Capitolo n. 44 – life
La telefonata di Taylor
li svegliò nel cuore della notte.
Geffen rispose, con la
voce impastata da un sonno profondo.
“Sì …? Cosa, scusa,
puoi ripetere?”
La strada verso
l’ospedale era semi deserta.
Robert sembrava non respirare
neppure più.
Gli occhi di Taylor gli
si conficcarono nello stomaco, appena intravide il giovane, venire loro
incontro nel corridoio del reparto di Scott.
“Cosa è successo
esattamente?” – domandò il legale, concitato.
Taylor non aveva mai
smesso di puntare Downey, inerme, pallido, incapace di dire una sola parola.
“Chiedilo a lui,
CHIEDILO A LUI!!” – urlò esasperato, dando poi una spinta a Robert, che non
reagì minimamente a quell’attacco.
“Ehi, ma cosa stai
facendo!?!”
Glam lo afferrò per le
spalle, togliendoglielo da dosso, viste le intenzioni del ragazzo.
“L’ha quasi ucciso,
l’ha spinto in un abisso!!”
“Ma che diavolo sta
dicendo, Robert?! Vuoi spiegarmi?!”
Colin gli baciò le
tempie, aggiustandogli meglio i fianchi, invasi dai propri, in un’inclinazione,
che fece venire copiosamente Jared, aggrappato a lui, come un cucciolo, appena
salvato da un destino terribile.
Se fosse stato così
semplice, risolvere quell’enorme pasticcio, facendo l’amore, veicolo, invece,
del contagio, Farrell si sarebbe consumato ad oltranza, con il suo Efestione.
In apparenza non c’era
più nulla di quel meraviglioso generale.
Né i suoi capelli
lunghi e fluenti.
Né la sua pelle dorata.
Nemmeno il fisico
statuario e vigoroso, ma …
… I suoi occhi, quegli
zaffiri così belli, risplendevano anche ora, nella luce di decine di candele,
come un tempo.
Come quella sera,
quando Colin gli fece una promessa.
§
Il bagno turco si stava spopolando lentamente.
Gli
avventori si dirigevano agli spogliatoi, ormai era ora di chiusura.
Tutti,
tranne i protagonisti del film di quel certo Oliver Stone, come si vociferava,
in un chiacchiericcio, un po’ morboso, al loro passaggio, tra nicchie, tendaggi
e piscine, lambite da nuvole di vapore bollente, come le loro dita,
avvinghiate, mentre procedevano verso la stanza, che avevano prenotato.
“Perché
ci guardano, Cole?”
“Perché
tu sei bellissimo” – gli sussurrò l’irlandese, spingendolo fluido, contro la
parete della loro camera, chiudendo a chiave la porta intagliata, di arabeschi
verdi e giallo oro.
Si
guardarono, per un istante interminabile.
“Tu
non ti fidi ancora di me, Jay, sii sincero” – e rise, segnandogli gli zigomi
con i pollici, mentre il suo busto ed il suo bacino, aderivano a quelli di
Leto, facendogli percepire un’erezione assai imbarazzante ed ormai ingestibile.
“Non
mi fiderò mai di te” – rise, ma stavo scherzando.
Poi
guardò in basso e Farrell avvampò.
“Ma
come, eri così spavaldo un secondo fa” – lo canzonò il cantante, dandogli poi
un buffetto tra le cosce.
“Ehi!
Guarda che è uno strumento delicato”
“Vorrei
fosse mio, per sempre Cole” – replicò serio, scrutandolo con fermezza.
Ora
Jared, non stava affatto scherzando.
“Ok
… L’hai voluto tu” – ed il suo Alessandro lo girò d’impeto, addossandolo al muro,
facendogli cadere l’asciugamano, che l’altro portava legato intorno alla vita.
“Mio
Dio” – mormorò Leto, chiudendo le palpebre, in completo abbandono, a qualunque
cosa potesse accadere.
Lo
amava già troppo, quello scapestrato di Dublino, come tuonava Shannon, al
telefono, quando si sentivano i due fratelli, per aggiornarsi sia sulle riprese
che sul nuovo tour della band.
Sentì
infine Colin trafficare con qualcosa, pensò un preservativo, invece sbagliava.
Era
un cofanetto.
Farrell
glielo aprì sotto al naso.
“Questo
è per te, Jay” – e sorrise trepidante.
Un
anello.
“E’
… bellissimo Cole” – sorrise, precipitando nel loro sogno, che, forse, era
unicamente suo, almeno in quel periodo.
“E’
un Claddagh, è della mia terra, ha molti significati … Se me ne darai il tempo,
Jared, te li spiegherò tutti” – lo voltò di nuovo a sé – “… amore mio” – e lo
baciò.
Intenso.
Già,
il tempo … §
Glam lo stava
guardando, come Downey non lo aveva mai visto fare con nessuno.
Erano entrati in un
ufficio in allestimento, bloccando l’uscio con una sedia.
Lo aveva fatto Geffen,
in realtà, mentre il marito lo seguiva in silenzio, andandosi poi a mettere in
un angolo.
“Ok Robert, ora siamo
soli, come mi hai chiesto: sono pronto ad ascoltarti” – gli disse con fermezza,
ma il cuore già spezzato.
Le accuse di Taylor
erano state così esplicite, da escludere a priori che Law stesse semplicemente
soffrendo per il divorzio.
“E’ … è colpa mia” –
esordì Downey, sostenendo lo sguardo dell’altro.
“Per cosa?”
“Per quanto è accaduto
a Jude”
“Cosa gli hai fatto, si
può sapere, per ridurlo così?”
“Ho … Io l’ho costretto
a … a cose ignobili, per quanto” – e chiuse gli occhi, pesantemente, per poi
riaprirli, senza alzarli abbastanza verso quelli di Glam – “… Per quanto ci
siamo amati, un tempo”
“Gli hai fatto del
male, Rob?”
“Ho fatto sesso insieme
a lui, ma il mio è stato un atto di autentico sopruso e Jude mi ha assecondato
pur di avermi vicino, era chiaro … Pur di avermi in qualche maniera, Glam,
anche la peggiore” – singhiozzò, impaurito.
Perché le iridi di
Geffen incutevano davvero paura.
Adesso.
Adesso che non c’era
più niente di bello in Robert.
Nel suo Robert, che,
improvvisamente, non esisteva più.
“Sei forse impazzito
…?” – quasi un sussurro, poi Geffen afferrò la seggiola, che ostruiva il
passaggio a chiunque e la scagliò contro la parete, dove alcuni quadri andarono
in frantumi.
“La sera della nostra
cerimonia, quando Matt ti aveva ferito e tu lottavi, Glam, io ero distrutto,
non sapendo della tua prodigiosa guarigione e Jude mi è venuto a cercare qui,
portandomi via con lui … Via dai fotografi, dai curiosi, da chi mi guardava
come se fossi”
“Un mostro. Tu è questo
che sei diventato Robert” – bissò gelido, azzerando la distanza tra loro.
“Quella notte abbiamo
fatto l’amore, in una delle toilette al quinto piano, lui mi ha accudito, ha lavato
via il tuo sangue, dalle mie mani e … Ed io, forse, da quell’istante l’ho
odiato, anche se non si è approfittato di me, assolutamente … Ho voluto ogni
cosa, l’ho desiderata e, forse, non l’ho amato mai così tanto” – e si accasciò,
come ad attendere una punizione oppure un verdetto di condanna.
Geffen fece qualche
passo indietro, scuotendo il capo – “Ti … Ti avrei perdonato, per questo,
Robert … Io …” – e scoppiò a piangere, accovacciandosi e raccogliendosi in una
posizione quasi fetale, i palmi premuti sulle guance arrossate e pulsanti – “IO
ti avrei perdonato, maledizione!!” – urlò, scattando nuovamente in posizione
eretta.
Qualcuno bussò
fragorosamente.
Era Scott.
“Glam sei lì dentro??
Per favore, dovrei parlarti!”
Geffen si palesò a lui,
in uno stato di assoluta frustrazione, ma senza avere perduto la propria
lucidità.
“Sono qui Scotty, che
c’è?”
“Glam …”
“Cosa c’è?!” – ruggì.
“E’ … E’ per Jude, ha
bisogno di un rene, perché quello sano è collassato, tu sai che ne ha uno
artificiale, dopo averlo donato a”
Solo a quel punto, il
diagnosta si accorse di Robert.
“Cosa gli capiterà?” –
domandò questi, totalmente sconvolto.
“Non può sopravvivere
con due reni sintetici … Necessitiamo di un donatore compatibile, abbiamo pochissimo
tempo … Jude è attaccato a delle macchine, che lo potranno aiutare solo per dodici
ore”
“Andiamo, fammi il
test, anche se” – Geffen si morse le labbra asciutte.
Scott guardò Robert –
“Sì ok, mentre tu … Tu non puoi fare nulla, mi spiace”
“Lui ha già fatto
abbastanza” – sibilò Geffen – “Sbrigati Scott, prima che sia troppo tardi per
Jude.”
L’alba aveva un
riverbero strano.
Figure, dai contorni
incerti, si stavano muovendo oltre un vetro, che lo isolava in quell’ambiente
sterile e disadorno.
Qualcosa gli stava
tenendo la mano.
Qualcuno.
Jude, schiuse meglio le
palpebre e guardò alla sua destra.
“Glam …?!”
Era un filo, la sua
voce, debole, costernata, ma velata di speranza, senza capirne la ragione.
“Non stancarti, non
devi … Tra poco andremo in sala operatoria e risolveremo questo casino” – gli sorrise,
gli occhi arrossati da un lungo pianto, pensò Law.
Quindi ebbe un fremito.
Di ricordi, di
consapevolezza devastante.
“Non … Non è colpa sua,
Glam, ti prego non”
“Ormai è finita” – gli sorrise ancora,
liberandosi di quelle ultime lacrime, che zampillarono sui suoi zigomi, inumidendo i
bordi della mascherina di protezione trasparente.
“Finita …?”
“Riposati, mi prenderò
io cura di te” – aggiunse serio, ma pacato.
“Tu …?”
“Avrai uno dei miei
reni, è necessario … Non puoi vivere altrimenti”
“Siamo compatibili,
Glam?”
“In così tante cose,
Jude, che tu neppure le immagini … Te lo assicuro.”
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