Capitolo n. 177 – zen
Fecero l’amore al
buio.
Louis glielo aveva
chiesto, così come aveva fatto, pregandolo di portarlo via dall’ospedale, senza
attendere gli esiti, né del sangue e tanto meno della ecografia di Harry.
Abituatisi
all’oscurità, gli occhi di Vincent, scorgevano le espressioni tese del suo
volto magnifico.
L’uomo stava sopra a
Louis, che ne limitativa i movimenti, perché troppo avvinghiato al suo corpo di
cinquantenne tonico, con gambe e braccia a tratti tremolanti, anche se
incollate da sudore ed umori di entrambi.
Lux lo baciò, gemendo
con il principio del proprio divenire.
Louis ansimò,
schiudendo le sue ali, completamente; le mani a cercare le lenzuola, i piedi a
contorcersi, per la prostata inondata da Vincent, dalla foga dei suoi ultimi
colpi.
Come se fossero
battiti di un cuore, che si ribellava a quella non gioia improvvisa.
Il temporale, fuori,
si stava avvicinando.
I lampi,
dall’orizzonte arrivarono sopra la villa, così i tuoni.
Le grida di piacere
di Louis si mescolavano ad essi, perché Vincent lo voleva ancora, tanto da
precipitare dal letto, scivolando in un’anticamera adiacente la stanza
padronale, su di un parquet illuminato dal camino in pietra e ferro battuto,
importato direttamente dalla vecchia abitazione dei Lux, come cimelio di
famiglia.
Vincent si bloccò,
vedendo la pelle del ragazzo avvampare, il suo respiro entrare in affanno.
“Lou … amore” – disse
con il fiato altrettanto esiguo.
“So sono qui … Non
lasciarmi” – singhiozzò inerme.
Vincent uscì piano da
lui, che si inginocchiò, sollevandosi quanto il compagno, per rinnovare quella
sua ricerca di protezione e presenza.
Lux ne era una
garanzia perpetua e consolidata, dal primo istante del loro legame.
Louis non poteva
avere dubbi.
“Anch’io sono qui,
mon petit enfant …” – e gli sorrise, vedendo che si era tranquillizzato.
Lo prese in braccio,
riportandolo tra le coltri ancora tiepide.
Louis si raggomitolò
in esse, assopendosi all’istante, stremato.
Vincent lo vegliò per
qualche minuto, accarezzandogli i capelli; poi se ne andò in terrazza.
“E’ spaventata da
questo fracasso, ma non dovevano essere anti rumore quelle finestre?” – sibilò Jared,
mentre Colin dava il biberon ad Amy.
“Lo sono, devi solo
chiuderle” – replicò sotto voce, sorridendo.
“Opsss … Mi sono
distratto … Fatto!” – e tornò immediato da loro, accarezzando la testolina
della piccola, che gli sorrise.
“Vai da papi Jay e
digli di non agitarsi per ogni cavolata” – bisbigliò divertito l’irlandese.
Leto sbuffò.
“Non sono mai stato
così teso con uno dei nostri bebè!”
“Dio sei adorabile
Jay …” – ed inclinando la testa, in quel suo gesto tipico, l’attore gli diede
una lunga carezza, dalla nuca, al mento, dove posò un buffetto simpatico e poi
un bacio.
“Ti amo Cole …”
“Anch’io tesoro …
Vado a vedere il resto della truppa, sai che le tempeste non sono molto gradite
anche per loro”
“Già … Io finisco qui
… Uhm è da cambiare, cosa mi combini principessa” – rise, finalmente rilassato.
Geffen si destò di
soprassalto.
Era completamente
sudato ed in affanno: aveva avuto un incubo, ma non lo ricordava.
Andò in bagno, per
farsi una doccia, ma un fastidioso dolore alla schiena, lo costrinse a sedersi
nel box, fortunatamente attrezzato, dopo i suoi vari infortuni ed acciacchi.
“Cazzo, come un
vecchio e …” – mugugnò livido, poi prese fiato – “Parlo pure da solo!”
Ne uscì un po’ curvo,
cercando poi nell’armadietto dei medicinali le pastiglie, che Scott gli aveva
prescritto per quei casi di emergenza.
“Andranno bene …?” –
pensò ad alta voce.
Recuperò il cellulare
e chiamò l’amico, tanto per non rischiare; pensò anche di dovere assumere
qualcuno a Palm Springs, nel caso avesse bisogno di aiuto.
“Ehi ciao Glam”
“Scusa per l’ora …”
I rumori di
sottofondo erano inconfondibili.
“Scotty ma sei in
aeroporto?”
“Sì a New York …
aspetto la coincidenza per Dublino … Mi hai scoperto” – sorrise mesto.
“Miseria potevi anche
dirmelo …”
“A che scopo?” –
bissò brusco.
“Non so … Cioè
dovresti …”
“Tenerti aggiornato
sui miei spostamenti? Non siamo mica fidanzati” – e rise malinconico.
“Certo, però … Oh
insomma avremmo potuto vederci, dopo le nostre recenti discussioni e”
“Glam cosa vuoi?”
“Non … No, non
importa”
“Stai male? Non fare
il coglione, ok? Che ti prende?”
“Le fitte, tra le
scapole, hai presente?”
“Certo, ma ti bastano
due pillole di Burteren e starai meglio”
“Ah bene” – sorrise infantile
–“Le stavo giusto prendendo … Avevo un’incertezza, volevo la tua conferma”
“Ok … Ti chiamo
appena arrivo” – disse dolce.
Geffen inspirò – “Io
ci tengo a te … Anche se sono un coglione, ok?”
“Non ti smentisci mai”
– rise ancora, più allegro: avevano annunciato l’imbarco per l’Irlanda.
“Devi andare?” –
domandò con una lieve ansia l’avvocato.
“Sì. Voglio vedere
Jimmy”
“Lo so … In bocca al
lupo”
“Crepi … Tu invece
vivi eh, mi raccomando, non fare scherzi del cazzo!”
“Ah ce la metto tutta
… lo sai … A presto, un bacio”
“Anche a te … Ti
voglio bene Glam, ciao” – e riattaccò veloce, come la sua corsa verso l’uscita
trentasei.
C’era ancora molto
vento, ma almeno aveva smesso di piovere.
Lux indossava solo
una t-shirt ed i boxer, la sigaretta in bocca, lo sguardo intirizzito verso l’orizzonte
infiammato da migliaia di luci.
Le ante della porta
finestra cigolarono, poi i passi veloci di Louis si bloccarono a poco da Vincent,
che non si girò, immerso in pensieri troppo tristi, per essere condivisi con il
suo petit.
“Ehi fa un freddo
cane! Ti buscherai un malanno!” – esclamò il giovane, avvolto in una coperta,
ma con i denti che battevano.
Era scalzo.
Lux gettò la Camel,
azzerando la distanza – “Tesoro torna dentro!”
“Anche tu, accidenti!”
– e scoppiò a piangere.
Le sue barriere si
frantumavano in presenza di Vincent: lo amava troppo e si fidava, non sarebbe
mai stato ingannato da lui.
Si rannicchiarono
davanti al caminetto.
“Preparo della
cioccolata Louis” – e gli baciò le tempie, passando con il mento ispido sulla
fronte del ragazzo, che lo trattenne.
“No”
“Mi piaci anche
quando fai i capricci, quindi ti avverto …”
Louis sorrise, ancora
segnato nelle iridi da quel pianto, dettato unicamente dai sensi di colpa.
Gli mancava ancora
troppo Harry e non era giusto.
“Mi avverti su cosa?”
“Sul fatto che potrai
farne a bizzeffe, ma io non cederò”
“Resta qui”
“Ok!”
Risero.
“Cosa facevi là fuori,
Vincent?” – domandò appoggiando la testa alla spalla sinistra di quell’uomo,
che era suo, come neppure capiva.
“Riflettevo … Ero
incazzato”
“Lo so”
“Tu non centri” –
disse roco.
Il suo respiro era
bollente.
Louis lo baciò.
Lux non lo fece
durare abbastanza quell’approccio umido ed afflitto.
“Louis ascolta” – e
prese un respiro.
“Cosa?”
“Non voglio passare
il resto della mia vita a … a farmi seghe mentali su di te ed Harry: so che lo
ami, ma voglio … Io voglio combattere per averti qui, al mio fianco, perché sei
felice, anche se ho creduto per un attimo che lo saresti stato di più insieme a
lui” – affermò schietto.
Lou sorrise – “E’ la
prima volta che non mi parli come un padre, sai …?”
“Già … Eppure io
vorrei esserlo … In un certo senso lo sono, se tu mi … mi vuoi anche così” –
disse più timido.
“Certo che ti voglio,
Vincent: se potessi rinnegherei il mio, anzi, l’ho fatto da un pezzo … E ti
chiederei di adottarmi” – scherzò sul finale, ma non del tutto.
Sarebbe stata una
soluzione originale per vincolare Louis a sé, per sempre, dedusse Lux
mentalmente.
Un’eventuale
escamotage, nel caso si fosse rimesso con Harry.
Sembrava la trama di
una di quelle commedie americane stravaganti, stile anni settanta.
Lux rise.
“Che c’è?”
“No, nulla mon petit …
fantasticavo”
“Su di noi?”
“Ovvio … anche se la
nostra è già una favola, non credi Lou?”
“Sì …”
Si baciarono ancora,
ma questa volta senza interruzioni.
Nevicava.
L’indirizzo del pub
era giusto e quando Scott lo vide sulla soglia, accelerò il passo, lo zaino
sgangherato di traverso, le mani nelle tasche del giaccone sportivo, il fiato
che diventava bianco mentre si avvicinava a Jimmy, immobile, ma sorridente.
Si strinsero, quasi
inciampando sui gradini di accesso al locale, chiuso a quell’ora.
“Ti ho preparato una
stanza … Dai saliamo” – e lo invitò ad entrare, per raggiungere il primo piano,
dove la locanda disponeva di tre camere ammobiliate ed accoglienti.
“C’è anche il balcone
Scott … Certo il panorama non è il massimo … Tetti vetusti, ma con la neve non
si vede” – spiegò in tensione.
“Ok … Veramente avrei
alloggiato all’hotel del centro, ma qui è senz’altro meglio” – disse togliendosi
il giubbotto, la cuffia e la sciarpa.
Era spettinato,
vermiglio, bellissimo, qualche ruga sul viso abbronzato e con il pizzetto, le
chiome fluenti ed arruffate: Jimmy lo stava fissando.
“Come stai piccolo?”
“Bene … Il lavoro non
manca e poi studio … Ho imparato a fare dei cocktail …”
“Magari ne assaggerò
qualcuno, che ne dici?” – e gli si parò davanti, avvolgendogli gli zigomi, con
i palmi gelidi.
Jimmy li baciò,
respirandone l’aroma speziato di quel dopobarba, così caro al suo cuore: come
tutto di Scott.
Il giovane tornò a
guardarlo, senza lasciarlo andare, gli occhi lucidi.
“Facciamo l’amore,
Scott …?”
Il medico annuì, scosso
da mille emozioni, che non voleva nascondere.
Gli diede un bacio, avvolgendolo
con la bramosia ed il candore della sua indole buona e straordinaria.
Jimmy si arrese ad
ogni sua attenzione, avido di riaverlo in qualche modo, anche se lo spettro di
Geffen imperava nei suoi timori, presto sedati dagli ansiti febbrili di Scott,
che gli quasi gli strappò i vestiti di dosso, facendolo suo sino a sera
inoltrata.
SCOTT
JIMMY
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