lunedì 26 novembre 2012

ZEN - CAPITOLO N. 17



Capitolo n. 17  -  zen


“Ehi sono a casa …”
La voce di Tom era esitante.
Nell’aria un buon aroma di caffè: Chris era in cucina, l’aria stanca, gli occhi di chi aveva pianto.
“Ciao …” – disse flebile, preparando una tazza anche per Tom.
“Scusa se non ti ho avvisato ...” – posò la sacca e nascose le mani tremanti nelle tasche dei jeans, scrutando ogni movimento dell’altro.
“Per cosa Tom?” – domandò distratto, sedendosi sul divano del soggiorno.
“Che … che sarei tornato presto …”
“Credevo passassi la notte fuori” – e deglutì la bevanda bollente, con una smorfia.
Tom si affrettò a versargli un bicchiere d’acqua, porgendoglielo in ginocchio, tra le sue gambe.
Si fissarono.
Chris lo bevve in un unico fiato, che subito dopo andò a mescolarsi a quello di Tom, in un bacio profondo ed addolcito da granelli di zucchero, che non si erano sciolti.
Le sue dita grandi e forti cinsero il collo di Tom, per poi massaggiarlo, mentre si muovevano tra la nuca ed il mento, sollevandolo, per assaporare meglio la sua lingua, presa a combattere con quella di Chris, che si staccò improvviso, ansante e nervoso.
Strizzò le palpebre, cercando ossigeno, poi le spalancò sugli occhi di Tom, entrandogli dentro con uno sguardo interdetto e pungente.
Il suo petto ampio era come disegnato dalla t-shirt eccessivamente attillata, ma perfetta su di lui, che faceva due ore di palestra al giorno, ritagliandosi quel tempo tra un turno e l’altro, mentre Tom era in ospedale.
Faceva attenzione al cibo, ma spesso beveva qualche birra di troppo davanti alla tv od al bar con i colleghi, che non sapevano del suo privato: sul quel fronte, infatti, Chris aveva alzato un muro altissimo, che nessuno si osava scalare o scalfire con domande inutili.
Le poliziotte e le detective si prendevano a turno una cotta per lui, ma il tenente le liquidava, in rapida successione, dicendo semplicemente che era impegnato e che mai avrebbe incasinato il suo lavoro e la carriera con degli intrecci amorosi.
In compenso la cerchia di Tom sapeva di Chris, lo conosceva e rispettava, ma erano proprio due mondi diversi e lontani, che forse per caso o per fortuna non avevano mai colliso.

“Ho … ho comprato una cosa … anzi due Tommy” – uscì da quell’empasse, con  agitazione.
“Due …? In che senso amore?”
Sentirsi chiamare così, lo toccava sempre ad una profondità, di cui non riusciva a parlargli: si malediva per questo.

“Ecco …” – aprì un cassetto, nel mobile porta dvd, prendendo una scatoletta rossa.
Erano fedi, d’oro giallo.
Tom schiuse le labbra, ammirandole nel luccichio dei tre faretti alogeni rimasti accesi nel contro soffitto.
“Ma Chris … sono”
“Stupende, lo so, le ho scelte al volo, perché sono semplici, pulite … come sei tu Tom” – disse serio, ma preso da quella sensazione indescrivibile.
“Non so parlarti dei miei sentimenti …” – proseguì, accovacciandosi ai piedi del tavolino in cristallo, togliendo gli anelli dalla custodia – “… eppure mi sono accorto di una cosa Tommy …” – e nel mormorarlo, le inserì una nell’altra.
Quella di Tom era la più piccola, della misura esatta del suo anulare flessuoso, mentre quella di Chris si adattava alla sua falange più massiccia.
“Tom vedi … tu sei il cuore, dentro questo cerchio più grande, che sono io e che quindi vivo grazie a te, ma, proteggendoti e custodendoti, faccio lo stesso …” – lo guardò intenso e vibrante, quasi con il timore di avere pronunciato un’eresia – “Non credi sia così, Tom?”
Il giovane annuì, commuovendosi e, appendendosi al suo collo, liberò un pianto colmo di gioia e del suo sorriso.
Chris in maniera goffa gli sistemò l’anello, così fece Tom, tirando su dal naso, mentre i baci del suo sbirro, asciugavano quelle lacrime portatrici di tenerezza ed attaccamento totali a lui.
Andarono a letto, baciandosi ancora, ma senza che accadesse niente di più, sino all’alba, quando fecero l’amore, un po’ assonnati, ma impazienti di dirsi quanto si amassero, senza più averne paura.


“Capisco perfettamente che Robert non potrà dimenticarlo di punto in bianco, è come un lungo percorso, una … una terapia Colin e, se fosse necessario, potremmo anche rivolgerci ad un esperto, come Brandon, per metabolizzare questa serie di errori, soprattutto da parte mia”
Farrell lo scrutò: erano affacciati ad uno dei tanti balconi di villa Meliti, in quella fredda mattina di dicembre.
“Rob dov’è ora?”
“Sta cambiando Camilla, la portiamo all’acquario” – replicò fissando l’orizzonte, dove un sole pallido sembrava vigilare su Los Angeles.
“Programma interessante Jude … Passate da noi il Natale?”
“No … No pensavo a Londra”
“Pensavi?”
“Cioè lo abbiamo deciso insieme, Robert ed io”
Peccato non fosse vero.
“Per pranzo dovrebbe arrivare Glam, credo tu lo sappia, questa festa è per lui”
“Sì … Mi ha aggiornato Xavier, con un sms stamani, è stato premuroso …”
“E sveglio!” – l’irlandese rise.
“Tu … tu cosa pensi? Sinceramente Colin …” – chiese ansioso.
“La mia esperienza in merito la conosci Jude, di Glam Geffen non ci si libera facilmente e si deve imparare a convivere con il suo fantasma e non solo in senso letterale … In ogni caso … Lui sa essere straordinario con chi ama e crea dipendenza, grazie ai suoi modi, alle sue attenzioni”
“Con Robert è diverso …” – rivelò immerso in una constatazione dolorosa – “Con lui è amore assoluto, è … interconnessione, come la tua immagine, riflessa in uno specchio oppure l’ombra, che il sole crea investendo il tuo cammino … Una dualità solo apparente, mentre invece … invece sei tu e basta, ma ti porti dentro l’uomo che ami e che ti appartiene, assicurando a lui la stessa, identica consonanza.”
“Ed il tuo amore si è permesso di intaccare un simile connubio, anzi di distruggerlo Jude?” – sbottò provocatorio – “Credevo stessi parlando di te e di Robert, della vostra storia e non di quella di tuo marito e Glam Geffen!”
Jude sembrò destarsi da quelle elucubrazioni penose – “Tu non ne sei fuori neppure ora, ammettilo Colin!” – ribatté esasperato.
“Non confondere le nostre vite Jude, non funziona” – bissò acre.
Law scrollò la testa, allontanandosi.


“I bimbi ti aspettavano ieri Glam, per gli addobbi … ho detto loro che non mancherai, tra poco …”
Jared sorrise, rannicchiato su di un davanzale, nella camera destinata da Antonio a lui e Colin.
Amava quel posto, nel corso degli anni ci aveva portato delle foto, una chitarra, persino dei cambi, per loro e per i figli.
Poco distante Robert aveva vestito premuroso Camilla, lasciandola ancora per qualche minuto con Drake, Pamela, Rebecca e Violet, nella stanza dei giochi.
L’attore percorse il corridoio senza pensare: nella giacca in velluto a coste, rubata a Jude, una boccetta di Vixtrin, a base di morfina: ne aveva prese un paio, erano rosso cupo quelle pillole, senza sapore, né odore, un bel nulla, come ciò che avvertiva dal loro effetto immediato ed era ciò che più desiderava in quel giorno: non sentire nulla, appunto.

Il suo udito, però, fu puntuale nel tradirlo.
La voce di Jared era limpida e presa da quel dialogo con Glam.
L’altoparlante del suo cellulare, poi, rimandava un suono così caro al suo cuore, pronto a spappolarsi.

“Per la tac ci vuole un’ora … Sono un po’ stanco …”
“Hai fatto fisioterapia?”
“No … No, né ieri e neppure oggi, Tom è di riposo, ha da fare con il suo Chris” – sorrise ed era una carezza, sul volto di Robert, la cui tempia destra si appoggiò allo stipite, senza alcuna remora nell’origliare e soffrire.
“Ok … comunque se vuoi che venga a prenderti”
“C’è Kevin, ora è nella saletta d’attesa …”
“Miseria è vero, me l’ha detto Vassily, quando è arrivato con Lula … Sai che la nostra peste di Haiti sta insegnando al nonno come si cambia il pannolino ad Anthony?” – e rise contagioso, solare.
Jared era così felice per quella complicità, raggiunta dopo un cammino denso di ostacoli ed autodistruzione.
“Mi sto perdendo uno spettacolo clamoroso quindi …”
“Sì Glam … L’esame è per”
“La mia testa, devono verificare se il mio cervello è sempre grosso come una noce” – e sospirò.
“Con un cuore grande quanto un oceano, il tuo cervello può anche essere di dimensioni ridotte”
“Nessuno ci naviga purtroppo Jay …”
“Secondo me sbagli” – obiettò affettuoso – “Diciamo che non incroci la nave che vorresti …”
“Sì, giusta deduzione … Una volta mi definivano squalo, ma adesso posso pensarmi come un pesce rosso … ce ne sono milioni, tutti uguali, senza carattere”
“Non sono d’accordo!” – protestò imbarazzato.
Il silenzio che ne seguì sembrò a Jared così gelido.
“Glam …”
“Sì, sono qui”
“Scusa, io scherzavo e”
“Non importa tesoro” – replicò dolce, ma sul punto di spegnersi in quello scambio di battute ormai deleterie per la sua salute.
“Non è Natale senza …” – e trattenne un singulto, mentre i suoi occhi diventavano lucidi.
“Jared è un periodo speciale, ma … ma per me …” – si schiarì la gola, sentendosi soffocare.
“Glam che succede?”
Geffen prese fiato, chiedendo da bere all’infermiera, che lo rimproverò per avere acceso il cellulare nell’ambulatorio.
“Devo chiudere Jared …”
“Ma stai bene, vero?” – insistette allarmato.
“Sì e se così non fosse, mi trovo nel luogo giusto” – rise poco convinto, quindi si salutarono.

Downey si palesò, con una deambulazione incerta, fissando il leader dei Mars, che lo aveva intenzionalmente evitato dal suo arrivo con Jude.
“Robert … ciao …”
“Glam è … è ancora qui …” – e nel premersi il palmo sinistro, al centro del petto, deglutì a vuoto – “… le … le sue dita” – singhiozzò, sforzandosi di andare avanti nel proprio sfogo – “Le sue dita lambiscono i miei battiti, mentre risale in me, per …” – balbettò – “Perché dopo la prima volta, io SARO’ SUO, PER SEMPRE!” – urlò disperato, coprendosi poi la bocca, per sedare una tosse improvvisa e scoprire delle gocce di sangue, il cui sapore sembrò invadergli le narici.
Un velo buio, un istante dopo, inghiottì fulmineo la miriade di schegge luccicanti, esplose intorno, tra sé e le grida di Jared, che lo invocavano.
Inutilmente.


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