One
shot – Niente di me
Pov Louis Tomlinson
Londra, settembre
2013
Mi guardo allo
specchio.
Sono in piedi, solo
con i miei slip bianchi addosso.
Tremo.
Con i polpastrelli
sfioro le mie ossa: mi si vedono, sotto la pelle liscia e rosea, come quella di
un bambino.
E se lo fossi, non
avrei tutti questi problemi.
Anche il resto è
smagrito, prosciugato, ridotto a proporzioni preoccupanti.
Cerco di nasconderlo,
sotto abiti comodi, ma sono ancora più ridicolo.
Vero?
In altre cose lo sono
persino peggio, penso.
Appoggio le mani al
muro, poi la fronte e due lacrime cadono dai miei occhi, quasi incavati.
Sto peggiorando.
Le guardo dilatarsi
sulla moquette avorio, quasi sbocciare, ma non c’è vita in esse.
C’è un po’ della mia
fine.
Lo stomaco si
contrae.
Dio, eccone un altro.
Corro in bagno e
vomito di nuovo.
E’ la seconda volta,
stamattina, dopo avere fatto colazione.
Mi sono sforzato,
come non mai.
Ho scaldato del
latte, ci ho messo dei biscotti ed ho aspettato che si sciogliessero.
Come un bambino.
Di nuovo.
Ho trangugiato quella
poltiglia dolcissima, ho bevuto dell’acqua, per l’arsura che mi tormentava la
gola al risveglio, ma poi …
Eccomi qui, a
piangere inginocchiato davanti al water, come un tossico.
La mia droga ha un
nome.
Persino un cognome.
Le mie crisi sono
iniziate mesi fa.
Colpa mia.
Le ho provocate io.
Nessuna malattia.
Nessuna droga.
Prima con uno
spazzolino, poi con due dita.
Quanto tutto andava
storto, quando mi sentivo di nuovo solo, mi ingozzavo di cibo e poi lo
rigettavo, come se fosse esso stesso quel dolore, che mi opprimeva e di cui
dovevo assolutamente liberarmi.
Nulla colmava quel
vuoto, nemmeno il bere e con l’alcol diventava ancora più semplice.
Adesso tutto è
divenuto automatico.
Nessuna stimolazione,
anche se un minimo stato di ansia diventata l’innesco perfetto, per questo me
stesso imperfetto, che non riconoscevo più, nell’immagine riflessa.
Ero di nuovo lì, a
contarmi le costole e a raggomitolarmi accovacciato, perché tutto mi faceva un
male cane.
Ogni muscolo.
Ogni nervo.
E dopo quella partita
di beneficenza, anche peggio.
Più di prima.
I singhiozzi mi
stavano spaccando in mille pezzi.
Avrebbero fatto
compagnia a quelli del cuore, disintegratosi ben prima di tutto il resto.
Così che, finalmente,
non sarebbe rimasto niente di me.
A disturbare il
mondo, a disturbare te.
Suonano.
Bussano.
Faccio fatica a
sollevarmi e persino a percepire i rumori, i suoni.
Sono quelli di una
voce, dei pugni sulla porta, di qualcuno che forse mi ha cercato al telefono.
L’ho spento, stufo
marcio delle notifiche dei post su Twitter, dove mi si prendeva per i fondelli,
dopo l’incontro di beneficenza e la mia figuraccia, dove per uno spintone avevo
vomitato anche l’anima a bordo campo, per poi ritirarmi, senza per questo
riuscire a scomparire sul serio.
Faccio qualche passo,
ma la maniglia mi sembra così distante.
Vorrei gridare, ma
sono così debole.
Appena apro, crollo.
E chi è dall’altra
parte mi sorregge, mi chiama.
Sento il profumo del
suo petto, il calore, nella scollatura della camicia, dove affondo con la
faccia sudata e biancastra.
Sto
da schifo.
“Louis, LOU!! CHE
CAZZO HAI FATTO??!”
Svengo.
La luce filtra dalle
tapparelle semi chiuse.
Sono verdi, come i
muri, come le lenzuola sopra il mio letto.
Sento un bip e la mia
mano destra attorcigliata ad altre dita.
Sento dei capelli, ci
sono anche quelli in mezzo.
Giro la testa, dopo
avere notato che all’avambraccio sinistro c’è l’ago di una flebo.
“Haz …”
“Il suo fidanzato sta
dormendo da un paio d’ore”
Alzo lo sguardo,
spaventato, ma la signora, un medico, ha un sorriso così gentile ed un tono così
educato, da commuovermi.
“Il … il mio …”
“Si è presentato così,
per questo l’ho lasciato in stanza insieme a lei, per tutta la notte”
“E’ così tanto che
sono qui?”
“Sì, ma penso che
dovrebbe stare tranquillo, poi parleremo … Dei suoi disturbi alimentari.”
“I miei … Sì, sì lo
faremo” – dico convinto.
“Apprezzo la sua
buona volontà Louis, posso chiamarla così?” – e mi sorride ancora.
E’ molto bella,
materna.
“Certo … anche Lou” –
sorrido anch’io, anche se mi dolgono persino gli zigomi, le mascelle.
“Perfetto, io sono
Vivienne … E le prometto che sistemeremo ogni cosa, ma lei dovrà darci il suo
contributo, impegnarsi, crederci”
“Sono grave, vero?”
“E’ sottopeso, ma non
ancora in una condizione disperata, per cui non arriviamoci. Inizieremo con una
terapia endovenosa e poi … minestrine” – e ride complice.
“Sì, mangerò tutto!” –
replico con una foga simile a quella dei bimbi di tre anni davanti ad un cono
gelato.
E mi mangerei anche
quello, subito, per quanto sono felice di avere Harry lì, vicino a me.
Non mi ha lasciato un
attimo, dice lei e poi aggiunge.
“La rimetteremo in
forma, soprattutto in vista del vostro matrimonio”
“Del …”
Haz si sveglia,
lento, come un cucciolo di orso, i suoi riccioli scomposti, i suoi occhi
liquidi, ma che si spalancano appena si accorge che sono sveglio ed ho un
colorito migliore.
“Amore” – dice senza
badare a Vivienne.
Mi vola al collo, mi
bacia – “Bentornato” – e sorride.
Io per quel sorriso
ucciderei.
E
morirei.
Mi prende la mano
sinistra e vedo solo in quell’istante un anello, identico a quello che anche
Haz ha all’anulare.
Una fede, di oro
bianco, con tre brillanti.
L’unica differenza è
che sulla mia c’è scritto Haz e sulla sua Lou.
Sorrido, per quelle
scoperte terribilmente belle ed inattese.
“Quando starai meglio
… ci sposeremo Louis”
“Tu sei … impazzito …”
– dico incredulo, troppo bello per essere vero ed io ancora non ci credo.
Di promesse ce ne
eravamo fatte tante e non ne avevamo mantenuta neppure una, dopo il successo,
dopo i contratti, dopo i tour.
Era una tortura
continua, il doverci nascondere, limitare e persino vergognare di noi stessi e
di quanto eravamo innamorati.
Subentrò quindi la
rabbia, l’insofferenza, la gelosia, le botte, gli insulti.
Il compromesso,
divenne il periodo peggiore, dove ci costrinsero anche ad avere una ragazza.
Cose da showbiz, che
ti spreme e ti vende, come una puttana.
E noi, così giovani,
così avidi di aspettative e di rivalsa, da farci andare bene qualsiasi cosa ad
un certo punto ed io, da quel punto, ho cominciato a spegnermi.
“Non mi credi Lou?” –
ribatte con grinta.
Accende la tv, un
canale qualsiasi di quelli musicali.
Ci siamo noi, ma è un
reportage, me ne accorgo dalla scritta che scorre senza sosta ed a caratteri
cubitali.
“Coming
out per Harry Style degli OD: non solo conferma la sua relazione con Louis
Tomlinson, ma annuncia le loro nozze! Presto nuovi dettagli ed un’intervista
esclusiva, non perdetela!”
Le mie labbra si
schiudono.
Arrossisco.
Cerco di nuovo il suo
abbraccio.
“E tu verrai con me,
Louis, non voglio più fingere … Io non voglio perderti e spero tu riesca a
perdonarmi … Ti amo così tanto”
Ci baciamo.
Per me il mondo
potrebbe finire anche qui, tra questi muri verdi, con una giornata di sole là
fuori, dove correrei tenendo per mano il mio Harry, per quattro isolati, fino
al primo pub, per trangugiare di tutto, senza più farlo finire nel cesso …
Invece devo tenere
duro, perché ho un’intervista da rilasciare, una cerimonia da organizzare …
La mia fantasia vola
a mille, alimentata dalle carezze di Haz, che si dimentica persino di respirare,
fissandomi, come se mi vedesse per la prima volta.
Sono un Louis nuovo,
così Harry, anche se non siamo cambiati nel profondo, dove due bambini si sono
presi per mano ed hanno iniziato a camminare, aspettandosi, guardandosi.
“Ehi zuccone, mi
dovresti dire di sì” – esordisce di colpo.
“Per cosa?”
“La mia proposta!” –
ride.
“Rifammela, perché se
mi infili l’anello quando sono nel mondo dei”
Mi bacia,
stoppandomi, come un difensore esperto.
Mi bacia forte, come
piace ad entrambi.
Mi fa sedere sul
bordo e si inginocchia: toglie le vere ed inizia con la mia.
“Vuoi sposarmi,
Louis?”
Il fiato manca, ma mi
esce un sì squillante.
Ridiamo.
Tocca a me.
“Vuoi sposarmi Harry?”
“Sì Lou … Sì.”
The end
Nessun commento:
Posta un commento