giovedì 12 settembre 2013

ONE SHOT - NIENTE DI ME

One shot – Niente di me


Pov Louis Tomlinson

Londra, settembre 2013


Mi guardo allo specchio.
Sono in piedi, solo con i miei slip bianchi addosso.
Tremo.

Con i polpastrelli sfioro le mie ossa: mi si vedono, sotto la pelle liscia e rosea, come quella di un bambino.
E se lo fossi, non avrei tutti questi problemi.

Anche il resto è smagrito, prosciugato, ridotto a proporzioni preoccupanti.
Cerco di nasconderlo, sotto abiti comodi, ma sono ancora più ridicolo.
Vero?
In altre cose lo sono persino peggio, penso.

Appoggio le mani al muro, poi la fronte e due lacrime cadono dai miei occhi, quasi incavati.
Sto peggiorando.

Le guardo dilatarsi sulla moquette avorio, quasi sbocciare, ma non c’è vita in esse.

C’è un po’ della mia fine.

Lo stomaco si contrae.
Dio, eccone un altro.

Corro in bagno e vomito di nuovo.
E’ la seconda volta, stamattina, dopo avere fatto colazione.

Mi sono sforzato, come non mai.
Ho scaldato del latte, ci ho messo dei biscotti ed ho aspettato che si sciogliessero.
Come un bambino.
Di nuovo.

Ho trangugiato quella poltiglia dolcissima, ho bevuto dell’acqua, per l’arsura che mi tormentava la gola al risveglio, ma poi …

Eccomi qui, a piangere inginocchiato davanti al water, come un tossico.
La mia droga ha un nome.
Persino un cognome.

Le mie crisi sono iniziate mesi fa.
Colpa mia.
Le ho provocate io.
Nessuna malattia.
Nessuna droga.

Prima con uno spazzolino, poi con due dita.

Quanto tutto andava storto, quando mi sentivo di nuovo solo, mi ingozzavo di cibo e poi lo rigettavo, come se fosse esso stesso quel dolore, che mi opprimeva e di cui dovevo assolutamente liberarmi.

Nulla colmava quel vuoto, nemmeno il bere e con l’alcol diventava ancora più semplice.

Adesso tutto è divenuto automatico.
Nessuna stimolazione, anche se un minimo stato di ansia diventata l’innesco perfetto, per questo me stesso imperfetto, che non riconoscevo più, nell’immagine riflessa.

Ero di nuovo lì, a contarmi le costole e a raggomitolarmi accovacciato, perché tutto mi faceva un male cane.
Ogni muscolo.
Ogni nervo.

E dopo quella partita di beneficenza, anche peggio.
Più di prima.

I singhiozzi mi stavano spaccando in mille pezzi.
Avrebbero fatto compagnia a quelli del cuore, disintegratosi ben prima di tutto il resto.

Così che, finalmente, non sarebbe rimasto niente di me.

A disturbare il mondo, a  disturbare te.

Suonano.
Bussano.

Faccio fatica a sollevarmi e persino a percepire i rumori, i suoni.
Sono quelli di una voce, dei pugni sulla porta, di qualcuno che forse mi ha cercato al telefono.
L’ho spento, stufo marcio delle notifiche dei post su Twitter, dove mi si prendeva per i fondelli, dopo l’incontro di beneficenza e la mia figuraccia, dove per uno spintone avevo vomitato anche l’anima a bordo campo, per poi ritirarmi, senza per questo riuscire a scomparire sul serio.


Faccio qualche passo, ma la maniglia mi sembra così distante.

Vorrei gridare, ma sono così debole.

Appena apro, crollo.
E chi è dall’altra parte mi sorregge, mi chiama.

Sento il profumo del suo petto, il calore, nella scollatura della camicia, dove affondo con la faccia sudata e biancastra.

Sto da schifo.

“Louis, LOU!! CHE CAZZO HAI FATTO??!”

Svengo.



La luce filtra dalle tapparelle semi chiuse.
Sono verdi, come i muri, come le lenzuola sopra il mio letto.
Sento un bip e la mia mano destra attorcigliata ad altre dita.
Sento dei capelli, ci sono anche quelli in mezzo.

Giro la testa, dopo avere notato che all’avambraccio sinistro c’è l’ago di una flebo.

“Haz …”

“Il suo fidanzato sta dormendo da un paio d’ore”
Alzo lo sguardo, spaventato, ma la signora, un medico, ha un sorriso così gentile ed un tono così educato, da commuovermi.

“Il … il mio …”
“Si è presentato così, per questo l’ho lasciato in stanza insieme a lei, per tutta la notte”

“E’ così tanto che sono qui?”
“Sì, ma penso che dovrebbe stare tranquillo, poi parleremo … Dei suoi disturbi alimentari.”
“I miei … Sì, sì lo faremo” – dico convinto.
“Apprezzo la sua buona volontà Louis, posso chiamarla così?” – e mi sorride ancora.
E’ molto bella, materna.

“Certo … anche Lou” – sorrido anch’io, anche se mi dolgono persino gli zigomi, le mascelle.
“Perfetto, io sono Vivienne … E le prometto che sistemeremo ogni cosa, ma lei dovrà darci il suo contributo, impegnarsi, crederci”
“Sono grave, vero?”
“E’ sottopeso, ma non ancora in una condizione disperata, per cui non arriviamoci. Inizieremo con una terapia endovenosa e poi … minestrine” – e ride complice.
“Sì, mangerò tutto!” – replico con una foga simile a quella dei bimbi di tre anni davanti ad un cono gelato.
E mi mangerei anche quello, subito, per quanto sono felice di avere Harry lì, vicino a me.
Non mi ha lasciato un attimo, dice lei e poi aggiunge.

“La rimetteremo in forma, soprattutto in vista del vostro matrimonio”
“Del …”
Haz si sveglia, lento, come un cucciolo di orso, i suoi riccioli scomposti, i suoi occhi liquidi, ma che si spalancano appena si accorge che sono sveglio ed ho un colorito migliore.

“Amore” – dice senza badare a Vivienne.
Mi vola al collo, mi bacia – “Bentornato” – e sorride.

Io per quel sorriso ucciderei.
E morirei.

Mi prende la mano sinistra e vedo solo in quell’istante un anello, identico a quello che anche Haz ha all’anulare.
Una fede, di oro bianco, con tre brillanti.
L’unica differenza è che sulla mia c’è scritto Haz e sulla sua Lou.

Sorrido, per quelle scoperte terribilmente belle ed inattese.

“Quando starai meglio … ci sposeremo Louis”
“Tu sei … impazzito …” – dico incredulo, troppo bello per essere vero ed io ancora non ci credo.

Di promesse ce ne eravamo fatte tante e non ne avevamo mantenuta neppure una, dopo il successo, dopo i contratti, dopo i tour.

Era una tortura continua, il doverci nascondere, limitare e persino vergognare di noi stessi e di quanto eravamo innamorati.

Subentrò quindi la rabbia, l’insofferenza, la gelosia, le botte, gli insulti.

Il compromesso, divenne il periodo peggiore, dove ci costrinsero anche ad avere una ragazza.

Cose da showbiz, che ti spreme e ti vende, come una puttana.

E noi, così giovani, così avidi di aspettative e di rivalsa, da farci andare bene qualsiasi cosa ad un certo punto ed io, da quel punto, ho cominciato a spegnermi.


“Non mi credi Lou?” – ribatte con grinta.
Accende la tv, un canale qualsiasi di quelli musicali.
Ci siamo noi, ma è un reportage, me ne accorgo dalla scritta che scorre senza sosta ed a caratteri cubitali.

“Coming out per Harry Style degli OD: non solo conferma la sua relazione con Louis Tomlinson, ma annuncia le loro nozze! Presto nuovi dettagli ed un’intervista esclusiva, non perdetela!”

Le mie labbra si schiudono.
Arrossisco.
Cerco di nuovo il suo abbraccio.

“E tu verrai con me, Louis, non voglio più fingere … Io non voglio perderti e spero tu riesca a perdonarmi … Ti amo così tanto”

Ci baciamo.
Per me il mondo potrebbe finire anche qui, tra questi muri verdi, con una giornata di sole là fuori, dove correrei tenendo per mano il mio Harry, per quattro isolati, fino al primo pub, per trangugiare di tutto, senza più farlo finire nel cesso …

Invece devo tenere duro, perché ho un’intervista da rilasciare, una cerimonia da organizzare …
La mia fantasia vola a mille, alimentata dalle carezze di Haz, che si dimentica persino di respirare, fissandomi, come se mi vedesse per la prima volta.


Sono un Louis nuovo, così Harry, anche se non siamo cambiati nel profondo, dove due bambini si sono presi per mano ed hanno iniziato a camminare, aspettandosi, guardandosi.

“Ehi zuccone, mi dovresti dire di sì” – esordisce di colpo.
“Per cosa?”
“La mia proposta!” – ride.
“Rifammela, perché se mi infili l’anello quando sono nel mondo dei”
Mi bacia, stoppandomi, come un difensore esperto.

Mi bacia forte, come piace ad entrambi.

Mi fa sedere sul bordo e si inginocchia: toglie le vere ed inizia con la mia.

“Vuoi sposarmi, Louis?”
Il fiato manca, ma mi esce un  sì  squillante.
Ridiamo.

Tocca a me.

“Vuoi sposarmi Harry?”
“Sì Lou … Sì.”


The end




  

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