mercoledì 25 settembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 189

Capitolo n. 189 – zen


“Bene figliolo … E’ tutto pronto”
Il colonnello Tomlinson fissò il figlio, dritto negli occhi, restando stranamente impacciato al centro della stanza.
Brent jr annuì, quasi tremando, guardandosi intorno.
Il padre, tirando su dal naso, fece altrettanto.
“E’ … è strano, sai? Arriva quella gente di Los Angeles e tu … Sì insomma”
L’uomo non era uno stupido e mai aveva creduto alle coincidenze: la telefonata del generale, però, era autentica, così gli ordini in carta intestata, fattigli pervenire secondo il protocollo.
Tutto vero, quindi.
Terribilmente vero.

“Papà …”
“Comunque sono fiero di te” – e dopo avere azzerato la distanza tra loro, lo abbracciò forte.



La caserma diventava sempre più piccola, man mano che l’auto di Vincent si allontanava.
Era una strada dritta, in mezzo a quel deserto, dove non c’era niente.
Nessun futuro, soltanto regole, ordini, disciplina.

Brent per un po’, seduto accanto a Louis, si fissò le mani intrecciate tra le gambe, composte, rigide, nella sua uniforme immacolata.
Era bellissimo; tolse solo il cappello.
Poi, d’improvviso, si girò, buttando gli occhi, cristallini e lucidi, verso quel cancello, il filo spinato, le barriere scorrevoli.

Matt stava transitando con un altro soldato e guardò di sfuggita l’orizzonte opposto, come stava facendo Brent verso quello, contro cui le due figure, sempre più minute, si stavano stagliando, come al rallentatore, nelle prime luci del giorno.
Era presto per andarsene e troppo tardi per tornare indietro: non lo avrebbe mai fatto.

“Brent … perché piangi?” – chiese piano Vincent, guardando la scena nello specchietto retrovisore, mentre guidava.

Una breve esitazione, poi respirò – “Mi ha … Lui mi ha stretto a sé, per la prima volta … E solo perché ho avuto un avanzamento di grado … Solo per questo.”

Tornò alla posizione iniziale, senza più voltarsi, senza più dire niente, sino a destinazione.


L’aereo stava atterrando.
Nel silenzio, nell’attesa di ciò che stava per succedere.
C’erano delle auto già pronte a partire per l’ospedale, dove Nasir stava lottando, attaccato ad un respiratore, sedato e monitorato.
Jim cercava di stare con lui il più possibile, ma i pazienti in corsia avevano bisogno dell’oncologo, della sua capacità di diagnosi e di predisporre terapie, sempre più efficaci.
Aveva salvato molte persone, Jim Mason, ma, adesso, voleva salvarne soltanto una.
Una sola, per quel giorno, fatto di pioggia e di silenzi.
Hugh gli rimaneva accanto, gli parlava di continuo, con pacatezza, quasi a prepararlo ad una metabolizzazione del lutto, che lui, Laurie, evitava di prendere in considerazione anche per sé stesso.

Era un incubo.

Geffen rispose alla chiamata di Lux, nonostante gli stessero già facendo il prelievo di sangue.

“Glam, ciao, sono Vincent”
“Ehi, scusa, ma ho da fare ora, siamo nel reparto di Jim, stiamo facendo tutti delle analisi per la compatibilità del midollo … Il piccolo Nasir, sta male …”
“Ma che succede?”
“Tu dove sei?”
“In città, ho con me Louis, Harry e Brent, il fratello di Lou … Lo abbiamo portato via, poi ti spiego”
“Di Brent mi ha parlato Antonio, gli ho dato io il numero del Pentagono: O’Marry era amico del mio vecchio …”
“Questo non lo sapevo, allora grazie anche a te Glam … “
“Di niente, ma devo proprio andare …”
“Il reparto di Mason hai detto? Ok, a dopo” – e riattaccò, guardando i tre ragazzi seduti al tavolo centrale, del locale di Barny, dove si erano fermati per una colazione.

“Stop, stop, stop!” – esclamò Lux, mentre la cameriera posava il vassoio, colmo di ogni leccornia e quattro birre.
“Che c’è?” – chiese Louis, il più affamato di tutti.
“Dovrete resistere, un po’ di digiuno, non vi farà male, siete così giovani!” – sorrise – “Dobbiamo fare una cosa ed alla svelta, ok? Allons!”


“Daddy …”
“Hai fatto?” – chiese abbottonandosi la camicia.
“Glam ascolta …”
“Che c’è Kevin?” – chiese dolce, vedendolo turbato.
“Tu non dovresti esporti a questa cosa …” – replicò quasi sottovoce, forse nel timore che Mason, nella stanza accanto, potesse percepire il loro dialogo.

“Diciamo che non sono il donatore dell’anno, sì insomma, la mia cartella clinica parla da sola” – provò a scherzare.
“Daddy …”
“Ehi … vieni qui” – e lo avvolse, dandogli un bacio tra i capelli.
Tim, che si era appena sottoposto al prelievo, li raggiunse, guardando intenso Geffen e finendo tra le sue ali, con lo stesso timore di Kevin.

Glam li cullò – “Sono ancora qui e … Non mi arrenderò mai, dovreste saperlo” – mormorò, provando a rassicurarli.

Jared transitò, tenendo per mano Colin e dopo di loro Jude, facendo lo stesso con Robert: i quattro scrutarono la scena, dicendo, con i propri occhi, a Glam, la stessa cosa, che Kevin e Tim gli avevano espresso a viva voce.


Riuniti nella saletta, dopo il primo step di analisi, gli amici ritrovarono Meliti, insieme a Lula, Vassily e Peter.

“Allora, a che punto siamo?” – chiese, facendo posto accanto a sé a Jared e Robert.
“Dobbiamo aspettare almeno sei ore, poi sapremo se qualcuno è idoneo …” – spiegò Farrell.
Jude prese qualcosa per tutti alle macchinette.

“Loro sì che sono ideali, guarda che fisici” – bisbigliò Downey, indicando i body guard.
Vassily e Peter passarono nel laboratorio, poi giunse Amos.
Ivan si palesò con Christopher.

“Papà …!”
“Ciao Chris” – Robert gli andò incontro.
Si abbracciarono.
“Anche tu qui? E Steve?”
“E’ a Boston, ma sta tornando per assistere Nasir … come tutti noi …” – e salutò con un cenno gli altri.

“Io … posso partecipare?” – chiese discreto Ivan.
“Certo” – gli sorrise il cantante – “Segui l’infermiera, poi verrò anch’io” – gli spiegò quasi con premura.
Amos li stava tenendo d’occhio ed una certa perplessità velò anche lo sguardo di Downey.

“Eccoci qui”
Lux sembrava capitanare il suo drappello di boy scout.
Geffen gli diede il benvenuto – “Mon Dieu Vincent, siamo la metà di mille, non possiamo non farcela, che ne dite gente?” – e si rivolse al resto della loro famiglia.

“Famiglia … Sapete, una volta dissi a Jared, che Jim ed io, della vostra, non avremmo mai fatto parte. Così diversi …” – la frase di Hugh arrivò come una sferzata, alle spalle dell’avvocato.
Era rigido, sul suo bastone, pallido, la barba incolta.
“E sbagliavo … ho detto … una tale stronzata … Vi ringrazio … per tutto” – e se ne andò, arrancando, con rabbia e disperazione.

https://www.youtube.com/watch?v=zNpeK7sDLzE



“Ed il ranocchio, si trasformò in un principe …”
Brendan si aggiustò la mascherina, seduto al capezzale di Nasir.
Gli stava leggendo una favola, sorvegliando il suo respiro, le pulsazioni, rimandate dal monitor, nella speranza che, in qualche modo, il bimbo potesse ascoltarlo.

Alzò gli occhi, verso il vetro, dove stazionavano ad intervalli regolari Hugh e Jim, ma non c’era nessuno.
Per qualche secondo.
Poi una figura apparve.
Era un ragazzo, che teneva il braccio sinistro piegato, mentre con la mano destra premeva su di un batuffolo di cotone, fissato con un cerotto.
Al polso un braccialetto numerato.
Lo stesso che anche Brendan aveva nel medesimo punto.
Si guardarono.
Il giovane abbozzò un sorriso imbarazzato, senza potere vedere quello di Brendan, nascosto da quella barriera in stoffa sterile.
I suoi occhi, però, non mentivano, così luminosi, come quelli di Brent.
Anche di stupore.


“Ciao”
Brent a quel saluto si voltò di scatto, ritrovandosi davanti Brendan che allungò il braccio, selezionando un caffè al distributore, contro il quale la schiena del capitano si era come incollata.

“Salve …”
“Anche tu sei qui per aiutare mio nipote?” – chiese gentile, sorridendogli ancora.
“Nipote …?”
“Sì, Nasir, sono Brendan Laurie, il fratello di Hugh” – e gli allungò la mano, che Brent strinse, arrossendo.
Si spostò di poco, con il suo bicchiere colmo di tè bollente: ne bevve un sorso veloce, onde evitare che cadesse sporcando il pavimento.

“Io … io sono Brent Tomlinson, il fratello di Louis”
“Non lo conosco … sono appena arrivato …”
“Anch’io … Con Lou … E non so chi sia Hugh” – rise più rilassato.
La voce di Brendan aveva qualcosa di tenero.
Brent non sapeva spiegarselo.

“Ok …” – inspirò lo psicologo.
“Ok …” – replicò senza avere mai smesso di guardarlo, il soldato.
“E dove vivi?”
“Non ne ho idea … Forse a casa di Vincent”
“Vincent?”
“Sì … E’ … E’ lui” – ed indicò il francese, a colloquio con Geffen.
“E l’altro chi sarebbe?” – chiese incuriosito Brendan.
“E chi lo sa” – Brent rise.
La camera si riempì di colori.

Realmente.
Una bimba aveva azionato una strana lampada stroboscopica.
La teneva in grembo ridendo: era un giocattolo musicale.

“Ehi … ciao” – disse Brent, ammirandola nel suo abitino verde smeraldo.
Le si avvicinò, accucciandosi – “E tu chi sei?”
“Isotta e tu?”
“Brent”
“Ed il tuo fidanzato come si chiama?” – chiese lei divertita, indicando Laurie, che schiuse le labbra.
Brent lo scrutò – “Lui è … è Brendan”
“Ciao!” – esclamò lei.
“Buongiorno a te …” – e si accucciò davanti alla piccola, come stava facendo Brent.

“Isy, ma sei qui!”
Jared piombò tra loro, sollevando la figlia, amorevole – “Papi!!”
“Lo sai che non ti devi allontanare … Scusate …”
“E’ splendida” – disse Brent alzandosi e Laurie lo seguì.
“Mi chiamo Jared Leto e tu, peste, ti sei presentata da sola, vero? Piacere …”
Fecero le presentazioni, che Glam ascoltò, avvicinandosi.

“Papi Glam!!”
“La nostra Isotta è sempre al centro dell’attenzione” – mormorò lui gradevole, dandole un bacio sulle manine.
“E’ il padre della vostra bambina?” – domandò Brent, con un candore, che colpì ulteriormente Brendan, a corto di ossigeno, per quanto quello sconosciuto l’aveva travolto, con la sua innocenza, la sua avvenenza, come un treno in corsa.

“No … Cioè sì …” – balbettò Jared.
“Lo sono solo un po’ …” – e sorrise – “Ciao Brent, benvenuto a Los Angeles … E tu sei il fratello di Hugh, sono in analisi da lui” – disse calmo Geffen.
“Lo siamo un po’ tutti” – disse Leto, lasciando andare Isotta verso Colin, apparso sulla soglia.

“Tesoro che ne dici di andare a casa?” – domandò con delicatezza l’irlandese.
“Certo … abbiamo undici figli, sapete? Vieni Colin, vorrei che tu conoscessi Brent, è il fratello di Louis e Brendan di Hugh”
“Colin Farrell, felice di incontrarvi, anche se in un frangente così triste … Mi dispiace per tuo nipote Brendan”

“Vi ringrazio … Ringrazio tutti voi, vedo che avete dato il vostro contributo, siete … siete incredibili …” – disse un po’ sconcertato, in presenza di una simile coalizione compatta, che si stava prodigando come nessuno.

Brent si sentì a disagio, cercando lo sguardo di Louis, che stava riposando sul petto di Harry, sopra ad una panchina nel corridoio.

Brendan gli sfiorò il braccio – “E se facessimo una passeggiata, c’è una spiaggia qui vicino … Ho bisogno d’aria” – propose cauto, ma con le iridi cariche di speranza in un assenso, che non tardò a materializzarsi con un semplice:

“Sì … Ok andiamo. Ne ho bisogno anch’io.”




 BRENT




E visto che il capitolo è stato un po' triste, chiudiamo la gallery con un'immagine buffa di Emmett (il nostro Brendan) che cerca di traviare Kieron (Brent) con i suoi assurdi baffoni da sparviero irish ;-) sul set di Hollyoacks


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