martedì 4 novembre 2014

LIFE - CAPITOLO N. 50

Capitolo n. 50 – life



I fianchi sottili di Jared, stavano ondeggiando su quelli più solidi, anche se smagriti di recente, del suo re d’Irlanda, quasi ipnotizzato da quel movimento erotico e sensuale.

L’attore brandiva, estatico ed innamorato, i glutei del suo compagno, amico, complice, amante, accompagnandolo verso un orgasmo bellissimo.

Jay era un mondo di cose, spesso meravigliose.
Quasi sempre, pensò Colin, mentre lo vedeva venire, senza neppure che lo toccasse, chiazzandogli l’addome, in uno zampillio caldo e generoso.

Erano settimane che non facevano l’amore.

Si baciarono, senza fermarsi.
Farrell non si fermò, sollevando il bacino, inclinandolo, perché Jared godesse il più possibile di lui, che lo stava marchiando dentro, con il proprio seme.

Jim li aveva rassicurati, potevano avere rapporti senza protezione, dopo gli esami, risultati finalmente negativi al virus, in ogni sua forma.

L’ultima terapia doveva formare una sorta di schermatura, contro futuri contagi.

Studi complessi, avevano elaborato un protocollo efficace contro l’Aids di tipo uno ed il fisico di entrambi gli artisti, nonostante qualche perplessità iniziale, aveva resistito all’urto di alcuni medicinali, assai debilitanti.

Un discorso articolato, che Mason aveva fatto loro la mattina di quel giorno, ormai mutato in una notte, fatta di attenzioni e serenità, nonché speranza ed alcune promesse, irrevocabili.

Appena ristabiliti del tutto, Colin e Jared sarebbero volati in Irlanda, per il rinnovo dei voti nuziali.

Un progetto tenuto segreto, ma non per molto.




Hugh scrutava il soffitto, mentre Jim, sotto le coltri, gli massaggiava amorevole la gamba malata, rimanendo sotto la sua ala, l’orecchio sinistro incollato al petto dello psicologo, che gli baciava di tanto in tanto i capelli folti e sempre in ordine.

“Io ti amo …” – disse piano Laurie, chiudendo gli occhi.
Pensando ad una spiaggia, con loro due, che si tenevano per mano e passeggiavano, senza difficoltà per lui nel camminare, a tratti da soli, in altri con Nasir nel mezzo.
Il loro cucciolo, che cresceva e diventata sempre più birba, simpatico, intelligente, brillante.

Entrambi ne andavano molto fieri.

“Io pensavo …” – mormorò improvviso l’oncologo.

“Cosa Jim?” – sussurrò l’altro, tenendo le palpebre sigillate.

“Forse lui potrebbe davvero guarirti, forse Glam”

“Ma che dici?” – Hugh spalancò i suoi fanali celesti, piuttosto incredulo.

Il suo Jim, meticoloso e razionale, anche se emotivamente sensibile alle sorti di ogni suo paziente, stava probabilmente farneticando.

Mason si sollevò, guardandolo.

“Geffen ha un potere speciale”

“E tu hai sniffato trielina, a quanto pare!” – sbottò, andando a sedersi sul bordo del letto.

“Era solo una ipotesi, Hugh, anzi una constatazione, dopo la sua ripresa miracolosa e poi il ferimento, ora il rene!” – obiettò, senza alzare i toni, ma vivido nelle sue affermazioni.

“Tu sai che sarò per sempre riconoscente a Glam, visto che era specializzato in miracoli, ben prima di diventare una sorta di stregone o sciamano!”

“Ciò nonostante tu non lo sopporti, vero? Come non sopporti la sua famiglia, la gabbia di matti, come la definisci spesso …” – bissò asciutto.

Laurie lo scrutò – “Ti sembrano persone equilibrate? Galleggiano in vite fatte di agi, jet privati, messe in scena faraoniche, ma il succo delle emozioni, la onestà, l’essere fedeli, sembrano concetti avulsi da quei cervellini, spesso alterati da alcolici e droghe”

“Ok, ma non sono … cattivi ragazzi”

Risero piano.

Laurie tornò al proprio posto, quello che preferiva, avvolgendo più saldamente di prima il suo sposo a sé.

“Anch’io ti amo Hugh e farei qualsiasi cosa per te e Nasir”

“Lo so Jim … Strisceresti fino a Palm Springs ad implorare Geffen di imporre le sue manone su di me, pronunciando la ricetta della salsa barbecue di sua nonna Esmeralda, finché non mi vedreste saltellare come una rana, fino allo stagno di villa Meliti, vero?”

“Certo che lo farei!” – bisbigliò – “… Comunque perché a Palm Springs?”

“Non sai le news?” – e si rannicchiò speculare a lui, con tono cospiratore e pettegolo, altamente esilarante.

“No, spara”

“Geffen si è portato due nuove concubine, nella sua reggia sull’oceano: Jude e Taylor!” – quasi squittì, comico ed adorabile.

“Ma che dici? Scott ha firmato le dimissioni un po’ presto per Law”

“Si vede che l’essenza di Glam è in lui, come un germoglio benevolo!”

“Allora vedi che mi dai ragione!”

Scoppiarono a ridere, per poi baciarsi profondamente.




Taylor prese un cambio dal cassettone.

Jude si era appena svegliato.

“Che ore sono?” – domandò l’inglese.

“Le sette e mezza, il sole è già alto nel cielo” – gli rispose con un sorriso il giovane, recuperando anche salviette ed un asciugamano umido, per tamponargli il volto.

“Perché lo fai, Taylor?”

“Ti voglio bene” – replicò diretto e limpido.

“Ti ringrazio …”

“Ma di cosa? Sono fatto così, mi affeziono ai casi umani” – ironizzò, trattenendo il magone, che aveva in gola.

Law sembrò non schiodarsi da quella sua freddezza, neppure in quell’occasione particolare.

Era gentile, certo, ma null’altro.
Nulla di ciò che Taylor voleva.

“Le bimbe sono al primo piano, sai?”

Loro erano stati sistemati a quello terreno.

Geffen riposava all’ultimo, nella camera con la cupola in vetro, dove aveva fatto l’amore per la prima volta con Robert.
Dove se ne era innamorato perdutamente.


“Non vedo l’ora di vederle” – Jude sorrise radioso.

Se solo gliene avesse regalato uno, anche a lui, di quei sorrisi luminosi, Taylor sarebbe stato felice.
Ne era sicuro.




Con un sms, Downey gli diede il buongiorno.

Geffen lo cancellò, mentre si alzava lento, da quel giaciglio freddo e stropicciato, dai suoi incubi notturni.


Alla successiva chiamata del consorte, il legale avrebbe voluto non rispondere, però non ci riuscì.

“Ciao Glam, come ti senti? Volevo sapere anche dei bambini, spero di non disturbarti”

Downey era educato, con un senso della misura straordinario, in grado di dominare la struggente malinconia, che lo stava logorando.

“Ciao Robert … Stiamo tutti bene, anche se … Anche se non ho ancora visto nessuno, mi sono appena svegliato” – rispose calmo.

“Ok … Vorrei vedere i miei figli … Tutti, ecco e tu hai detto che potevo, quando lo avessi desiderato … E lo desidero molto” – disse più incerto, intercalando le parole, con respiri un po’ più inquieti.

“Sì, so cosa ho detto Rob” – inspirò, cercando le pantofole, finite sotto al comodino.

Tastò per recuperarle, toccando qualcosa di metallico.
Era una cornice.

La prese, notando che era una foto di lui e Downey, in un momento di serenità, durante l’anno precedente, in un periodo dove la malattia, non lo aveva ancora del tutto devastato.

Robert gli era stato vicino, in molti modi, con assoluta devozione ed amore profondo.

“Sei ancora lì, Glam?”

“Sì, ci sono, stavo … No, niente”

“Un tempo facevamo lunghe chiacchierate al telefono” – constatò amaro.

“Sì, erano tempi migliori, Rob”

“Quando io ero ciò che volevi, debole, sottomesso a Jude e sempre in fuga tra le tue braccia, protettive, capace di lusingarmi con complimenti sinceri”

“Io non ti ho mai mentito Robert, non ti ho mai ingannato, hai ragione, però ti ho sempre spronato a NON farti soggiogare da Jude o da chiunque! Vederti remissivo e debole non mi compiaceva, te lo assicuro, ma mi sviliva!”

“Non volevo litigare Glam” – si piegò, nel corpo, riverso sopra ad una panchina, poco distante dalla residenza dell’avvocato, mentre il suo tono perdeva ogni minima sicurezza, divenendo un fiume di lacrime.

Era così disperato, da volersi annullare, se solo avesse potuto, polverizzandosi nel vento di quell’autunno californiano.

“Dimmi dove sei, accidenti!”

“Sul … sul lungomare … dopo le calette … Scusami, scusami” – e riattaccò.

Geffen si vestì velocemente, correndo all’esterno, attraverso le scale a chiocciola, che portavano alla veranda e poi alla spiaggia privata.

Aumentò l’andatura, appena vide la sagoma di Downey, sopra la scogliera; non c’erano balaustre, non in quel punto, dove era vietato l’accesso, ma solo da cartelli inutili.

Inutile, come si sentiva Robert, in quell’attimo.

Un attimo buio, anche se in una luce tiepida, che lo stava accarezzando, rammentandogli i palmi caldi di Glam, la sua premura, nel farlo sentire costantemente l’essere più speciale del pianeta.

Sarebbe stato così semplice, lasciarsi scivolare, in quel vuoto ovattato, in quel tepore così gradevole, così diverso dal gelo, che Robert aveva percepito, in quell’enorme casa vuota, al proprio destarsi, senza più risa giocose, i dispetti di Geffen, che con lui tornava adolescente, senza le corsette di Pepe, sopra al lettone, per sollecitarli a muoversi e scendere a colazione.

Era durato tutto troppo poco.
Il suo sogno.
Il loro sogno.

Alcuni sassi sembrarono crepitare sotto alle sue suole, ma lui era immobile, incerto, forse con la speranza di perdere i sensi, per la debolezza, lo stomaco vuoto dalla sera precedente o forse anche da prima.

Invece erano dei passi, ad avere provocato quel rumore lieve, mentre le braccia, che cinturarono il suo busto, le sentì robuste e vigorose, nel tirarlo indietro, dal ciglio di quel baratro, che poteva diventare il suo sepolcro.

“Dio, ma sei impazzito Robert?!!”

Fu l’ultima cosa, che Downey sentì, prima di svenire, in totale calo di zuccheri.

Era sfinito, nel respiro, nei muscoli del suo viso, così affascinante, anche se deperito e smunto.

Glam vi sparse dei baci, colmi di dolcezza ed afflizione.

Lo sollevò poi, rialzandosi, accartocciandolo sul proprio cuore, come se Robert fosse fatto di carta, per condurlo al riparo, sotto al gazebo, rimasto allestito poco distante l’abitazione, per i pranzi e le riunioni di famiglia.

C’erano sempre delle bibite e qualche merenda per i cuccioli, ottime per quell’emergenza.

“Glam …”

“Bevi questa e poi mangia qualcosa … Camilla, Diamond e Peter non possono incontrarti in questo stato, Rob”

“Perché mi salvi sempre …?” – mormorò flebile.

“Perché …” – Geffen si morse le labbra – “Perché tu faresti lo stesso con me … L’hai sempre fatto” – ammise, turbato ed in crisi di ossigeno.

Le iridi di Downey lo stavano implorando, ma tra loro non era mai esistito alcun compatimento reciproco: niente pietismi, anche nei frangenti peggiori e mortificanti, soprattutto quando Glam era agli sgoccioli di una vita, che avrebbe dedicato a lui, se solo ne avesse avuto un’estrema opportunità.

Il fato, Lula, chissà che cosa, aveva elargito un dono inatteso, che Robert aveva frantumato, sconsideratamente.

La rabbia risalì nella mente di Geffen, come un fiume in piena.

Si alzò di scatto, i pugni chiusi.

“Non muoverti da qui, ti porterò i bambini tra una decina di minuti” – disse brusco, per poi allontanarsi.

“Glam … Glam?!?”















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