sabato 14 settembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 183

Capitolo n. 183 – zen


“Pensa, gli ho scritto che avrei fatto finalmente qualcosa di buono, per il prossimo, qualcosa di utile, Jerome …”
Renoir lo stava fissando, davanti ad una tazza di caffè fumante.

Avevano pranzato in camera: un pasto leggero, senza vino, solo una birra a testa, poi molta minerale, soprattutto per Lux, che mangiava a fatica.

“Perché no? Credi di non potercela fare, mon amie?” – domandò serio Jerome.
“Non gli ho mentito …” – replicò, straziato nel profondo.
“Come mai lo hai lasciato andare via?” – bissò quasi polemico.
“Era necessario … Louis era turbato, dopo quello che è successo al centro commerciale, te l’ho già spiegato al telefono”
“Oui, d’accordo, però potevate superarlo insieme, potevate andare avanti: il vostro amore doveva riuscirci”
“Non quando nel cuore di chi ami, c’è un’altra persona. Io non ce l’ho con Louis, ma con me stesso … Ho avuto fretta, avremmo dovuto” – e respirò forte – “Avremmo dovuto prenderla con calma e non appartenerci in quel modo Jerome”
“E tu credi che Lou possa cancellare tutto così, con un colpo di spugna?! Certo non poteva farlo nemmeno con Harry, ma è accaduto o sbaglio? Lui l’aveva deluso, tu no! Tu l’hai difeso, eri pronto a morire per salvarlo!” – protestò veemente.

Vincent sorrise, quasi con tenerezza – “Vecchio orso, cosa ne sai tu dell’amore?”
“Più di te!”
“Sì … sarà così, ma io non ti ho mai visto soffrire in questa maniera, non voglio certo sminuirti …”
“Allora taci e combatti per riavere ton petit!”
“Impossibile Jerome … Non ne ho alcun diritto, non certo perché ne sono innamorato, devo portarlo ad una confusione ed un imbarazzo simile, in fondo me lo ero ripromesso …” – e nel dirlo, Lux pensò anche ad un’altra sua affermazione, in base alla quale se avessero fatto l’amore, lui non lo avrebbe più lasciato andare via.
Inspirò – “Si … si dicono tante cose … a volte”
“Tu non spari mai cazzate a vanvera, Vinny”
Lux sorrise – “Nemmeno tu, se è per questo … A proposito, non ti ho ancora ringraziato per essere qui, a tenere compagnia a questo coglione”
“Vedo solo un uomo dal cuore rapito e spezzato da un ragazzino innocente, a cui hai donato te stesso ed anche una sicurezza economica, una stabilità”
“Si è trattato unicamente di un incentivo, di una base, perché avesse un futuro migliore!” – affermò con impeto.
“Con chi? Con Harry?!”


Si coricarono, dopo una lunga passeggiata in spiaggia.
Avevano dormito sopra al divano, Louis addosso ad Harry, che lo teneva stretto, togliendogli quasi il fiato.
Si erano baciati a lungo, ad occhi aperti.

Una pizza ordinata al locale dell’angolo, poi, era diventata la loro seconda colazione.
Quindi infilarsi sotto la trapunta, nudi, speculari, a guardarsi, adesso, sembrava un sogno continuo, avveratosi per incanto, almeno per Haz.

Lou stava bene; bastava sforzarsi di non pensare a Lux, al suo sguardo, mentre godeva dentro di lui, per l’ultima volta, poche ore prima.
Era come un tormento, anche mentre dormiva, sognando l’uomo, a cui si sentiva ancora troppo legato.

“Harry io …”
L’altro lo stava accarezzando sul petto, quindi le sue dita affusolate scesero tra le gambe di Lou, che gemette, inarcandosi, per poi intrecciarsi ad Haz, cercando il suo respiro, la sua bocca caldissima.

Si masturbarono piano, a vicenda, leccandosi nel collo, sul mento, proprio come due cuccioli, come li definiva Jared, dall’altra parte dell’oceano e che aveva pensato a loro, a come avrebbero ricucito lo strappo di un litigio molto grave.
Sylvie glielo aveva raccontato nei dettagli, mentre bevevano una cioccolata in presenza di un Glam ed un Colin attenti alla sua narrazione un po’ triste.
Leto la definì “un’umiliazione difficile da metabolizzare” e non sbagliava.

Louis, improvviso, pensò al sorriso di Harry, mentre quella signora gli diceva che Alain gli somigliava.
Era vero, per certi versi, stessi riccioli, stessi occhi grandi.

Ricacciò indietro quel ricordo penoso, non doveva flagellare Harry, innescando ulteriori sensi di colpa.
Lo aveva perdonato, era stato un equivoco, l’aveva detto persino Vincent.

Vincent … che a quell’ora lo avrebbe avvolto nel suo abbraccio, per leggere insieme un giornale.
Guardare poi un film in tv, mentre le sue mani gli accarezzavano la schiena e Lou si stendeva meglio, di traverso, la testa sulle cosce dell’altro, seduti nel salone, il camino acceso, il mondo fuori le grandi finestre della sua villa.

Un suo bacio nei capelli di Louis, che quasi dormiva, sereno.

Nessun lupo cattivo, nessuna occhiata malevola ed inquisitoria, le iridi scure del padre respinte come in un abisso, dal quale Louis si era allontanato, sentendosi al sicuro, grazie a Lux.


Harry aveva preso il gel e lo stava penetrando.
La stanza girava, l’addome di Louis tremava, colpito una volta, due, tre, poi una pausa, Harry che gli mordeva i capezzoli, li succhiava e ricominciava … Una volta, due … e veniva, gridando il nome di Lou, dicendo che lo amava, tirandolo su, scopandolo ancora ed ancora.
Le braccia di Louis, ancorate al dorso di Harry, erano scivolate, quasi a penzolare inermi, come si sentiva lui, senza provare nulla.
Il cuore gli saltò in gola, non era possibile che non traesse piacere da quell’amplesso prolungato ed intenso.

Le sue percezioni ebbero come una scossa, tanto che il suo corpo iniziò a reagire con naturalezza, in profondità.
Pianse, ma sorrideva, riprendendo a sé Harry, che era stremato da un secondo orgasmo.
Si baciarono, perdendo quasi conoscenza.
Ormai fuori si era fatto buio.


“Quel tuo tatuaggio Glam, mi ha sempre impressionato …”
Jared lo disse piano, come a non disturbare la quiete di quel contesto: si erano rilassati tutti sopra a dei tappeti, tra cuscini e coperte, dopo un’incredibile tombola, dove il cantante aveva vinto un peluche a forma di orso polare.

Geffen si era tolto la camicia, per farsi fare un’iniezione da Scott, appena arrivato.
Il medico sorrise, sull’affermazione di Leto, che rimaneva allungato ed avvolto alle spalle, da un Colin ormai nel mondo dei sogni.

“Che ore sono?” – chiese l’avvocato, tornando a stendersi, con Lula sotto l’ala e Violet allacciata al suo mini fidanzato.
Dormivano profondamente entrambi.

“Le tre del mattino …” – bisbigliò Jimmi, che stava riponendo il farmaco usato dal compagno nella sua valigetta.
Kevin li spiava, avvinghiato poco distante al suo Tim, assopitosi da parecchio.

“Cosa dicevi Jay …?”
“Quel Cristo in croce …”
“Sono io … in fondo” – e sorrise – “Grazie Scotty … Che roba è?”
“Vitamine.”
“Ok … Le mie analisi?”
“Glicemia nella norma, hai fatto il bravo a tavola, vedo” – e ricambiò il sorriso.
Jimmy li fissava e Jared faceva altrettanto con il suo ex assistente.

“Veramente ho poco appetito, colpa di quella terapia del cavolo” – si lamentò, dando poi un bacio sulla testolina di Lula, che sussurrò un “papà …” adorabile, accucciolandosi meglio sul suo petto ampio.

“Eppure hai ripreso due chili Glam”
“Sarò gonfio”
“Ma no, che dici, è cellulite”
Risero tutti, anche Kevin.

“Ok noi saliamo …” – mormorò Scott, in direzione di Jimmy, che annuì felice.


“Ti riporto a casa, Vincent”
“Io abito qui”
“Meglio tornare ad Antibes e lo sai: ti farà bene” – replicò quasi perentorio Renoir.
“No, per cosa poi? Sorbirmi le paternali anche di maman Bebèl e di Bernard?”
“E se anche fosse? Siamo noi la tua famiglia … in fondo” – asserì impacciato.
Lux sorrise – “Certo … Mai pensato il contrario e credo tu lo sappia, vecchio orso rompiballe”
“Allora dai retta a questo rompiballe e decolliamo verso la Francia”
“Devo pensarci …”
“Un capodanno qui non ce lo faccio, va bene Vincent? Un veglione del cazzo, non ci penso nemmeno!!”
“Ci sono locali alla moda, con … con belle ragazze …” – replicò smarrito: non gliene importava un tubo.

“Ma chi se ne frega dei tuoi night club e delle tue suffragette americane!”
“Night club: ci sarai solo tu che li chiami ancora così, Jerome!” – e rise.

“Oh alla buon ora … Ti ho fatto ridere …” – sospirò.
“Sei irresistibile Jerome, te l’ho mai detto?” – scherzò mesto.
“Non ricominciare! La vita va avanti e vedrai che sarà sempre meglio, forse incontrerai un’altra … persona …” – azzardò.
“Mai! Mon petit sarà l’unico ragazzo della mia esistenza!”
“Ok, ok, mi riferivo ad una donna …” – e tossì.
“Figurati … Non dopo avere fatto l’amore con Louis …” – asserì limpido.
“E sia … E poi lo zuccone sarei io Vinny”
“Certo che lo sei … Comunque, esco a fare due passi, ho bisogno d’aria e di nessun segugio, va bene?”
“Affare fatto, mi vedo un incontro di lotta libera in tv, tu vai dove meglio credi … Ma torna tra un’ora e portati il cellulare!”
“Agli ordini, mamma chioccia … A dopo.”


Whole foods era un posto con mille mercanzie, da ogni angolo del pianeta.
Lux ci trovava i pistacchi migliori in scatola, sotto vuoto, da mangiarsi quando gli prendevano certi attacchi di fame, specialmente dopo le notti con il suo Louis.

“Ok non è più mio” – rimbrottò parcheggiando.
Un’occhiata di sfuggita all’entrata, dove c’erano dei cartelli con le novità del mese e lo vide.
Lo vide, era proprio lì ed era lui.
Con il barattolo dei maledetti pistacchi sotto braccio, formato doppio, mentre nell’altra una sporta in paglia intrecciata, con la verdura, che faceva capolino, forse un sedano o delle coste.
Vincent deglutì a vuoto: Louis era splendido, nei jeans aderenti, le Converse bianche e blu, un bomber nero, sopra una t-shirt troppo lunga, verde mela, di sicuro rubata ad Harry.
Ed Harry?
Lui non c’era.

L’incavo sotto il collo, senza la sciarpa, che Vincent gli annodava sempre, premuroso, quando lo portava all’università, era liscio, di quel colorito tipico di Lou ed inconfondibile: Lux ci aveva posato così tanti baci e la sua lingua ne aveva lambito i contorni, per poi risalire intorno a quel volto stupendo, fatto di gioia, di sole, di una speranza, che ormai credeva di avere perduta nei meandri del lutto.
Finchè durò, perché adesso, l’aveva smarrita nuovamente, come il proprio sguardo, verso il cruscotto, nel ripercorrere alcuni momenti condivisi con il suo petit.

Bussarono al finestrino, anzi, fu quasi molesto quel battere forte, impaziente.

“Vincent!! Apri …”
Aveva messo le sicure, inavvertitamente.

Fece un balzo, quindi schiuse quel sesamo – “Louis …”
“Ciao … Co cosa ci fai qui?”
“Non ti pedinavo, non …”
Perché si stava giustificando?
Era avvampato, come un tizzone.

“Non capisco Vincent …”
“Ma che cosa?” – e rise nervoso.
“La casualità, è incredibile …”
“Non saprei mon petit, avevo voglia di … di questi”
Louis sorrise e glieli porse.
“E voi?”
“Noi …? Piacciono solo a me.”
“Bièn … Harry come sta?”

“Stiamo parlando … Ci vuole tempo …”

Il livido lieve, però, evidente in quella porzione di pelle nella parte sinistra del collo di Lou, diede la certezza a Lux che i due non si stavano limitando alla conversazione.

In effetti li capiva alla perfezione.
Louis era nato per fare l’amore.

“Lascia stare” – e glieli restituì – “Vado a comprarmeli da solo, se no cosa ci sono venuto a fare sino a qui” – disse più freddo, azionando il telecomando delle portiere.
“Come vuoi Vincent …” – bissò flebile il giovane.
I suoi fanali, sgranati su Lux, facevano un male cane.

“I … i miei auguri, Louis” – quasi balbettò, cercando di svicolare, ma la figura esile del giovane, sembrava invalicabile.
E Lux voleva stringerlo, fanculo Harry, fanculo il mondo.

Caddero i salatini, la borsa della spesa, le frecce della fuoriserie lampeggiarono, con un bip, dopo di che la coppia risalì svelta, con un affanno ingestibile.

Evitavano di guardarsi, ora.
Era complicato.
Era imbarazzante.

“So che sei incazzato con me, Vincent” – esordì Louis.
“No”
“No?”
“NO!” – e lo puntò.
Poi si commosse.

“Torno in patria …” – singhiozzò, mentre era Louis a cullarlo, ad accarezzargli la schiena, sotto il cappotto griffato.
“Vincent …”
“Jerome è venuto a recuperare questo rottame” – sorrise tra le lacrime, mentre tornarono a guardarsi, finalmente.
“Mi dispiace”
“Non devi dirlo e non devi più perdere tempo con questo buono a nulla”
“Ma che dici??” – si alterò.
“Sono tagliato a metà, non lo capisci, Louis? Tra ciò che un uomo con le palle avrebbe dovuto fare, per trattenerti e quel padre ansioso di permettere al proprio figlio di realizzare ciò che voleva!”
“Io non voglio vederci straziare così, io ti voglio nella mia vita Vincent!”
“E allora abbi pazienza … anche con il tuo vecchio … una dose la meriterò … oh che patetico” – e si ritirò, incollandosi allo schienale, stritolando il volante.
“Tu non sei patetico, tu sei l’uomo che io”

L’ossigeno, così la frase, gli morirono dentro.

Lux scosse la testa, aprendogli lo sportello – “C'est vrai, mais il est trop tard pour y remédier, mon petit”

Louis scese lentamente, restando immobile, mentre la fuoriserie si allontanava in fretta.

Tornò alla propria vettura ed una volta a bordo, inserì un cd.
Quello lo aveva comprato insieme a Lux.
Lo avevano ascoltato solo una volta.
Solo una.












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