Capitolo n. 6 - zen
Robert pescò
l’ennesima aletta di pollo dal contenitore.
Glam rise – “Quella è
alla paprica, mia!”
“No, accidenti, è la
sesta che mangi e nelle tue condizioni non è proprio il massimo!” – rise a
propria volta, dandogli un bacio, unto e saporito, come le loro dita, le
guance, le bocche, che si mescolavano, tra sorrisi fragorosi, per la gioia di
essersi ritrovati.
Era mezzanotte.
“La macchina era
comoda Rob?” – gli chiese innamorato.
“Devo ammettere che
un maggiolone, guidato da Vassily non è davvero la mia massima aspirazione,
anche perché pendeva tutto a sinistra” – sussurrò, appoggiando la fronte a
quella di Geffen – “Era una missione in incognito, gli ho lasciato carta bianca
e, vista l’ora, era disponibile soltanto l’auto di suo cugino Ivan” – ribatté
suadente, leccandogli le labbra salate.
“Suo cugino Ivan …?”
“Sì, fa la drag queen
a Malibu, al Sunset, non lo sapevi?”
“Interessante, deve
avere delle belle gambe” – bisbigliò malizioso.
“Prova a sbirciarlo
Robert e ti lego a questo letto, senza lasciarti più andare”
Downey lo guardò
intensamente – “Io non protesterei … e non me ne andrei, se soltanto potessi
scegliere Glam” – affermò sereno.
Glam e Robert non
volevano perdersi in piagnistei.
Tanto non se ne
usciva: era una tacita consapevolezza, già sviscerata e mai risolta in altro
modo.
Troppe persone
avrebbero sofferto, loro due per primi: eppure quello era un limbo, legittimato
dagli sbagli di Jude, una frattura temporale, apertasi per concedere un lasso
di tempo da condividere, da assorbire, metabolizzare, non come il lutto nel
rammarico di ciò che poteva essere, ma come semplice e pura felicità.
Unica, nel suo
genere.
Tom prese un telo e
tamponò Chris: erano tornati a casa.
“Fanculo il lavoro” –
sibilò il poliziotto, mentre Tom pensò lo stesso.
“Noi siamo più
importanti …?” – mormorò il terapista, rimuginando § Una volta tanto … § come
se fosse coinvolto in un dialogo a tre voci, la sua, quella di Chris e la
propria mente, un po’ guardinga nei confronti del compagno, da sempre avaro di
parole.
“Certo” – replicò
dolce, accarezzandogli il volto.
Erano nudi, sul
tappeto davanti al caminetto acceso.
Era un contesto romantico,
spesso trasformatosi in una palestra di puro sesso.
Tom visualizzò
un’immagine di loro, avvinghiati in una posizione vagamente yoga, seduti,
madidi, a leccarsi, mentre Chris lo scopava, sfogando colpi di reni, senza
crollare sul pavimento, in maniera inspiegabile, ma la sua forza fisica gli
consentiva prestazioni rocambolesche ed
estremamente arrapanti.
Tom provò eccitazione
spontanea, coprendosi con un asciugamano asciutto: voleva ascoltarlo, pregava
che ciò avvenisse.
“Sei bellissimo …” –
disse piano il poliziotto.
Era un complimento
sincero, quanto inatteso.
Tom pensò che era il desiderio
di lui, l’unico mezzo con il quale Chris gli dimostrava interesse.
“Grazie” – si
illuminò.
“E sei mio” –
aggiunse, senza inclinazioni particolari nel tono: era assodato, senza
scappatoie.
“E tu mio” – ribatté
serafico, ma deciso Tom.
“Forse … non te l’ho
mai confermato abbastanza piccolo”
“Forse” – e strizzò
le palpebre, cercando nella memoria qualche episodio significativo, che lo
smentisse.
Chris, invece, aveva
ragione: sembrava come bloccato, nell’esternargli quanta gratificazione
ricevesse dal loro legame.
“Mio padre era
detective … anche mio nonno, una famiglia di sbirri” – rise amaro, perché quel
viaggio gli stava facendo già troppo male.
“Mi hai sempre
raccontato poco di loro …”
“Dì pure niente, Tom.
Erano men of steel, uomini d’acciaio, un motto che mio padre aveva fatto
stampigliare sulle t-shirt, che usavano per il mercoledì al poker settimanale,
fumo, birra, sigari … un po’ tronfi, lo riconosco” – rise scanzonato.
“In effetti … ma era
tuo padre, gli volevi bene, ne sono certo”
Chris lo fissò, come
a cercare delle risposte.
“Tu credi?”
Tom annuì, mordendosi
le labbra, in imbarazzo.
Era un campo minato.
“C’era il figlio di
un loro collega, un certo Husher, andavamo a scuola insieme. Il fragile Horace,
tutti lo apostrofavano in quel modo, ma io no, io gli volevo un bene dell’anima
e facevo a botte con chiunque se la prendesse con lui … Lo amavo” – una lacrima
rigò i suoi zigomi, di colpo tremanti.
Tom perse un battito:
non lo aveva mai visto così indifeso.
Lo strinse a sé,
istintivamente, quasi mosso dall’esigenza dal non volerlo più stare a sentire.
Chris si rannicchiò
in quel gesto, ma non poteva smettere: “Una sera, il caro vecchio Husher,
quello che arrestava spacciatori ed assassini, colse in flagrante Horace … si
stava baciando con un ragazzo più grande … Quello scappò, ma Horace provò a
spiegarsi … a fargli capire che lui era nato così e che non era sbagliato, come
Husher gli stava urlando in faccia. Lo picchiò … selvaggiamente.”
“Mio Dio Chris …”
“Horace era esile, ma
da quell’istante lo divenne maggiormente, fino a spegnersi, per una polmonite:
il suo organismo non si riprese mai da quel pestaggio, andava in giro curvo,
zoppicante, perché quel bastardo gli aveva frantumato un menisco, tre costole …
Il cuore … Lo curarono con superficialità, la notizia si diffuse ben presto, ma
nessuno alzò un dito. Mio padre e mio nonno ripetevano che aveva fatto bene …
Capisci Tom, aveva fatto bene!” – si alterò sull’ultima frase.
“Fui l’unico ad andarlo
a trovare in ospedale, ma poi mi scattò qualcosa qui, nel petto … la vergogna …
Iniziarono a dire che ero un frocio, come Horace ed era vero, CERTO CHE LO ERA,
perché più gli stavo accanto e più capivo cosa provassi per lui!” – sbraitò furente.
Le sue palpebre
calarono, come a richiudere la porta, su di un passato terribile.
“Sono morti tutti …
mio nonno di cancro, mio padre in missione, freddato da un rapinatore ed Husher
per un infarto, in un bordello: dopo la scomparsa di Horace cominciò a bere, fu
sospeso per mesi ed infine si ammazzò con le proprie mani … Ed io non ho versato
una lacrima, al funerale di tutti e tre, sai? Non ci sono riuscito. Continuavo
a vedere il sorriso di Horace, nei miei occhi, quando mi passava i compiti di
matematica, quando andavamo al cinema, a vedere i noir … Avrei voluto urlare al
suo di funerale, quanto lo amassi … Non ci sono riuscito”
Tom raccolse il suo
viso, contratto dalla disperazione.
“Io ti amo Chris …”
“Quando ti conobbi,
dopo anni trascorsi a fare il coglione con parecchie ragazze, forse cercandone
una che mi andasse bene per un matrimonio senza pretese ed un figlio, giusto
per tranquillizzare mia madre, capii che eri quello giusto … che eri fantastico
… Che ti avrei amato e protetto a costo di farmi uccidere Tommy”
Chris fece una pausa,
poi si scusò – “So che non vuoi che ti chiami così …”
“Adoro quando succede
… fallo e basta” – lo baciò, emozionato in ogni particella di sé.
“Quante persone hai
corrotto Glam, per ottenere tutto questo?”
I loro indumenti
erano scivolati sul pavimento, la loro pelle si era ritrovata nella migliore
condizione auspicabile: unisona, bollente.
Geffen aggiustò i
cuscini, poi le coltri morbide, perché Robert fosse comodo ed a proprio agio.
“Ho finanziato un
reparto di micro chirurgia, per avermi salvato …”
“Hai la zucca dura,
però sono stati bravi, non si vede neppure la cicatrice, sai? Eppure io la
sento …” – disse passando con il mento rasato e poi la bocca su quel segno
impercettibile, facendo sorridere Geffen, che lo strinse a sé.
“Ti amo Robert”
“Ti amo anch’io, Glam”
– replicò di rimando, scrutandolo, come in adorazione.
“Dormi con me …”
“Non me ne vado,
credevo che”
“Sì, ci speravo Rob,
ma Camilla …?”
“E’ con Christopher e
Steven … Adora Clarissa. A proposito volevo parlarti di una cosa”
L’indice ed il medio
di Geffen lo zittirono, amorevolmente.
“Immagino l’argomento,
Robert, ma se potessi non metterlo fra di noi stanotte … Se solo potessi …”
Downey gli rispose
con un lungo bacio.
Le membra di Glam
sembrarono destarsi da un torpore ormai incancrenito.
“Rob … Robert …” –
commuovendosi, gli si infilò tra le gambe, ricongiungendosi a lui,
soffocandogli nel collo un singulto di bramosia e passione indomite.
Downey si umettò,
deglutì, poi cercò ossigeno, tanto erano naturali e profonde le spinte, che gli
stava riservando Glam.
Gli si donò sino ad
un orgasmo reciproco, fatto di abissi, carezze, ansiti febbrili e scambi di sguardi
colmi di tenerezza: non poteva essere diversamente.
Esistevano e,
doversene scusare, rimase un dispiacere rimandato all’alba del giorno seguente.
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