Capitolo n. 70 - zen
Jude, Robert e
Camilla si unirono alla comitiva all’ultimo minuto, su esortazione di Xavier.
Law, inoltre, doveva
recarsi per la visita mensile ai suoi figli, in quel di Londra ed il passaggio
offerto da Meliti apparve alla coppia come qualcosa di divertente, quanto
simpatico.
Un fine settimana poi
a Barcellona, prima di recarsi nell’uggiosa Inghilterra li aveva ispirati
positivamente.
L’animo di Downey,
però, quanto quello di Jared, furono turbati dalla presenza di Kevin, che
sembrava volerli ignorare volutamente, concentrandosi su di una conversazione
senza né capo e né coda, insieme a Kurt.
Colin si perse in
chiacchiere con Jude, mentre Martin giocava a carte con il nonno, che non
controllava l’ora ogni tre secondi, rimandando il decollo.
L’arrivo di Tim diede
una scossa ai presenti, ma mai come a Kevin, che sembrò sul punto di svenire
dall’emozione.
La risata di Lula lo
fece tornare sul pianeta, anche se le sue iridi erano conficcate in quelle di
Tim, che non esitò ad abbracciarlo.
Si strinsero talmente
forte, da farsi scricchiolare le ossa a vicenda.
Tutto il rancore, che
Kevin aveva provato nei riguardi di Robert e Jared, visti ormai alla stregua di
antagonisti e responsabili di ogni suo fallimento con Glam, sembrò svanire.
Lula portò dei giocattoli
a Martin, mentre Vassily e Peter si accomodavano, poco distante da Meliti, che
fece le sue solite battute sulla robustezza delle poltrone e la solidità della
carlinga.
Kurt, invece, ebbe un
sussulto di gelosia, nei riguardi di Tim, forse perché si era illuso di potere
riprendere un dialogo particolare con lui ed un’eventuale relazione, in un
futuro prossimo.
Jared notò il suo
disappunto mal celato e provò a capirne i motivi.
Dalla morte di
Brandon, però, il loro legame, sembrava essersi come incrinato.
Certo non vi era
stato alcun litigio o discussione, ma quella sintonia speciale tra lui ed il
cantante dei Mars, appariva come appannata.
“Tutto bene quel che
finisce bene … Ah, grazie per il caffè” – sorrise mesto, al gesto da parte di
Jared.
“Figurati … Cosa
dicevi?” – chiese distratto.
“Parlavo di Tim e
Kevin, mi sembra ovvio”
“Sì Kurt, ma cosa ti
dà fastidio, potrei saperlo?” – domandò gentile.
“Niente. A dire il
vero non capisco dove vuoi andare a parare”
Jared sospirò – “Cristo
Kurt, come se potessimo nasconderci le cose …”
“Perché non torni da
tuo marito? Fallo, finché ne hai uno” – bissò asciutto.
“Kurt …”
“State tutti a
compatirmi, pensando chissà cosa e poi date per scontata la vostra felicità,
quando io ho perso tutto, accidenti!” – sibilò affranto.
“Hai Martin … hai noi
…” – ribatté con ansia Jared, notato a quel punto da Colin, che stava
intrattenendo anche Robert, in fondo alla carlinga.
“Ma è di Brandon che
ho bisogno, anche per nostro figlio, non di voi!” – ribatté quasi in lacrime
ormai.
Downey lasciò il
posto, andando da Kurt, cingendolo, con il suo sguardo dolce e non certo di
pietà.
“Mettiamoci comodi,
non farti vedere da Martin in questo stato …”
“Sì Rob … Scusatemi …
Perdonami Jared.” – disse piano, allontanandosi con l’attore.
Geffen gli espose la
sua strategia, coadiuvato da Hopper, che si sentiva a disagio davanti a Matt,
piuttosto frastornato dai farmaci postprandiali.
Lo aiutavano a
dormire per l’intero pomeriggio, prima della consueta seduta dallo psichiatra,
alla Foster.
“Quindi dovrai
parlare con Alexander … quanto mi interrogherai, giusto Glam?” – domandò confuso.
“Infatti, questo è il
mio obiettivo, così che la giuria possa constatare che non ci siamo inventati
la storia della doppia personalità.”
“Ah … sì … Alexander
non arriva a comando” – ridacchiò, grattandosi la nuca.
Marc lanciò un’occhiata
dubbiosa a Glam, che provò ad insistere, affinché il loro assistito capisse
quanto era importante giungere preparati all’udienza del lunedì.
“Sei stanco Matt?”
“Sì Glam … Ho sonno …
è sempre così, non riesco neppure a pensare …” – si intristì.
“Parlerò con i
medici, non puoi arrivarmi in aula in queste condizioni” – sbottò severo,
pronto ad andarsene.
Hopper raccolse i
dossier in fretta: non vedeva l’ora di tornare da Jamie ed i loro bimbi,
destinazione Malibu, al parco acquatico.
Geffen lo sapeva e
non voleva trattenerlo oltre.
“Vai pure Marc,
grazie infinite per questo straordinario, semmai ci aggiorniamo domani sera,
ok?”
“D’accordo Glam, tu
rimani …?” – chiese incerto.
“Pochi minuti. Buon
fine settimana.” – e lo congedò.
Il riverbero
bluastro, che filtrava dagli oblò, si infrangeva sul busto madido di Tim,
ondeggiante e sensuale, mentre a cavalcioni sul sesso di Kevin, si faceva
impalare in una danza ipnotica per entrambi.
Le loro dita erano
intrecciate, mentre il bassista sembrava sorreggere il suo ragazzo, nel
movimento perfetto e capace di donare un piacere assurdo alle loro terminazioni
nervose, in balia completa di quell’amplesso non più rimandabile.
I confronti verbali
li avevano posticipati tacitamente ad un momento diverso, quando le pulsazioni
fossero rientrate in parametri gestibili, perché in quel preciso istante loro
dovevano appartenersi, dopo essersi resi conto di condividere una simbiosi
unica.
Tim precipitò verso
il corpo di Kevin, ma questi con un colpo di reni, non solo si sollevò, per
cinturarlo vigoroso, ma arrivò a toccare un punto in lui, così ricettivo da
farlo urlare e piangere dalla gioia, mentre venivano simultaneamente.
L’insonorizzazione
dell’ambiente, li salvò dall’attirare l’attenzione dei passeggeri, ormai
rilassatisi, essendo a metà del viaggio, dopo un pasto leggero, che per Kevin e
Tim era rimasto fuori dalla porta, chiusa ermeticamente.
“Glam non hai impegni
per il sabato sera …?” – chiese docile Matt, ormai coricatosi, dopo la seduta
dall’analista.
L’avvocato lo aveva
aspettato, lavorando ai dettagli degli interrogatori, sul proprio note book.
“Potremmo uscire a
ballare, che ne dici?” – bissò pacato, accarezzandogli la fronte e
sistemandogli il cuscino sotto la testa sudata.
“Magari …” –
bisbigliò, socchiudendo le palpebre.
“Tra poco si cena …
Hai appetito?”
“No … Le pastiglie me
lo tolgono”
In effetti era
dimagrito parecchio.
“Vedrò come posso
rimediare …”
“Non è colpa tua
Glam, ma di Alexander … Se non fosse per lui, non sarei in questo casino” –
replicò irritato e depresso.
“Devi avere fiducia
nella giustizia e nella polizia di Haiti, a cui hai fatto un favore,
ammettiamolo.”
“Ho … ucciso una
persona … che neppure conoscevo, se Alexander non sta mentendo … E’ orribile
Glam”
“Sì, lo è. In ogni
caso Mendoza era un trafficante di droga, un mercante di morte”
“Tu eri pronto a
massacrarlo, vero? Per Lula …” – osservò angosciato.
“Ero fuori di me …
Certo, avrei fatto una pazzia”
Matt sorrise – “Il
cavaliere senza paura … Ne hai mai? Almeno un po’?”
“Spesso … Cerco di
nasconderla, non credo sia un bene”
“Per chi ti circonda
lo è, credimi: infondi sicurezza, anche se il mondo crolla … e piange …” – si commosse,
in preda a qualche pensiero malevolo.
Geffen si sporse,
dandogli un bacio sulla fronte spaziosa.
Matt era bellissimo.
I suoi zaffiri
divennero vitrei, il suo fiato un gemito.
Glam lo scrutò,
notando un cambiamento nella sua espressione.
“Non … non riesco
neppure ad alzare un dito … Altrimenti ti strapperei gli occhi, lurido bastardo,
lo sai vero?” – ringhiò, restando immobile.
Geffen si rialzò,
senza scomporsi.
“Alexander … Eccoti
finalmente.”
“Ti sono mancato …?” –
un risolino gli fece storcere la bocca perfetta.
“No, affatto.
Preferisco di gran lunga Matt, però tu adesso ci servi e non sai quanto.”
“Se pensi che io lo
salvi … Ho ascoltato i vostri discorsi del cazzo, non la farete franca … Lui
affonderà con me!” – e si sollevò, provando un tale capogiro, da ripiombare sul
materasso come un fantoccio inerme.
“Hai sempre detto di
amare Matt, quindi cosa ti prende ora? Non vorresti vederlo libero, realizzato,
felice?” – ribatté deciso.
“Con te, forse?”
“Matt non potrà più
avere un’esistenza decente, l’hai già condannato, ma almeno si salverà dalla
galera, possibile tu non lo capisca?!” – inveii alterato.
“Bella prospettiva …
Rincoglionito per gli psicofarmaci … Senza distinguere il buio dalla luce, a
farsi seghe come un adolescente …” – biascicò, roteando le pupille.
“Alexander …?”
Ormai si era
assopito, improvviso, come previsto dalla terapia.
I suoi mutamenti più
reconditi, innescavano una reazione chimica a catena con le sostanze assunte;
così, almeno, gli aveva spiegato Foster.
Era una prigione senza
pareti, senza cielo, senza un domani.
Un incubo senza
uscita.
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