martedì 8 luglio 2014

ZEN - CAPITOLO N. 324

Capitolo n. 324 – zen


https://www.youtube.com/watch?v=CqwmyKTbtRU



Lacrime.

Gocce di pioggia.

Lacrime.

Sul parabrezza, sui finestrini, accese dalla luce dei lampioni, che ferivano il buio, tetro, assoluto, mentre le auto seguivano l’ambulanza.

Eppure lì c’era il sole.
In quel posto, che neppure esiste, di sicuro non su questa terra, pensò Glam, guardando l’orizzonte, seduto sugli scogli, insieme a Lula.
Al suo fianco.
Sempre.

“Dicono che ti passi davanti tutta la vita, in certi momenti … In questo … credo” – disse assorto l’uomo, al suo bambino.

Poi si girò e lo vide adulto.
Forse venticinquenne, forse poco di più.

Lula sorrise.

“Non ti vedrò mai così, angelo mio …”

“E’ difficile papà … E’ impossibile, credimi, ma non importa”

Lula tornò indietro, con i suoi riccioli, i suoi occhioni puliti.
Era più piccolo di quel tempo, in cui Glam se ne stava andando.

Era di nuovo il cucciolino dell’orfanotrofio e rideva, con quel peluche, dimenticato sotto le macerie della Fondazione, dopo l’attentato.

Brady, il bradipo, lento nel suo vivere sereno, contemplativo, perché nulla, in fondo, sarebbe cambiato davvero.
Forse tutto rimaneva uguale, da qualche parte, al mondo.

Un mondo che Glam Geffen non voleva lasciare.

Spalancò le palpebre, facendo fare un sussulto a Scott, che gli teneva le mani, seduto accanto alla sua barella iper tecnologica.

Lula era invece in un angolo, allacciato ad un sedile con la cintura, educato, in silenzio.
Eppure stava parlando, a quel suo genitore così speciale.

Soldino di cacio, quanto gli piaceva quel nomignolo, era qualcosa di suo e di Glam.
E basta.

“Sono ancora qui” – sussurrò Geffen, ma solo nella propria testa e davanti a quell’oceano, dai riflessi dorati e cobalto, come gli occhi di Jared.

Jared era poco distante, che correva sulla sabbia insieme ad Isotta.
Ridevano, felici.

E poi Jay era a pochi metri da lui, anche su quella strada verso l’ospedale.
Jay che ricordava ogni attimo di loro, come un frammento, di un prezioso vaso, andato in pezzi, dopo che una sorte malvagia, gli aveva dato uno strattone.

E’ solo un gioco la vita.
Geffen glielo aveva detto, quando si conoscevano appena, quando si stavano innamorando, senza saperlo.

Lui, l’uomo che teneva per le briglie un’esistenza fatta di sbagli, di cose non dette, di non amore, che gli piombò addosso, tutto insieme, con lo sguardo di Jared, la sua bocca, il suo corpo, flessuoso e morbido, nella luce della loro camera a Port au Prince, in quell’appartamento, ora vuoto.

Ci avevano fatto l’amore così tante volte, senza poterle contare.

Robert, invece, camminava solitario su di un pontile, alla desta di quella visione, colorata e solare.

Lo salutava, Geffen rispondeva con un cenno del capo e Lula agitava le manine.

Le labbra di Rob stavano dicendo qualcosa.

“Io ti amo Glam …”

Le braccia calde e robuste di Kevin lo avvolsero da dietro, mentre Glam annuiva, voltandosi poi verso il suo ex, per dargli un lungo bacio.

“Ti amerò per sempre …” – gli sussurrò il ragazzo della motocicletta, che si fermò a soccorrerlo, quando la sua Ferrari aveva forato.

Appena si tolse il casco, Geffen perse un battito.

Kevin sarebbe stato il suo appoggio, in eterno.
L’eterno che non c’è.


“Sai non è giusto Lula …”

“E’ così e basta papà, non devi lamentarti, non puoi …” – e sospirò, aprendo le sue piccole ali.

Milioni di farfalle sembrarono esplodere, stagliandosi contro quel celeste perfetto, sino verso il sole.

Un sole di mezzanotte.


Colin guardò l’orologio in acciaio, appeso alla parete della saletta di attesa, gremita dagli occhi e dai silenzi, di chi amava Glam.

“Mezzanotte …” – mormorò, cercando poi gli zaffiri di Jared, rannicchiato in un angolo, con la testa di Kevin sulla spalla sinistra e la figura rigida di Robert, quasi appiccicata alla sua.

Tutti e tre su di una panchina metallica, scomoda e fredda.

Avevano smesso di piangere.
Forse perché era inutile.
Forse perché Geffen non li avrebbe voluti vedere in quello stato.

Lui amava vederli sorridere.
Sempre.



Styles aprì la porta di quell’alloggio, minuscolo, ma accogliente.

“Eccoci Louis … Siamo arrivati” – rise, togliendogli la benda, che scherzosamente gli aveva messo, durante il loro viaggio in taxi dal Lax, sino a quel quartiere semi centrale, davanti al mare, però in una zona più modesta, rispetto a quella precedente, dove abitava Hopper.

L’albero di Natale, spelacchiato, se ne stava nel mezzo del living, ancora privo di mobili, a parte un materasso e due scatoloni, pieni di addobbi.

“I nostri robot …” – disse flebile Boo, avvicinandosi a quel tesoro.

“Vivremo qui, se sei d’accordo, devo ancora firmare il contratto di affitto … E non è finita …” – rivelò il giovane avvocato.

“Il … il tuo lavoro, Haz?”

“Sì, ho lasciato lo studio Geffen, per aprire un ufficio tutto mio, vicino al tribunale dei minori, per patrocinare chiunque abbia bisogno di una mano, senza dovere sborsare un salasso di quattrini … Certo fanno comodo, però voglio sgobbare, senza scorciatoie, anche se potevo essere all’altezza della situazione, ma senza alcuna gioia … Senza di te, amore”

Si baciarono, divorandosi, come due sopravvissuti.

Louis, poi, lo fissò, ammirandolo.
Il suo ragazzino era cresciuto, era diventato un uomo, più uomo di qualunque adulto, avessero conosciuto sino a quell’istante.

“Ti amo Harry …” – disse emozionato, trattenendo un pianto liberatorio.

“Ti amo anch’io Louis”



George controllò le taniche di gasolio, appese al fuoristrada, che li avrebbe condotti in aeroporto.

Il viaggio era piuttosto lungo e non voleva imprevisti.

Zayn gli si avvicinò, caricando i bagagli di entrambi, scuro in volto.

“Ehi, ma che succede?” – gli chiese tenero l’archeologo.

“Voglio solo andarmene ed in fretta, papà!” – replicò brusco, guardandosi intorno.

“Hai litigato anche con Liam?” – insistette, più serio.

“No, cioè sì, ma lasciami in pace, almeno tu” – inspirò, fermandosi, per scrutarlo, in imbarazzo.

“Perché ti comporti così, Zayn? Credevo di averti cresciuto in modo diverso”

“E ti sbagliavi, temo” – rise, gli occhi lucidi e bassi.

“Guardami Zayn”

“Ok ti guardo! E cosa vedo? Un padre fantastico, che mi ha sempre protetto, accettato, esortato a non nascondermi, a vivere la mia sessualità, a realizzare i miei sogni, TU sei perfetto, sei una meraviglia in ogni senso, ma io non sono niente di ciò che speravi, non sono il tuo capolavoro, scusami!”

Malik scosse il capo, prendendolo tra le braccia.

“Scusami papà …” – singhiozzò, mentre l’altro lo cullava.

“E di cosa? … Le esperienze, che accumuliamo lungo il cammino, non sempre ci gratificano, ma ci mettono in discussione, ci costringono ad affrontare i nostri limiti Zayn e vorrei che tu la smettessi di chiuderti, ogni volta che qualcuno prova ad amarti” – e sorrise amorevole, tornando a guardarlo.

“Ma io cosa avrei dovuto fare, dopo … Dopo Ivo, poi …”

“Vincent non era Ivo …” – ed alzò gli occhi – “E Liam non è Vincent …”


Payne era alle loro spalle, intento a smontare un tavolino ed impilare sedie, badando più alla loro conversazione che al resto.

Zayn lo sbirciò, ancora rifugiato nell’incavo della spalla di George, che lo staccò da sé lento, girandolo in favore del vulcanologo, ormai immobile, nel fondere le loro reciproche occhiate, in un misto di impaccio agrodolce.

“Ho così tanta paura di farmi male …” – disse Zayn, senza muoversi.

Anche Liam restò fermo, ma per un unico secondo.
Il successivo era già lì, a dargli una carezza tra le chiome scure e spettinate.

Le ciglia di Zayn erano folte e racchiudevano, come una preziosa conchiglia, i suoi opali neri e profondi.

“Sei più carino quando sorridi …” – Liam ruppe quella staticità assurda.

Erano così giovani, che tormentarsi in quella maniera, poteva sembrare un oltraggio, a ciò che la vita aveva saputo donare loro, generosamente.

“Prima di …” – Zayn tirò su dal naso – “Prima di riciclare altre battute da film, potresti baciarmi?”

“Guarda che non sarai sempre tu a decidere le cose, tra noi, ok?” – Liam rise piano, poi lo baciò, catturandolo forte e sicuro a sé.

George Malik, ormai alla guida, sorrise.

“Ci vediamo a Parigi, per la vigilia, ok Zayn? La mamma te la saluto io! Arrivederci ragazzi” – e partì, dopo avere lanciato la sacca e gli appunti al figlio, che rimase un po’ stranito dalla sua decisione, ma non senza provare un pizzico di felicità, che non lo spaventava più.

All’improvviso.





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