel suo gesto tipico, l’attore gli diede una lunga carezza, dalla nuca, al mento, dove posò un buffetto simpatico e poi un bacio.
“Ti amo Cole …”
“Anch’io tesoro … Vado a vedere il resto della truppa, sai che le tempeste non sono molto gradite anche per loro”
“Già … Io finisco qui … Uhm è da cambiare, cosa mi combini principessa” – rise, finalmente rilassato.


Geffen si destò di soprassalto.
Era completamente sudato ed in affanno: aveva avuto un incubo, ma non lo ricordava.
Andò in bagno, per farsi una doccia, ma un fastidioso dolore alla schiena, lo costrinse a sedersi nel box, fortunatamente attrezzato, dopo i suoi vari infortuni ed acciacchi.

“Cazzo, come un vecchio e …” – mugugnò livido, poi prese fiato – “Parlo pure da solo!”
Ne uscì un po’ curvo, cercando poi nell’armadietto dei medicinali le pastiglie, che Scott gli aveva prescritto per quei casi di emergenza.

“Andranno bene …?” – pensò ad alta voce.
Recuperò il cellulare e chiamò l’amico, tanto per non rischiare; pensò anche di dovere assumere qualcuno a Palm Springs, nel caso avesse bisogno di aiuto.

“Ehi ciao Glam”
“Scusa per l’ora …”
I rumori di sottofondo erano inconfondibili.
“Scotty ma sei in aeroporto?”
“Sì a New York … aspetto la coincidenza per Dublino … Mi hai scoperto” – sorrise mesto.
“Miseria potevi anche dirmelo …”
“A che scopo?” – bissò brusco.
“Non so … Cioè dovresti …”
“Tenerti aggiornato sui miei spostamenti? Non siamo mica fidanzati” – e rise malinconico.
“Certo, però … Oh insomma avremmo potuto vederci, dopo le nostre recenti discussioni e”
“Glam cosa vuoi?”
“Non … No, non importa”
“Stai male? Non fare il coglione, ok? Che ti prende?”
“Le fitte, tra le scapole, hai presente?”
“Certo, ma ti bastano due pillole di Burteren e starai meglio”
“Ah bene” – sorrise infantile –“Le stavo giusto prendendo … Avevo un’incertezza, volevo la tua conferma”
“Ok … Ti chiamo appena arrivo” – disse dolce.
Geffen inspirò – “Io ci tengo a te … Anche se sono un coglione, ok?”
“Non ti smentisci mai” – rise ancora, più allegro: avevano annunciato l’imbarco per l’Irlanda.
“Devi andare?” – domandò con una lieve ansia l’avvocato.
“Sì. Voglio vedere Jimmy”
“Lo so … In bocca al lupo”
“Crepi … Tu invece vivi eh, mi raccomando, non fare scherzi del cazzo!”
“Ah ce la metto tutta … lo sai … A presto, un bacio”
“Anche a te … Ti voglio bene Glam, ciao” – e riattaccò veloce, come la sua corsa verso l’uscita trentasei.


C’era ancora molto vento, ma almeno aveva smesso di piovere.
Lux indossava solo una t-shirt ed i boxer, la sigaretta in bocca, lo sguardo intirizzito verso l’orizzonte infiammato da migliaia di luci.

Le ante della porta finestra cigolarono, poi i passi veloci di Louis si bloccarono a poco da Vincent, che non si girò, immerso in pensieri troppo tristi, per essere condivisi con il suo petit.

“Ehi fa un freddo cane! Ti buscherai un malanno!” – esclamò il giovane, avvolto in una coperta, ma con i denti che battevano.
Era scalzo.
Lux gettò la Camel, azzerando la distanza – “Tesoro torna dentro!”
“Anche tu, accidenti!” – e scoppiò a piangere.
Le sue barriere si frantumavano in presenza di Vincent: lo amava troppo e si fidava, non sarebbe mai stato ingannato da lui.

Si rannicchiarono davanti al caminetto.
“Preparo della cioccolata Louis” – e gli baciò le tempie, passando con il mento ispido sulla fronte del ragazzo, che lo trattenne.
“No”
“Mi piaci anche quando fai i capricci, quindi ti avverto …”
Louis sorrise, ancora segnato nelle iridi da quel pianto, dettato unicamente dai sensi di colpa.

Gli mancava ancora troppo Harry e non era giusto.

“Mi avverti su cosa?”
“Sul fatto che potrai farne a bizzeffe, ma io non cederò”
“Resta qui”
“Ok!”

Risero.

“Cosa facevi là fuori, Vincent?” – domandò appoggiando la testa alla spalla sinistra di quell’uomo, che era  suo, come neppure capiva.
“Riflettevo … Ero incazzato”
“Lo so”
“Tu non centri” – disse roco.
Il suo respiro era bollente.
Louis lo baciò.
Lux non lo fece durare abbastanza quell’approccio umido ed afflitto.

“Louis ascolta” – e prese un respiro.
“Cosa?”
“Non voglio passare il resto della mia vita a … a farmi seghe mentali su di te ed Harry: so che lo ami, ma voglio … Io voglio combattere per averti qui, al mio fianco, perché sei felice, anche se ho creduto per un attimo che lo saresti stato di più insieme a lui” – affermò schietto.

Lou sorrise – “E’ la prima volta che non mi parli come un padre, sai …?”
“Già … Eppure io vorrei esserlo … In un certo senso lo sono, se tu mi … mi vuoi anche così” – disse più timido.
“Certo che ti voglio, Vincent: se potessi rinnegherei il mio, anzi, l’ho fatto da un pezzo … E ti chiederei di adottarmi” – scherzò sul finale, ma non del tutto.

Sarebbe stata una soluzione originale per vincolare Louis a sé, per sempre, dedusse Lux mentalmente.
Un’eventuale escamotage, nel caso si fosse rimesso con Harry.
Sembrava la trama di una di quelle commedie americane stravaganti, stile anni settanta.
Lux rise.

“Che c’è?”
“No, nulla mon petit … fantasticavo”
“Su di noi?”
“Ovvio … anche se la nostra è già una favola, non credi Lou?”
“Sì …”
Si baciarono ancora, ma questa volta senza interruzioni.


Nevicava.
L’indirizzo del pub era giusto e quando Scott lo vide sulla soglia, accelerò il passo, lo zaino sgangherato di traverso, le mani nelle tasche del giaccone sportivo, il fiato che diventava bianco mentre si avvicinava a Jimmy, immobile, ma sorridente.
Si strinsero, quasi inciampando sui gradini di accesso al locale, chiuso a quell’ora.

“Ti ho preparato una stanza … Dai saliamo” – e lo invitò ad entrare, per raggiungere il primo piano, dove la locanda disponeva di tre camere ammobiliate ed accoglienti.

“C’è anche il balcone Scott … Certo il panorama non è il massimo … Tetti vetusti, ma con la neve non si vede” – spiegò in tensione.
“Ok … Veramente avrei alloggiato all’hotel del centro, ma qui è senz’altro meglio” – disse togliendosi il giubbotto, la cuffia e la sciarpa.

Era spettinato, vermiglio, bellissimo, qualche ruga sul viso abbronzato e con il pizzetto, le chiome fluenti ed arruffate: Jimmy lo stava fissando.

“Come stai piccolo?”
“Bene … Il lavoro non manca e poi studio … Ho imparato a fare dei cocktail …”
“Magari ne assaggerò qualcuno, che ne dici?” – e gli si parò davanti, avvolgendogli gli zigomi, con i palmi gelidi.
Jimmy li baciò, respirandone l’aroma speziato di quel dopobarba, così caro al suo cuore: come tutto di Scott.

Il giovane tornò a guardarlo, senza lasciarlo andare, gli occhi lucidi.
“Facciamo l’amore, Scott …?”
Il medico annuì, scosso da mille emozioni, che non voleva nascondere.
Gli diede un bacio, avvolgendolo con la bramosia ed il candore della sua indole buona e straordinaria.

Jimmy si arrese ad ogni sua attenzione, avido di riaverlo in qualche modo, anche se lo spettro di Geffen imperava nei suoi timori, presto sedati dagli ansiti febbrili di Scott, che gli quasi gli strappò i vestiti di dosso, facendolo suo sino a sera inoltrata.




SCOTT

JIMMY

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