venerdì 13 settembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 182

Capitolo n. 182 – zen


“Ecco qui, suite 314, bentornato signor Lux”
La signorina alla reception, molto gentile, gli passò il badge, dopo avergli fatto firmare un registro apposito, ormai su tablet.

“La ringrazio. Mi manderebbe su dello champagne? Il migliore, grazie” – disse senza intonazioni particolari.
“Senz’altro. Aspetta qualcuno? In questo caso ci sarebbe una chiave di riserva”
“Sì certo … Una persona dovrebbe raggiungermi. Arrivederci”
“E’ senza bagaglio?” – gli chiese, quando ormai Vincent era agli ascensori.
“No. Viaggio leggero.” – e salì.


Camminavano per il boulevard, tenendosi per mano.
Per Louis era tutto nuovo.
Era un Harry nuovo, che sorrideva alla gente, che li incrociava, regalando alla coppia un cenno di approvazione e fregandosene di chi invece guardava altrove, forse persino disgustato.

Lou se ne sentiva orgoglioso, soprattutto quando Haz, più alto di lui, lo avvolgeva meglio, tenendolo sotto l’ala e non dimostrando quell’anno in meno, che li separava.
Adesso erano uniti sul serio, anche se nel futuro Paleontologo, il timore che fosse solo una dimostrazione temporanea, aleggiava come una nuvola, già carica di lacrime.

Ogni pensiero di gioia, si alternava a quello successivo, rivolto alle sorti di Lux.

Certo era grande, sapeva badare a sé stesso, ma quando il cuore ti si frantuma in quel modo, non esiste esperienza che regga il colpo.
Specialmente quando è stato un sentimento nuovo a riportarti alla vita, che adesso Vincent doveva affrontare nuovamente da solo.

Era un fragile equilibrio, dove Harry, con poche frasi, già dimostrava comprensione verso i turbamenti di Louis, verso quell’uomo, che gli aveva dato il possibile per essere felice.

Sembrava una partita a scacchi vivente e Louis non aveva mai voluto essere una pedina, anche se dalle mosse, lui rimaneva quella di maggiore valore sopra la scacchiera di due relazioni, equamente importanti e fondamentali.

Lo avrebbero segnato per sempre, anche se finite, sospese, riprese e senza un futuro ben chiaro a nessuno dei protagonisti.

Era il giorno di Natale, tutto poteva accadere e così fu, almeno per Harry e Louis.

Il dono di Lux non era tanto quel bolide fiammante, su cui i due ragazzi avevano raggiunto il lungo mare: c’era assai di più, in quel gesto, l’ennesimo per rendere la loro vita più comoda, alla pari con quella dei colleghi più facoltosi.
Quello era il “prima”, era ciò che aveva congiunto le esistenze di Haz e Lou, ma adesso niente sembrava così essenziale: i soldi, quei brillanti, la macchina costosa.

Louis si inebriava delle carezze di Harry, pensando a come lo toccava Vincent, al profumo buono del suo dopobarba sui palmi tiepidi, a quell’abbraccio virile, che sapeva di uomo, del tabacco delle sue Camel, del whisky, che beveva quasi di nascosto, strizzando le palpebre e sorridendo al solo sapere che il ragazzino era a pochi passi da lui, magari nel letto disfatto da amplessi memorabili.

Il piacere correva nell’addome di Louis, ma era Harry, che ora stava baciando, seduto sopra ad una panchina.
La paura gli divorava la gola, il terrore che qualcuno li potesse interrompere e dileggiare, persino picchiare o molestare.
Immaginava scene orrende, così da alzarsi di botto e risalire in quell’abitacolo, che sapeva di nuovo e di pulito.

“Perdonami Haz … Ho ancora delle sensazioni pessime, dopo che …” – e deglutendo a vuoto, si rifugiava nel suo collo, dove l’altro lo sapeva accogliere come nessuno.
Nessuno …

Forse.


Era un’annata ottima, dal bar avevano accontentato al meglio la richiesta di Vincent.
Trangugiarlo in quel modo, però, come se fosse acqua minerale, un vero delitto: gli occhi chiusi, gli zigomi salati di lacrime, l’addome nudo e contratto, mentre il resto era coperto solo dai jeans strappati, scalzo, sui marmi del living, i muscoli tesi nelle braccia allenate, che sorreggevano l’edizione limitata di Goût de Diamant.

Un lungo sorso ancora, poi la bottiglia finì in frantumi, mentre Lux singhiozzava e si piegava, poi crollava in ginocchio, per raccogliere velocemente i cocci, se no Louis poteva farsi … male …
Louis, però, non c’era.

La sua lucidità stava venendo meno, per la rabbia, la costernazione.

“Oh mio Dio … Vincent”
La voce di Jerome gli fece quasi prendere un colpo.
L’affarista, come un bimbo, che si era perduto ai magazzini generali, volò contro il  suo busto massiccio, mentre l’amico se ne stava impalato sulla porta, ad assistere a quello spettacolo, come un dejà vu.

“E’ … è andato via … è andato … via” – disse con il fiato spezzato, ansimando.
Renoir lo strinse – “Lo so Vincent … Adesso calmati” – e lo accompagnò verso il divano, avvolgendolo con una coperta, che si affrettò a recuperare nella stanza accanto.
“Ordino del caffè, vuoi?” – chiese pacato, massaggiandogli la schiena.
“No, resta qui! …” – lo implorò – “Resta qui … e scusami …” – gemette Lux, asciugandosi la bocca, con l’avambraccio sinistro.
Si rannicchiò poi vicino a Jerome, che scosse la testa, senza più dire niente.

Ormai era notte.


“Buon compleanno Jay”
“Glam …”
“Buongiorno, come mai nel parco a quest’ora del mattino?”
“Grazie per gli auguri … E tu?” – gli sorrise, spostandosi indietro i lunghi capelli.

C’era il sole.

“Facevo due passi, me l’ha imposto il dottore” – e gli fece vedere un sms di Scott.
“E’ qui anche lui, vero?”
“Sì, in città con Jimmy …”
I loro fiati si mescolavano nell’aria gelida del mattino.
“Hanno fatto pace?”
“Può darsi …”
“Ti dispiace Glam?” – chiese cauto il leader dei Mars, riprendendo la sua camminata verso il gazebo dei roseti.

“No … Ti do questa impressione?” – replicò scrutandolo.
“Forse. Tu e Scott facevate una bella coppia” – sembrò scherzare.
“Ma se lo detestavi” – ribatté ridendo l’avvocato.
“Giusto” – sospirò Leto, scrollando le spalle magre sotto il cappotto nero, molto elegante.

“Colin mi ha detto dei tuoi incubi”
Si fermarono di nuovo.
“I vostri complotti …” – sibilò divertito.
“Lo sai, sono il suo legale, si confida” – ironizzò, dandogli poi un buffetto sul mento.
“Mi sono spaventato … E’ l’ansia per come ti ho visto a Palm Springs”
“Alti e bassi”
“Sicuro, Glam?”
“Non sono più sicuro di nulla, da tempo immemore, dovresti saperlo” – sorrise, dandogli la schiena, per guardare chi si stava avvicinando.
“C’è Shan”
“Sì, vedo ed ha ricominciato a fumare …”

“Ehi gente, che si dice?” – domandò di buon umore.
“Ciao bro …”
“Ho interrotto qualcosa Jay Jay?” – e gli fece l’occhiolino.
“Non fare lo stronzo …” – bisbigliò Leto jr.
Geffen si calò meglio la cuffia, spostandosi – “Si alza il vento, io rientro, non vorrei buscarmi una polmonite”
“No per carità” – disse pronto Jared, arrossendo, per come lo squadrarono i suoi interlocutori.
“Che c’è …?” – domandò timido.

“SORPRESA!!”
Da ogni dove spuntarono gli invitati della casa, sparando coriandoli e stelle filanti ovunque, portando nuovi doni al cantante, che si girò di scatto, a bocca aperta.
Colin ci stampò un bacio, ammiccando a Geffen ed al cognato.

“Temevamo che te ne accorgessi Jay!” – esclamò il consorte.
“Miseria … mi avete … fregato” – e ridendo diede una spinta a Glam e Shannon, complici in quell’amorevole imboscata.

Violet arrivò su di una slitta, trainata da renne: era anche il suo b.day.
Accanto a lei un raggiante Lula, che mandava baci a tutti, seguito da altre carrozze, dove c’erano il nonno e chi era rimasto a Los Angeles, come Jared credeva.
Mancavano unicamente Louis e Vincent, ma specialmente Harry.
Leto lo notò e chiese spiegazioni a Colin.

“Sylvie ha ricevuto un sms stringato, ma, a quanto pare, Lou si è rimesso con Haz”
“Cavoli … e Vincent?”
“Non ne ho idea Jared, ma temo stia malissimo”
“Mi dispiace, lui e Lou erano così in armonia, anche se so quanto i due cuccioli siano innamorati” – e sorrise dolce.
Farrell lo abbracciò, incantato da come il marito gli trasmettesse ancora un’emozione tanto completa e toccante.

Meliti, con le signore, Xavier, Phil e Taylor scesero, recando strenne e l’immancabile simpatia.

Jared spiò le mosse di Taylor, notando i dispetti che lui e Xavy si stavano facendo, ma per poco.
Lo scultore, appena vide Jude, lo salutò con un’esuberanza quasi discutibile, mentre Downey accoglieva Taylor e Derado con maggiore compostezza.

A sorpresa, spuntarono da quella carovana chiassosa e colorata anche Tom, Chris e Luna: Jared si precipitò da loro, dando un caloroso benvenuto al terapista, che ben presto si avvicinò anche a Geffen, radioso nel ritrovarselo lì, senza alcun preavviso.

Dean, Sammy e Casper chiudevano le fila, spingendo verso le aiuole un tavolo fissato su degli sci d’epoca, recante una torta enorme.
Jared e Violet furono reclamati per spegnere le candeline, che Eamon accese con cura.

Vennero scattate parecchie foto, mentre i festeggiati facevano le porzioni e scherzavano con chiunque rivolgesse loro un augurio od una battuta.

C’era un clima di serenità ritrovata, ma Downey sentiva la mancanza di Christopher.
Gli mandò un messaggio, ma il giovane lo richiamò.

“Ciao papà, tutto a posto?”
Era solare, splendido, anche se Robert non lo vedeva.
“Ehi tesoro, sì … Dove siete? Ieri non me lo hai detto”
“A Londra, Steve aveva un convegno, quindi abbiamo colto l’occasione”
“Clarissa?”
“Un gioiello … cresce e chiede del suo nonno preferito …”
“Che tenera …”
“Manchi anche a me, Rob …” – e divenne un po’ malinconico, almeno quanto Downey.
“Quando torneremo, dobbiamo vederci, sai? Stare un po’ insieme …”
“Stavo per proportelo io, papà …”
“Ok … Christopher devo andare, grazie per la telefonata”
“Grazie a te, ci vediamo presto, promesso.”


“Almeno questa volta non è burbon, Vincent”
Renori lo bofonchiò mesto.

“Che … che ore sono …?”
“Le cinque, il sole sorgerà presto … Buon Santo Stefano …”
“Grazie” – e si sollevò tenendosi la faccia.
“Come ti senti?”

Lux lo fissò – “Come l’altra volta … era Natale anche allora”
“Louis lo sa?”
“Che … che cosa?”
“Che tuo figlio è morto il venticinque dicembre?”
“No Jerome … No.”
“Come mai?”
“Come mai cosa? Che cazzo dici?” – sbottò triste, avviandosi in bagno, trascinando con sé il plaid in prezioso cachemire.

“Stai une merde … ed io odio la California!” – sbraitò, appena Vincent sparì dietro un’anta scorrevole, in vetro temprato di colore rosso.
“E allora vattene!” – urlò l’ex poliziotto, mentre scalciava via i pantaloni ed i boxer, per andarsi a fare una doccia.
“Ma vaffanculo Vinny!!”

“Fanculo anche tu Jess … ti voglio bene” – mormorò, chiudendosi nel box, la fronte al muro, poi la schiena, mentre apriva il miscelatore.

L’acqua si sarebbe mescolata alle sue rinnovate lacrime.
Sembravano non avere fine, come il dolore, che gli squarciava il petto: avrebbe potuto prendersi il cuore tra le mani e farlo sciogliere sotto i getti bollenti, dove ora stava come annaspando.

Voleva vivere comunque, perché Louis esisteva ed era l’unica cosa buona, per cui non valeva la pena morire; non quell’alba, almeno.









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