venerdì 8 marzo 2013

ZEN - CAPITOLO N. 67



Capitolo n. 67  -  zen


L’orizzonte era azzurro come i suoi occhi, fissi nel vuoto.
Visti di spalle, i due uomini sulla panchina bianca, davano l’idea di essere concentrati sulle proprie solitudini, ma appena si guardarono, la serenità di quel momento assunse un sapore magico.

“Grazie per essere qui Rob”
“E’ una promessa che mi è piaciuto mantenere, Glam” – sorrise.
“Sei l’unico con cui riesco a parlare … di certe cose …”
“Mi accennavi di Matt …” – disse esitante.
“Sì … Alexander ha prevalso ed in clinica si è prostituito con una guardia, per avere sigarette e doppia razione di cibo … Diciamo che si è divertito e Matt ad ogni risveglio si rendeva conto di avere avuto un rapporto sessuale, pur non ricordando niente.”
Robert strizzò le palpebre, prendendo tra le sue, le mani di Geffen.
“Mi dispiace … Matt è una bella persona e ti vuole bene, anzi … Lui ti ama, ne sono certo”
“Ho avuto come una scossa elettrica di emozioni differenti, sai? Poi l’ho baciato, ma non credo sia questo il punto, anche se non so se l’intento era di consolarlo o di chiedergli perdono.”
“Perdono per cosa, Glam?” – bissò dolce.
Geffen guardò le mani di Robert, capovolgendo la presa, con delicatezza, portandosele alla bocca ed al volto, chiudendo gli occhi, percependone ogni piega delle ossa, sotto la pelle liscia.
“Sono piccole … e morbidissime …” – sorrise, tenendo ancora le palpebre serrate – “Rammento ogni dettaglio di te Rob, dal neo sull’ultima costola, a destra, alla perfezione di ogni parte del tuo corpo …”
Geffen riaprì i suoi cristalli, su di un Downey emozionato, ma composto, mentre un uragano di sensazioni brandiva il suo stomaco ed ogni nervo, teso in quella contemplazione reciproca.
Sembrava aspettare: che cosa, non lo sapeva neppure lui.

“Di Matt io non ho colto il disagio, non sono intervenuto in tempo: credevo fosse uno squilibrato, poi ho compreso il suo dramma ed era tardi Robert”
Prese fiato, ma la commozione prevalse.
“Voglio aiutarlo e vorrei non deludere Kevin, ma ho una tale confusione dentro … Almeno con te, Rob, il mio auspicio è non fallire e ricominciare da oggi, con un anno di più, durante il quale potrei anche non rivelarmi la solita testa di cazzo”
Risero piano, senza interrompere il contatto delle loro dita, ancora intrecciate.
“Vieni, vorrei fare una cosa …”
“Ok Glam …”


Andarono sulla battigia, verso le onde calme.
Geffen estrasse un sacchetto dalla tasca dei pantaloni.
“Le … le avevo comprate per noi Robert”
Erano le vere nuziali, custodite sino a quel mattino nella cassaforte di Palm Springs.
Downey avvampò.
“Le affido al mare Robert … Non riesci a vederne le frontiere e credi sia infinito, vero?” – e lo fissò.
Downey rimase muto, ma il suo sguardo parlava al posto suo in maniera esaustiva e vivida.
Lacerante.

“E’ almeno qui, in questo infinito appunto, che voglio dare a questi semplici simboli, per me fondamentali, il posto per ciò che è stato il nostro incredibile amore. Penserò a noi ogni giorno, Rob, ma non interferirò più con il tuo legame insieme a Jude. Mai più.” – e le posò nell’acqua, dopo essersi inginocchiato.
Downey lo seguì, avendo la sensazione di crollare su quella sabbia, mentre Geffen vi si era posato con dignità e risolutezza.
“Voglio la tua amicizia sino alla fine Rob. Tu me l’hai offerta, generosamente ed io l’accetto” – gli diede una carezza sullo zigomo sinistro – “… Con il cuore colmo di gioia. Credimi.”


L’attico si era colorato della musica di un vecchio pezzo di Cindy Lauper.
Law gli andò incontro con un sorriso e la loro Camilla, pronta per andare alla festa di compleanno organizzata per Geffen alla Joy’s House.
Downey li strinse forte, poi fece posare la bimba al compagno, ristringendolo a sé.
Lo baciò intensamente.
“Ti amo Jude”
“Sì … lo so … Ora come mai, amore.” – replicò sereno, affondando nel collo di Robert, che si sentì completato da quel momento di loro, consapevole di non avere perduto Glam, di potere contare su di lui, un frammento alla volta.


Gli invitati si sparsero un po’ ovunque, per quel parco immenso.
I bambini giocavano su di una giostra, allestita per l’occasione, al centro delle fontane, zampillanti e marmoree.
C’erano delle ceste, con plaid e cuscini, per mettersi comodi, dove si preferiva, anche per gustare il ricco buffet, dietro il quale alcuni camerieri pensavano a servire champagne, cibo e bibite.

Jared aveva notato Robert da solo ed andò a salutarlo.
Colin stava facendo giocare Ryan e Thomas insieme a Drake, coccolato da Pamela e Jay Jay, viziato da Sveva, entrambe coinvolte dalle battute dell’irlandese.

Downey li osservava.

“Ciao Rob …” – Jared si accomodò, passandogli un piatto di salatini.
L’attore era ancora distratto dalla scena precedente.
“Colin accanto ad una donna, è sempre una vista formidabile” – disse assorto ed improvviso.
Leto sorrise – “Solo lui?”
Robert lo guardò, finalmente.
“Tu no … No, vedi, per me sortisci il medesimo effetto solo accanto ad un uomo. E’ più congeniale come situazione …” – sorrise a propria volta – “Ciao Jared”
“Non posso dire che la cosa mi faccia piacere … Parlo di Colin” – osservò timido.
“E’ la sua indole di figlio, c’è una connessione con il mondo femminile. Tu sei più indipendente, hai tagliato il cordone ombelicale alla nascita.”
“Accidenti” – Leto rise – “Oggi mi sembri un professore un po’ strambo. Senza offesa Rob”
“Figurati” – scrollò le spalle, all’apparenza divertito.

“E di Glam, cosa mi dici? Come ti sembra?” – chiese allegro, puntando l’avvocato una decina di metri distante da loro, sommerso dai cuccioli e dai loro doni personalizzati.
Downey deglutì, ma senza né adombrarsi e tanto meno scomporsi.
“Lui è capace di farti sentire come nessuno, sia nel male che nel bene: tu ed io, Jared, abbiamo conosciuto solo il secondo.”
“E’ … è una colpa, secondo te?” – replicò serio.
“No, affatto. E’ semplicemente ciò che lui ci ha donato, mettendosi in gioco, senza uno straccio di garanzia da parte nostra.”
“E lo abbiamo … deluso, ingannato, fregato, forse?” – divenne quasi aspro.
Robert lo scrutò – “No, lo abbiamo amato, come la reazione più naturale e logica, come se non avessimo un’alternativa, ma senza alcun sacrificio. Abbiamo preso, preso, preso ed ancora preso, senza lasciargli un cazzo.”
“Io … io sono felice accanto a Colin …” – affermò spiazzato.
“Ed io accanto a Jude. Dalla felicità costruita da Glam, siamo passati a quella attuale con i nostri sposi. E Glam ci considera, ci rispetta, ci adora, mentre invece avrebbe dovuto cancellarci. Tu questo davvero non riesci a vederlo, Jared? Non lo capisci?”


Le gemelle si appesero al suo collo.
“Papi Glam, questi li abbiamo fatti noi!” – e gli porsero dei disegni coloratissimi, che l’uomo apprezzò molto.
Denny a pochi passi da lui sembrò in imbarazzo.
“Ehi che c’è?”
“Ciao Glam … auguri e … e scusa, per le bimbe, non riescono a non”
“Mi fanno sentire meglio, Denny, quindi perdonami per averti chiesto di farle smettere nel chiamarmi così … Lo farai?”
Il giovane annuì, arrossendo.
Geffen lo abbracciò, per poi andarsene verso casa, ma in solitudine.
Kevin non si era ancora visto.


Jude passeggiava nel giardino delle rose, allacciato a Xavier, mentre Phil portava sulle spalle Camilla, divertita dai numerosi palloncini, che stavano volando tra i rami e le siepi.
I tre adulti erano scalzi ed in pieno relax.
“Siamo contenti che tu e Robert vi siate riappacificati …”
“Anch’io Xavy, è stato complicato, ma lui ha avuto la perseveranza di non abbandonarmi e di lasciarmi metabolizzate il dolore, l’incomprensione, quando comunque resto io il principale responsabile delle nostre crisi recenti.”
“Trovo strano siate qui, per Geffen insomma …” – si introdusse Phil.
“Vi sembrerà pazzesco, l’ho odiato alla morte eppure Glam ci ha salvati … Robert ed io ci amiamo più di prima.”


Kevin si era come isolato nello studio in mansarda, dove registrava ancora qualche brano.
Glam lo trovò subito, ma nella peggiore delle condizioni.
A pancia in giù sopra il divano, la camicia aperta sul busto nudo ed un paio di jeans strappati, senza null’altro addosso.
Una sigaretta già finita nel posacenere ed una a metà tra l’indice ed il medio, tremolanti, come le sue iridi: l’odore di quel fumo era inequivocabile.

“Kevin … cosa diavolo stai facendo?” – domandò affranto Geffen.
Il bassista rimase zitto un attimo, poi tossì, senza girarsi.
“Uno spinello … no, due, in santa pace, credevo” – ridacchiò, alienato.
“Cristo finiscila!” – sbottò l’uomo, avvicinandosi a lui, come una furia.
Era esasperante assistere a quell’ennesimo fallimento, di cui Geffen si riteneva l’artefice assoluto.
Catturò i polsi del giovane e la sua attenzione, strattonandolo verso di sé, fino a farlo sedere come lui, su quel giaciglio macchiato di birra ed infestato di cartacce.

“Cosa credi di risolvere Kevin?!” – esclamò disperato.
“Nulla … NULLA!! Volevo soltanto un briciolo della tua considerazione, un minimo di gratitudine … E’ così inutile il mio tentativo, è assurdamente penoso Glam …”

Jared spuntò sulla soglia.
Voleva parlare con Glam, ma ora la sua preoccupazione era rivolta esclusivamente a Kevin, che si affrettò a stringere, togliendolo dalle braccia di quello che non aveva più una definizione concreta.
Geffen rappresentava un ex oppure un marito ritrovato: Jared se lo stava domandando mentalmente, fissandolo con durezza.

“Andiamo via da qui Kevin …” – gli disse piano il leader dei Mars, allacciandogli la casacca, con un fare paterno.
“No Jay … è lui che deve andarsene … è lui e basta …” – singhiozzò, distrutto da quel dolore ingestibile.

Glam si rialzò lento.
Sembrò svanire oltre la porta.
Sembrò che non fosse mai stato lì.
Mai.





Nessun commento:

Posta un commento