Capitolo n. 188 – zen
Brent storse le
labbra.
Louis lo aveva
ascoltato con attenzione.
Cindy aveva
capito, di lui e di Matthew ben prima che lui parlasse, dopo la notizia
dell’improvviso trasferimento a Los Angeles.
Una strana
coincidenza, così che la verità era traboccata dalle iridi del capitano, senza
neppure troppa fatica.
Matthew, in
compenso, al solo pensiero di tornare in California, da quei parenti omofobi ed
odiosi, si era tirato indietro, non senza rammarico.
Anche se la
vita di caserma non era ciò che voleva veramente, lì c’erano i suoi amici, gli
ex compagni di scuola, con cui giocava ancora a basket il mercoledì sera ed una
sequenza di abitudini, difficili da abbandonare, a soli diciotto anni.
Lou lo
strinse.
“Mi dispiace …
So che ci tenevi a Matt …” – e gli diede una carezza, delicata e fatta della
sua stessa sofferenza.
Erano sulla
terrazza della suite, che Lux aveva disdetto per il pomeriggio: c’erano i
bagagli pronti nel salottino, dal quale Harry li stava spiando, senza sapere
che alle proprie spalle, Vincent stava facendo lo stesso, carpendo il dialogo
tra Louis e Brent, sempre più in armonia.
Haz si voltò,
sconfortato, accorgendosi di lui.
Lux allungò la
mano ed Harry la intrecciò alla sua, gelida.
“Su vieni,
andiamo a prenderci un caffè …” – propose rassicurante il francese e
scivolarono via, lasciando Lou a consolare Brent, con i suoi entusiasmi, i suoi
progetti.
“Gli ho reso
la quota per il ristorante … Ora sono al verde, perché ciò che rimaneva l’avevo
investito nel matrimonio, ormai annullato …”
“I soldi non
sono un problema Brent, te l’ho già detto” – e gli sorrise solare – “Vedrai che
sistemeremo ogni cosa, appena saremo al sicuro”
“Da papà?”
Louis annuì,
arrossendo.
“Lui non se la
sa spiegare … questa promozione intendo”
“Eppure mi hai
raccontato che dopo avere ricevuto la telefonata dal generale,era su di giri”
Brent fece
spallucce – “Sembrava una collegiale … Certo non si possono mettere in
discussione gli ordini di una simile autorità, ma mi chiedo come abbiate fatto”
“E’ … è la
nostra nuova famiglia Brent … Ti ci abituerai” – e gli fece un occhiolino
simpatico.
Hugh scivolò
nel suo collo, mentre gli stava per venire dentro.
Jim lo avvolse
quanto più poteva, con gambe e braccia, percependo ogni goccia di lui,
scorrergli sino al cuore.
Gemette,
aggrappandosi a Hugh, come la migliore delle dipendenze, ma l’intento era anche
quello di sfuggire al suo sguardo nella penombra.
Quello di
Mason era umido di lacrime.
Stremato,
l’analista gli sorrise, contandosi le pulsazioni, scherzoso anche in quegli
attimi di intimità.
“Che hai Jim?”
“Niente …
pensavo …”
“A cosa?” –
gli chiese dolce, tralasciando il suo innato sarcasmo.
Si stava
ammorbidendo, dopo avere adottato Nasir: era una continua scoperta, da parte di
Mason, della sua indole fatta di tenerezza, di presenza, di attenzione e
disponibilità.
“Mi guardavo allo specchio, prima … e non ero
bello come Chris o Tim o Jimmy” – rivelò smarrito.
“Non lo sei
stato mai, così loro non saranno mai come sei tu, Jim” – e lo baciò profondo.
Jim si
commosse: interruppe quel bacio, perché voleva guardarlo, guardare l’uomo che
amava, di cui era ancora innamorato, che aveva sposato.
I vagiti di
Nasir, però, interruppero quel loro momento.
“Vado io Hugh
… Vuoi qualcosa da bere?”
“Latte e
brandy e mi raccomando, non confondere i biberon!” – e rise, infilando una
maglietta al marito, mentre lui indossava i boxer.
Brendan si
lisciò i baffi, dopo avere parcheggiato la sua auto nei box sotterranei.
Individuò gli
ascensori, per raggiungere la terrazza naturale, sulla quale si affacciava
l’ingresso del palazzo, dove avrebbe trascorso quel periodo di tre mesi, per
uno scambio di collaborazioni internazionale.
“Potrei anche
tagliarmeli … se me lo chiedesse la persona giusta” – pensò ad alta voce,
mentre scendeva.
“Ehi, parli da
solo?”
“Chris …?
Ciao, non ti avevo visto”
“A quanto pare
è una tua abitudine.” – e gli passò oltre, per premere il pulsante e fare
tornare la cabina panoramica, completamente a vetri, al loro livello.
“Ti aiuto con
i pacchi?” – disse lo psicologo, ammiccando.
“No, grazie”
“Io ti sono
antipatico, vero?” – chiese schietto Brendan.
“No”
“Lo dici
sempre, Christopher?” – e rimarcò il suo nome.
“Cosa?”
“No.” – e
sorrise.
“Quando serve”
– replicò serio.
“Ok … Ti
chiedo scusa, se sono stato inopportuno, ma sei … uno schianto”
“Diretto come
un treno, ma a me i complimenti infastidiscono”
“Anche quelli
di Steve? Impossibile” – ribatté altrettanto asciutto.
“Con Steve è
diverso e poi lui non …”
Si bloccò: non
voleva aprirsi, per nessun motivo.
“Lui …?”
Le ante si
schiusero ed un’ombra invase lo spazio tra loro due.
“Ciao
Christopher, tutto a posto?”
“Ivan … ciao
…”
“Salve …” –
disse Laurie, guardandolo dal basso in alto, non certo per snobbarlo, bensì per
ammirarlo letteralmente.
Nonostante la
temperatura non mite, Ivan indossava un vogatore nero, sui pantaloni della tuta
Adidas, nella stessa tinta.
Null’altro, a
parte le scarpe, che Brendan valutò essere almeno un quarantotto di calzata.
“Buonasera,
lei chi è? Sta disturbando Christopher?”
“Sono … un
nuovo vicino di casa, mi chiamo Brendan Laurie, piacere” – disse calmo.
“Laurie?”
“Sì Ivan, è il
fratello di Hugh, sono entrambi analisti” – chiarì il leader dei Red Close,
sorridendo finalmente.
“Ok”
“Sì, è tutto
ok Ivan, vieni dalla palestra al quinto piano?”
“Infatti Chris
…” – e lo guardò, con un’improvvisa timidezza – “I soliti allenamenti”
“Andiamo a
bere qualcosa, sarai assetato” – propose il cantante ed il body guard avvampò.
“Ragazzi io vi
lascio, buon proseguimento” – si inserì Brendan, anche sgusciando in mezzo a
loro, quasi cristallizzati nel guardarsi, per infilarsi in quello che gli
ricordava un sarcofago di cristallo.
Ivan e Chris
neppure lo salutarono.
“Sono stato
anche un fratello per lui, sai? I primi tempi … quando eravamo solo amici e
colleghi di università”
Haz glielo
stava raccontando, davanti ad un affogato alla nocciola.
Erano in una
gelateria, deserta a quell’ora.
“Louis sta
recuperando un rapporto essenziale, dobbiamo … dovresti essere comprensivo,
come del resto è stato lui, quando avete avuto dei problemi Harry” – replicò dolce
l’affarista.
Era gradevole,
anche la maniera in cui pronunciava il nome di Harry, con quell’accento vivace,
come i suoi occhi azzurri, davvero belli: il giovane li notò in quell’attimo di
confidenze, di solidarietà, incredibile per certi versi.
“Tu un
surrogato di padre, io di fratello … ci hai mai pensato, Vincent?”
“Siamo tutti
un po’ … tappabuchi” – rise – “Insomma colmiamo i vuoti … Lou ha ammesso di
essersi invaghito, prima del colonnello, poi del suo primogenito, erano figure
solide e, anche se lo opprimevano, alla fine erano la sua famiglia, erano tutto
ciò che Louis aveva. Ci si innamora dei carnefici, pensa di un padre e di un
fratello …” – e sospirò.
“Forse hai
ragione, ma è come se Louis mi sfuggisse, ora che …” – ed inghiottì un singulto
– “Ora che ha un’alternativa o meglio ha ciò che voleva indietro dalla vita,
dal destino, cioè Brent ed il suo affetto … il suo amore”
“Bene, ho un
vantaggio su di te, mon petit garcon, visto che il vecchio Tomlinson non
tornerà mai sui propri passi, troppo coglione!” – rise allegro, dando poi un
buffetto ad Harry.
“Già, la
proiezione di lui rimani tu e quindi Louis dovrà … accontentarsi” – e gli fece
una smorfia, sorridendo.
“Non ne
approfitterò …” – disse più composto, ma senza alcun astio: Lux desiderava
equilibrio e, più di ogni altra cosa, non perdere Louis, facendolo il trofeo, a
cui agognare in un’inutile competizione tra sé stesso ed Harry.
Alla fine, l’esperienza
gli aveva insegnato che forzare le cose, le scelte, le situazioni, portava ad
un fallimento solo rimandato.
“Hugh presto
vieni!!”
Jim lo chiamò
dalla cameretta di Nasir.
“Che succede?”
Laurie si
precipitò, dimenticando il bastone e quasi cadendo, se non ci fosse stato lo
stipite a sorreggerlo.
“Ha la febbre!
Quasi quaranta, chiama un’ambulanza, fai presto, ti prego!!”
“E’ un po’
strambo … come i suoi parenti”
Christopher
rise, descrivendo Brendan, anche per stemperare il disagio che leggeva sul
volto di Ivan.
“A me non piace
… E poi come si veste? Nemmeno i papponi che conosco a Mosca, si conciavano in
quel modo negli anni ottanta” – e rise tirato, sorseggiando un assurdo beverone
di colore verde mela.
“A proposito,
come sono andate le vacanze in patria?”
“Bene, ho
portato un regalo per Lula, una matriosca … Spero gli piaccia”
“Certo … Forse
è un dono più per una bimba” – ed arricciò il naso, perfetto tra quei due
cristalli, illuminati dai faretti del bar, in cui si erano accomodati per
dissetarsi.
“Ops hai
ragione Chris … Gli regalerò la mia scacchiera portatile”
“Giochi a
scacchi?”
“Sì … e tu?”
“Steve ha
provato ad insegnarmi … sì insomma me la cavo …”
“Devi tornare
da lui?”
“Non c’è, è a
Boston, mentre Clarissa l’abbiamo lasciata dai suoi genitori … Sono … simpatici
…”
“Sicuro?”
“La famiglia
di Steve mi ha accettato, non posso lamentarmi. Lui è stato fantastico, mi ha …
raccattato, dopo una serie di delusioni pesanti” – rivelò assorto.
“Mi dispiace
Chris”
“Ho persino” –
inspirò greve – “Ho persino tentato il suicidio …”
Era così
semplice confidarsi con Ivan, gli dava una strana sicurezza.
“Mio Dio …
addirittura? Stento a crederci …”
“In effetti
nessuno ci riusciva, perché avevo tutto, almeno così credevano … gli amici, chi
lavorava insieme a me da anni … Sbagliavano”
“Ma tutto si è
sistemato, vero?” – e sorrise.
“Certo.” –
anche Chris sorrise, fissandolo.
Ivan era
affascinante, solido come una roccia, ma, nel contempo, chiuso come tale.
Geffen fu
svegliato dalla telefonata di Scott.
“Glam devo
tornare in California, potresti sentire dov’è il jet di Antonio?”
“Il … il jet?
Ma che ore sono …?”
“Le sei, so
che è presto, scusami”
“Come mai sei
così agitato?”
“Nasir sta
male, una sospetta leucemia, ma non sono sicuri …”
“Miseria,
aspetta … sì dunque, è in Italia, qua vicino, me l’ha detto ieri, sono scesi a
Roma … Lo chiamo, dammi un secondo”
Mason aveva la
fronte incollata alla parete del suo studio.
I denti
piantati nelle nocche di destra, mentre tremava e singhiozzava.
“Jim …”
“Non è … non è
possibile …”
“Jim ascoltami”
“No!! Non deve
morire, non può andarsene così!!” – urlò disperato.
Si
erano riuniti nel salone, raccogliendo i bagagli in fretta e furia,
mentre Scott li aggiornava in video chiamata, dopo avere ricontattato Geffen, per sapere a che punto fossero con l'aereo.
“Quindi gli
occorre un trapianto, Scott?” – chiese Colin, mentre allacciava i giubbotti
alle bimbe.
Jared
raccoglieva le ultime cose insieme a Shan e Tomo.
Lula stava
rannicchiato sul davanzale, stringendo Brady, a palpebre serrate, cantando una
nenia haitiana.
Kevin, Tim e
Glam lo guardavano, non senza inquietudine.
“Sì, ma i
possibili donatori non sono idonei, intendo dire quelli che l’ospedale ha in
archivio.”
“Ok, ma noi
possiamo fare qualcosa, vero?” – si intromise Robert.
“Possiamo
farlo, ma potremmo risultare non adatti, il che sarebbe davvero una sfortuna
tremenda … Nasir in compenso non ha parenti”
“Avete parlato
con la fondazione?” – “Sì Glam, ma è stato un buco nell’acqua”
“Come
funziona, per la questione dell’intervento?” – domandò Jude.
“Si procede
con un prelievo di sangue, poi si passa al prelievo del midollo, se si risulta
compatibili ovvio”
Geffen aprì la
blindata – “I taxi sono arrivati. Anche se sono una carcassa, io lo farò, ok
Scott?”
I presenti si
scambiarono un’occhiata veloce.
Ed esaustiva.
Scott sorrise –
“Grazie ragazzi … Andiamo ora e sbrighiamoci.”
HUGH AND JIM
IVAN
CHRIS
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