domenica 26 ottobre 2014

LIFE - CAPITOLO N. 44

Capitolo n. 44 – life



La telefonata di Taylor li svegliò nel cuore della notte.

Geffen rispose, con la voce impastata da un sonno profondo.

“Sì …? Cosa, scusa, puoi ripetere?”



La strada verso l’ospedale era semi deserta.

Robert sembrava non respirare neppure più.

Gli occhi di Taylor gli si conficcarono nello stomaco, appena intravide il giovane, venire loro incontro nel corridoio del reparto di Scott.

“Cosa è successo esattamente?” – domandò il legale, concitato.

Taylor non aveva mai smesso di puntare Downey, inerme, pallido, incapace di dire una sola parola.

“Chiedilo a lui, CHIEDILO A LUI!!” – urlò esasperato, dando poi una spinta a Robert, che non reagì minimamente a quell’attacco.

“Ehi, ma cosa stai facendo!?!”

Glam lo afferrò per le spalle, togliendoglielo da dosso, viste le intenzioni del ragazzo.

“L’ha quasi ucciso, l’ha spinto in un abisso!!”

“Ma che diavolo sta dicendo, Robert?! Vuoi spiegarmi?!”



Colin gli baciò le tempie, aggiustandogli meglio i fianchi, invasi dai propri, in un’inclinazione, che fece venire copiosamente Jared, aggrappato a lui, come un cucciolo, appena salvato da un destino terribile.

Se fosse stato così semplice, risolvere quell’enorme pasticcio, facendo l’amore, veicolo, invece, del contagio, Farrell si sarebbe consumato ad oltranza, con il suo Efestione.

In apparenza non c’era più nulla di quel meraviglioso generale.

Né i suoi capelli lunghi e fluenti.

Né la sua pelle dorata.

Nemmeno il fisico statuario e vigoroso, ma …

… I suoi occhi, quegli zaffiri così belli, risplendevano anche ora, nella luce di decine di candele, come un tempo.
Come quella sera, quando Colin gli fece una promessa.


§ Il bagno turco si stava spopolando lentamente.
Gli avventori si dirigevano agli spogliatoi, ormai era ora di chiusura.
Tutti, tranne i protagonisti del film di quel certo Oliver Stone, come si vociferava, in un chiacchiericcio, un po’ morboso, al loro passaggio, tra nicchie, tendaggi e piscine, lambite da nuvole di vapore bollente, come le loro dita, avvinghiate, mentre procedevano verso la stanza, che avevano prenotato.

“Perché ci guardano, Cole?”

“Perché tu sei bellissimo” – gli sussurrò l’irlandese, spingendolo fluido, contro la parete della loro camera, chiudendo a chiave la porta intagliata, di arabeschi verdi e giallo oro.

Si guardarono, per un istante interminabile.

“Tu non ti fidi ancora di me, Jay, sii sincero” – e rise, segnandogli gli zigomi con i pollici, mentre il suo busto ed il suo bacino, aderivano a quelli di Leto, facendogli percepire un’erezione assai imbarazzante ed ormai ingestibile.

“Non mi fiderò mai di te” – rise, ma stavo scherzando.
Poi guardò in basso e Farrell avvampò.

“Ma come, eri così spavaldo un secondo fa” – lo canzonò il cantante, dandogli poi un buffetto tra le cosce.

“Ehi! Guarda che è uno strumento delicato”

“Vorrei fosse mio, per sempre Cole” – replicò serio, scrutandolo con fermezza.

Ora Jared, non stava affatto scherzando.

“Ok … L’hai voluto tu” – ed il suo Alessandro lo girò d’impeto, addossandolo al muro, facendogli cadere l’asciugamano, che l’altro portava legato intorno alla vita.

“Mio Dio” – mormorò Leto, chiudendo le palpebre, in completo abbandono, a qualunque cosa potesse accadere.

Lo amava già troppo, quello scapestrato di Dublino, come tuonava Shannon, al telefono, quando si sentivano i due fratelli, per aggiornarsi sia sulle riprese che sul nuovo tour della band.

Sentì infine Colin trafficare con qualcosa, pensò un preservativo, invece sbagliava.

Era un cofanetto.

Farrell glielo aprì sotto al naso.

“Questo è per te, Jay” – e sorrise trepidante.

Un anello.

“E’ … bellissimo Cole” – sorrise, precipitando nel loro sogno, che, forse, era unicamente suo, almeno in quel periodo.

“E’ un Claddagh, è della mia terra, ha molti significati … Se me ne darai il tempo, Jared, te li spiegherò tutti” – lo voltò di nuovo a sé – “… amore mio” – e lo baciò.

Intenso.

Già, il tempo … §




Glam lo stava guardando, come Downey non lo aveva mai visto fare con nessuno.

Erano entrati in un ufficio in allestimento, bloccando l’uscio con una sedia.
Lo aveva fatto Geffen, in realtà, mentre il marito lo seguiva in silenzio, andandosi poi a mettere in un angolo.

“Ok Robert, ora siamo soli, come mi hai chiesto: sono pronto ad ascoltarti” – gli disse con fermezza, ma il cuore già spezzato.

Le accuse di Taylor erano state così esplicite, da escludere a priori che Law stesse semplicemente soffrendo per il divorzio.

“E’ … è colpa mia” – esordì Downey, sostenendo lo sguardo dell’altro.

“Per cosa?”

“Per quanto è accaduto a Jude”

“Cosa gli hai fatto, si può sapere, per ridurlo così?”

“Ho … Io l’ho costretto a … a cose ignobili, per quanto” – e chiuse gli occhi, pesantemente, per poi riaprirli, senza alzarli abbastanza verso quelli di Glam – “… Per quanto ci siamo amati, un tempo”

“Gli hai fatto del male, Rob?”

“Ho fatto sesso insieme a lui, ma il mio è stato un atto di autentico sopruso e Jude mi ha assecondato pur di avermi vicino, era chiaro … Pur di avermi in qualche maniera, Glam, anche la peggiore” – singhiozzò, impaurito.

Perché le iridi di Geffen incutevano davvero paura.
Adesso.

Adesso che non c’era più niente di bello in Robert.
Nel suo Robert, che, improvvisamente, non esisteva più.

“Sei forse impazzito …?” – quasi un sussurro, poi Geffen afferrò la seggiola, che ostruiva il passaggio a chiunque e la scagliò contro la parete, dove alcuni quadri andarono in frantumi.

“La sera della nostra cerimonia, quando Matt ti aveva ferito e tu lottavi, Glam, io ero distrutto, non sapendo della tua prodigiosa guarigione e Jude mi è venuto a cercare qui, portandomi via con lui … Via dai fotografi, dai curiosi, da chi mi guardava come se fossi”

“Un mostro. Tu è questo che sei diventato Robert” – bissò gelido, azzerando la distanza tra loro.

“Quella notte abbiamo fatto l’amore, in una delle toilette al quinto piano, lui mi ha accudito, ha lavato via il tuo sangue, dalle mie mani e … Ed io, forse, da quell’istante l’ho odiato, anche se non si è approfittato di me, assolutamente … Ho voluto ogni cosa, l’ho desiderata e, forse, non l’ho amato mai così tanto” – e si accasciò, come ad attendere una punizione oppure un verdetto di condanna.

Geffen fece qualche passo indietro, scuotendo il capo – “Ti … Ti avrei perdonato, per questo, Robert … Io …” – e scoppiò a piangere, accovacciandosi e raccogliendosi in una posizione quasi fetale, i palmi premuti sulle guance arrossate e pulsanti – “IO ti avrei perdonato, maledizione!!” – urlò, scattando nuovamente in posizione eretta.

Qualcuno bussò fragorosamente.

Era Scott.

“Glam sei lì dentro?? Per favore, dovrei parlarti!”

Geffen si palesò a lui, in uno stato di assoluta frustrazione, ma senza avere perduto la propria lucidità.

“Sono qui Scotty, che c’è?”

“Glam …”

“Cosa c’è?!” – ruggì.

“E’ … E’ per Jude, ha bisogno di un rene, perché quello sano è collassato, tu sai che ne ha uno artificiale, dopo averlo donato a”

Solo a quel punto, il diagnosta si accorse di Robert.

“Cosa gli capiterà?” – domandò questi, totalmente sconvolto.

“Non può sopravvivere con due reni sintetici … Necessitiamo di un donatore compatibile, abbiamo pochissimo tempo … Jude è attaccato a delle macchine, che lo potranno aiutare solo per dodici ore”

“Andiamo, fammi il test, anche se” – Geffen si morse le labbra asciutte.

Scott guardò Robert – “Sì ok, mentre tu … Tu non puoi fare nulla, mi spiace”

“Lui ha già fatto abbastanza” – sibilò Geffen – “Sbrigati Scott, prima che sia troppo tardi per Jude.”




L’alba aveva un riverbero strano.

Figure, dai contorni incerti, si stavano muovendo oltre un vetro, che lo isolava in quell’ambiente sterile e disadorno.

Qualcosa gli stava tenendo la mano.
Qualcuno.

Jude, schiuse meglio le palpebre e guardò alla sua destra.

“Glam …?!”

Era un filo, la sua voce, debole, costernata, ma velata di speranza, senza capirne la ragione.


“Non stancarti, non devi … Tra poco andremo in sala operatoria e risolveremo questo casino” – gli sorrise, gli occhi arrossati da un lungo pianto, pensò Law.

Quindi ebbe un fremito.
Di ricordi, di consapevolezza devastante.

“Non … Non è colpa sua, Glam, ti prego non”

“Ormai è finita” – gli sorrise ancora, liberandosi di quelle ultime lacrime, che zampillarono sui suoi zigomi, inumidendo i bordi della mascherina di protezione trasparente.

“Finita …?”

“Riposati, mi prenderò io cura di te” – aggiunse serio, ma pacato.

“Tu …?”

“Avrai uno dei miei reni, è necessario … Non puoi vivere altrimenti”

“Siamo compatibili, Glam?”

“In così tante cose, Jude, che tu neppure le immagini … Te lo assicuro.”








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