Capitolo n. 67 - zen
L’orizzonte era
azzurro come i suoi occhi, fissi nel vuoto.
Visti di spalle, i
due uomini sulla panchina bianca, davano l’idea di essere concentrati sulle
proprie solitudini, ma appena si guardarono, la serenità di quel momento assunse
un sapore magico.
“Grazie per essere
qui Rob”
“E’ una promessa che
mi è piaciuto mantenere, Glam” – sorrise.
“Sei l’unico con cui
riesco a parlare … di certe cose …”
“Mi accennavi di Matt
…” – disse esitante.
“Sì … Alexander ha
prevalso ed in clinica si è prostituito con una guardia, per avere sigarette e
doppia razione di cibo … Diciamo che si è divertito e Matt ad ogni risveglio si
rendeva conto di avere avuto un rapporto sessuale, pur non ricordando niente.”
Robert strizzò le
palpebre, prendendo tra le sue, le mani di Geffen.
“Mi dispiace … Matt è
una bella persona e ti vuole bene, anzi … Lui ti ama, ne sono certo”
“Ho avuto come una
scossa elettrica di emozioni differenti, sai? Poi l’ho baciato, ma non credo
sia questo il punto, anche se non so se l’intento era di consolarlo o di
chiedergli perdono.”
“Perdono per cosa,
Glam?” – bissò dolce.
Geffen guardò le mani
di Robert, capovolgendo la presa, con delicatezza, portandosele alla bocca ed
al volto, chiudendo gli occhi, percependone ogni piega delle ossa, sotto la
pelle liscia.
“Sono piccole … e
morbidissime …” – sorrise, tenendo ancora le palpebre serrate – “Rammento ogni
dettaglio di te Rob, dal neo sull’ultima costola, a destra, alla perfezione di
ogni parte del tuo corpo …”
Geffen riaprì i suoi
cristalli, su di un Downey emozionato, ma composto, mentre un uragano di
sensazioni brandiva il suo stomaco ed ogni nervo, teso in quella contemplazione
reciproca.
Sembrava aspettare: che
cosa, non lo sapeva neppure lui.
“Di Matt io non ho
colto il disagio, non sono intervenuto in tempo: credevo fosse uno squilibrato,
poi ho compreso il suo dramma ed era tardi Robert”
Prese fiato, ma la
commozione prevalse.
“Voglio aiutarlo e
vorrei non deludere Kevin, ma ho una tale confusione dentro … Almeno con te,
Rob, il mio auspicio è non fallire e ricominciare da oggi, con un anno di più,
durante il quale potrei anche non rivelarmi la solita testa di cazzo”
Risero piano, senza
interrompere il contatto delle loro dita, ancora intrecciate.
“Vieni, vorrei fare
una cosa …”
“Ok Glam …”
Andarono sulla
battigia, verso le onde calme.
Geffen estrasse un
sacchetto dalla tasca dei pantaloni.
“Le … le avevo
comprate per noi Robert”
Erano le vere
nuziali, custodite sino a quel mattino nella cassaforte di Palm Springs.
Downey avvampò.
“Le affido al mare
Robert … Non riesci a vederne le frontiere e credi sia infinito, vero?” – e lo
fissò.
Downey rimase muto,
ma il suo sguardo parlava al posto suo in maniera esaustiva e vivida.
Lacerante.
“E’ almeno qui, in
questo infinito appunto, che voglio dare a questi semplici simboli, per me
fondamentali, il posto per ciò che è stato il nostro incredibile amore. Penserò
a noi ogni giorno, Rob, ma non interferirò più con il tuo legame insieme a
Jude. Mai più.” – e le posò nell’acqua, dopo essersi inginocchiato.
Downey lo seguì,
avendo la sensazione di crollare su quella sabbia, mentre Geffen vi si era posato
con dignità e risolutezza.
“Voglio la tua
amicizia sino alla fine Rob. Tu me l’hai offerta, generosamente ed io l’accetto”
– gli diede una carezza sullo zigomo sinistro – “… Con il cuore colmo di gioia.
Credimi.”
L’attico si era
colorato della musica di un vecchio pezzo di Cindy Lauper.
Law gli andò incontro
con un sorriso e la loro Camilla, pronta per andare alla festa di compleanno
organizzata per Geffen alla Joy’s House.
Downey li strinse
forte, poi fece posare la bimba al compagno, ristringendolo a sé.
Lo baciò
intensamente.
“Ti amo Jude”
“Sì … lo so … Ora
come mai, amore.” – replicò sereno, affondando nel collo di Robert, che si sentì
completato da quel momento di loro, consapevole di non avere perduto Glam, di
potere contare su di lui, un frammento alla volta.
Gli invitati si
sparsero un po’ ovunque, per quel parco immenso.
I bambini giocavano
su di una giostra, allestita per l’occasione, al centro delle fontane,
zampillanti e marmoree.
C’erano delle ceste,
con plaid e cuscini, per mettersi comodi, dove si preferiva, anche per gustare
il ricco buffet, dietro il quale alcuni camerieri pensavano a servire champagne,
cibo e bibite.
Jared aveva notato
Robert da solo ed andò a salutarlo.
Colin stava facendo
giocare Ryan e Thomas insieme a Drake, coccolato da Pamela e Jay Jay, viziato
da Sveva, entrambe coinvolte dalle battute dell’irlandese.
Downey li osservava.
“Ciao Rob …” – Jared
si accomodò, passandogli un piatto di salatini.
L’attore era ancora
distratto dalla scena precedente.
“Colin accanto ad una
donna, è sempre una vista formidabile” – disse assorto ed improvviso.
Leto sorrise – “Solo
lui?”
Robert lo guardò,
finalmente.
“Tu no … No, vedi,
per me sortisci il medesimo effetto solo accanto ad un uomo. E’ più congeniale
come situazione …” – sorrise a propria volta – “Ciao Jared”
“Non posso dire che
la cosa mi faccia piacere … Parlo di Colin” – osservò timido.
“E’ la sua indole di
figlio, c’è una connessione con il mondo femminile. Tu sei più indipendente,
hai tagliato il cordone ombelicale alla nascita.”
“Accidenti” – Leto rise
– “Oggi mi sembri un professore un po’ strambo. Senza offesa Rob”
“Figurati” – scrollò
le spalle, all’apparenza divertito.
“E di Glam, cosa mi
dici? Come ti sembra?” – chiese allegro, puntando l’avvocato una decina di
metri distante da loro, sommerso dai cuccioli e dai loro doni personalizzati.
Downey deglutì, ma
senza né adombrarsi e tanto meno scomporsi.
“Lui è capace di
farti sentire come nessuno, sia nel male che nel bene: tu ed io, Jared, abbiamo
conosciuto solo il secondo.”
“E’ … è una colpa,
secondo te?” – replicò serio.
“No, affatto. E’
semplicemente ciò che lui ci ha donato, mettendosi in gioco, senza uno straccio
di garanzia da parte nostra.”
“E lo abbiamo …
deluso, ingannato, fregato, forse?” – divenne quasi aspro.
Robert lo scrutò – “No,
lo abbiamo amato, come la reazione più naturale e logica, come se non avessimo
un’alternativa, ma senza alcun sacrificio. Abbiamo preso, preso, preso ed
ancora preso, senza lasciargli un cazzo.”
“Io … io sono felice
accanto a Colin …” – affermò spiazzato.
“Ed io accanto a
Jude. Dalla felicità costruita da Glam, siamo passati a quella attuale con i
nostri sposi. E Glam ci considera, ci rispetta, ci adora, mentre invece avrebbe
dovuto cancellarci. Tu questo davvero non riesci a vederlo, Jared? Non lo
capisci?”
Le gemelle si
appesero al suo collo.
“Papi Glam, questi li
abbiamo fatti noi!” – e gli porsero dei disegni coloratissimi, che l’uomo
apprezzò molto.
Denny a pochi passi
da lui sembrò in imbarazzo.
“Ehi che c’è?”
“Ciao Glam … auguri e
… e scusa, per le bimbe, non riescono a non”
“Mi fanno sentire
meglio, Denny, quindi perdonami per averti chiesto di farle smettere nel
chiamarmi così … Lo farai?”
Il giovane annuì,
arrossendo.
Geffen lo abbracciò,
per poi andarsene verso casa, ma in solitudine.
Kevin non si era
ancora visto.
Jude passeggiava nel
giardino delle rose, allacciato a Xavier, mentre Phil portava sulle spalle
Camilla, divertita dai numerosi palloncini, che stavano volando tra i rami e le
siepi.
I tre adulti erano
scalzi ed in pieno relax.
“Siamo contenti che
tu e Robert vi siate riappacificati …”
“Anch’io Xavy, è stato
complicato, ma lui ha avuto la perseveranza di non abbandonarmi e di lasciarmi
metabolizzate il dolore, l’incomprensione, quando comunque resto io il
principale responsabile delle nostre crisi recenti.”
“Trovo strano siate
qui, per Geffen insomma …” – si introdusse Phil.
“Vi sembrerà
pazzesco, l’ho odiato alla morte eppure Glam ci ha salvati … Robert ed io ci
amiamo più di prima.”
Kevin si era come
isolato nello studio in mansarda, dove registrava ancora qualche brano.
Glam lo trovò subito,
ma nella peggiore delle condizioni.
A pancia in giù sopra
il divano, la camicia aperta sul busto nudo ed un paio di jeans strappati,
senza null’altro addosso.
Una sigaretta già
finita nel posacenere ed una a metà tra l’indice ed il medio, tremolanti, come
le sue iridi: l’odore di quel fumo era inequivocabile.
“Kevin … cosa diavolo
stai facendo?” – domandò affranto Geffen.
Il bassista rimase
zitto un attimo, poi tossì, senza girarsi.
“Uno spinello … no,
due, in santa pace, credevo” – ridacchiò, alienato.
“Cristo finiscila!” –
sbottò l’uomo, avvicinandosi a lui, come una furia.
Era esasperante
assistere a quell’ennesimo fallimento, di cui Geffen si riteneva l’artefice assoluto.
Catturò i polsi del
giovane e la sua attenzione, strattonandolo verso di sé, fino a farlo sedere
come lui, su quel giaciglio macchiato di birra ed infestato di cartacce.
“Cosa credi di
risolvere Kevin?!” – esclamò disperato.
“Nulla … NULLA!!
Volevo soltanto un briciolo della tua considerazione, un minimo di gratitudine …
E’ così inutile il mio tentativo, è assurdamente penoso Glam …”
Jared spuntò sulla
soglia.
Voleva parlare con
Glam, ma ora la sua preoccupazione era rivolta esclusivamente a Kevin, che si
affrettò a stringere, togliendolo dalle braccia di quello che non aveva più una
definizione concreta.
Geffen rappresentava
un ex oppure un marito ritrovato: Jared se lo stava domandando mentalmente,
fissandolo con durezza.
“Andiamo via da qui
Kevin …” – gli disse piano il leader dei Mars, allacciandogli la casacca, con
un fare paterno.
“No Jay … è lui che
deve andarsene … è lui e basta …” – singhiozzò, distrutto da quel dolore
ingestibile.
Glam si rialzò lento.
Sembrò svanire oltre
la porta.
Sembrò che non fosse
mai stato lì.
Mai.
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