Capitolo n. 15 - zen
Robert aveva
preferito tornare nella loro stanza.
Quel sentire qualcosa
di suo e Glam, all’interno di una casa, acquistata dall’avvocato per Jared,
sapeva di beffa o di un amore approssimato ed inquinato da fatti precedenti, troppo
importanti per essere ignorati o dimenticati.
Li aveva osservati,
mentre parlavano, sorridevano, Glam stringeva a sé Jared e lo consolava.
Downey provava un
misto di rabbia, di gelosia, ma anche di ammirazione; forse, se gliene avesse
parlato, con Glam, anche lui si sarebbe sentito meglio.
Quando lo raggiunse,
l’attore fece un sorriso ed andò ad abbracciarlo.
“Credevo te ne fossi
andato via …”
“E’ da stanotte che
lo pensi, Glam” – lo guardò.
Si baciarono, perché
Robert aveva perduto tutte le parole, assennate o meno, così come Geffen si era
dimenticato dei suoi invitati, più o meno a sorpresa, giù nel living, dove
l’atmosfera si tagliava con il coltello, tanto era densa di sguardi tutt’altro
che sereni.
Il corpo di Robert
era celato da una semplice t-shirt e dai pantaloni di una tuta grigio chiaro,
un po’ comodi, visto che continuava a dimagrire da quando si era separato da
Jude.
Li aveva lasciati e
ritrovati nel cassettone, sopra al quale, poche ore prima, Glam lo aveva fatto
suo e poi di nuovo tra le lenzuola, brandendo i fianchi ben proporzionati di
Downey, come il resto, che il più adulto, fra loro, adorava dal primo istante.
Robert era perfetto, Geffen
lo voleva sposare e per questo aveva acquistato le fedi, per poi riporle nella
cassaforte, appena era tornato in quella villa.
C’era ancora la
custodia dell’anello preparato per Jared.
Glam l’aveva
scrutata, provando emozioni intense, in un rimpianto compassionevole verso sé
stesso, riflesso nello specchio e pronto a dirsi che anche con Robert sarebbe
stata un’illusione di breve durata.
Replicare una
cerimonia intima gli apparve grottesco e lesivo della dignità del marito di
Jude: già, il marito di un altro, ancora una volta.
Sempre l’uomo
sbagliato, mentre lui rimaneva l’inadeguatezza fatta persona.
I gemiti di Robert
pervasero l’aria, bruciarono l’ossigeno, perché Glam gli era entrato dentro,
con una naturalezza ed una spontaneità simbiotica, come se non potessero vivere
senza quella loro intesa meravigliosa ed assoluta.
Finirono sul tappeto,
baciandosi come due ragazzini alla prima esperienza, emozionati e turbati nel
medesimo modo, lo percepivano, guardandosi, scoprendosi in un’innocenza ormai
perduta nel tempo, ma che sembravano ritrovare ad ogni amplesso.
Vennero copiosamente,
bagnandosi, sporcandosi, ansimando parole persino incomprensibili, per quanto
era sconvolti ed inebriati
Dal lucernario,
rimasto aperto, arrivavano i suoni dell’oceano, le grida dei gabbiani, la luce
di un giorno, che poteva essere l’ultimo per entrambi.
Una frenata brusca
attirò la loro attenzione.
Una portiera si
apriva ed anche il cancello di casa: un vocio concitato.
Erano in due, ma
quello che Downey riconobbe fu l’accento di Jude.
Scivolò lento via da
Glam, che lo trattenne debolmente: stava per addormentarsi oppure svenire, non
riusciva neanche a capirlo, per quanto si sentisse bene grazie a Robert.
“C’è Jude … E’ qui” –
disse perplesso.
L’ansia gli strinse
però la gola dopo un secondo.
Si rivestì, scuotendo
Geffen.
“Tesoro … Cosa ti
prende?” - domandò confuso, mentre
Downey gli infilava dei jeans, recuperati su di una sedia.
“Glam temo che stia per
succedere un casino” – ribatté trafelato, poi si bloccò.
“Ma cosa sto facendo
…?” – mormorò sbigottito dal proprio atteggiamento – “Sono … ridicolo …
Perdonami Glam, tu sei l’uomo che amo, non un amante da nascondere nell’armadio
…”
“Robert è tutto a
posto, non pensare a me”
“Invece dovrei, con
quello che tu hai sopportato, a causa mia.”
Ormai si erano
ricomposti, ma era palese ciò che li aveva divorati: una passione
inestinguibile.
Bussarono.
“Vado io Glam, tanto
so chi è.”
Colin preparò della
pasta, per chi non gradiva il riso alle verdure di miss Wong.
I barattoli di sugo al
pomodoro e basilico di Carmela, non mancavano mai dalla dispensa di Geffen.
Tom aveva
apparecchiato la tavola, come un automa, trovando il necessario senza chiedere
niente, visto com’era organizzata bene la cucina.
Jared si isolò per
poco insieme a Denny, per capire cos’era successo tra Shan e Tomo, anche se lo
sapeva benissimo.
“Tu approvi, vero? Si
tratta di tuo fratello, del suo eterno compagno e persino collega, quindi non
gli faresti mai alcun rimprovero, giusto Jared?”
Leto aggrottò la
fronte – “Shan è stato l’uomo più importante della mia vita Denny, finché non ho incontrato Colin, facendone il
centro del mio mondo: non giudicherò nessuno, sappilo”
“Cosa vuoi da me,
allora? Che non insista per riprendermi Tomo, così che Shan abbia campo
libero?” – e rise sarcastico.
“Le cose andranno
come dovranno o vorranno andare, non mi intrometterò”
“Io, se permetti,
deciderò al momento, anche se ormai chi amavo ha tradito ogni mia aspettativa e
sai per quale fottuta ragione? Perché ho esitato nell’adottare un bambino con
lui, come se da questo dipendesse la misura di ciò che mi legava a Tomo!”
“Non penso, Tomo non
è come lo stai descrivendo” – obiettò, fissandolo severo.
Denny se ne tornò nel
salone, riprese i pochi oggetti personali e si avviò all’uscita, senza salutare
nessuno.
Farrell era ancora
sotto il patio, Jared gli andò vicino.
“Dov’è finito Jude
…?”
“E’ salito.” –
replicò mesto; gli diede poi una carezza sul mento – “Io me ne andrei Jay … che
ne pensi?”
“Sì … sì, come vuoi
Cole”
“Ciao Robert”
“Ciao Jude”
“Sono qui per … Per
chiederti di venire via con me. Adesso.” – chiese senza ostilità e senza
varcare quella soglia, a pochi metri dalla quale Geffen lo stava come puntando:
non avrebbe fatto nulla, per non ferire Robert con scenate odiose.
“Ho … ho bisogno di
parlarti Rob, di spiegarti e di capire se c’è un futuro per noi: non insisterò,
ma se vuoi rimanere qui, io non ti cercherò più. Giuro che lo farò, su nostra
figlia, quindi non sto scherzando o bluffando.” – e chiuse le palpebre,
prendendo un respiro più ampio, come se stesse per perdere i sensi: era troppo
gravosa quella promessa, ma era così stanco di aspettarlo e di morire, per come
lo vedeva innamorato di un altro, che lo aveva appena amato o scopato o
semplicemente reso felice.
Downey inghiottì
un’onda di amarezza e vergogna, verso Glam, ancora immobile e senza armi, se
non quella della devozione a lui, che rispettava ed onorava ad ogni passo, da
quando stavano o meglio NON stavano insieme: “Robert …” – inspirò a propria
volta – “… tesoro io … Io non userò ricatti, anche se riesco a capire
l’angoscia di Jude. Ci sarò sempre per te … sempre” – e due lacrime rigarono il
suo volto bellissimo, anche se sfigurato da un dolore, che conosceva anche
troppo bene.
Jude tese la mano a
Robert e lui gliela strinse: non si voltò indietro, non l’aveva più fatto, Glam
aveva parlato alla sua schiena, senza vedere negli occhi di Downey quello
stesso baratro, dove con temerarietà si erano buttati, ancora prima che Jude
provasse a dare loro una spinta definitiva e mortale.
“Quanta roba … Tu
cosa vuoi Lula?”
“Questo, questo e
questo! Grazie zio Tom … posso chiamarti zio?”
“Certo … E tu Vassily
…? Posso darti del tu?”
“Ovvio, nessun
problema. Per il resto, io mangio … tutto!” – e rise.
Erano rimasti soli.
Robert e Jude erano
tornati alla macchina da un ingresso laterale, al quale si accedeva da una
scala esterna, proprio dalla mansarda.
Glam si lavò, cambiò
e poi aggregò a loro, accolto da Lula con un amore, che solo lui era capace a
trasmettergli.
“Ciao Tommy, non ci
siamo ancora visti …” – e gli posò un bacio tra i capelli, passando alle sue
spalle, dove appoggiò per un attimo anche i suoi palmi gelidi.
“Come ti senti Glam?”
– chiese, tormentato più dai propri demoni, che da quelli che vibravano nell’animo
del suo paziente speciale.
Gli si era
affezionato e non vedeva l’ora di potergli parlare senza interferenze.
“Non lo so, sai …?” –
replicò dolce, portandosi sul petto Lula, che gli fece una coccola, strofinando
i loro nasi e sorridendo, gli sussurrò – “Ti voglio bene papà”
“Anch’io cucciolo …
ti adoro”
Jude guidò per
svariati chilometri, una distanza che a Robert apparve senza fine, come il
silenzio di Law.
Eppure il suo volto
era disteso.
Parcheggiò in una
zona isolata, a picco sulla scogliera.
Downey chiuse gli
occhi, chiudendo le braccia a croce sul petto.
“Hai paura Robert …?”
– domandò l’inglese, fissando l’orizzonte.
“Sì”
“Anch’io ne ho avuta
molta in queste settimane lontano da te, da nostra figlia, dalla vita, che ci
siamo costruiti, mattone dopo mattone Robert, ritrovandomi invece delle
barriere e non le pareti della fortezza, capace di resistere a qualsiasi
attacco esterno, calunnia, persecuzione, dileggio”
“Credi di non avere
responsabilità in merito, Jude?” – chiese secco.
“No, anzi, i miei
errori hanno minato e logorato quel porto sicuro, dove tu riuscivi sempre ad
attendermi, a riaccogliermi, a perdonarmi. Certo che sono stato l’artefice di
un fallimento, con o senza il tuo amore per Glam Geffen.” – e roteò di
centottanta gradi, per guardare in faccia l’uomo, che considerava ancora suo.
Glielo ribadì.
“… anche se hai il
suo odore addosso, anche se il suo seme”
“Jude!” – lo
interruppe brusco.
“Anche se il SUO
seme” – riprese, caricando il concetto – “scorre in te, portandoti via dalle
nostre certezze, dai progetti, dal domani, che io per primo volevo cancellare
uccidendo VOI E ME!!”
Downey scese,
fermandosi solo quando arrivò alla balaustra.
La stritolò con le
dita, sentendo come una convulsione salirgli dallo stomaco alla nuca, indolenzita
e dolente.
Jude si precipitò da
lui, afferrandolo per le spalle.
Adesso i loro sguardi
si stavano nuovamente divorando.
“Robert io ti amo … e
farò di tutto per dimostrartelo … andrò contro ogni logica, infrangerò i
limiti, ma non ti farò più, MAI PIU’ del male, amore mio …” – e lo baciò,
profondamente.
Lo riportò su quei
sedili, comodi, ampi, protetti dai vetri scuri, mise le sicure, senza mai
abbandonarlo, in un abbraccio caldo, assurdamente bello.
Le loro bocche si
fusero, ma quando restarono nudi, pelle contro pelle, Robert tremò così forte,
da inarcarsi, mentre le gambe di Jude si sistemarono tra le sue.
Law gli baciò le
tempie, con metodo, con una quiete contemplativa, che lo tranquillizzò – “Va
tutto bene Robert … tutto … Rob …” – il suo ansito segnò l’attimo in cui si
congiunse a lui.
Piansero, nel godere
l’uno dell’altro, guardandosi, baciandosi ancora.
“Perdonami Robert …
perdonami”
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