martedì 1 luglio 2014

ZEN - CAPITOLO N. 321

Capitolo n. 321 – zen



Jared si appoggiò sul suo petto, dopo avergli slacciato, lento, i bottoni della camicia.

Il calore della sua pelle, gli aveva dato spesso conforto, senso di appartenenza.
Geffen aveva cancellato solitudini profonde in lui, anche con un semplice sorriso, una carezza.

“Sei stanco …?” – chiese l’uomo, accarezzando i capelli del cantante.

“No e tu?”

“No … Mi sento felice, disperatamente felice, ora” – sorrise.

“Dimmi una cosa Glam”

“Sì?”

“Come farò, quando tu te ne sarai andato via da me?”

Ci fu un attimo di silenzio.

“Colin ha un altro, non riesco neppure ad affrontarlo, i miei sensi di colpa me lo impediscono, probabilmente, ma quando succederà, esploderò e poi”

“Jared”

“Jared cosa?” – si sollevò, per fissarlo – “Senza di te dovrò crescere, sai? Dovrò stare in piedi da solo, orfano dei tuoi consigli, delle tue braccia!”

“Sarò sempre con te …”

“Ma questo non è vero Glam!” – singhiozzò improvviso, rifugiandosi nuovamente tra le sue ali.

Jared poteva percepire le costole, sotto la pelle ancora tesa, la riduzione muscolare, di quei bicipiti non più allenati e massicci eppure Geffen era come un mantello, una cupola, sotto i quali rifugiarsi durante i temporali di un’esistenza spesso in bilico, come la sua.


“Ora calmati Jay …” – sospirò, cercando le sue labbra.

Si baciarono assorti e rapiti da mille pensieri cupi.

Fuori cominciò a piovere.
Novembre volgeva alla fine, l’ultima fine di tutti i giorni a venire.



Tra le lenzuola disfatte da un sonno precario, gli abiti sudici di polvere ancora addosso, il sapore delle rispettive lacrime nella gola, Vincent e Louis avevano dormito sino alle prime ore di quel pomeriggio assolato, stretti in un abbraccio caldissimo e casto.

I gemiti leggeri di Boo, di tanto in tanto, inumidivano il collo del francese, che, senza destarsi del tutto, lo stringeva a sé istintivamente, un po’ più forte, senza fargli male.

Mai gliene avrebbe fatto, a son petit.


Zayn, al campo base, stava selezionando il numero di Lux per l’ennesima volta.

Il padre di Malik, poco distante, non gli avevo detto ancora nulla su quanto visto all’alba, dagli scavi archeologici.

George decise di avvicinarsi al figlio, cercando le parole giuste.

Gli occhi liquidi del giovane lo investirono – “Non risponde … Dev’essere proprio arrabbiato con me”

“Tesoro ascolta …”

“Mi accompagni in paese? C’è un solo albergo decente, Vincent sarà lì di sicuro”

“Va bene, andiamoci pure, così vi chiarirete” – ed abbozzò un sorriso poco convinto, prima di salire entrambi in auto.



Meliti masticò il sigaro, facendo un ghigno poco rassicurante.

“Colin dovevi portarlo qui, possibile? Non voglio neppure sapere chi è!”

“Antonio, qui sarà al sicuro, poi vedremo il da farsi”

“Perché non te lo porti via, ho alloggi ovunque in questa città, nascondi il tuo amante dove ti pare, ma non rovinare il matrimonio di Glam e Pam!” – ringhiò.

Nel parco fervevano i preparativi, per accogliere gli ospiti selezionati dall’avvocato.

“Kirill non è il mio amante …” – replicò sfinito l’attore, appoggiandosi al muro della biblioteca di Meliti.

“Ed io sono babbo Natale … Oh per favore!”

“Devo parlare con Jared, gli spiegherò come sono andate le cose”

“Lo farai a pezzi con le tue stronzate, compresa quella delle medicine per Shan” – obiettò severo.

“Perché mi mettete sempre all’angolo?! Capisco il disagio di mio marito, però nessuno mai considera anche il mio stato d’animo!” – protestò vivace.

Antonio inspirò greve – “Ti chiedo scusa Colin”

“Non voglio delle scuse … Solo un minimo di comprensione”



Si lavarono a vicenda, senza dirsi niente, sotto la doccia tiepida.

Vincent lo pettinò, sorridendogli, poi gli fece indossare un completo blu, composto da una casacca e dei bermuda, freschi e puliti, come il sorriso di Louis, che non aveva mai smesso di guardarlo.

“Ti porto a casa, dal nostro Harry e dalla nostra Petra, ok mon petit …?” – mormorò, cingendogli la nuca, per poi stampargli un bacio intenso sulla fronte spaziosa, nascosta da una frangia profumata di shampoo.

Louis si alzò, appendendosi alle sue spalle nude e virili – “Grazie …” – sigillando quell’istante di loro, con un lungo contatto delle loro bocche, reidratate e morbide.

Qualcuno bussò.



Jared recuperò la sacca con il suo abito, dal bagagliaio della berlina, con cui era giunto insieme a Geffen, alla residenza di Meliti.

Le gemelle rapirono prontamente il padre, per condurlo all’ala est, dove si sarebbe cambiato, con Robert e Kevin: i due, con Leto, gli avrebbero fatto da testimoni.


Colin lo vide infilare il vialetto verso la dependance, con passo spedito e, prima che il leader dei Mars vi giungesse, l’irlandese lo intercettò.

“Ehi fermati un secondo!”

“Ciao Cole, ti sei ricordato di avere una famiglia?” – sbottò, senza fermarsi, le iridi lucide, dietro le lenti scure.

L’attore lo bloccò del tutto.

“Ora stammi a sentire, Jay, accidenti!”

Gli stava stritolando le braccia esili, ma non si sarebbe arreso.

“Cosa dovrei stare a sentire?! Di te e di qualche nuova puttana, che ti sei portato a letto?!?” – gli gridò in faccia, ad un centimetro dal pizzetto ben curato del compagno.

Farrell gli sfilò i Ray-Ban, scrutando poi la sua espressione triste, anche se livida.

“Non è semplicemente questo, Jared e tu lo sai …” – esordì calmo.

“Io non so più niente … di te, di noi … Hai combinato un casino per Shan e”

“Gli ho già chiesto scusa, è nel salone, si sente bene, lui ha capito”

“Capito cosa? Hai avuto un contrattempo, gli hai fornito una spiegazione logica? Il tuo cellulare suonava a vuoto, mi hai spaventato”

“Tu stavi pensando solo a tuo fratello, a piena ragione, ci mancherebbe, però non temevi mi fosse successo qualcosa di grave, ammettilo”

Leto annuì – “Sì, non facciamo gli ipocriti, ero incazzato con te, anche se potevi essere stato aggredito, avere avuto un incidente, un malore …”

“Io non sono più una tua priorità, da quando Glam e Shannon si sono ammalati … E per quanto io possa avere accettato il loro, anzi il vostro dramma, tu non immagini quanto questo male oscuro abbia scavato anche in me, Jay”

“Dovevamo sostenerci”

“Sì, ma in realtà ero io quello a doverlo fare, per tutti, perché tu eri la vittima, come al solito” – e rise lieve, con afflizione, scuotendo la testa appesantita da un’emicrania, che non voleva lasciarlo in pace.

“Ti devo chiedere scusa per il cancro di Glam, per quello di Shan?” – strinse i denti, ma si sentiva morire, per la distanza tra lui e Colin, anche se erano a pochi centimetri.

“No, ma lo stai facendo di nuovo, mi aggredisci, mi condanni e mi abbandoni Jay”

“Io ti amo Cole e non sono in grado di reggere questa tensione, di metabolizzare la paura di perdere Shannon, di rassegnarmi per la morte imminente di Glam … Io non ce la faccio senza di te ed ho voluto fare finta che tu non ti stessi allontanando e forse innamorando di un altro”

“Io non mi sono innamorato di nessuno … Ho cercato conforto in un luogo diverso, su questo hai ragione, però volevo esclusivamente parlare con qualcuno, sfogarmi”

Kirill apparve alle spalle di Colin, uscendo dal villino, dove Jared avrebbe voluto cambiarsi e riordinare le idee, prima che il consorte gli andasse incontro.

“Vi chiedo scusa … Io vorrei andarmene … Ho già disturbato abbastanza” – disse timido.

Farrell si girò lento, Jared gli passò oltre.

Il ragazzo indossava dei jeans sgualciti ed una t-shirt dei Mars, un po’ comoda per il suo fisico asciutto.

Leto gli andò vicino.

“L’hai messa al contrario …” – disse, tirando su dal naso.

“Co cosa …?” – balbettò Kirill.

“La maglietta …” – sorrise un po’ alienato, poi tornò a guardare Colin – “E’ bellissimo … Se ci hai solo parlato, sei stato un folle” – ed entrò nel cottage, chiudendosi a chiave, per poi scivolare sul parquet, con la schiena incollata al portone blindato, le gambe raccolte, i singulti soffocati tra le ginocchia.











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