Capitolo n. 189 – zen
“Bene figliolo … E’
tutto pronto”
Il colonnello
Tomlinson fissò il figlio, dritto negli occhi, restando stranamente impacciato
al centro della stanza.
Brent jr annuì, quasi
tremando, guardandosi intorno.
Il padre, tirando su
dal naso, fece altrettanto.
“E’ … è strano, sai?
Arriva quella gente di Los Angeles e tu … Sì insomma”
L’uomo non era uno
stupido e mai aveva creduto alle coincidenze: la telefonata del generale, però,
era autentica, così gli ordini in carta intestata, fattigli pervenire secondo
il protocollo.
Tutto vero, quindi.
Terribilmente vero.
“Papà …”
“Comunque sono fiero
di te” – e dopo avere azzerato la distanza tra loro, lo abbracciò forte.
La caserma diventava
sempre più piccola, man mano che l’auto di Vincent si allontanava.
Era una strada
dritta, in mezzo a quel deserto, dove non c’era niente.
Nessun futuro,
soltanto regole, ordini, disciplina.
Brent per un po’,
seduto accanto a Louis, si fissò le mani intrecciate tra le gambe, composte,
rigide, nella sua uniforme immacolata.
Era bellissimo; tolse
solo il cappello.
Poi, d’improvviso, si
girò, buttando gli occhi, cristallini e lucidi, verso quel cancello, il filo
spinato, le barriere scorrevoli.
Matt stava
transitando con un altro soldato e guardò di sfuggita l’orizzonte opposto, come
stava facendo Brent verso quello, contro cui le due figure, sempre più minute,
si stavano stagliando, come al rallentatore, nelle prime luci del giorno.
Era presto per
andarsene e troppo tardi per tornare indietro: non lo avrebbe mai fatto.
“Brent … perché piangi?”
– chiese piano Vincent, guardando la scena nello specchietto retrovisore,
mentre guidava.
Una breve esitazione,
poi respirò – “Mi ha … Lui mi ha stretto a sé, per la prima volta … E solo perché
ho avuto un avanzamento di grado … Solo per questo.”
Tornò alla posizione
iniziale, senza più voltarsi, senza più dire niente, sino a destinazione.
L’aereo stava
atterrando.
Nel silenzio, nell’attesa
di ciò che stava per succedere.
C’erano delle auto
già pronte a partire per l’ospedale, dove Nasir stava lottando, attaccato ad un
respiratore, sedato e monitorato.
Jim cercava di stare
con lui il più possibile, ma i pazienti in corsia avevano bisogno dell’oncologo,
della sua capacità di diagnosi e di predisporre terapie, sempre più efficaci.
Aveva salvato molte
persone, Jim Mason, ma, adesso, voleva salvarne soltanto una.
Una sola, per quel
giorno, fatto di pioggia e di silenzi.
Hugh gli rimaneva
accanto, gli parlava di continuo, con pacatezza, quasi a prepararlo ad una
metabolizzazione del lutto, che lui, Laurie, evitava di prendere in
considerazione anche per sé stesso.
Era un incubo.
Geffen rispose alla
chiamata di Lux, nonostante gli stessero già facendo il prelievo di sangue.
“Glam, ciao, sono
Vincent”
“Ehi, scusa, ma ho da
fare ora, siamo nel reparto di Jim, stiamo facendo tutti delle analisi per la
compatibilità del midollo … Il piccolo Nasir, sta male …”
“Ma che succede?”
“Tu dove sei?”
“In città, ho con me
Louis, Harry e Brent, il fratello di Lou … Lo abbiamo portato via, poi ti
spiego”
“Di Brent mi ha
parlato Antonio, gli ho dato io il numero del Pentagono: O’Marry era amico del
mio vecchio …”
“Questo non lo
sapevo, allora grazie anche a te Glam … “
“Di niente, ma devo
proprio andare …”
“Il reparto di Mason
hai detto? Ok, a dopo” – e riattaccò, guardando i tre ragazzi seduti al tavolo
centrale, del locale di Barny, dove si erano fermati per una colazione.
“Stop, stop, stop!” –
esclamò Lux, mentre la cameriera posava il vassoio, colmo di ogni leccornia e
quattro birre.
“Che c’è?” – chiese Louis,
il più affamato di tutti.
“Dovrete resistere,
un po’ di digiuno, non vi farà male, siete così giovani!” – sorrise – “Dobbiamo
fare una cosa ed alla svelta, ok? Allons!”
“Daddy …”
“Hai fatto?” – chiese
abbottonandosi la camicia.
“Glam ascolta …”
“Che c’è Kevin?” –
chiese dolce, vedendolo turbato.
“Tu non dovresti
esporti a questa cosa …” – replicò quasi sottovoce, forse nel timore che Mason,
nella stanza accanto, potesse percepire il loro dialogo.
“Diciamo che non sono
il donatore dell’anno, sì insomma, la mia cartella clinica parla da sola” –
provò a scherzare.
“Daddy …”
“Ehi … vieni qui” – e
lo avvolse, dandogli un bacio tra i capelli.
Tim, che si era
appena sottoposto al prelievo, li raggiunse, guardando intenso Geffen e finendo
tra le sue ali, con lo stesso timore di Kevin.
Glam li cullò – “Sono
ancora qui e … Non mi arrenderò mai, dovreste saperlo” – mormorò, provando a
rassicurarli.
Jared transitò,
tenendo per mano Colin e dopo di loro Jude, facendo lo stesso con Robert: i
quattro scrutarono la scena, dicendo, con i propri occhi, a Glam, la stessa
cosa, che Kevin e Tim gli avevano espresso a viva voce.
Riuniti nella
saletta, dopo il primo step di analisi, gli amici ritrovarono Meliti, insieme a
Lula, Vassily e Peter.
“Allora, a che punto
siamo?” – chiese, facendo posto accanto a sé a Jared e Robert.
“Dobbiamo aspettare
almeno sei ore, poi sapremo se qualcuno è idoneo …” – spiegò Farrell.
Jude prese qualcosa
per tutti alle macchinette.
“Loro sì che sono
ideali, guarda che fisici” – bisbigliò Downey, indicando i body guard.
Vassily e Peter
passarono nel laboratorio, poi giunse Amos.
Ivan si palesò con
Christopher.
“Papà …!”
“Ciao Chris” – Robert
gli andò incontro.
Si abbracciarono.
“Anche tu qui? E
Steve?”
“E’ a Boston, ma sta
tornando per assistere Nasir … come tutti noi …” – e salutò con un cenno gli
altri.
“Io … posso
partecipare?” – chiese discreto Ivan.
“Certo” – gli sorrise
il cantante – “Segui l’infermiera, poi verrò anch’io” – gli spiegò quasi con
premura.
Amos li stava tenendo
d’occhio ed una certa perplessità velò anche lo sguardo di Downey.
“Eccoci qui”
Lux sembrava
capitanare il suo drappello di boy scout.
Geffen gli diede il
benvenuto – “Mon Dieu Vincent, siamo la metà di mille, non possiamo non
farcela, che ne dite gente?” – e si rivolse al resto della loro famiglia.
“Famiglia … Sapete,
una volta dissi a Jared, che Jim ed io, della vostra, non avremmo mai fatto
parte. Così diversi …” – la frase di Hugh arrivò come una sferzata, alle spalle
dell’avvocato.
Era rigido, sul suo
bastone, pallido, la barba incolta.
“E sbagliavo … ho
detto … una tale stronzata … Vi ringrazio … per tutto” – e se ne andò,
arrancando, con rabbia e disperazione.
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“Ed il ranocchio, si
trasformò in un principe …”
Brendan si aggiustò
la mascherina, seduto al capezzale di Nasir.
Gli stava leggendo
una favola, sorvegliando il suo respiro, le pulsazioni, rimandate dal monitor,
nella speranza che, in qualche modo, il bimbo potesse ascoltarlo.
Alzò gli occhi, verso
il vetro, dove stazionavano ad intervalli regolari Hugh e Jim, ma non c’era
nessuno.
Per qualche secondo.
Poi una figura
apparve.
Era un ragazzo, che
teneva il braccio sinistro piegato, mentre con la mano destra premeva su di un
batuffolo di cotone, fissato con un cerotto.
Al polso un
braccialetto numerato.
Lo stesso che anche
Brendan aveva nel medesimo punto.
Si guardarono.
Il giovane abbozzò un
sorriso imbarazzato, senza potere vedere quello di Brendan, nascosto da quella
barriera in stoffa sterile.
I suoi occhi, però,
non mentivano, così luminosi, come quelli di Brent.
Anche di stupore.
“Ciao”
Brent a quel saluto
si voltò di scatto, ritrovandosi davanti Brendan che allungò il braccio,
selezionando un caffè al distributore, contro il quale la schiena del capitano
si era come incollata.
“Salve …”
“Anche tu sei qui per
aiutare mio nipote?” – chiese gentile, sorridendogli ancora.
“Nipote …?”
“Sì, Nasir, sono
Brendan Laurie, il fratello di Hugh” – e gli allungò la mano, che Brent
strinse, arrossendo.
Si spostò di poco,
con il suo bicchiere colmo di tè bollente: ne bevve un sorso veloce, onde
evitare che cadesse sporcando il pavimento.
“Io … io sono Brent
Tomlinson, il fratello di Louis”
“Non lo conosco …
sono appena arrivato …”
“Anch’io … Con Lou …
E non so chi sia Hugh” – rise più rilassato.
La voce di Brendan
aveva qualcosa di tenero.
Brent non sapeva
spiegarselo.
“Ok …” – inspirò lo
psicologo.
“Ok …” – replicò senza
avere mai smesso di guardarlo, il soldato.
“E dove vivi?”
“Non ne ho idea …
Forse a casa di Vincent”
“Vincent?”
“Sì … E’ … E’ lui” –
ed indicò il francese, a colloquio con Geffen.
“E l’altro chi
sarebbe?” – chiese incuriosito Brendan.
“E chi lo sa” – Brent
rise.
La camera si riempì
di colori.
Realmente.
Una bimba aveva
azionato una strana lampada stroboscopica.
La teneva in grembo
ridendo: era un giocattolo musicale.
“Ehi … ciao” – disse Brent,
ammirandola nel suo abitino verde smeraldo.
Le si avvicinò,
accucciandosi – “E tu chi sei?”
“Isotta e tu?”
“Brent”
“Ed il tuo fidanzato
come si chiama?” – chiese lei divertita, indicando Laurie, che schiuse le
labbra.
Brent lo scrutò – “Lui
è … è Brendan”
“Ciao!” – esclamò lei.
“Buongiorno a te …” –
e si accucciò davanti alla piccola, come stava facendo Brent.
“Isy, ma sei qui!”
Jared piombò tra
loro, sollevando la figlia, amorevole – “Papi!!”
“Lo sai che non ti
devi allontanare … Scusate …”
“E’ splendida” –
disse Brent alzandosi e Laurie lo seguì.
“Mi chiamo Jared Leto
e tu, peste, ti sei presentata da sola, vero? Piacere …”
Fecero le
presentazioni, che Glam ascoltò, avvicinandosi.
“Papi Glam!!”
“La nostra Isotta è
sempre al centro dell’attenzione” – mormorò lui gradevole, dandole un bacio
sulle manine.
“E’ il padre della
vostra bambina?” – domandò Brent, con un candore, che colpì ulteriormente
Brendan, a corto di ossigeno, per quanto quello sconosciuto l’aveva travolto,
con la sua innocenza, la sua avvenenza, come un treno in corsa.
“No … Cioè sì …” –
balbettò Jared.
“Lo sono solo un po’ …”
– e sorrise – “Ciao Brent, benvenuto a Los Angeles … E tu sei il fratello di
Hugh, sono in analisi da lui” – disse calmo Geffen.
“Lo siamo un po’
tutti” – disse Leto, lasciando andare Isotta verso Colin, apparso sulla soglia.
“Tesoro che ne dici
di andare a casa?” – domandò con delicatezza l’irlandese.
“Certo … abbiamo
undici figli, sapete? Vieni Colin, vorrei che tu conoscessi Brent, è il
fratello di Louis e Brendan di Hugh”
“Colin Farrell,
felice di incontrarvi, anche se in un frangente così triste … Mi dispiace per
tuo nipote Brendan”
“Vi ringrazio …
Ringrazio tutti voi, vedo che avete dato il vostro contributo, siete … siete
incredibili …” – disse un po’ sconcertato, in presenza di una simile coalizione
compatta, che si stava prodigando come nessuno.
Brent si sentì a
disagio, cercando lo sguardo di Louis, che stava riposando sul petto di Harry,
sopra ad una panchina nel corridoio.
Brendan gli sfiorò il
braccio – “E se facessimo una passeggiata, c’è una spiaggia qui vicino … Ho
bisogno d’aria” – propose cauto, ma con le iridi cariche di speranza in un
assenso, che non tardò a materializzarsi con un semplice:
“Sì … Ok andiamo. Ne
ho bisogno anch’io.”
BRENT
E visto che il capitolo è stato un po' triste, chiudiamo la gallery con un'immagine buffa di Emmett (il nostro Brendan) che cerca di traviare Kieron (Brent) con i suoi assurdi baffoni da sparviero irish ;-) sul set di Hollyoacks
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