martedì 12 marzo 2013

ZEN CAPITOLO N. 70



Capitolo n. 70  -  zen


Jude, Robert e Camilla si unirono alla comitiva all’ultimo minuto, su esortazione di Xavier.
Law, inoltre, doveva recarsi per la visita mensile ai suoi figli, in quel di Londra ed il passaggio offerto da Meliti apparve alla coppia come qualcosa di divertente, quanto simpatico.
Un fine settimana poi a Barcellona, prima di recarsi nell’uggiosa Inghilterra li aveva ispirati positivamente.
L’animo di Downey, però, quanto quello di Jared, furono turbati dalla presenza di Kevin, che sembrava volerli ignorare volutamente, concentrandosi su di una conversazione senza né capo e né coda, insieme a Kurt.
Colin si perse in chiacchiere con Jude, mentre Martin giocava a carte con il nonno, che non controllava l’ora ogni tre secondi, rimandando il decollo.

L’arrivo di Tim diede una scossa ai presenti, ma mai come a Kevin, che sembrò sul punto di svenire dall’emozione.
La risata di Lula lo fece tornare sul pianeta, anche se le sue iridi erano conficcate in quelle di Tim, che non esitò ad abbracciarlo.
Si strinsero talmente forte, da farsi scricchiolare le ossa a vicenda.
Tutto il rancore, che Kevin aveva provato nei riguardi di Robert e Jared, visti ormai alla stregua di antagonisti e responsabili di ogni suo fallimento con Glam, sembrò svanire.

Lula portò dei giocattoli a Martin, mentre Vassily e Peter si accomodavano, poco distante da Meliti, che fece le sue solite battute sulla robustezza delle poltrone e la solidità della carlinga.

Kurt, invece, ebbe un sussulto di gelosia, nei riguardi di Tim, forse perché si era illuso di potere riprendere un dialogo particolare con lui ed un’eventuale relazione, in un futuro prossimo.
Jared notò il suo disappunto mal celato e provò a capirne i motivi.
Dalla morte di Brandon, però, il loro legame, sembrava essersi come incrinato.
Certo non vi era stato alcun litigio o discussione, ma quella sintonia speciale tra lui ed il cantante dei Mars, appariva come appannata.

“Tutto bene quel che finisce bene … Ah, grazie per il caffè” – sorrise mesto, al gesto da parte di Jared.
“Figurati … Cosa dicevi?” – chiese distratto.
“Parlavo di Tim e Kevin, mi sembra ovvio”
“Sì Kurt, ma cosa ti dà fastidio, potrei saperlo?” – domandò gentile.
“Niente. A dire il vero non capisco dove vuoi andare a parare”
Jared sospirò – “Cristo Kurt, come se potessimo nasconderci le cose …”
“Perché non torni da tuo marito? Fallo, finché ne hai uno” – bissò asciutto.
“Kurt …”
“State tutti a compatirmi, pensando chissà cosa e poi date per scontata la vostra felicità, quando io ho perso tutto, accidenti!” – sibilò affranto.
“Hai Martin … hai noi …” – ribatté con ansia Jared, notato a quel punto da Colin, che stava intrattenendo anche Robert, in fondo alla carlinga.
“Ma è di Brandon che ho bisogno, anche per nostro figlio, non di voi!” – ribatté quasi in lacrime ormai.
Downey lasciò il posto, andando da Kurt, cingendolo, con il suo sguardo dolce e non certo di pietà.
“Mettiamoci comodi, non farti vedere da Martin in questo stato …”
“Sì Rob … Scusatemi … Perdonami Jared.” – disse piano, allontanandosi con l’attore.


Geffen gli espose la sua strategia, coadiuvato da Hopper, che si sentiva a disagio davanti a Matt, piuttosto frastornato dai farmaci postprandiali.
Lo aiutavano a dormire per l’intero pomeriggio, prima della consueta seduta dallo psichiatra, alla Foster.
“Quindi dovrai parlare con Alexander … quanto mi interrogherai, giusto Glam?” – domandò confuso.
“Infatti, questo è il mio obiettivo, così che la giuria possa constatare che non ci siamo inventati la storia della doppia personalità.”
“Ah … sì … Alexander non arriva a comando” – ridacchiò, grattandosi la nuca.
Marc lanciò un’occhiata dubbiosa a Glam, che provò ad insistere, affinché il loro assistito capisse quanto era importante giungere preparati all’udienza del lunedì.
“Sei stanco Matt?”
“Sì Glam … Ho sonno … è sempre così, non riesco neppure a pensare …” – si intristì.
“Parlerò con i medici, non puoi arrivarmi in aula in queste condizioni” – sbottò severo, pronto ad andarsene.
Hopper raccolse i dossier in fretta: non vedeva l’ora di tornare da Jamie ed i loro bimbi, destinazione Malibu, al parco acquatico.
Geffen lo sapeva e non voleva trattenerlo oltre.
“Vai pure Marc, grazie infinite per questo straordinario, semmai ci aggiorniamo domani sera, ok?”
“D’accordo Glam, tu rimani …?” – chiese incerto.
“Pochi minuti. Buon fine settimana.” – e lo congedò.


Il riverbero bluastro, che filtrava dagli oblò, si infrangeva sul busto madido di Tim, ondeggiante e sensuale, mentre a cavalcioni sul sesso di Kevin, si faceva impalare in una danza ipnotica per entrambi.
Le loro dita erano intrecciate, mentre il bassista sembrava sorreggere il suo ragazzo, nel movimento perfetto e capace di donare un piacere assurdo alle loro terminazioni nervose, in balia completa di quell’amplesso non più rimandabile.
I confronti verbali li avevano posticipati tacitamente ad un momento diverso, quando le pulsazioni fossero rientrate in parametri gestibili, perché in quel preciso istante loro dovevano appartenersi, dopo essersi resi conto di condividere una simbiosi unica.
Tim precipitò verso il corpo di Kevin, ma questi con un colpo di reni, non solo si sollevò, per cinturarlo vigoroso, ma arrivò a toccare un punto in lui, così ricettivo da farlo urlare e piangere dalla gioia, mentre venivano simultaneamente.

L’insonorizzazione dell’ambiente, li salvò dall’attirare l’attenzione dei passeggeri, ormai rilassatisi, essendo a metà del viaggio, dopo un pasto leggero, che per Kevin e Tim era rimasto fuori dalla porta, chiusa ermeticamente.


“Glam non hai impegni per il sabato sera …?” – chiese docile Matt, ormai coricatosi, dopo la seduta dall’analista.
L’avvocato lo aveva aspettato, lavorando ai dettagli degli interrogatori, sul proprio note book.
“Potremmo uscire a ballare, che ne dici?” – bissò pacato, accarezzandogli la fronte e sistemandogli il cuscino sotto la testa sudata.
“Magari …” – bisbigliò, socchiudendo le palpebre.
“Tra poco si cena … Hai appetito?”
“No … Le pastiglie me lo tolgono”
In effetti era dimagrito parecchio.
“Vedrò come posso rimediare …”
“Non è colpa tua Glam, ma di Alexander … Se non fosse per lui, non sarei in questo casino” – replicò irritato e depresso.
“Devi avere fiducia nella giustizia e nella polizia di Haiti, a cui hai fatto un favore, ammettiamolo.”
“Ho … ucciso una persona … che neppure conoscevo, se Alexander non sta mentendo … E’ orribile Glam”
“Sì, lo è. In ogni caso Mendoza era un trafficante di droga, un mercante di morte”
“Tu eri pronto a massacrarlo, vero? Per Lula …” – osservò angosciato.
“Ero fuori di me … Certo, avrei fatto una pazzia”
Matt sorrise – “Il cavaliere senza paura … Ne hai mai? Almeno un po’?”
“Spesso … Cerco di nasconderla, non credo sia un bene”
“Per chi ti circonda lo è, credimi: infondi sicurezza, anche se il mondo crolla … e piange …” – si commosse, in preda a qualche pensiero malevolo.
Geffen si sporse, dandogli un bacio sulla fronte spaziosa.
Matt era bellissimo.

I suoi zaffiri divennero vitrei, il suo fiato un gemito.
Glam lo scrutò, notando un cambiamento nella sua espressione.
“Non … non riesco neppure ad alzare un dito … Altrimenti ti strapperei gli occhi, lurido bastardo, lo sai vero?” – ringhiò, restando immobile.
Geffen si rialzò, senza scomporsi.
“Alexander … Eccoti finalmente.”
“Ti sono mancato …?” – un risolino gli fece storcere la bocca perfetta.
“No, affatto. Preferisco di gran lunga Matt, però tu adesso ci servi e non sai quanto.”
“Se pensi che io lo salvi … Ho ascoltato i vostri discorsi del cazzo, non la farete franca … Lui affonderà con me!” – e si sollevò, provando un tale capogiro, da ripiombare sul materasso come un fantoccio inerme.

“Hai sempre detto di amare Matt, quindi cosa ti prende ora? Non vorresti vederlo libero, realizzato, felice?” – ribatté deciso.
“Con te, forse?”
“Matt non potrà più avere un’esistenza decente, l’hai già condannato, ma almeno si salverà dalla galera, possibile tu non lo capisca?!” – inveii alterato.
“Bella prospettiva … Rincoglionito per gli psicofarmaci … Senza distinguere il buio dalla luce, a farsi seghe come un adolescente …” – biascicò, roteando le pupille.
“Alexander …?”

Ormai si era assopito, improvviso, come previsto dalla terapia.
I suoi mutamenti più reconditi, innescavano una reazione chimica a catena con le sostanze assunte; così, almeno, gli aveva spiegato Foster.
Era una prigione senza pareti, senza cielo, senza un domani.
Un incubo senza uscita.




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