Capitolo n. 50 – life
I fianchi sottili di
Jared, stavano ondeggiando su quelli più solidi, anche se smagriti di recente,
del suo re d’Irlanda, quasi ipnotizzato da quel movimento erotico e sensuale.
L’attore brandiva,
estatico ed innamorato, i glutei del suo compagno, amico, complice, amante,
accompagnandolo verso un orgasmo bellissimo.
Jay era un mondo di
cose, spesso meravigliose.
Quasi sempre, pensò
Colin, mentre lo vedeva venire, senza neppure che lo toccasse, chiazzandogli l’addome,
in uno zampillio caldo e generoso.
Erano settimane che non
facevano l’amore.
Si baciarono, senza
fermarsi.
Farrell non si fermò,
sollevando il bacino, inclinandolo, perché Jared godesse il più possibile di
lui, che lo stava marchiando dentro, con il proprio seme.
Jim li aveva
rassicurati, potevano avere rapporti senza protezione, dopo gli esami,
risultati finalmente negativi al virus, in ogni sua forma.
L’ultima terapia doveva
formare una sorta di schermatura, contro futuri contagi.
Studi complessi,
avevano elaborato un protocollo efficace contro l’Aids di tipo uno ed il fisico
di entrambi gli artisti, nonostante qualche perplessità iniziale, aveva
resistito all’urto di alcuni medicinali, assai debilitanti.
Un discorso articolato,
che Mason aveva fatto loro la mattina di quel giorno, ormai mutato in una
notte, fatta di attenzioni e serenità, nonché speranza ed alcune promesse,
irrevocabili.
Appena ristabiliti del
tutto, Colin e Jared sarebbero volati in Irlanda, per il rinnovo dei voti
nuziali.
Un progetto tenuto
segreto, ma non per molto.
Hugh scrutava il
soffitto, mentre Jim, sotto le coltri, gli massaggiava amorevole la gamba
malata, rimanendo sotto la sua ala, l’orecchio sinistro incollato al petto
dello psicologo, che gli baciava di tanto in tanto i capelli folti e sempre in
ordine.
“Io ti amo …” – disse piano
Laurie, chiudendo gli occhi.
Pensando ad una
spiaggia, con loro due, che si tenevano per mano e passeggiavano, senza
difficoltà per lui nel camminare, a tratti da soli, in altri con Nasir nel
mezzo.
Il loro cucciolo, che
cresceva e diventata sempre più birba, simpatico, intelligente, brillante.
Entrambi ne andavano
molto fieri.
“Io pensavo …” –
mormorò improvviso l’oncologo.
“Cosa Jim?” – sussurrò l’altro,
tenendo le palpebre sigillate.
“Forse lui potrebbe
davvero guarirti, forse Glam”
“Ma che dici?” – Hugh spalancò
i suoi fanali celesti, piuttosto incredulo.
Il suo Jim, meticoloso
e razionale, anche se emotivamente sensibile alle sorti di ogni suo paziente,
stava probabilmente farneticando.
Mason si sollevò,
guardandolo.
“Geffen ha un potere
speciale”
“E tu hai sniffato
trielina, a quanto pare!” – sbottò, andando a sedersi sul bordo del letto.
“Era solo una ipotesi,
Hugh, anzi una constatazione, dopo la sua ripresa miracolosa e poi il
ferimento, ora il rene!” – obiettò, senza alzare i toni, ma vivido nelle sue
affermazioni.
“Tu sai che sarò per
sempre riconoscente a Glam, visto che era specializzato in miracoli, ben prima di diventare una sorta di stregone o sciamano!”
“Ciò nonostante tu non
lo sopporti, vero? Come non sopporti la sua famiglia, la gabbia di matti, come
la definisci spesso …” – bissò asciutto.
Laurie lo scrutò – “Ti
sembrano persone equilibrate? Galleggiano in vite fatte di agi, jet privati,
messe in scena faraoniche, ma il succo delle emozioni, la onestà, l’essere
fedeli, sembrano concetti avulsi da quei cervellini, spesso alterati da
alcolici e droghe”
“Ok, ma non sono …
cattivi ragazzi”
Risero piano.
Laurie tornò al proprio
posto, quello che preferiva, avvolgendo più saldamente di prima il suo sposo a sé.
“Anch’io ti amo Hugh e
farei qualsiasi cosa per te e Nasir”
“Lo so Jim …
Strisceresti fino a Palm Springs ad implorare Geffen di imporre le sue manone
su di me, pronunciando la ricetta della salsa barbecue di sua nonna Esmeralda,
finché non mi vedreste saltellare come una rana, fino allo stagno di villa
Meliti, vero?”
“Certo che lo farei!” –
bisbigliò – “… Comunque perché a Palm Springs?”
“Non sai le news?” – e si
rannicchiò speculare a lui, con tono cospiratore e pettegolo, altamente
esilarante.
“No, spara”
“Geffen si è portato
due nuove concubine, nella sua reggia sull’oceano: Jude e Taylor!” – quasi squittì,
comico ed adorabile.
“Ma che dici? Scott ha
firmato le dimissioni un po’ presto per Law”
“Si vede che l’essenza
di Glam è in lui, come un germoglio benevolo!”
“Allora vedi che mi dai
ragione!”
Scoppiarono a ridere,
per poi baciarsi profondamente.
Taylor prese un cambio
dal cassettone.
Jude si era appena
svegliato.
“Che ore sono?” –
domandò l’inglese.
“Le sette e mezza, il
sole è già alto nel cielo” – gli rispose con un sorriso il giovane, recuperando
anche salviette ed un asciugamano umido, per tamponargli il volto.
“Perché lo fai, Taylor?”
“Ti voglio bene” –
replicò diretto e limpido.
“Ti ringrazio …”
“Ma di cosa? Sono fatto
così, mi affeziono ai casi umani” – ironizzò, trattenendo il magone, che aveva
in gola.
Law sembrò non
schiodarsi da quella sua freddezza, neppure in quell’occasione particolare.
Era gentile, certo, ma
null’altro.
Nulla di ciò che Taylor
voleva.
“Le bimbe sono al primo
piano, sai?”
Loro erano stati
sistemati a quello terreno.
Geffen riposava all’ultimo,
nella camera con la cupola in vetro, dove aveva fatto l’amore per la prima
volta con Robert.
Dove se ne era
innamorato perdutamente.
“Non vedo l’ora di
vederle” – Jude sorrise radioso.
Se solo gliene avesse
regalato uno, anche a lui, di quei sorrisi luminosi, Taylor sarebbe stato
felice.
Ne era sicuro.
Con un sms, Downey gli
diede il buongiorno.
Geffen lo cancellò,
mentre si alzava lento, da quel giaciglio freddo e stropicciato, dai suoi
incubi notturni.
Alla successiva
chiamata del consorte, il legale avrebbe voluto non rispondere, però non ci
riuscì.
“Ciao Glam, come ti
senti? Volevo sapere anche dei bambini, spero di non disturbarti”
Downey era educato, con
un senso della misura straordinario, in grado di dominare la struggente
malinconia, che lo stava logorando.
“Ciao Robert … Stiamo
tutti bene, anche se … Anche se non ho ancora visto nessuno, mi sono appena
svegliato” – rispose calmo.
“Ok … Vorrei vedere i
miei figli … Tutti, ecco e tu hai detto che potevo, quando lo avessi desiderato
… E lo desidero molto” – disse più incerto, intercalando le parole, con respiri
un po’ più inquieti.
“Sì, so cosa ho detto
Rob” – inspirò, cercando le pantofole, finite sotto al comodino.
Tastò per recuperarle,
toccando qualcosa di metallico.
Era una cornice.
La prese, notando che
era una foto di lui e Downey, in un momento di serenità, durante l’anno
precedente, in un periodo dove la malattia, non lo aveva ancora del tutto
devastato.
Robert gli era stato
vicino, in molti modi, con assoluta devozione ed amore profondo.
“Sei ancora lì, Glam?”
“Sì, ci sono, stavo …
No, niente”
“Un tempo facevamo
lunghe chiacchierate al telefono” – constatò amaro.
“Sì, erano tempi
migliori, Rob”
“Quando io ero ciò che
volevi, debole, sottomesso a Jude e sempre in fuga tra le tue braccia,
protettive, capace di lusingarmi con complimenti sinceri”
“Io non ti ho mai
mentito Robert, non ti ho mai ingannato, hai ragione, però ti ho sempre
spronato a NON farti soggiogare da Jude o da chiunque! Vederti remissivo e
debole non mi compiaceva, te lo assicuro, ma mi sviliva!”
“Non volevo litigare
Glam” – si piegò, nel corpo, riverso sopra ad una panchina, poco distante dalla
residenza dell’avvocato, mentre il suo tono perdeva ogni minima sicurezza,
divenendo un fiume di lacrime.
Era così disperato, da
volersi annullare, se solo avesse potuto, polverizzandosi nel vento di quell’autunno
californiano.
“Dimmi dove sei,
accidenti!”
“Sul … sul lungomare …
dopo le calette … Scusami, scusami” – e riattaccò.
Geffen si vestì
velocemente, correndo all’esterno, attraverso le scale a chiocciola, che
portavano alla veranda e poi alla spiaggia privata.
Aumentò l’andatura,
appena vide la sagoma di Downey, sopra la scogliera; non c’erano balaustre, non
in quel punto, dove era vietato l’accesso, ma solo da cartelli inutili.
Inutile, come si
sentiva Robert, in quell’attimo.
Un attimo buio, anche
se in una luce tiepida, che lo stava accarezzando, rammentandogli i palmi caldi
di Glam, la sua premura, nel farlo sentire costantemente l’essere più speciale
del pianeta.
Sarebbe stato così
semplice, lasciarsi scivolare, in quel vuoto ovattato, in quel tepore così
gradevole, così diverso dal gelo, che Robert aveva percepito, in quell’enorme
casa vuota, al proprio destarsi, senza più risa giocose, i dispetti di Geffen,
che con lui tornava adolescente, senza le corsette di Pepe, sopra al lettone,
per sollecitarli a muoversi e scendere a colazione.
Era durato tutto troppo
poco.
Il suo sogno.
Il loro sogno.
Alcuni sassi sembrarono
crepitare sotto alle sue suole, ma lui era immobile, incerto, forse con la
speranza di perdere i sensi, per la debolezza, lo stomaco vuoto dalla sera
precedente o forse anche da prima.
Invece erano dei passi,
ad avere provocato quel rumore lieve, mentre le braccia, che cinturarono il suo
busto, le sentì robuste e vigorose, nel tirarlo indietro, dal ciglio di quel
baratro, che poteva diventare il suo sepolcro.
“Dio, ma sei impazzito
Robert?!!”
Fu l’ultima cosa, che
Downey sentì, prima di svenire, in totale calo di zuccheri.
Era sfinito, nel
respiro, nei muscoli del suo viso, così affascinante, anche se deperito e
smunto.
Glam vi sparse dei
baci, colmi di dolcezza ed afflizione.
Lo sollevò poi,
rialzandosi, accartocciandolo sul proprio cuore, come se Robert fosse fatto di
carta, per condurlo al riparo, sotto al gazebo, rimasto allestito poco distante
l’abitazione, per i pranzi e le riunioni di famiglia.
C’erano sempre delle
bibite e qualche merenda per i cuccioli, ottime per quell’emergenza.
“Glam …”
“Bevi questa e poi
mangia qualcosa … Camilla, Diamond e Peter non possono incontrarti in questo
stato, Rob”
“Perché mi salvi sempre
…?” – mormorò flebile.
“Perché …” – Geffen si
morse le labbra – “Perché tu faresti lo stesso con me … L’hai sempre fatto” – ammise, turbato ed in
crisi di ossigeno.
Le iridi di Downey lo
stavano implorando, ma tra loro non era mai esistito alcun compatimento
reciproco: niente pietismi, anche nei frangenti peggiori e mortificanti,
soprattutto quando Glam era agli sgoccioli di una vita, che avrebbe dedicato a
lui, se solo ne avesse avuto un’estrema opportunità.
Il fato, Lula, chissà
che cosa, aveva elargito un dono inatteso, che Robert aveva frantumato,
sconsideratamente.
La rabbia risalì nella
mente di Geffen, come un fiume in piena.
Si alzò di scatto, i
pugni chiusi.
“Non muoverti da qui,
ti porterò i bambini tra una decina di minuti” – disse brusco, per poi
allontanarsi.
“Glam … Glam?!?”
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