Capitolo n. 179 – zen
Il sangue si era
raggrumato anche tra le ciocche brizzolate di Vincent.
Louis lo notò, al
risveglio, dopo essersi distaccato dal suo abbraccio caldo e piacevole.
“Ti preparo un bagno
…” – disse emozionato e confuso il ragazzo.
Lux inspirò.
“Tesoro … Dobbiamo
parlare”
Lou annuì.
Geffen, rasato e con
un completo scuro si avviò all’ospedale.
Ingranò la marcia
della sua Ferrari, accelerando un paio di volte, prima di partire: il suono di
quel motore lo esaltava sempre, era così rabbioso e non dava scampo a chi
volesse competere con esso, almeno per chi ci credeva, anche comparandolo ad
altri più potenti.
Aprì il garage,
lasciando che la luce delle nove di mattina colpisse le sue iridi celesti e
riposate.
Salì la rampa,
guardando appena ai lati della strada e, sgommando, accelerò ulteriormente.
L’asfalto era come
inghiottito da quel rombo, un po’ come lui aveva fatto con la vita.
Il sapore dolce del
caffè ed il profumo buono di Jared, che ancora aveva nelle narici dal giorno
prima, dopo che il cantante aveva posato un bacio sulla fronte dell’avvocato,
appoggiandoci poi la guancia sinistra, credendo che lui dormisse, sembravano
iniettargli una fiducia rinnovata nel domani.
La salute sembrava
abbandonarlo a fasi alterne, ma lui non si sarebbe arreso.
Aveva accumulato e
mescolato così tanti malesseri in quegli anni turbolenti, da non sapere più
come definire i suoi disturbi e la sua malattia.
Forse poteva darle il
nome di Leto oppure di Downey, ma sarebbe stato ingiusto: o forse no.
Sorrise.
Accelerò, superando
altri due mezzi, una Lamborghini ed una Lotus, che gli fecero gli abbaglianti.
Lui aumentò ancora
l’andatura, facendo il dito medio, sinistro, fuori dal finestrino: rideva, come
un ragazzino e quelli, lo inseguirono.
Un’auto della polizia
li intercettò, dopo il terzo svincolo, mettendosi loro alla calcagna.
A quel punto Glam
inchiodò, trovandosi ai lati i suoi avversari, che lo evitarono per un soffio,
sbandando per poi accostare ai margini della carreggiata: scesero, inveendo,
contro di lui ed anche gli sbirri, pronti ad armarsi di manganelli, per sedare
quell’imminente rissa.
Geffen ridacchiò,
aprendo la portiera, con un bel sorriso.
“Scusate agenti, ma
devo fare una chemio e non posso tardare” – nel dirlo sicuro, esibì loro un certificato
del reparto oncologico e la lista di appuntamenti fissati per quel mese, con
Mason.
Dopo una telefonata
lo lasciarono andare, non senza multarlo.
Agli altri due andò
peggio: sanzione e ritiro della patente per un mese.
Louis gli lavò i
capelli con delicatezza, inginocchiato nella vasca, tra le gambe di Lux, che
non aveva mai smesso di fissarlo, in silenzio.
“Mon petit … Io … Io
so di avere sbagliato” – ammise composto.
“Su cosa?”
“Ti ho criticato e
giudicato”
“Come ha sempre fatto
Harry, si è vero Vincent, terribilmente vero e … triste, per me che mi ero
affidato a te senza alcuna remora: ho annullato le mie difese, perché mi
avvicino sempre agli altri con troppo entusiasmo o è solo il bisogno disperato
di essere amato per ciò che sono”
Lux gli diede una
carezza sulla guancia destra, che Lou visse a pieno.
“Sono un essere umano
e forse mi credevi migliore o … o perfetto, ma non ci riesco a fingere, ad
andare oltre certi limiti dettati dalla gelosia e dal senso di possesso, che
nutro nei tuoi riguardi, Louis: ciò nonostante voglio migliorare, voglio
crescere insieme a te, smussando quegli spigoli e quelle brutture caratteriali,
che adesso mi fanno meritare il tuo disprezzo”
“Ma … ma io non ti
disprezzo, Vincent, anzi …” – gli sorrise candido.
“Ti ho deluso, però”
“Forse … Forse ho
dato per scontate delle cose … Ed anch’io ho sbagliato”
“No, non smorzare la
tua spontaneità, mon petit! … E’ ciò che ti rende solare, unico, adorabile …” –
e lo abbracciò, dandogli un bacio carico di commozione.
I rispettivi sguardi
si incontrarono in quel luogo, dove era nato il loro amore, così, dal niente,
come un’esplosione improvvisa, senza avvisaglie, senza strategie o
pianificazioni di sorta.
Senza neppure
frequentarsi.
Tornarono a letto e
lì si addormentarono più sereni, fino al tardo pomeriggio, senza neppure bere o
mangiare: non serviva.
Tom gli sfiorò il
polso e Geffen schiuse le palpebre, voltando il capo verso di lui.
“Ciao …” – gli
sorrise ed il terapista fece altrettanto.
“Buongiorno Glam,
sono passato da Jim a ritirare una prescrizione e mi ha detto che eri qui …”
“Una … ricetta? Per
chi, la bimba forse?” – chiese preoccupato, il tono flebile e rauco.
“No, no, è per un
collega … La madre ha un cancro ai polmoni, ecco …”
“Ah capisco … Come
sta Luna? E Chris?”
“Alla grande, lui si
è preso un’aspettativa, per la paternità, sai ne abbiamo diritto anche noi” –
rivelò felice.
“Non te lo aspettavi
eh zuccone?” – replicò divertito il legale.
“In effetti Glam … Mi
stupisce ogni giorno ed ogni notte, anche se l’ultima l’abbiamo passata in
bianco” – e sbadigliò simpatico – “… Sai le coliche dei neonati …”
“Già … tra qualche
mese ne saprò qualcosa, anche se non andrò a convivere con Pam, però dovrò
assisterla e sarà bellissimo … Meno per lei, temo di essere una frana … Ieri
sono passati Jay ed Amy ed io non mi sono fidato a prenderla in braccio, sai,
per i capogiri … la pressione” – e tossì.
“Fai attenzione, non
muovere questo …” – e gli sistemò la flebo nell’avambraccio destro.
“Premuroso come al
solito …” – disse dolce l’uomo, fissando Tom, che arrossì.
“E la tua cervicale?
Vediamo …”
“Insomma … che fai?”
– rise.
Il fisiatra abbassò
lo schienale ed iniziò a massaggiarlo intorno al collo.
Notò a propria volta
il calo di peso di Geffen, ma fece finta di nulla, per non angosciarlo con le
sue osservazioni.
“Sei un tesoro Tommy
… sto già meglio …” – mormorò un po’ sognante.
Mason li stava
osservando e lanciò un’occhiata a Tom.
“Rilassati … Magari
se dormissi Glam …”
“Sì, sono così stanco
… anche se … non ho fatto granché oggi, ma … Ma se anche dovessi andarmene ora,
sarei contento, perché ho accanto il ragazzo più …” – inspirò, ormai ad occhi
chiusi.
Forse non si rendeva
conto di ciò che diceva.
Jim scosse la testa,
avvicinandosi.
Geffen pronunciò
ancora poche parole – “Tom ti amo tanto sai …?” – poi perse quasi i sensi.
“Glam …?”
“Non temere, era
previsto, anche … la sua alterazione …”
Tom si rimise seduto,
inarcando un sopracciglio, ma sempre educato ribatté – “Glam ha reso la vita
migliore a tanta gente, sai?”
Mason si grattò la
nuca – “Non lo metto in dubbio …”
“E’ tardi, Chris mi
aspetta … Hugh ed il cucciolo stanno bene? Progetti per Natale?”
“Sì, a meraviglia …
Nasir è una peste” – sorrise imbarazzato, davanti al candore di Tom.
“Ok … Ci si vede …
Diresti a Glam che …”
“Sì?”
Tom respirò,
guardandolo ancora – “No, a posto così. Ciao Jim”
“Arrivederci Tommy …”
“E trovo quindi
giusto pagarti un affitto Louis …”
Il discorso di Haz
non faceva una piega, ma Lou stava guardando l’albero, con il puntale storto ed
il presepe, con i robot, con cui giocavano da piccoli: un allestimento poco
ortodosso, ma che li aveva divertiti parecchio, appena lo misero in atto.
“Co cosa?”
“Louis parlavo del
loft … Non posso mica abitarci a sbafo, è tuo!” – rise, preparandogli una
cioccolata.
“Ma figurati …” –
scrollò le spalle, accomodandosi sul divano.
Harry lo scrutò,
contenendo un’agitazione generale e la voglia di saltargli addosso, senza mezzi
termini.
Sarebbe stata una
mossa azzardata ed idiota, ma se anche a Louis l’idea fosse piaciuta?
Meglio non rischiare,
pensò Harry, affiancandolo con due tazze colme.
“Ecco qui … senza
panna per te”
“E con panna per te
Haz”
Risero piano.
“Rimani qui quanto
vuoi” – disse calmo.
“Non è … corretto …
Sì insomma”
“E piantala” – Louis
rise – “Vorrà dire che se avrò bisogno di una consulenza, mi rivolgerò a te,
gratis!”
“Ok … Affare fatto …”
– e gli porse la mano.
Louis la strinse,
percependola fresca quanto la sua.
I cristalli di
entrambi tremarono, liquidi e costernati per una richiesta di perdono reciproca
rimandata da troppo tempo.
Si strinsero, come se
fosse la cosa più naturale del mondo.
“Ora Lou vorresti
dirmi chi ti ha ridotto lo zigomo così?” – e lo delineò con delicatezza, nel domandarglielo cauto.
“Siamo … siamo stati
aggrediti, Vincent ed io, al nuovo centro commerciale, sai quello dove …” –
deglutì a vuoto – “… dove andavamo per lo squash anche tu ed io Haz”
“Mio Dio … Ti hanno
fatto male?”
“Erano in tre, ma
Vincent li ha tenuti a bada, non senza prendersi delle botte, ma poi ha
estratto un coltello, ne ha ferito uno, sì insomma un graffio, perché in realtà
era una penna, con nascosta una lametta tagliacarte, capisci Harry?”
Quel suo modo di
giustificare e difendere l’operato di Lux, colpì il giovane aspirante
procuratore.
“Lui ha … Ha protetto
chi ama, a qualsiasi costo, vero?” – chiese con una tenerezza, che spiazzò
Louis.
“Sì … farebbe
qualsiasi cosa per me, però … Però dopo abbiamo avuto una discussione, come se
con il mio modo di vestire avessi attirato le molestie di quei teppisti” –
confessò cupo.
Ne era ancora scosso.
Harry si alzò, le
labbra contorte in un’espressione affranta.
“Nessuno di noi
riesce a lasciarti respirare, Louis, è … assurdo”
“Nel caso di Vincent
è per il suo senso paterno, per preservarmi da qualsivoglia pericolo, incazzandosi
anche con me, anche se era mortificato e ci siamo chiariti” – e lo raggiunse al
centro della stanza.
“Nel mio caso invece?”
– bissò quasi provocatorio Haz, puntandolo, le mani sui fianchi esili, quanto
quelli del suo interlocutore.
Era smagrito e solo
allora Lou ci fece caso.
“Cosa guardi?”
“No è che … quelli
non erano miei?” – ed indicò i jeans attillati di Harry, che avvampò.
“Sì … cioè no!”
“Sì o no?” – Louis rise.
“Ok, non mi andava di
comprarne un paio nuovi ed ho … approfittato curiosando nel tuo armadio, non
dovevo”
“Ti stanno benissimo
Haz … E poi sei il solito spilorcio” – rise di nuovo.
“Hai svicolato l’argomento,
ma ci torneremo sopra e poi non sono spilorcio e te lo dimostro!” – e corse in
camera, prendendo da una cassapanca un pacchetto.
“Ecco, è per te” – e glielo
porse con un sorriso incantevole, inclinando un po’ la testa.
“Grazie Harry, ma non
… Cos’è?”
“Lo aprirai a Natale …
nella tua nuova casa, penso avrete molti amici, alla vigilia insomma, Lux
conosce un mare di gente”
“E cosa ne sai?
Neppure io lo so” – sorrise amichevole.
“Giù Lou, scusami …”
“La smetti di
scusarti?” – si imbronciò, dandogli un cazzotto leggero sul petto.
Harry lo afferrò al
volo, per il polso, infilando poi il palmo sinistro di Louis sotto la camicia
già aperta a metà.
Il suo cuore era a
mille.
Louis indietreggiò
senza alcuna veemenza, ma Harry ne rimase oltremodo amareggiato.
“De devo andare Haz”
“Sì, ok” – e tirando
su dal naso, andò ad aprirgli la blindata.
“Ci si vede, per …
per le mie cose, verrò a ritirarle … Prima o poi” – sorrise mesto.
“Nessun problema,
fammi solo una telefonata” – replicò trafelato, socchiudendo l’uscio.
“Ehi non mi hai detto
della tua appendice!” – quasi lo bloccò Louis, ma inutilmente.
“E’ sotto controllo,
ciao”
La barriera venne
sigillata ed i polpastrelli di entrambi vi tremarono sopra, sentendosi, come
neppure avrebbero saputo spiegare.
Louis corse via,
stritolando il dono di Harry tra le dita.
Una volta in macchina
lo aprì, con una voracità di sapere cosa fosse, che raramente lo aveva colto in
frangenti simili.
Si trattava di una
raccolta di cd, masterizzati da Haz, con i brani preferiti dalla ex coppia.
Inoltre c’era un
libro sui fossili, un’edizione piuttosto rara, che doveva essergli costata
parecchio.
Lou si pentì di
avergli dato del taccagno.
“Ma io scherzavo …” –
disse tra sé e sé, con un groppo in gola, che liberò attraverso un pianto
dapprima debole, ma poi via via più frustrato, mentre fuori aveva iniziato a
piovere.
Così come dentro di
lui, così distante da chi amava, sia da Vincent che da Harry, per una volta
simili, anche se per la peggiore delle ragioni.
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