lunedì 24 novembre 2014

LIFE - CAPITOLO N. 62

Capitolo n. 62 – life





L’oceano si increspava ad ogni ansito di quella leggera brezza marina, carica di sale e profumi, che Glam non riusciva a distinguere.

Dal giardino sottostante la terrazza, alla quale si era affacciato, dopo cena, salivano gli aromi di gelsomino, rose e cespugli fioriti, il cui nome gli sfuggiva, in quel momento di solitudine.

La sua nuova casa era piena di gente, di sorrisi, di preoccupazione, di voci, cariche di speranza e rassicurazioni per Tom.

Jared era rimasto abbracciato a lui, per minuti lunghissimi.
Gli voleva così bene, come aveva detto Colin, al loro arrivo.

Quell’abitazione, era ancora senza nome; non lo avrebbe avuto mai, pensò Geffen, perché se ne sarebbero andati via presto, da lì, in un modo o nell’altro.

Robert sarebbe tornato da Jude ed a breve glielo avrebbe confermato, l’avvocato ne era certo.

Lui si sarebbe rifugiato a Palm Springs oppure sarebbe volato in qualche paese caldo, magari ai Caraibi, dove voleva portarci Rob, per il suo recupero, insieme al loro Pepe.

Loro?

Il dossier della Gramble era ancora sopra alla sua scrivania, con una lettera piuttosto enigmatica, dove la direttrice dell’orfanotrofio esprimeva dubbi, in merito all’adozione del piccolo, da parte della coppia, dopo i recenti e drammatici attentati, ai danni dei genitori naturali del bimbo e di Mr. Downey stesso, in presenza del minore, scampato per miracolo ad una sorte altrettanto irreparabile.

Tutto il mondo di Geffen, veniva messo in discussione, in quelle poche righe.

Le sue frequentazioni, il suo modus vivendi, la professione.

Una cosa alla volta.

Glam sospirò.

Il treno gli stava arrivando dritto addosso e lui non si sarebbe spostato.

Questo no.

Glam Geffen non l’aveva mai fatto, durante la sua incredibile esistenza: le cose, i drammi, i problemi, le gioie, lui li aveva attraversati tutti, uno ad uno ed unicamente la morte di Lula, lo aveva fatto inginocchiare, piegare, spezzare.


“Non dovresti rimanere qui, adesso …”

“Jared?”

“Ciao Glam, mi chiedevo” – ed abbassò gli zaffiri, smarriti, spaventati.

Glam andò a stringerlo, perché Jay aveva il mare, negli occhi, la tempesta, nel cuore, l’amore, tra le dita, che l’uomo sfiorò con le labbra, anche se tremanti, anche se Leto non era lì per questo.

Per un bacio, che Geffen gli diede, con naturalezza.
Cadendo.
Precipitando.

Portandosi dietro la notte, le stelle, il creato intero, che piombò in fondo a lui, crepitando, preparandosi ad esplodere.

“Glam” – il respiro di Jared era in affanno, mentre si staccava da lui, ma solo con la bocca, perché le mani del cantante stavano stritolando gli avambracci dell’altro, come se vi si fosse aggrappato.

In salvo.

“Sì, Jay, sono qui”

“Non … farmi questo”

“Ciò che vuoi, intendi?” – disse triste, poi se ne andò, per la propria strada.



Pochi passi e la voce di Robert, dolce, in bilico tra la malinconia ed il ricordo amorevole, gli accarezzò le membra stanche, riportandolo al presente.

Al marito, seduto sopra ad un divano, in un salottino, dove Pepe lo aveva raggiunto, per ascoltare una favola, prima di dormire, ma ritrovando il genitore, con un vecchio album di foto in grembo.

L’attore gliele stava mostrando, ad una ad una, raccontandogli quella che, di sicuro, era stata come una fiaba, a tratti dolorosa, però per il resto, magnifica.

“Questa era la nostra casa, la prima, una bomboniera, la chiamavamo così, piena zeppa di souvenir, da ogni nostro viaggio … Sai, Pepe, durante questo cammino, fatto di tanti giorni, noi siamo destinati ad incontrare persone, che a volte ci faranno del bene, altre del male … Jude ed io, all’inizio, non capivamo veramente ciò che volevamo: in mezzo a noi, c’erano troppe cose, altri protagonisti, come in un film in bianco e nero … Ho avuto un sacco di problemi, casini … Mi sono buttato via, innumerevoli volte, mi sono nascosto, come accadeva da bambino, dietro ai miei errori, nella segreta speranza che qualcuno mi scoprisse e mi amasse davvero. So che è un discorso da grandi, Peter, ma so anche che tu sei in grado di capirmi, con la tua innocenza … Io l’avevo perduta e poi ritrovata, grazie a Jude … Gliene sono stato grato, anche in periodi, in cui lui avrebbe meritato il mio disprezzo, la mia condanna, ma io non ci riuscivo, io volevo continuare a vederlo come il mio angelo, solo questo … Questo, nel nostro film diventato, all’improvviso, a colori” – ed inspirò, voltando l’ennesima pagina.

In quell’immagine c’erano lui, Law, le figlie.

“Camy e Dadi” – Pepe le indicò, sorridente, accucciolato sul cuore di Downey, che gli diede un bacio tra i capelli corvini, vibrante, a palpebre serrate, costernate.

“Sì, le tue sorelline, amore mio …”

Un’altra pagina.

“Papà Glam!”

“Già, la nostra prima foto insieme …”

Pepe lo scrutò, curioso – “E con lui, con papà Glam, il tuo film, come è diventato?”

“Un sogno” – replicò netto – “al quale avevo sempre pensato di non avere diritto, anche per colpa di zio Jude, lo ammetto, che negli anni è cambiato, come succede a tutti, sia chiaro, perché le cose cambiano, Peter, tutto cambia … Una persona, però, non l’ha mai fatto, almeno con me, di questo sono più che certo, sai?” – e gli sorrise innamorato.

“Papà Glam?”

Robert annuì, ossigenandosi, raccogliendo a sé il corpicino di Pepe, nella maniera più profonda ed assolutamente possibile.

Geffen scoppiò a piangere, andando da loro, per consacrare quell’istante, che sarebbe rimasto impresso nella sua mente.

Sino alla fine.

Glam non avrebbe permesso a nessuno di portargli via quel sogno.

Con Robert.
Con Peter.

Davvero a nessuno.
Nessuno.




Colin guidò in silenzio sino alla End House.

“Credevo volessi fermarti da”

“No, Cole, quello che andava fatto, lo abbiamo fatto” – bissò diretto, lo sguardo fisso oltre il parabrezza, sulla riga bianca, illuminata dai fari del suv, che procedeva piano.

“Sì, abbiamo dato conforto a Tom e Chris, non sarà un periodo semplice per loro” – ammise con rammarico l’irlandese, pensando alle terapie, che seppure di ultima generazione, restavano comunque invasive.

Nulla sarebbe stato più come prima, per Tom.

Così per Jared, dopo l’Aids.

Così per egli stesso, dopo l’ictus.

Oltre agli effetti collaterali, alcuni duri a scomparire, l’ansia perenne di avere una recidiva, una crisi, un crollo emotivo e fisico, irreversibile.

Jared lo guardò, mentre parcheggiava.

“Possiamo fare l’amore, Colin? Qui … ora …” – chiese senza più fiato in corpo.

Un corpo esile, ma mai fragile, quanto il cuore del cantante.

“Jay …” – il marito gli sorrise, poi carpì delicatamente i suoi zigomi, baciandolo caldissimo, disponibile a qualsiasi cosa Leto reclamasse.

“An andiamo dietro …” – balbettò, prendendogli i polsi.

“Aspetta, tiro giù i sedili, non dovremo neppure scendere” – sorrise complice, inserendo anche le sicure.

Erano nella zona box, piuttosto appartata e distante dal viale principale, di quel parco immenso, intorno alla loro residenza.

Si spogliarono, tornando a baciarsi, il riscaldamento di riserva acceso e diffuso, anche su quei tessuti, robusti, lavabili, come in un flash, alla mente di Jared tornarono le frasi del venditore di auto, con quella dentatura finta, perfetta per i salamelecchi nei riguardi di due star come loro, nonostante il tizio, senza dubbio, li disprezzava nel loro essere una coppia gay affiatata e di successo.

I palmi di entrambi si scaldarono velocemente, anche se a differenza di Colin, quelli del compagno non erano affatto tiepidi.

L’erezione dell’irlandese svettò, appena i suoi jeans presero la via delle caviglie, intorno alle quali l’attore li scalciò via, con la sua tipica irruenza sanguigna.

Leto arrise a quei modi, immutati, genuini, eccitanti: si abbassò quindi, sino alle cosce di Farrell, che gli rese le cose facili, facendolo stare più comodo possibile, mentre lui rimaneva un po’ incerto, contro le maniglie ed i vani oggetto degli sportelli.

Jared, con la sua esperienza e con i tormenti, che si portava impressi a fuoco nella pelle, diede a quella sequenza erotica, un’intensità inaudita ed ingestibile.

“Dio, così mi fai venire subito, Jay …!” – quindi un singulto strozzato, poi la ribellione di Colin, che gli si conficcò dentro, dopo avergli aperto le gambe, sovrastando Jared, senza più difese da parte sua, senza alcuna opposizione o protesta, nemmeno verbale.

Il leader dei Mars gli si appese al collo ed ai fianchi, mentre il moro cadenzava un ritmo, dapprima univoco, poi più sinergico ed armonioso.

Il blu cobalto, di quelle iridi così belle, venne inondato da un’alta marea di lacrime, capace di dilatare la visione, che Jared aveva del cielo, oltre al tettuccio trasparente, di quell’auto costosa ed innovativa.

Colin lo baciò, convulso, inebriato dal suo sapore buono e da una miriade di sensazioni, che dal basso ventre di entrambi, stavano per dilagare, in un orgasmo indimenticabile.

“Jay ti amo … ti amo”

Glielo avrebbe detto per tutta la vita.
Tutta la vita.




Dimitri chiuse frenetico il borsone in finta pelle, made in China, acquistato sulle bancarelle.

Un paio di maglioni in lana grezza, due jeans, delle scarpe comode, rappresentavano il resto dei loro acquisti in economia.

“E’ rimasta della cioccolata, Matt?”

“Sì, certo …” – replicò lui, spento, porgendogli la tavoletta intatta.

“Neppure questa hai mangiato? Miseria, sei una vera lagna!”

Miller inspirò, cercando le parole giuste.
Il modo giusto.

“Perché non ci salutiamo, qui, ora? Dividendoci i soldi e … e questa roba da mercatino dell’usato” – ed accennò un sorriso umido di pianto mal celato.

“Non se ne parla” – ribatté secco il sovietico.

“A cosa ti servo?!” – il suo tono divenne più solido, anche se Matt provava esasperazione pura e l’impulso di scappare da quel contesto asfissiante ormai.

“Camperesti sì e no due ore, là fuori ed io non me lo posso permettere”

“Perché sei ancora fedele al tuo padrone? Come un cane rognoso?!” – lo provocò, sapendo che se fosse finita a botte, lui ci avrebbe rimesso, senza via di scampo.

Meglio morire, che tornare in clinica oppure in galera.

Il piano di Dimitri, di mettersi in contatto con Geffen, per quello scambio di informazioni, per giunta incomplete ed inutili, era una follia totale.

Il russo sghignazzò, senza riuscire a reggere i suoi fanali azzurri, comunque.

“Non attacca, con me, non pensare che ti rompa quel bel musino, Matt, a me servi vivo, altro che!”

“Non sarò il tuo lasciapassare per avere del denaro da Glam!”

Dimitri stava perdendo la pazienza.

Lo puntò, azzerando la distanza, la schiena di Miller a ridosso del muro, di quella camera di motel, squallida quanto la fine, che entrambi avevano fatto, dopo mille peripezie.


“Voglio ben più di questo, da quel bastardo!” – sibilò il mercenario, a muso duro.

“E cosa, sentiamo?! Documenti nuovi di zecca, una valigia piena di dollari, magari anche una bella villa in Costa Azzurra?!” – Matt gli rise in faccia, sentendosi patetico, per la voglia, che aveva, di baciarlo, di essere stretto a lui.

“Ma piantala ed abbi un po’ di fiducia in me, accidenti” – e scrollò la testa, addentando quello snack rammollito dal caldo.

“Vuoi dell’acqua …?” – domandò mesto il più giovane, andando a recuperare la sua sacca da viaggio, con l’i-pod, qualche libro, un diario di appunti, non del tutto segreto.

Dimitri lo aveva sbirciato, mentre Matt si rasava, come il classico bullo della scuola, che si incuriosisce, appena incontra qualcuno così diverso da lui.

Tra i fogli, scritti fittamente, c’erano anche un paio di Polaroid, di Miller e Ruffalo.

Dim lo etichettò mentalmente, come una checca perfettina, senza sapere un tubo di Mark, pungolato nel vivo da come la coppia si guardava, in quell’istantanea sbiadita dal tempo.

Matt glielo aveva strappata dalle mani, imprecando, prima che uscissero a fare spese, poche ore prima di quel litigio, come due amici qualunque.

O quasi.



















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