venerdì 28 novembre 2014

One shot – Per te, che mi hai lasciato solo, a camminare, nell’universo

One shot – Per te, che mi hai lasciato solo, a camminare, nell’universo



Tardo autunno, 2014


I tavolini del caffè all’aperto, si svuotarono in fretta, appena scoppiò l’ennesimo temporale.

Era sera.

Tutti se ne andarono di fretta, tranne loro due.

C’era la tettoia in plexiglass, a ripararli, anche se gli zampilli, sulle fioriere poco distanti, i posacenere, i vasi finti, già addobbati a festa con mini lucciole lampeggianti, erano fastidiosi.

Come il traffico, i rumori, il chiasso della gente, di Singapore.

Se ne stavano in silenzio, loro, in compenso: era bello, anche dopo mesi, senza neppure mandarsi un messaggio o farsi una telefonata.

Jude, Jude Law, sorrise.

“Ti si rovineranno i capelli” – esordì pacato, senza guardarlo, non ce n’era bisogno.

Lui conosceva ogni millimetro di Robert Downey Junior, seduto lì accanto, molto vicino, quasi incollato.

Risero.

Fissandosi, ora.

“Andiamo, Jude?”

“No, perché, è tardi?”

“Sono un po’ stanco …”

Il jet lag, gli impegni serrati, la famiglia allargatasi di recente, i suoi cinque gatti trovatelli, argomenti, di cui nemmeno più discutevano.

Niente più liti, così snervanti, inutili.

Anche la passione, aveva lasciato il passo alla … contemplazione.

Si intrecciarono, sotto le lenzuola, appoggiati allo stesso cuscino.

Il loft di Law era ciò che di più moderno e tecnologico si potesse avere, in quei palazzi nuovi di zecca.

Un investimento, avevano scritto i giornali.

In realtà, un posto dove l’attore fuggiva, periodicamente.

In quell’occasione, Robert, per la prima volta, l’aveva raggiunto lì.

Si addormentarono quasi subito, abbracciati.

Dopo un solo bacio, dall’arrivo dell’americano.
Intenso, profondo, ma solitario.

Continuava a piovere, là fuori, contro ai vetri a specchio, contro i loro pensieri, rimescolati ai sogni di mezzanotte.



Jude preparò il caffè.
Si era alzato per primo, stiracchiandosi come una lince, dopo avere osservato, per qualche minuto Robert, che russava con le labbra schiuse.
Era buffo.
Era semplicemente Robert.


“Ti amo …” – disse sommesso l’inglese, prima di lasciare quel giaciglio tiepido ed ancora intatto.
Avevano dormito  come due mummie, sapeva che Rob lo avrebbe detto, appena sveglio.
Non sbagliava.


“Già in piedi?”

“Buongiorno Robert … Tè oppure un espresso?”

“L’hai fatto tu, con la moka?”

“No, con questo aggeggio” – sorrise, mentre l’altro si appollaiava su di uno sgabello in radica e metallo ottonato.

“Sei dimagrito ancora, Jude?”

“Capita”

“Ai sedicenni” – sospirò, attivando il tablet.

Law non aveva più tutta la sua attenzione, evidentemente.

“Controlli le e-mail? Cancelli la mia, forse? No, l’hai fatto subito, vero?” – e gli si avvicinò, sottilmente provocatorio nel tono, ma non più di tanto.

Jude non voleva sforzarsi oltre.

“Perché dici queste cose?” – domandò perplesso il moro, l’aria triste.

“Credo siano la verità, posso dirla la verità, giusto?”

“Certo Jude … Buono il tuo caffè e questa?”

“Torta ai mirtilli, non l’ho fatta io, ovviamente” – e si allontanò, lo sguardo basso, le palpebre a proteggere la sua emotività, blandamente controllabile.

“Non facciamo più colazione insieme?” – si lamentò Downey, la gola secca.

In realtà, non facevano più molte cose  insieme.


“Mi stendo, ho mal di testa, scusami.”


In passato, all’inizio, il sesso era sconvolgente.

Ora, un premio di consolazione, tuttalpiù.

I pannelli appositi, si erano oscurati, con l’arrivo del sole, contro gli stessi.

Un po’ come gli opali celesti di Jude, che gli stava venendo dentro, senza guardarlo.

Anche Robert non cercava quell’emozione nelle iridi di Jude, che in passato gli mandava in fiamme il cuore.

E l’anima.

Uno scatto felino e Law uscì da lui, non senza baciargli la tempia destra, scambiandosi il sudore della pelle.

Il dolore, se almeno fosse stato ancora possibile.


Era seduto sul bordo, Jude, a cercare qualcosa.
Una sigaretta.

“Da quando fumi?” – Rob si girò sul fianco sinistro, la mano a reggersi la testa, che scoppiava di pensieri e rammarico.

“Non saprei … Una ogni tanto, di rado, comunque, il fumo rovina la voce”

E quella di Law era potente, come la sua determinazione, quando provò, mesi prima, a convincerlo che potevano avere un futuro insieme.

Che nulla era perduto.

Downey gli rivelò, dopo quel discorso accorato e così bello, che Susan era di nuovo incinta.

Law ripartì, per un nuovo set, fuori dal quale, dove si impegnava con abnegazione, usava la stessa nello scolare bottiglie di brandy, stordendosi, abbordando avvenenti cameriere oppure avventrici dei bar, dove si rifugiava sino a notte fonda.

Una, tra tante, l’aveva messa incinta.

Quinto erede per Law, avrebbero titolato pochi mesi dopo i vari quotidiani scandalistici, non solo in patria: il tutto dopo un comunicato stampa piuttosto stringato, dove si vaneggiava di una relazione già interrotta da tempo, ma non per questo, motivo di rinuncia ad essere due ottimi genitori del nascituro.


“Posso aiutarti?”

Il quesito di Robert, gli si conficcò tra le scapole.

Lui, nudo, con le gambe accavallate, finì la propria Camel, sino al filtro.

“Per cosa?” – bissò, strizzando gli occhi, davanti ai quali, il fumo stava come danzando.

“Credo che tu abbia vissuto male la tua recente esperienza con … Come si chiama?”

“Non ricordo”

“Jude …”

“Hai le foto della bambina?”

“Sì …” – ed azzerò la distanza, recuperando il cellulare.

“Sono poche, ma gliene farò altre e te le posterò o le vedremo qui o”

“O?” – Law sorrise – “Perché sei così agitato?”

“Nella tua e-mail, mi anticipavi che avremmo parlato di una cosa”

“Tua figlia è molto bella”

“Anche tu, forse, ne avrai”

“Non importa Robert” – disse fermo, alzandosi, dopo avere infilato i jeans sgualciti, sulla pelle dorata.

Si era abbronzato in un centro estetico, poco distante da quel loft: uno sfizio, per ammazzare il tempo, in attesa del volo di Robert.

Robert, che ora lo stava fissando, il viso teso, il pizzetto ben disegnato, i pozzi di pece sgranati, ad ogni respiro dell’altro.

“So che amerai anche questo bambino, invece, seppure adesso sembra non importartene granché” – obiettò, sentendosi stupido, inadeguato nei propri discorsi, per come Jude lo stava guardando.

“IO amavo te”

Disse questo, la voce integra, il cuore a pezzi.

Volavano, come coriandoli, negli specchi di Jude, i suoi occhi così belli.

“Ti amo anch’io …”

Downey tendeva a commuoversi così facilmente, come ad entusiasmarsi, ad innamorarsi, a fremere di vita, come se non ci fosse un domani.

A Law era sempre piaciuta, questa sua mania di vivere, dopo che il destino, l’aveva ucciso in tanti modi.

Un’araba fenice, per usare un’immagine un po’ poetica.
Forse banale.


“Questo è il nostro ultimo appuntamento, Robert. D’ora in avanti, ci vedremo sui red carpet, al lavoro, se ne avremo occasione, agli eventi, senza tradire il minimo disappunto reciproco: sorrideremo, ci saluteremo, ci abbracceremo anche, fingeremo, assolutamente.”

Robert deglutì a vuoto un paio di volte.
Smarrito.

“Era questa la cosa, che volevi dirmi?”

“Certo” – Law inspirò, cercando una maglietta in un cassetto – “Ti porto a pranzo dall’italiano, ma prima visitiamo l’acquario, è uno spettacolo” – e guadagnò il living, le pulsazioni nella nuca, la preghiera tacita di arrivare, senza crollare, sino al bagno, dove si chiuse dentro, per vomitare piangendo, dopo avere attivato la filodiffusione.

Beethoven.

Robert fece un balzo, sull’attacco della quinta sinfonia.




Le vetrine erano piene zeppe di addobbi.

La fila alle casse, interminabile.

“Li ho presi on line, i biglietti” – Jude ruppe il mutismo tra loro, le mani nelle tasche del costoso cappotto modaiolo, dono di qualche stilista, come di consueto.

Robert lo seguiva, come un cane di paglia.


In molti li stavano spiando, ma, tra baveri alzati e sciarpe, nonché cuffie, non era semplice riconoscerli.

La vasca dei delfini sembrò loro la migliore.

Stranamente deserta, ma solo perché si erano messi dal lato sbagliato, per ammirarla.

Un po’ come avevano fatto con la loro relazione a singhiozzo.

Clandestina, eccitante e pirotecnica, agli esordi, poi sempre più meschina, deprimente, disperata.

Meglio chiuderla lì, forse Jude aveva ragione.

Robert mandò giù il rospo, provando a distrarsi, a seguire i discorsi sconclusionati, ma ricchi di enfasi, del suo compagno.

Oppure ex.

Oppure niente.

“Ho sete, non faccio che parlare e tu stai zitto, come un ebete” – si interruppe Law, di botto, sentendosi addosso le occhiate meste di Robert.

“Ebete? Adesso offendi, bene … Prima mi distruggi, nell’unica cosa bella, per la quale vivo e poi questo: perfetto” – partita in sordina, quella replica divenne più ferma, diretta, solida.

Downey si stava tormentando l’addome, sotto al trench, troppo leggero per quella stagione, ma aveva sbagliato tutto, nel preparare di corsa la valigia, inventandosi un viaggio a Londra, dove fece semplicemente scalo e salutò alcuni dei suoi pr, così da avere un riscontro alle proprie menzogne, nel caso Susan avesse “indagato”.

In realtà lei non lo faceva mai, si fidava oppure capiva e metteva sotto al tappeto le sensazioni scomode, alle quali non aveva intenzione di porre rimedio, finché vedeva il consorte gioioso, come in quel periodo.

Come accadeva ogni volta che incontrava Jude.
Susan lo intuiva, da parecchi indizi, che il consorte disseminava, anche senza volerlo, forse contando sulla sua solidarietà, sull’amicizia di donna, prima che di coniuge, andando oltre i vincoli, gli obblighi, arrivando ad un confronto, schietto, senza scannarsi.

Senza farsi male, come succedeva con Jude, in quel preciso istante.

“Ti chiedo scusa Robert, sono stato maleducato”

Glielo disse, guardandolo mortificato.

Avrebbero potuto essere così felici.
Dio.

A Robert salì un’ansia soffocante, dallo stomaco, alle narici, con un formicolio.

Quella torta ai mirtilli proprio non l’aveva digerita.

“Ju Jude mi sento …”

“Rob!”


La sua mano calda, sotto al pullover in filo, gli stava facendo così bene.

“Hai un kleenex, per favore Jude”

“Sì, certo … Un altro conato?”

“No, no, è passata, grazie …”

Se ne stavano accovacciati, chiusi in una toilette di lusso, dove erano arrivati ad una velocità quasi comica.

Ripensandoci, risero con un pianto dispettoso, in agguato, non solo per la reazione alla nausea, per Robert e lo spavento di averlo visto in difficoltà, per Jude, che non sopportava quella sensazione.

Gli voleva così bene.
Ricambiato, da Downey, senza eccezioni.

“Aspetta lo getto” – Law buttò il fazzolettino nel water e partì una musichetta.

Era tutto elettronico, a sensori, sparsi ovunque.

“Ma che fa quel cesso, parla?” – chiese Rob, provando ad alzarsi.

“Diavolerie del terzo millennio, aspetta ti aiuto amore”

Amore.

Robert provò una gioia, senza confini.

Solo con Jude provava quell’emozione, inutile rinnegarla: eppure Downey ci aveva provato, qualche volta, tornando puntualmente indietro, anche a supplicarlo di non interrompere la loro storia.

“Hai del dentifricio? Ho la lingua impastata, un alito orrendo” – si lamentò.

Law rise – “Ma ti pare che vada in giro con … Come vedi ho dimenticato la borsetta” – scherzò – “Comunque c’è il distributore automatico, hai delle monete?”

“Sì Judsie …” – e gli accarezzò la schiena, appoggiandosi a lui, mentre lui selezionava il kit da viaggio della Mentadent.

“Prendo anche delle salviette, aspetta dovrei avere ancora un dollaro locale”

“Li emettono anche qui?” – si informò curioso.

“Certo” – sorrise, frugandosi nelle tasche, dopo averne estratto i guanti in pelle.

Cadde qualcosa.
Una scatolina bordeaux.

Downey la raccolse rapido – “Cos’è Jude?”

Law gliela riprese goffo, infantile, come se fossero bambini e Robert gli avesse rubato un gelato oppure un palloncino.

Se si fossero incontrati allora, probabilmente non si sarebbero più lasciati e mai avrebbero commesso tante cazzate.
Ogni tanto se lo dicevano.


“Non è”

“E’ per me, Jude?”

Downey non avrebbe mollato la presa, tanto facilmente.

“No, cioè sì, SI’! Tieni!” – sbottò, ficcandogliela in mezzo al pezzo, sopra la maglia.

“Grazie …” – ribatté perplesso, quindi la aprì con la sua tipica frenesia da cucciolo.

Jude lo osservava, la bocca, che già tremava, come il suo sguardo: si morse il dorso della mano destra, l’altra in tasca, poi si sciacquò la faccia, tutto a scatti, ai quali Downey non badava, troppo concentrato su di un biglietto, arrotolato ed infilato tra due fedi d’oro bianco.

§ Per te, che mi hai lasciato solo, a camminare, nell’universo §

L’incisione, all’interno delle vere, recitava invece - § 30 febbraio 2180 RDJ §

“Quella è … è una scemenza, Rob” – disse contratto, rosso in volto.

“La data del nostro matrimonio?”

“Infatti”

“Tipico humor britannico, ma per il resto hai ragione Jude: io ti ho lasciato solo” - riconobbe sincero, con afflizione.


Di nuovo in mezzo alla folla, a centinaia di ombrelli, sotto l’ennesimo acquazzone, tutti di corsa, tranne loro due, senza alcun riparo, a camminare vicini, tenendosi per mano.

Sembrava di essere piombati sul set di Blade Runner.

Si stava facendo buio.

Jude chiamò l’ascensore.
Robert un taxi, destinazione aeroporto.

Il trolley lasciato nell’appartamento di Law, in fondo non gli serviva.

Allo scalo intermedio di Londra, Downey si sarebbe fermato nell’alloggio, che aveva comprato all’epoca del primo Holmes, per avere un rifugio dove incontrare Jude, il più spesso possibile, nella sua città, dove vivevano i suoi figli.

A fare cosa, non lo sapeva neppure lui.
Finché, il giorno seguente, non arrivò una telefonata.
Dal suo avvocato di fiducia, Adam Cody.

Una breve conversazione, Robert puntava il fuoco, nel caminetto acceso e scoppiettante.

“Capisco … Come si chiama questo tizio, Adam?” – domandò tranquillo, riflessivo.

“Ha un nome impronunciabile, ma che importa, pretende un quarto di milione di sterline, per consegnarci il video!” – ed imprecò colorito.

“Le leggi sulla privacy non sono arrivate sino ai bagni pubblici di quel centro commerciale?”

“A quanto pare no, Robert, per la sicurezza dei clienti, i trafficanti di droga, ma che ne so!”

“Offrigliene mezzo milione: per mandarlo on line, oggi stesso”

“Ma sei pazzo Robert?!”

“Fallo e basta, Adam, altrimenti ci penserò io, direttamente e revocherò il mio mandato permanente al tuo studio, Mr. dieci per cento, sono stato chiaro?”


Un mese dopo, quasi Natale 2014


A pancia in giù, paralleli, nudi, dopo avere trascorso l’intero pomeriggio a fare l’amore, a scopare, come una volta, su quel materasso, forse da cambiare ormai, Jude e Robert sbirciarono il tablet di questi.

I siti con la clip dello scandalo Downey Law, era virale, da settimane.

Robert scosse il capo spettinato.

“Io, comunque, continuo a preferire il passaggio dove il wc inizia a darti istruzioni, su come prendere la carta igienica ed evitare lo spruzzo del disinfettante”

Law aggrottò la fronte – “Eh già …”

“Eh già …”

Si guardarono.

Poi risero.
Risero forte, contro al destino.

The End






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