Capitolo n. 55 – life
Chris venne interrotto
da qualcuno che bussava oltre il vetro di sorveglianza, della sala
interrogatori.
Sbuffando si alzò,
rimettendo a posto la sedia, girata al contrario per sedersi come un cowboy,
mentre interrogava quel tizio senza nome e privo di impronte digitali.
Qualcuno gliele aveva
portate via dai polpastrelli, usando dell’acido oppure un laser, come spesso
avveniva negli ambienti dei mercenari o dei trafficanti di droga.
La discussione tra il
tenente ed il suo superiore fu concisa, quanto nervosa.
“Ma come, hanno pagato
la cauzione?!” – sbottò Hemsworth.
“E’ arrivato un
avvocato, un giapponese, piuttosto noto negli ambienti dell’alta finanza qui a
Los Angeles, con una valigetta piena zeppa di dollari ed un sorriso da
copertina di Vogue: non so cosa possa centrare con quella feccia” – ed il
capitano lanciò un’occhiata infastidita a quel colombiano o tuttalpiù
messicano.
“Forse ho capito …”
“Geffen? Tu pensi
voglia fare i conti direttamente con quel coglione?”
“Magari vuole
unicamente sapere cosa sta succedendo alle sue spalle: a questo punto è un vero
complotto ai suoi danni”
“Non sta forse venendo
qui?”
“Sì capo, l’ho
convocato, ma era ancora in ospedale, il marito è molto grave”
“Sì, comprendo, però so
di che pasta è fatto Geffen e voglio fermarlo, prima che combini davvero
qualche casino irreparabile”
Chris fece un mezzo
sorriso – “Adesso si preoccupa per lui?”
“No, ma … Ho visto in
tv come teneva stretto a sé il bambino, come si chiama?”
“Peter, detto Pepe, è
adorabile”
“Sì, era spaventato, ma
lui è stato capace di calmarlo”
“I suoi figli lo
idolatrano, Glam sa come farsi amare”
“Anche come farsi
odiare, arrivati a questo punto … Bene, non abbiamo alternative, libera Mr.
Nessuno e fallo pedinare, ok?”
“Agli ordini … La terrò
aggiornata.”
La porta della centrale
si spalancò.
Il legale, amico di
Kiro, lo condusse all’esterno ed il tizio si grattò la nuca, guardandosi
intorno, l’aria perplessa ed inquieta.
“Ce l’hai un nome, tu?”
– domandò il nipponico.
“Dovresti saperlo, se
ti hanno mandato a liberarmi” – replicò teso.
“Non necessariamente” –
e gli sorrise di sguincio – “… Ora seguimi”
“Dove andiamo?”
“Dove preferisci” – e
nel mentre si diressero verso un parcheggio poco illuminato.
“Senti ho bisogno di
soldi, così posso sparire, che ne pensi muso giallo?”
Si fermarono.
Poco distante
stazionava un furgone blu scuro, senza scritte e con la targa infangata.
Ne discesero due
energumeni, che afferrarono l’ispanico, trascinandolo nel retro del loro mezzo,
dopo averlo tramortito con del cloroformio.
Takeshi Harada aveva
portato a termine il proprio lavoro, in maniera eccellente: non restava che
avvisare Kiro, sul buon fine della prima parte dell’operazione.
Pepe corse varie volte
alle finestre della sala da pranzo della End House, dove gli altri commensali
facevano di tutto per distrarlo.
“Ho sentito un rumore,
forse è il mio papà!” – andava a ripetere il bimbo, per poi scusarsi, mentre
tornava a posto, educatamente.
Kevin lo prese in
braccio, mettendolo tra sé e Tim, sopra ad un divano – “Ti va una fetta di
torta, cucciolo?”
“No … Cioè sì, ma
aspetto papà Glam per mangiarla, ok?” – disse un po’ demoralizzato.
Colin si coprì parte
del volto, mentre sussurrava a Jared, seduto accanto a lui – “Dio, è così
legato a Geffen … Simbiotico direi”
Leto inspirò, lo
sguardo triste – “Gli manca ogni minuto che rimane senza di lui, è evidente …”
– e trangugiò dell’acqua, con delle vitamine.
Farrell sorrise a metà
– “Dovresti mangiare anche tu una porzione di dolce, al posto di quelle
pillole, amore”
Jared lo fissò – “Non
rimproverarmi, non è il momento Cole”
“Non lo sto facendo, ma
con le pasticche non si recupera peso e tu sei ancora sotto la soglia di
sicurezza” – bissò asciutto – “… senza contare queste emozioni, davvero
pericolose per il tuo equilibrio” – e si alzò, offeso, per andare a tenere
compagnia a Kevin, che non aveva mai smesso di seguire il loro interagire,
carico di ansia.
Jared lo seguì,
accarezzandogli la schiena, prima che l’irlandese prendesse posto.
“Scusami Colin” – disse
piano il cantante.
Nel suo tono c’era
pentimento, così come negli occhi di Farrell, che lo strinse forte, un secondo
dopo, facendolo accomodare, cingendogli il busto magro.
“Ora calmiamoci,
vedrete che Glam arriverà presto: quando si va alla polizia, non si sa mai
quando si finisce” – puntualizzò Tim, provando a stemperare l’angoscia tra i
presenti.
Erano arrivati anche
Shan, Tomo ed il loro Josh.
Christopher era rimasto
al capezzale di Robert, mentre Ivan disponeva un cordone di sicurezza ancora
più massiccio, affinché l’attore non venisse avvicinato da alcun estraneo.
I figli di Colin e
Jared organizzarono dei giochi, così da riportare un minimo di serenità,
soprattutto nei fanali di Pepe, che rimasero comunque guardinghi, verso ogni
bagliore nuovo, proveniente dal parco sottostante.
Geffen indossò i
guanti, inserendo il colpo in canna, con una mossa fluida e decisa, mentre
scendeva dall’Hummer di Peter.
“Andiamo e facciamola
finita” – disse secco ed il sovietico annuì, complice senza riserve, per
qualsiasi cosa potesse capitare da lì a poco.
Kiro li accolse,
tagliando l’aria fredda, con il proprio fiato – “Si chiama Nico, alla fine ce
lo ha detto”
“Bene” – ribattè Glam,
passandogli oltre – “Ora vedremo se gli piace cantare o morire, a questo
stronzo!”
Lo stronzo, era stato ridotto in ginocchio, i polsi legati dietro la
schiena con delle fascette metalliche, molto dolorose, privato poi degli
anfibi, dei calzettoni e della cintura, in cuoio pesante.
La stessa, gli era
stata avvolta intorno al collo, da uno dei tirapiedi di Kiro, che ne teneva
l’estremità, come se fosse un guinzaglio.
Nico si dimenava e
sputava, ricevendo in cambio calci e spintoni, simili a quelli che aveva
inferto a Robert.
Geffen si immaginò la
scena e, con veemenza, gli afferrò i lunghi capelli corvini, strattonandogli la
testa all’indietro, la punta della canna della sua Beretta, ficcata in mezzo
alla fronte di quel bastardo.
Così il suo sguardo,
che da turchese, sembrava diventato nero pece.
“Ora dimmi chi ti ha
pagato e giuro sui miei figli che ti lascerò andare!” – gli urlò in faccia.
“Tu sei un pazzo, Glam
Geffen, se credi che io possa tradire quella gente!”
“Non te lo ripeterò una
seconda volta, Nico o come cazzo ti chiami! Parla ed avrai anche del denaro,
per metterti al sicuro, anche da me!!” – gridò più minaccioso, ma quello
scoppiò a ridere.
“Non ho scampo, se li
tradisco” – bissò a fiato corto.
“Quindi pensi di
cavartela, magari finendo in una delle nostre galere?” – gli sibilò Glam, ad un
centimetro dal volto tumefatto, almeno quanto quello di Downey.
“E perché no …? Tu non
sei un assassino, Geffen”
“Forse …” – e lo
liberò, sollevandosi, per spostarsi di un passo, lateralmente – “Non garantisco
per chi resta: Peter lo lascio a te” – e se ne andò.
Jude arrancò dagli
ascensori alla saletta di attesa, dove Scott lo stava aspettando.
Taylor lo accompagnava,
muto come un pesce, durante il tragitto da Palm Springs a lì.
L’inglese non se ne
diede pena, ritenendo fosse meglio per entrambi: lasciare perdere, nonostante
non ci fosse nulla da distruggere.
Law non voleva più
costruire niente.
Con nessuno.
“Posso vederlo? Posso
andare da Robert?” – domandò asciugandosi il sudore, con la manica della
camicia.
“Sì, ma per pochi
minuti …” – gli spiegò il medico – “… Non so se potrà sentirti, ma tu digli ciò
che senti ugualmente, ok?” – aggiunse con una strana dolcezza nella voce.
“Ok … Ok, grazie” – poi
si rivolse a Taylor – “Tu mi aspetti qui?”
Kitsh non rispose.
Prese una rivista ed
andò a sedersi, compostamente.
Scott fece strada a
Jude, non senza fargli notare che – “Nella tua situazione, non dovresti fare
simili sforzi”
“Lo so, ma per Rob
questo ed altro”
“Ti capisco”
“E Glam c’è?”
“No.”
Erano arrivati.
“Dio come è pallido”
“Ha perso molto sangue,
Jude … Ora vai da lui.”
Downey dormiva
profondamente.
Jude prese una
seggiola, avvicinandosi cauto.
Quindi gli prese la
mano destra, baciandone il palmo.
“Ciao piccolo … Non so
se puoi sentirmi Robert, ma io ho bisogno di dirti delle cose”
La sua pelle era
fresca, delicata.
“Ultimamente sono
successe troppe disgrazie e … ed incomprensioni Rob, ma tu hai pagato un prezzo
troppo alto ed anch’io mi sento in colpa, per non esserti rimasto vicino,
quando era necessario, per averti deluso ed allontanato da me, amore … perché
…perché io ti amo così tanto Robert” – singhiozzò, appoggiando la fronte alle
dita dell’americano.
Quindi Law rialzò i
suoi opali, cercando un segno di reazione, in Downey.
Nulla.
“Ora tu hai una nuova
famiglia e so che anche le nostre bambine sono felici con Glam … Lui è
incredibile e mi ha fatto rinascere … Un pezzetto di lui è in me, così come un
pezzetto di me è in te Robert … Tu pensi sia come una catena? Oppure una follia
…?” – e si morse le nocche della mano destra.
Taylor lo stava
ascoltando e non era il solo.
Geffen lo distrasse con
il proprio respiro, all’improvviso – “Non dovresti farti così male, ragazzino”
Il giovane si voltò di
scatto – “Non … non volevo spiarli” – mormorò, smarrito.
“Questo lo so, Taylor”
“Voglio solo andarmene
da qui” – ed i suoi occhi, così luminosi, divennero liquidi.
“Ti porto a casa, se
vuoi”
“Ok Glam … Grazie.”
Ricominciò a piovere.
“Sono arrivato”
Era stato un tragitto
breve e senza più parole, tra loro.
Geffen era distratto da
una marea di preoccupazioni, anche se sinceramente dispiaciuto per Taylor.
“Abiti qui, dunque?”
“Sì Glam … Vuoi salire
a bere con me?”
“Non dovresti farlo,
nessuno merita la nostra autodistruzione”
“Nemmeno Robert?” –
replicò schietto, con un sorriso lacerato dall’amarezza.
“Nessuno” – e si
ossigenò, guardando avanti, oltre il parabrezza – “Vieni con me a casa di
Colin, rimarrai lì”
“Sei stato gentile ad
ospitarmi, con Jude, ma è stato inutile e poi tu non sei la mia balia, sono
abbastanza cresciuto”
“Per fare cazzate?” –
sbottò, fissandolo.
“No …” – e si sporse,
dandogli un bacio.
Geffen non lo respinse,
ma neppure lo assecondò.
“Non … Non fare più
queste cose, Taylor … Sei bellissimo, in gamba, nel fiore degli anni, hai mille
opportunità” – provò a farlo ragionare, distaccandolo senza urtarne
ulteriormente la sensibilità.
“Loro ci hanno
abbandonato” – disse sommesso, a capo chino, stanco.
Glam ripartì, senza
lasciarlo scendere.
Appena parcheggiò nel
viale, l’avvocato notò una testolina, dietro ai vetri delle camere degli
ospiti, al terzo piano.
Sorrise, facendo un
cenno, per poi vedere sparire l’ombra in un attimo.
Le luci del vano scala,
ricavato all’interno di una torre laterale, si accesero, mentre Pepe scendeva,
inseguito da Miss. Wong, che gli diceva di non correre e di mettersi una
maglia.
La donna lo raggiunse
al volo, infilandogli il pullover ed aprendogli la grande porta a vetri e legno
massiccio.
Geffen azzerò la
distanza, accogliendolo sul cuore, in un gesto così amorevole ed istintivo, da
commuovere Kevin, che lo stava osservando dalla terrazza, memore di come l’ex
si comportava anche con il loro Lula.
Soldino gli mancava
così tanto.
Jared era al suo
fianco, con dei bicchieri di latte per Isotta e Pepe.
“C’è anche Taylor …” – notò il bassista.
“Forse ha portato Jude
da Robert, ma ora è con Glam … strano”
“No, non credo Jay” – e
si appoggiò alla ringhiera in ferro battuto – “Stanno bene insieme”
Leto lo scrutò – “Ma chi
scusa?”
“Taylor e daddy” –
rise, facendo un passo indietro.
Il leader dei Mars
inarcò un sopracciglio – “Cosa ti inventi, Kevin?”
“Sarà … Hai visto mai?”
KEVIN
JARED
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