mercoledì 2 ottobre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 192

Capitolo n. 192 – zen



Scott si strappò la mascherina, raggiungendo Jared, Kevin e Tim, in fibrillazione, nella sala di attesa per i familiari dei pazienti.
Leto gli volò incontro, seguito a ruota dal bassista ed il compagno, oltre modo teso per l’esito del doppio intervento.

“Come stanno?” – chiese il cantante, in piena ansia.
“Colin una roccia … Glam ha avuto un arresto cardiaco, ma è con noi, in coma farmacologico per sicurezza …” – ed inspirò, frustrato da ciò che sapeva alla perfezione potesse accadere a Geffen.
“Mio Dio …” – mormorò Kevin e Tim lo strinse.
Jared stava piangendo – “Posso vederli? Possiamo …?”
“Colin è in una camera sterile, ma puoi accedere, con le dovute precauzioni, per almeno ventiquattro ore, mentre per Glam solo attraverso il vetro … Mi dispiace”


Brendan stava fissando il vuoto, seduto sopra ad un divanetto, nel corridoio adiacente le sale operatorie.
Nasir era in una di quelle, la numero cinque, da almeno due ore.
Jim e Steven lo stavano operando, mentre Hugh si era sistemato in un angolo, in tenuta chirurgica, per non perdere un solo minuto di quel drammatico frangente.
Si sarebbe potuto avvicinare, sedendosi ai lati della lettiga, verso la fine: Mason glielo aveva promesso.

“Ciao …”
“Brent …?” – e si alzò, abbracciandolo, commosso.
“Ci sono novità?” – domandò gentile il soldato: era in divisa, lo stavano aspettando alla base cittadina, dove il generale gli avrebbe consegnato il congedo per motivi di salute.

“Grazie per essere qui …” – disse lo psicologo, tornando a guardarlo.
“Ti ho mandato un messaggio …”
“Ho dimenticato il cellulare in auto e non volevo scendere, magari succede qualcosa …” – e tirò su dal naso, senza rendersi conto che aveva preso tra le sue, le mani di Brent.
“Ok …” – e, deglutendo a vuoto, il giovane abbassò lo sguardo, percependo una sensazione gradevole, per la leggera pressione dei pollici dell’altro sul dorso e poi sui polsi, di quelle sue estremità affusolate e morbide.
“Brent”
“Sì …?!” – ebbe un sussulto, riprendendo a fissarlo, intenso.
“Devo … devo parlarti, ma non è questo né il momento e né il luogo giusto”

Lui non disse nulla: non ci riusciva, la gola gli si era asciugata e le pulsazioni sembravano scalpitare all’interno della sua esile cassa toracica.

Brendan sorrise a metà – “Sempre che ti importi”
“Certo che mi importa!” – ribatté il ragazzo, tirando fuori tutto il fiato che aveva in corpo.

L’uomo annuì – “Quasi mi vergogno per la gioia che provo, sai? Per ciò che sta passando mio fratello …”
“La … gioia?” – quasi sussurrò flebile.
“Certo … Credi di non meritarla?” – chiese limpido ed emozionato.

Brent si distaccò, stringendo le dita a pugno, facendo anche un passo indietro, guardando altrove – “A volte te ne esci con delle storie assurde” – sbottò risentito.
“Ma … cosa avrei detto di tanto assurdo?” – replicò Brendan, con scalpore.

Tomlinson jr fuggì via, senza dargli alcuna spiegazione.
Il bip alle spalle di Laurie indicò di colpo l’apertura delle ante scorrevoli: il trapianto si era concluso.


“Sono stato sgarbato Louis, volevo chiederti scusa”
Lux mostrò ciò che aveva dietro la schiena, rilassandosi da quella postura impettita, al cospetto di Lou, appena uscito dall’università.
Un grande mazzo di rose bianche, costellato di cioccolatini e bon bon, incartati in stagnola colorata di mille nuance, originali ed invitanti.

“Oh cavoli … Vincent”
Il suo sorriso tempestò quell’attimo di uno splendore inenarrabile dal cuore di Vincent, colmo di ammirazione e passione.
Tenerle a bada diveniva sempre più complesso ed il francese avrebbe voluto dirglielo.
Invece cadde in un compromesso diplomatico da antologia.
“Spero che siano ai gusti preferiti da te ed Harry” – e sorrise, senza mai perdere quell’aria da canaglia innamorata, che rapiva ogni respiro a Louis, che neppure lo stava ad ascoltare.
I pensieri, accavallatisi nella sua mente, lo stavano portando a mille fantasie.

“Allora … pace, mon petit?”

“Pace …? Mai stato arrabbiato con te”

“Neppure io … Sono scorbutico, come ogni ex sbirro” – scherzò, ma Louis lo stava scrutando,  come a cercare i suoi veri pensieri, nascosti dietro a quelle frasi di convenienza.
“Ogni volta che mi vieni a cercar Vincent, mi sento così confuso, ma, ti prego, non smettere … E parlami, parlami davvero”

L’affarista prese fiato.

“Mi sento consumare, come una candela: se non la spengo, non riuscirò a ritrovare me stesso, perché non esisterò più … Mi riferisco a quel Vincent, che amavi tanto e”
“Io non smetterò di amarti” – puntualizzò diretto – “… ed avrò cura di te, ma credo nella mia storia con Harry e vorrei il tuo appoggio”

“Ce l’hai mon petit” – disse sconfortato, andando ad accomodarsi sopra una panchina.
Il ragazzo lo affiancò.
“Ho … ho colto una certa intesa tra voi, del resto siete andati da mio padre, coalizzati, senza accordi, in un’iniziativa comune …”
“Faremmo qualsiasi cosa per te … questa è la verità.”
Louis lo guardò, dandogli una carezza sulla schiena.
Vincent si sentì come afferrare lo stomaco, da una presa invisibile, poi una sensazione piacevole lo pervase, dalla gola, all’inguine.

Troppo pericoloso.

“Ti accompagno?”
“Hai fretta? … Volevo passare dall’ospedale … Per Nasir”
“D’accordo mon petit … Andiamo.”


“E’ faticoso per te, vero cucciolo?”
Erano seduti su di un tronco, guardavano l’oceano: la spiaggia era bianca, abbacinante, come solo ad Haiti.
Lula arricciò il nasino – “Non così tanto …”
Geffen sorrise – “Noi potremmo”
“No, no, nuooo” – replicò lui simpatico, alzandosi, per appendersi al suo collo.
Glam si sollevò, portandoselo dietro, dandogli un bacio sulla guancia sinistra, per poi stringerlo forte: vedeva la propria ombra, alta, massiccia, al punto da inghiottire completamente i contorni della figura del suo soldino di cacio.

Iniziò a piangere – “Lula …”

Kevin, dall’altra parte della lastra, lo stava chiamando, ma, nonostante il figlio avesse attivato l’interfono, Glam sembrava non riuscire a sentirlo: ripeteva il nome di Lula, singhiozzando.
Un rumore secco distrasse il bassista: la cornetta stava ciondolando contro la parete: Kevin rivolse nuovamente lo sguardo verso l’ex e lo vide sorridere, con il bimbo abbarbicato sul suo petto, accolto dalle sue ali.

“Mio Dio Lula, esci, i batteri, non puoi!” – esclamò, ma un tocco ai suoi jeans, all’altezza dei polpacci, lo fece sobbalzare nuovamente.
“Papake abbassa la voce, se no svegli papi”
“Lula …?!” – mormorò stranito.

Controllò Geffen e lo vide assopito, con la maschera dell’ossigeno ben sistemata ed i tracciati regolari, sui vari monitor.
Entrò un’infermiera, con una tuta quasi spaziale: rimosse alcuni aghi e controllò ulteriormente la pressione.
Sorrise, facendo un segno di ok a Lula, che ridendo le rispose allo stesso modo, non senza uno dei suoi saltelli.

“Papi è fuori pericolo … Ora viene Scott e te lo dice”


“Accidenti a questi temporali ed a queste strade tutte uguali! E a questo navigatore del cazzo!”
Brendan ringhiò, tornando sulla via maestra, scegliendo la direzione opposta a quella precedente.
Vide un cartello con le indicazioni del presidio militare e si tranquillizzò.

“Era ora … Certo che mi rispondessi al telefono Brent” – si lamentò – “Miseria, parlo anche da solo, la diagnosi potrebbe essere delle peggiori …” – e rise.

La sua provvisoria allegria si smorzò appena lo vide.
Il capitano stava rannicchiato di traverso su di una panchina, fradicio, la sacca con gli effetti personali accanto ai piedi, la camicia privata, come norma, dei gradi.

Senza un impermeabile, una giacca, un cappello: se fosse stato nudo sarebbe stato meglio, perché quegli abiti zuppi, sferzati da un’aria gelida,  a quell’ora di sera, potevano fargli buscare una polmonite.

Laurie si precipitò da lui, imprecando.
Lo raccolse, spingendolo quasi sull’auto, buttando sul sedile posteriore quello zaino, di per sé inutile ormai.

“Sei impazzito??”
Brent non gli diede retta, tremando come una foglia.
Brendan riscese, recuperando una coperta nel vano bagagli.

“Avanti lascia che”
“Ti sto rovinando i sedili … quest’auto costerà una cifra che …”
“Poi magari mi avvisi quando la smetterai di dire stronzate, eh Brent? Con una e-mail, un sms, un piccione viaggiatore!”
Era incazzato nero.

Ripartì sgommando, dirigendosi al suo loft, senza che il ragazzo proferisse una sillaba.

Appena varcata la soglia, Brent si avvicinò al caminetto già acceso con un telecomando a distanza, poggiando la fronte al muro, chiudendo gli occhi e rimanendo zitto.
Brendan non capiva se lo avesse spaventato, inveendo come avrebbe fatto il padre, ma, si augurava, come un qualsiasi amico di buon senso avrebbe fatto, ritrovandolo in quelle condizioni.

“Ti preparo un bagno caldo, spogliati subito, qui ci sono un accappatoio e delle ciabatte, con questo pensa ai capelli … Cos’altro? Non mi viene in mente nulla, sarà pronto tra due minuti, ok?” – disse più calmo.
Brent fece un cenno, ancora a palpebre serrate.
Ubbidì, senza discutere, anche se gli ribolliva dentro una rabbia eguale a quella di Brendan, ma di tutt’altra natura.


“Se adesso ridi … Perché io ti conosco re d’Irlanda sai?”
Il tono minaccioso di Jared, era semplicemente annullato dalla felicità debordante dai suoi zaffiri, mentre accudiva Colin, in ottima forma, anche se in convalescenza obbligata.

“Sarà mica per … questo enorme profilattico in cui ti sei dovuto infilare per entrare qui? Ahahahah”
“Lo sapevo … Lo sapevo! E ringrazia che non ti posso fare il solletico!”
“Da te mi farei fare qualunque cosa Jay Jay …”
“Cavoli …”
“Che c’è?”
“E’ un secolo che non mi chiami così …”
Anche l’attore sorrise – “Magari per non confonderti con il piccolo di Sveva e Glam … A proposito come sta? Qui nessuno vuole dirmelo …”
“Il suo cuore si è fermato durante l’intervento, ma poi tutto si è risolto ed ora è in isolamento …”
“Capisco … Vai a vederlo Jay, io me la cavo …”
Leto deglutì a vuoto – “Tra un po’ … magari …”
“Vai” – e gli sfiorò il volto, amorevole.


La schiuma lambiva le piastrelle.
“Uhm … ho esagerato” – disse assorto Brendan, accovacciato sopra al tappeto di spugna.
“Un po’ … anche il profumo …”
“Era scritto in Cinese, l’ho scoperto poi con il traduttore del mio tablet, lasciato nel comodino: gelsomino selvatico.”
“Sei uno smemorato cronico” – Brent abbozzò un sorriso, poi si immerse totalmente, tappandosi le narici con l’indice ed il pollice sinistri.

Quando tornò su, Brendan era sparito.
Il giovane si sporse, sbirciando verso il living, sul quale la porta era rimasta spalancata, ma sembrava deserto.
C’era una luce soffusa, rimandata dall’acquario illuminato di blu cobalto.
Uscì lento dall’acqua, afferrando un telo, usandolo per avvolgersi dai fianchi in giù.
Circospetto avanzò verso l’ampia camera, notando un tavolo basso con delle candele accese, un vassoio con un paio di flute e delle tartine, all’apparenza squisite.

Stava morendo di fame, in effetti.

“Dobbiamo festeggiare Brent”
“Cazzo!” – strepitò, visto che Brendan era sbucato da dietro, senza alcun preavviso.
“E … sciogliere questa tensione …” – aggiunse pacato l’analista.

Brent si girò di scatto, il respiro corto – “Magari con un bel massaggio!” – sbottò provocatorio ed irritato, forse anche dal fatto che l’altro fosse rimasto unicamente con i jeans, scalzo ed a torso nudo, quanto lui.

Brendan scosse il capo – “Come dovrei fare con te?” – domandò arrendendole, non senza fissarlo.
L’altro avvampò.

“Ho … ho esagerato, perdonami … Tu mi hai salvato, portato qui e”
“Salvato Brent? Da cosa?” – chiese incuriosito.
“Mi sarei preso un accidente e poi ero senza un soldo per il taxi, ho dimenticato il portafogli da Meliti” – spiegò un po’ concitato.
“Tu hai dimenticato cosa?” – e scoppiò a ridere – “E sarei io quello sbadato!”

Brent storse le labbra, grattandosi la nuca – “Touchèz …” – ed inspirò, rendendosi conto che Brendan gli era ad un palmo dalla bocca.
Quella di Laurie sapeva di buono, un misto di liquerizia e menta, Brent non sapeva identificarne l’aroma preciso.

Perso in quell’indagine mentale, appena tornò a guardare dritto nelle iridi di Brendan, le vide come fondersi alle proprie.

Le loro bocche, adesso, erano unite, in un primo contatto: lieve, dolcissimo.

Massaggiandola con la propria, Brendan schiuse quella di Brent progressivamente.

Con le dita posate intorno al collo del giovane, con delicatezza, Brendan indugiò, senza neppure combattere con la sua lingua: si stavano assaporando, come rapiti dalle medesima emozione pura.

Laurie scivolò via, ma di poco: quindi fece per affondare di nuovo, scambiando l’inclinazione reciproca, quasi a cogliere ogni angolazione di quell’anfratto caldo ed umido, perpetrando il loro primo bacio, in un senso di infinito, che fermò i battiti di entrambi a quell’istante, ormai indimenticabile.











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