One
shot – Per te, che mi hai lasciato solo, a camminare, nell’universo
Tardo autunno, 2014
I tavolini del caffè
all’aperto, si svuotarono in fretta, appena scoppiò l’ennesimo temporale.
Era sera.
Tutti se ne andarono di
fretta, tranne loro due.
C’era la tettoia in
plexiglass, a ripararli, anche se gli zampilli, sulle fioriere poco distanti, i
posacenere, i vasi finti, già addobbati a festa con mini lucciole lampeggianti,
erano fastidiosi.
Come il traffico, i
rumori, il chiasso della gente, di Singapore.
Se ne stavano in
silenzio, loro, in compenso: era
bello, anche dopo mesi, senza neppure mandarsi un messaggio o farsi una
telefonata.
Jude, Jude Law,
sorrise.
“Ti si rovineranno i
capelli” – esordì pacato, senza guardarlo, non ce n’era bisogno.
Lui conosceva ogni
millimetro di Robert Downey Junior, seduto lì accanto, molto vicino, quasi
incollato.
Risero.
Fissandosi, ora.
“Andiamo, Jude?”
“No, perché, è tardi?”
“Sono un po’ stanco …”
Il jet lag, gli impegni
serrati, la famiglia allargatasi di recente, i suoi cinque gatti trovatelli,
argomenti, di cui nemmeno più discutevano.
Niente più liti, così
snervanti, inutili.
Anche la passione,
aveva lasciato il passo alla … contemplazione.
Si intrecciarono, sotto
le lenzuola, appoggiati allo stesso cuscino.
Il loft di Law era ciò
che di più moderno e tecnologico si potesse avere, in quei palazzi nuovi di
zecca.
Un investimento,
avevano scritto i giornali.
In realtà, un posto
dove l’attore fuggiva, periodicamente.
In quell’occasione,
Robert, per la prima volta, l’aveva raggiunto lì.
Si addormentarono quasi
subito, abbracciati.
Dopo un solo bacio,
dall’arrivo dell’americano.
Intenso, profondo, ma
solitario.
Continuava a piovere,
là fuori, contro ai vetri a specchio, contro i loro pensieri, rimescolati ai
sogni di mezzanotte.
Jude preparò il caffè.
Si era alzato per
primo, stiracchiandosi come una lince, dopo avere osservato, per qualche minuto
Robert, che russava con le labbra schiuse.
Era buffo.
Era semplicemente
Robert.
“Ti amo …” – disse
sommesso l’inglese, prima di lasciare quel giaciglio tiepido ed ancora intatto.
Avevano dormito come
due mummie, sapeva che Rob lo avrebbe detto, appena sveglio.
Non sbagliava.
“Già in piedi?”
“Buongiorno Robert … Tè
oppure un espresso?”
“L’hai fatto tu, con la
moka?”
“No, con questo
aggeggio” – sorrise, mentre l’altro si appollaiava su di uno sgabello in radica
e metallo ottonato.
“Sei dimagrito ancora,
Jude?”
“Capita”
“Ai sedicenni” –
sospirò, attivando il tablet.
Law non aveva più tutta
la sua attenzione, evidentemente.
“Controlli le e-mail?
Cancelli la mia, forse? No, l’hai fatto subito, vero?” – e gli si avvicinò,
sottilmente provocatorio nel tono, ma non più di tanto.
Jude non voleva
sforzarsi oltre.
“Perché dici queste cose?”
– domandò perplesso il moro, l’aria triste.
“Credo siano la verità,
posso dirla la verità, giusto?”
“Certo Jude … Buono il
tuo caffè e questa?”
“Torta ai mirtilli, non
l’ho fatta io, ovviamente” – e si allontanò, lo sguardo basso, le palpebre a
proteggere la sua emotività, blandamente controllabile.
“Non facciamo più
colazione insieme?” – si lamentò Downey, la gola secca.
In realtà, non facevano
più molte cose insieme.
“Mi stendo, ho mal di
testa, scusami.”
In passato, all’inizio,
il sesso era sconvolgente.
Ora, un premio di
consolazione, tuttalpiù.
I pannelli appositi, si
erano oscurati, con l’arrivo del sole, contro gli stessi.
Un po’ come gli opali
celesti di Jude, che gli stava venendo dentro, senza guardarlo.
Anche Robert non
cercava quell’emozione nelle iridi di Jude, che in passato gli mandava in
fiamme il cuore.
E l’anima.
Uno scatto felino e Law
uscì da lui, non senza baciargli la tempia destra, scambiandosi il sudore della
pelle.
Il dolore, se almeno
fosse stato ancora possibile.
Era seduto sul bordo,
Jude, a cercare qualcosa.
Una sigaretta.
“Da quando fumi?” – Rob
si girò sul fianco sinistro, la mano a reggersi la testa, che scoppiava di
pensieri e rammarico.
“Non saprei … Una ogni
tanto, di rado, comunque, il fumo rovina la voce”
E quella di Law era
potente, come la sua determinazione, quando provò, mesi prima, a convincerlo
che potevano avere un futuro insieme.
Che nulla era perduto.
Downey gli rivelò, dopo
quel discorso accorato e così bello, che Susan era di nuovo incinta.
Law ripartì, per un
nuovo set, fuori dal quale, dove si impegnava con abnegazione, usava la stessa
nello scolare bottiglie di brandy, stordendosi, abbordando avvenenti cameriere
oppure avventrici dei bar, dove si rifugiava sino a notte fonda.
Una, tra tante, l’aveva
messa incinta.
Quinto erede per Law,
avrebbero titolato pochi mesi dopo i vari quotidiani scandalistici, non solo in
patria: il tutto dopo un comunicato stampa piuttosto stringato, dove si
vaneggiava di una relazione già interrotta da tempo, ma non per questo, motivo
di rinuncia ad essere due ottimi genitori del nascituro.
“Posso aiutarti?”
Il quesito di Robert,
gli si conficcò tra le scapole.
Lui, nudo, con le gambe
accavallate, finì la propria Camel, sino al filtro.
“Per cosa?” – bissò,
strizzando gli occhi, davanti ai quali, il fumo stava come danzando.
“Credo che tu abbia
vissuto male la tua recente esperienza con … Come si chiama?”
“Non ricordo”
“Jude …”
“Hai le foto della
bambina?”
“Sì …” – ed azzerò la
distanza, recuperando il cellulare.
“Sono poche, ma gliene
farò altre e te le posterò o le vedremo qui o”
“O?” – Law sorrise –
“Perché sei così agitato?”
“Nella tua e-mail, mi
anticipavi che avremmo parlato di una cosa”
“Tua figlia è molto
bella”
“Anche tu, forse, ne avrai”
“Non importa Robert” –
disse fermo, alzandosi, dopo avere infilato i jeans sgualciti, sulla pelle
dorata.
Si era abbronzato in un
centro estetico, poco distante da quel loft: uno sfizio, per ammazzare il
tempo, in attesa del volo di Robert.
Robert, che ora lo
stava fissando, il viso teso, il pizzetto ben disegnato, i pozzi di pece
sgranati, ad ogni respiro dell’altro.
“So che amerai anche
questo bambino, invece, seppure adesso sembra non importartene granché” –
obiettò, sentendosi stupido, inadeguato nei propri discorsi, per come Jude lo
stava guardando.
“IO amavo te”
Disse questo, la voce
integra, il cuore a pezzi.
Volavano, come
coriandoli, negli specchi di Jude, i suoi occhi così belli.
“Ti amo anch’io …”
Downey tendeva a
commuoversi così facilmente, come ad entusiasmarsi, ad innamorarsi, a fremere
di vita, come se non ci fosse un domani.
A Law era sempre
piaciuta, questa sua mania di vivere, dopo che il destino, l’aveva ucciso in
tanti modi.
Un’araba fenice, per
usare un’immagine un po’ poetica.
Forse banale.
“Questo è il nostro
ultimo appuntamento, Robert. D’ora in avanti, ci vedremo sui red carpet, al
lavoro, se ne avremo occasione, agli eventi, senza tradire il minimo disappunto
reciproco: sorrideremo, ci saluteremo, ci abbracceremo anche, fingeremo,
assolutamente.”
Robert deglutì a vuoto
un paio di volte.
Smarrito.
“Era questa la cosa,
che volevi dirmi?”
“Certo” – Law inspirò,
cercando una maglietta in un cassetto – “Ti porto a pranzo dall’italiano, ma
prima visitiamo l’acquario, è uno spettacolo” – e guadagnò il living, le
pulsazioni nella nuca, la preghiera tacita di arrivare, senza crollare, sino al
bagno, dove si chiuse dentro, per vomitare piangendo, dopo avere attivato la
filodiffusione.
Beethoven.
Robert fece un balzo,
sull’attacco della quinta sinfonia.
Le vetrine erano piene
zeppe di addobbi.
La fila alle casse, interminabile.
“Li ho presi on line, i
biglietti” – Jude ruppe il mutismo tra loro, le mani nelle tasche del costoso
cappotto modaiolo, dono di qualche stilista, come di consueto.
Robert lo seguiva, come
un cane di paglia.
In molti li stavano
spiando, ma, tra baveri alzati e sciarpe, nonché cuffie, non era semplice
riconoscerli.
La vasca dei delfini
sembrò loro la migliore.
Stranamente deserta, ma
solo perché si erano messi dal lato sbagliato, per ammirarla.
Un po’ come avevano
fatto con la loro relazione a singhiozzo.
Clandestina, eccitante
e pirotecnica, agli esordi, poi sempre più meschina, deprimente, disperata.
Meglio chiuderla lì,
forse Jude aveva ragione.
Robert mandò giù il
rospo, provando a distrarsi, a seguire i discorsi sconclusionati, ma ricchi di
enfasi, del suo compagno.
Oppure ex.
Oppure niente.
“Ho sete, non faccio
che parlare e tu stai zitto, come un ebete” – si interruppe Law, di botto,
sentendosi addosso le occhiate meste di Robert.
“Ebete? Adesso offendi,
bene … Prima mi distruggi, nell’unica cosa bella, per la quale vivo e poi
questo: perfetto” – partita in sordina, quella replica divenne più ferma,
diretta, solida.
Downey si stava
tormentando l’addome, sotto al trench, troppo leggero per quella stagione, ma
aveva sbagliato tutto, nel preparare di corsa la valigia, inventandosi un
viaggio a Londra, dove fece semplicemente scalo e salutò alcuni dei suoi pr,
così da avere un riscontro alle proprie menzogne, nel caso Susan avesse
“indagato”.
In realtà lei non lo
faceva mai, si fidava oppure capiva e metteva sotto al tappeto le sensazioni
scomode, alle quali non aveva intenzione di porre rimedio, finché vedeva il
consorte gioioso, come in quel periodo.
Come accadeva ogni
volta che incontrava Jude.
Susan lo intuiva, da
parecchi indizi, che il consorte disseminava, anche senza volerlo, forse
contando sulla sua solidarietà, sull’amicizia di donna, prima che di coniuge,
andando oltre i vincoli, gli obblighi, arrivando ad un confronto, schietto,
senza scannarsi.
Senza farsi male, come
succedeva con Jude, in quel preciso istante.
“Ti chiedo scusa
Robert, sono stato maleducato”
Glielo disse,
guardandolo mortificato.
Avrebbero potuto essere
così felici.
Dio.
A Robert salì un’ansia
soffocante, dallo stomaco, alle narici, con un formicolio.
Quella torta ai
mirtilli proprio non l’aveva digerita.
“Ju Jude mi sento …”
“Rob!”
La sua mano calda,
sotto al pullover in filo, gli stava facendo così bene.
“Hai un kleenex, per
favore Jude”
“Sì, certo … Un altro
conato?”
“No, no, è passata,
grazie …”
Se ne stavano
accovacciati, chiusi in una toilette di lusso, dove erano arrivati ad una
velocità quasi comica.
Ripensandoci, risero
con un pianto dispettoso, in agguato, non solo per la reazione alla nausea, per
Robert e lo spavento di averlo visto in difficoltà, per Jude, che non sopportava
quella sensazione.
Gli voleva così bene.
Ricambiato, da Downey,
senza eccezioni.
“Aspetta lo getto” –
Law buttò il fazzolettino nel water e partì una musichetta.
Era tutto elettronico,
a sensori, sparsi ovunque.
“Ma che fa quel cesso,
parla?” – chiese Rob, provando ad alzarsi.
“Diavolerie del terzo
millennio, aspetta ti aiuto amore”
Amore.
Robert provò una gioia,
senza confini.
Solo con Jude provava
quell’emozione, inutile rinnegarla: eppure Downey ci aveva provato, qualche
volta, tornando puntualmente indietro, anche a supplicarlo di non interrompere
la loro storia.
“Hai del dentifricio?
Ho la lingua impastata, un alito orrendo” – si lamentò.
Law rise – “Ma ti pare
che vada in giro con … Come vedi ho dimenticato la borsetta” – scherzò –
“Comunque c’è il distributore automatico, hai delle monete?”
“Sì Judsie …” – e gli
accarezzò la schiena, appoggiandosi a lui, mentre lui selezionava il kit da
viaggio della Mentadent.
“Prendo anche delle
salviette, aspetta dovrei avere ancora un dollaro locale”
“Li emettono anche
qui?” – si informò curioso.
“Certo” – sorrise,
frugandosi nelle tasche, dopo averne estratto i guanti in pelle.
Cadde qualcosa.
Una scatolina bordeaux.
Downey la raccolse
rapido – “Cos’è Jude?”
Law gliela riprese
goffo, infantile, come se fossero bambini e Robert gli avesse rubato un gelato
oppure un palloncino.
Se si fossero
incontrati allora, probabilmente non si sarebbero più lasciati e mai avrebbero
commesso tante cazzate.
Ogni tanto se lo
dicevano.
“Non è”
“E’ per me, Jude?”
Downey non avrebbe
mollato la presa, tanto facilmente.
“No, cioè sì, SI’!
Tieni!” – sbottò, ficcandogliela in mezzo al pezzo, sopra la maglia.
“Grazie …” – ribatté
perplesso, quindi la aprì con la sua tipica frenesia da cucciolo.
Jude lo osservava, la
bocca, che già tremava, come il suo sguardo: si morse il dorso della mano
destra, l’altra in tasca, poi si sciacquò la faccia, tutto a scatti, ai quali
Downey non badava, troppo concentrato su di un biglietto, arrotolato ed
infilato tra due fedi d’oro bianco.
§
Per te, che mi hai lasciato solo, a camminare, nell’universo §
L’incisione,
all’interno delle vere, recitava invece - §
30 febbraio 2180 RDJ §
“Quella è … è una
scemenza, Rob” – disse contratto, rosso in volto.
“La data del nostro matrimonio?”
“Infatti”
“Tipico humor
britannico, ma per il resto hai ragione Jude: io ti ho lasciato solo” -
riconobbe sincero, con afflizione.
Di nuovo in mezzo alla
folla, a centinaia di ombrelli, sotto l’ennesimo acquazzone, tutti di corsa,
tranne loro due, senza alcun riparo, a camminare vicini, tenendosi per mano.
Sembrava di essere
piombati sul set di Blade Runner.
Si stava facendo buio.
Jude chiamò
l’ascensore.
Robert un taxi,
destinazione aeroporto.
Il trolley lasciato
nell’appartamento di Law, in fondo non gli serviva.
Allo scalo intermedio
di Londra, Downey si sarebbe fermato nell’alloggio, che aveva comprato
all’epoca del primo Holmes, per avere un rifugio dove incontrare Jude, il più
spesso possibile, nella sua città, dove vivevano i suoi figli.
A fare cosa, non lo
sapeva neppure lui.
Finché, il giorno
seguente, non arrivò una telefonata.
Dal suo avvocato di
fiducia, Adam Cody.
Una breve
conversazione, Robert puntava il fuoco, nel caminetto acceso e scoppiettante.
“Capisco … Come si chiama
questo tizio, Adam?” – domandò tranquillo, riflessivo.
“Ha un nome
impronunciabile, ma che importa, pretende un quarto di milione di sterline, per
consegnarci il video!” – ed imprecò colorito.
“Le leggi sulla privacy
non sono arrivate sino ai bagni pubblici di quel centro commerciale?”
“A quanto pare no,
Robert, per la sicurezza dei clienti, i trafficanti di droga, ma che ne so!”
“Offrigliene mezzo
milione: per mandarlo on line, oggi stesso”
“Ma sei pazzo Robert?!”
“Fallo e basta, Adam,
altrimenti ci penserò io, direttamente e revocherò il mio mandato permanente al
tuo studio, Mr. dieci per cento, sono stato chiaro?”
Un mese dopo, quasi
Natale 2014
A pancia in giù,
paralleli, nudi, dopo avere trascorso l’intero pomeriggio a fare l’amore, a
scopare, come una volta, su quel materasso, forse da cambiare ormai, Jude e
Robert sbirciarono il tablet di questi.
I siti con la clip dello scandalo Downey Law, era virale,
da settimane.
Robert scosse il capo
spettinato.
“Io, comunque, continuo
a preferire il passaggio dove il wc inizia a darti istruzioni, su come prendere
la carta igienica ed evitare lo spruzzo del disinfettante”
Law aggrottò la fronte
– “Eh già …”
“Eh già …”
Si guardarono.
Poi risero.
Risero forte, contro al
destino.
The End
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