Capitolo n. 56 – life
Pepe mangiò finalmente
la sua fetta di torta, bevendosi il bicchiere di latte, che Jared aveva portato
sia a lui che ad Isotta, accoccolati sulle ginocchia di Geffen, che guardava
entrambi amorevole.
Leto se ne stava un po’
in disparte, come timoroso di invadere quel momento, con i propri turbamenti
interiori.
Un picco di gelosia gli
era salito al cervello, dopo quella battuta di Kevin, più che adeguata allo
stile di Glam, spesso infedele nelle sue relazioni.
Quindi si diede dello
stupido, incrociando le iridi di Colin, mentre questi raccontava una favola ai
gemelli ed a Florelay, sopra al loro lettone.
Taylor era salito al
terzo piano, occupando una stanza laterale, da cui si poteva vedere il giardino
d’inverno e le serre di rose, di Mr. Wong.
C’era molta quiete, in
quel posto, ma anche parecchie guardie del corpo, appena giunte da Chicago,
agli ordini di Ivan, ormai a corto di uomini, per sopperire alle esigenze di
Geffen, dovunque andasse.
Meliti lo aveva
contattato, chiedendogli l’esito dell’incontro con Nico.
Peter era tornato in
ospedale senza aggiornarlo e Glam non si preoccupò del destino di quel balordo.
“E’ ora di andare a
nanna” – disse Jared, con timidezza.
“Sì, zio Jay ha
ragione, ora filate sotto le coperte” – Glam sorrise, guardandolo affettuoso.
Leto avvampò.
Stava perdendo
completamente il controllo.
“Hai la febbre Jay?” –
domandò serio l’avvocato, tastandogli la fronte – “Sei rosso pomodoro”
“So sono le medicine”
“In effetti anche a me
facevano questo effetto”
Pepe, appeso al suo
collo, era molto assonnato – “Papà tu dormi con me, vero?”
“Tesoro, vorrei tornare
da papi Robert”
“Eh sì, fai bene” – si
illuminò – “Dagli tanti baci da parte mia”
“Sarà fatto campione” –
e lo mise nel lettino, scompigliandogli i riccioli corvini, simili a quelli che
aveva Downey in età più acerba.
“Io penso ad Isy … Su
saluta tutti principessa”
“Ciao papi Glam! Notte
notte Pepe”
“Ciao angelo mio …
Arrivederci Jared, io vado da Robert” – e diede un bacio ad ognuno di loro,
sulla testolina della bimba e sullo zigomo sinistro di Leto.
“Sì, sì certo, è giusto
… E salutamelo, se è sveglio”
“Non credo lo sia,
parlerò con Scott, credo che il coma farmacologico durerà qualche giorno, per sicurezza … Vas, invece ha
già ripreso conoscenza, per abbatterlo ci vuole un Panzer” – e rise più
rilassato.
“E per il resto, hai
avuto notizie da Chris?”
“No … Quel bastardo non
ha aperto bocca … E’ un tipo fedele” – e, regalandogli un occhiolino da
canaglia, Geffen se ne andò definitivamente.
Erano separati solo da
un reparto.
Jude chiese notizie ad
un’infermiera, a proposito di Robert.
“Credo sia ancora sotto
sedativi suo … Ecco il signor Downey” – gli sorrise, lei, molto gentile, dopo
avergli misurato la pressione.
“Devo restare qui?”
“Sino a domani, per
sicurezza signor Law”
“I miei valori sono
instabili?”
“Non del tutto, ma non
doveva sottoporsi a questo sforzo, durante la sua convalescenza” – rimarcò la
donna, pacatamente, sistemando gli strumenti ed alcuni farmaci sopra ad un
carrello, oltre la soglia di quella stanza singola.
La zona dei trapiantati
era come blindata, anche se l’inglese si trovava nel primo settore, quello dei
controlli periodici e delle terapie di mantenimento anti rigetto.
“Per Robert morirei …
Lo sanno tutti” – disse sconsolato, guardando il buio, oltre i vetri delle
finestre, poco distanti dal suo giaciglio freddo, come le sue gambe ed il suo
addome.
“Vuole una coperta?”
“Sì, la ringrazio … Lei
ha figli?”
“Sì, due ed il loro
padre fa il poliziotto” – rispose distratta, prendendo il necessario da un
armadio a muro.
“Scusi se non sto
zitto, è che sono nervoso e … ed in astinenza dal bere, ma ho smesso, sa?”
“Buon per lei e per la
sua famiglia, non sprechi questa occasione”
“Il mio nuovo rene?”
“Certo. Ora dorma,
torno da lei domani mattina per le dimissioni, ok?”
“Ok, perfetto …
Qualcuno ha chiesto di me?”
“Non mi pare, poi non è
tempo di visite” – rise leggera, quindi se ne andò.
Law sbuffò, recuperando
il cellulare.
Nessun messaggio,
neppure di Taylor.
L’attore avrebbe voluto
chiamarlo, però non sapeva cosa dirgli.
Era finita, senza mai
cominciare.
Jared gli portò degli
asciugamani puliti ed un accappatoio.
“Abbiamo fatto
ridipingere questa camera da poco e non c’è l’occorrente per chi si ferma da
noi, come nelle altre” – disse gentile, rivolgendosi a Taylor.
“Ti ringrazio, ma vi
state disturbando tutti, non”
“Non lo meriti? Non
credo, sei stato disponibile e paziente con Jude, come pochi avrebbero fatto” –
bissò il cantante, con educazione, ma anche una sottile vena provocatoria,
assillato dalla curiosità di sapere ciò che gli interessava maggiormente.
“Ho fatto ciò che
ritenevo giusto” – replicò secco il ragazzo, controllando il suo smartphone.
“Vuoi mangiare?”
“No, a posto così, me
ne andrò all’alba, devo girare … Non ti accorgerai nemmeno che io sono stato
qui, Jared” – sorrise amareggiato – “Mi succede da un po’ di tempo, che nessuno
si accorga di me”
Ora lo sapeva, Glam non
gli aveva dato corda, evidentemente.
“Sono un coglione …” –
disse sommesso il leader dei Mars, planando su di una poltroncina, mentre
Taylor era accartocciato sopra al davanzale.
“Eh …? Ma che dici?”
“No, nulla, non … Non mi
passerà mai”
“Che cosa, scusa Jared?”
“Lascia perdere, ho una
crisi delle mie” – inspirò rialzandosi, per poi sparire nel corridoio.
Leto provò vergogna:
Taylor aveva un viso pulito, come le proprie intenzioni, verso Law, del quale
si era innamorato.
Con un giochetto, l’artista
pluripremiato, aveva ottenuto un’informazione essenziale su cosa avesse
combinato Geffen, ovvero un bel niente, alle spalle del consorte, fermo in un
letto d’ospedale.
Glam era cambiato,
quindi.
Jared no.
Mark si stava specchiando, con aria
di auto critica assoluta.
Si lisciò l’addome non
piatto, ma smagrito e non palestrato.
Nel complesso non era
male, però un ragazzino come Niall avrebbe potuto avere qualsiasi bel fusto, là
fuori, se solo avesse messo piede in un locale a bersi un frullato.
Ruffalo sorrise,
immaginandolo con gli occhiali da Nerd, che Horan si era appena acquistato,
simili a quelli di Louis, in quell’uscita a due, per uno shopping inatteso.
Erano carini insieme ed
avevano ritrovato armonia e complicità, anche in assenza di Zayn, impegnato a
seguire Liam in clinica, prossimo all’uscita dalla stessa, con ottimi risultati
di avvenuta riabilitazione.
Il neo prof di
Psicologia stava spiando le mosse del suo fidanzato, che si muoveva agile ed
asciutto, dal box alla cabina armadio, per vestirsi, uscire, raggiungere
Tomlinson sul bus ed andare con lui in Università, evitando di farsi vedere
troppo con l’ormai ex infermiere, onde evitare inutili ed odiosi chiacchiericci.
Entrambi amavano tenere
un profilo basso, anche se Geffen aveva inviato loro una e-mail, dove
raccomandava prudenza ed offriva una scorta.
L’avvocato temeva per
la vita di ognuno dei suoi amici, il che veniva rafforzato dopo l’episodio di
Miller, ai danni di Niall stesso, durante la cerimonia del matrimonio con
Robert.
“Ehi, hai finito di
fare il pavone davanti allo specchio?” – esclamò Niall sbucando all’improvviso.
Ruffalo avvampò, a
quella sua battuta innocente e dispettosa.
Horan svanì come un
folletto – “Preparo il caffè!” – cinguettò dal living, un secondo dopo.
“Ma non mi stavo … Io
non mi piaccio così, sono grasso, giusto?” – domandò insicuro l’uomo,
infilandosi la camicia azzurra, sul busto nudo.
“Tu scherzi, vero?!”
Imbacuccati nel
maglione dei rispettivi compagni, di tue taglie più grandi, le maniche oltre i
polsi, il berretto di lana, calato quasi sino al bordo superiore della
montatura del loro recente acquisto, Niall e Louis si erano sistemati nei
sedili in fondo.
“L’abbiamo fatto sul
tavolo della cucina …” – confidò arrossendo, le braccia incrociate sul petto,
così come stava Tomlinson, con la propria testa inclinata sulla spalla dell’amico
– “… poi sotto la doccia, perché Mark mi lava e mi talca come se fossi un bebè”
– sussurrò imbarazzato, ma felice.
Boo ridacchiò,
controllando l’orologio.
Fu in quell’istante che
Horan si accorse dei lividi appena accennati, sui polsi di Louis.
“E quelli cosa sono?” –
domandò accigliandosi.
“Ma nulla, a che pensi?”
– replicò con uno scatto nervoso, nascondendoli in fretta.
“Sono dei segni e non
mi piacciono, Boo” – insistette contrariato.
“Ieri sera siamo usciti
a cena, la bimba è rimasta dal nonno per la letterina a Babbo Natale, anche se
manca un’eternità e così eravamo un po’ … allegri … E quando facciamo sesso,
con Haz, lui è vivace e poi è grosso … Più di me, capisci?” – e divenne viola,
scoprendosi in piena confidenza con Niall, che scosse la testa.
“E con quale diritto ti
riduce così?”
“Dobbiamo scendere, la
prossima è la nostra” – Louis si alzò di scatto, tagliando corto.
“Non sottovalutare mai
queste situazioni, non sei un ingenuo ed Harry non è un alcolista, mi auguro” –
affermò triste.
“Ma no” – il sorriso di
Tomlinson illuminò l’ambiente circostante, anche se il pensiero andò al padre
di Niall ed ai suoi eccessi, dopo la morte della sorellina di questi e l’internamento
della moglie, caduta in una depressione irreversibile.
Tomlinson era incantevole,
anche se le sue iridi raccontavano qualcosa di diverso.
Qualcosa
che non c’è, secondo Boo, che rassicurò
ulteriormente Horan, fino a destinazione.
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