venerdì 14 novembre 2014

LIFE - CAPITOLO N. 55

Capitolo n. 55 – life



Chris venne interrotto da qualcuno che bussava oltre il vetro di sorveglianza, della sala interrogatori.

Sbuffando si alzò, rimettendo a posto la sedia, girata al contrario per sedersi come un cowboy, mentre interrogava quel tizio senza nome e privo di impronte digitali.

Qualcuno gliele aveva portate via dai polpastrelli, usando dell’acido oppure un laser, come spesso avveniva negli ambienti dei mercenari o dei trafficanti di droga.


La discussione tra il tenente ed il suo superiore fu concisa, quanto nervosa.

“Ma come, hanno pagato la cauzione?!” – sbottò Hemsworth.

“E’ arrivato un avvocato, un giapponese, piuttosto noto negli ambienti dell’alta finanza qui a Los Angeles, con una valigetta piena zeppa di dollari ed un sorriso da copertina di Vogue: non so cosa possa centrare con quella feccia” – ed il capitano lanciò un’occhiata infastidita a quel colombiano o tuttalpiù messicano.

“Forse ho capito …”

“Geffen? Tu pensi voglia fare i conti direttamente con quel coglione?”

“Magari vuole unicamente sapere cosa sta succedendo alle sue spalle: a questo punto è un vero complotto ai suoi danni”

“Non sta forse venendo qui?”

“Sì capo, l’ho convocato, ma era ancora in ospedale, il marito è molto grave”

“Sì, comprendo, però so di che pasta è fatto Geffen e voglio fermarlo, prima che combini davvero qualche casino irreparabile”

Chris fece un mezzo sorriso – “Adesso si preoccupa per lui?”

“No, ma … Ho visto in tv come teneva stretto a sé il bambino, come si chiama?”

“Peter, detto Pepe, è adorabile”

“Sì, era spaventato, ma lui è stato capace di calmarlo”

“I suoi figli lo idolatrano, Glam sa come farsi amare”

“Anche come farsi odiare, arrivati a questo punto … Bene, non abbiamo alternative, libera Mr. Nessuno e fallo pedinare, ok?”

“Agli ordini … La terrò aggiornata.”


La porta della centrale si spalancò.

Il legale, amico di Kiro, lo condusse all’esterno ed il tizio si grattò la nuca, guardandosi intorno, l’aria perplessa ed inquieta.

“Ce l’hai un nome, tu?” – domandò il nipponico.

“Dovresti saperlo, se ti hanno mandato a liberarmi” – replicò teso.

“Non necessariamente” – e gli sorrise di sguincio – “… Ora seguimi”

“Dove andiamo?”

“Dove preferisci” – e nel mentre si diressero verso un parcheggio poco illuminato.

“Senti ho bisogno di soldi, così posso sparire, che ne pensi muso giallo?”

Si fermarono.

Poco distante stazionava un furgone blu scuro, senza scritte e con la targa infangata.

Ne discesero due energumeni, che afferrarono l’ispanico, trascinandolo nel retro del loro mezzo, dopo averlo tramortito con del cloroformio.

Takeshi Harada aveva portato a termine il proprio lavoro, in maniera eccellente: non restava che avvisare Kiro, sul buon fine della prima parte dell’operazione.




Pepe corse varie volte alle finestre della sala da pranzo della End House, dove gli altri commensali facevano di tutto per distrarlo.

“Ho sentito un rumore, forse è il mio papà!” – andava a ripetere il bimbo, per poi scusarsi, mentre tornava a posto, educatamente.

Kevin lo prese in braccio, mettendolo tra sé e Tim, sopra ad un divano – “Ti va una fetta di torta, cucciolo?”

“No … Cioè sì, ma aspetto papà Glam per mangiarla, ok?” – disse un po’ demoralizzato.

Colin si coprì parte del volto, mentre sussurrava a Jared, seduto accanto a lui – “Dio, è così legato a Geffen … Simbiotico direi”

Leto inspirò, lo sguardo triste – “Gli manca ogni minuto che rimane senza di lui, è evidente …” – e trangugiò dell’acqua, con delle vitamine.

Farrell sorrise a metà – “Dovresti mangiare anche tu una porzione di dolce, al posto di quelle pillole, amore”

Jared lo fissò – “Non rimproverarmi, non è il momento Cole”

“Non lo sto facendo, ma con le pasticche non si recupera peso e tu sei ancora sotto la soglia di sicurezza” – bissò asciutto – “… senza contare queste emozioni, davvero pericolose per il tuo equilibrio” – e si alzò, offeso, per andare a tenere compagnia a Kevin, che non aveva mai smesso di seguire il loro interagire, carico di ansia.

Jared lo seguì, accarezzandogli la schiena, prima che l’irlandese prendesse posto.

“Scusami Colin” – disse piano il cantante.

Nel suo tono c’era pentimento, così come negli occhi di Farrell, che lo strinse forte, un secondo dopo, facendolo accomodare, cingendogli il busto magro.

“Ora calmiamoci, vedrete che Glam arriverà presto: quando si va alla polizia, non si sa mai quando si finisce” – puntualizzò Tim, provando a stemperare l’angoscia tra i presenti.

Erano arrivati anche Shan, Tomo ed il loro Josh.

Christopher era rimasto al capezzale di Robert, mentre Ivan disponeva un cordone di sicurezza ancora più massiccio, affinché l’attore non venisse avvicinato da alcun estraneo.

I figli di Colin e Jared organizzarono dei giochi, così da riportare un minimo di serenità, soprattutto nei fanali di Pepe, che rimasero comunque guardinghi, verso ogni bagliore nuovo, proveniente dal parco sottostante.




Geffen indossò i guanti, inserendo il colpo in canna, con una mossa fluida e decisa, mentre scendeva dall’Hummer di Peter.

“Andiamo e facciamola finita” – disse secco ed il sovietico annuì, complice senza riserve, per qualsiasi cosa potesse capitare da lì a poco.


Kiro li accolse, tagliando l’aria fredda, con il proprio fiato – “Si chiama Nico, alla fine ce lo ha detto”

“Bene” – ribattè Glam, passandogli oltre – “Ora vedremo se gli piace cantare o morire, a questo stronzo!”

Lo stronzo, era stato ridotto in ginocchio, i polsi legati dietro la schiena con delle fascette metalliche, molto dolorose, privato poi degli anfibi, dei calzettoni e della cintura, in cuoio pesante.

La stessa, gli era stata avvolta intorno al collo, da uno dei tirapiedi di Kiro, che ne teneva l’estremità, come se fosse un guinzaglio.

Nico si dimenava e sputava, ricevendo in cambio calci e spintoni, simili a quelli che aveva inferto a Robert.

Geffen si immaginò la scena e, con veemenza, gli afferrò i lunghi capelli corvini, strattonandogli la testa all’indietro, la punta della canna della sua Beretta, ficcata in mezzo alla fronte di quel bastardo.

Così il suo sguardo, che da turchese, sembrava diventato nero pece.

“Ora dimmi chi ti ha pagato e giuro sui miei figli che ti lascerò andare!” – gli urlò in faccia.

“Tu sei un pazzo, Glam Geffen, se credi che io possa tradire quella gente!”

“Non te lo ripeterò una seconda volta, Nico o come cazzo ti chiami! Parla ed avrai anche del denaro, per metterti al sicuro, anche da me!!” – gridò più minaccioso, ma quello scoppiò a ridere.

“Non ho scampo, se li tradisco” – bissò a fiato corto.

“Quindi pensi di cavartela, magari finendo in una delle nostre galere?” – gli sibilò Glam, ad un centimetro dal volto tumefatto, almeno quanto quello di Downey.

“E perché no …? Tu non sei un assassino, Geffen”

“Forse …” – e lo liberò, sollevandosi, per spostarsi di un passo, lateralmente – “Non garantisco per chi resta: Peter lo lascio a te” – e se ne andò.




Jude arrancò dagli ascensori alla saletta di attesa, dove Scott lo stava aspettando.

Taylor lo accompagnava, muto come un pesce, durante il tragitto da Palm Springs a lì.

L’inglese non se ne diede pena, ritenendo fosse meglio per entrambi: lasciare perdere, nonostante non ci fosse nulla da distruggere.

Law non voleva più costruire niente.

Con nessuno.


“Posso vederlo? Posso andare da Robert?” – domandò asciugandosi il sudore, con la manica della camicia.

“Sì, ma per pochi minuti …” – gli spiegò il medico – “… Non so se potrà sentirti, ma tu digli ciò che senti ugualmente, ok?” – aggiunse con una strana dolcezza nella voce.

“Ok … Ok, grazie” – poi si rivolse a Taylor – “Tu mi aspetti qui?”

Kitsh non rispose.
Prese una rivista ed andò a sedersi, compostamente.

Scott fece strada a Jude, non senza fargli notare che – “Nella tua situazione, non dovresti fare simili sforzi”

“Lo so, ma per Rob questo ed altro”

“Ti capisco”

“E Glam c’è?”

“No.”

Erano arrivati.

“Dio come è pallido”

“Ha perso molto sangue, Jude … Ora vai da lui.”


Downey dormiva profondamente.

Jude prese una seggiola, avvicinandosi cauto.

Quindi gli prese la mano destra, baciandone il palmo.

“Ciao piccolo … Non so se puoi sentirmi Robert, ma io ho bisogno di dirti delle cose”

La sua pelle era fresca, delicata.

“Ultimamente sono successe troppe disgrazie e … ed incomprensioni Rob, ma tu hai pagato un prezzo troppo alto ed anch’io mi sento in colpa, per non esserti rimasto vicino, quando era necessario, per averti deluso ed allontanato da me, amore … perché …perché io ti amo così tanto Robert” – singhiozzò, appoggiando la fronte alle dita dell’americano.

Quindi Law rialzò i suoi opali, cercando un segno di reazione, in Downey.

Nulla.

“Ora tu hai una nuova famiglia e so che anche le nostre bambine sono felici con Glam … Lui è incredibile e mi ha fatto rinascere … Un pezzetto di lui è in me, così come un pezzetto di me è in te Robert … Tu pensi sia come una catena? Oppure una follia …?” – e si morse le nocche della mano destra.


Taylor lo stava ascoltando e non era il solo.

Geffen lo distrasse con il proprio respiro, all’improvviso – “Non dovresti farti così male, ragazzino”

Il giovane si voltò di scatto – “Non … non volevo spiarli” – mormorò, smarrito.

“Questo lo so, Taylor”

“Voglio solo andarmene da qui” – ed i suoi occhi, così luminosi, divennero liquidi.

“Ti porto a casa, se vuoi”

“Ok Glam … Grazie.”



Ricominciò a piovere.

“Sono arrivato”

Era stato un tragitto breve e senza più parole, tra loro.

Geffen era distratto da una marea di preoccupazioni, anche se sinceramente dispiaciuto per Taylor.

“Abiti qui, dunque?”

“Sì Glam … Vuoi salire a bere con me?”

“Non dovresti farlo, nessuno merita la nostra autodistruzione”

“Nemmeno Robert?” – replicò schietto, con un sorriso lacerato dall’amarezza.

“Nessuno” – e si ossigenò, guardando avanti, oltre il parabrezza – “Vieni con me a casa di Colin, rimarrai lì”

“Sei stato gentile ad ospitarmi, con Jude, ma è stato inutile e poi tu non sei la mia balia, sono abbastanza cresciuto”

“Per fare cazzate?” – sbottò, fissandolo.

“No …” – e si sporse, dandogli un bacio.

Geffen non lo respinse, ma neppure lo assecondò.

“Non … Non fare più queste cose, Taylor … Sei bellissimo, in gamba, nel fiore degli anni, hai mille opportunità” – provò a farlo ragionare, distaccandolo senza urtarne ulteriormente la sensibilità.

“Loro ci hanno abbandonato” – disse sommesso, a capo chino, stanco.

Glam ripartì, senza lasciarlo scendere.




Appena parcheggiò nel viale, l’avvocato notò una testolina, dietro ai vetri delle camere degli ospiti, al terzo piano.

Sorrise, facendo un cenno, per poi vedere sparire l’ombra in un attimo.

Le luci del vano scala, ricavato all’interno di una torre laterale, si accesero, mentre Pepe scendeva, inseguito da Miss. Wong, che gli diceva di non correre e di mettersi una maglia.

La donna lo raggiunse al volo, infilandogli il pullover ed aprendogli la grande porta a vetri e legno massiccio.

Geffen azzerò la distanza, accogliendolo sul cuore, in un gesto così amorevole ed istintivo, da commuovere Kevin, che lo stava osservando dalla terrazza, memore di come l’ex si comportava anche con il loro Lula.

Soldino gli mancava così tanto.

Jared era al suo fianco, con dei bicchieri di latte per Isotta e Pepe.

 “C’è anche Taylor …” – notò il bassista.

“Forse ha portato Jude da Robert, ma ora è con Glam … strano”

“No, non credo Jay” – e si appoggiò alla ringhiera in ferro battuto – “Stanno bene insieme”

Leto lo scrutò – “Ma chi scusa?”

“Taylor e daddy” – rise, facendo un passo indietro.

Il leader dei Mars inarcò un sopracciglio – “Cosa ti inventi, Kevin?”

“Sarà … Hai visto mai?”





KEVIN


JARED




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