Capitolo n. 324 – zen
https://www.youtube.com/watch?v=CqwmyKTbtRU
Lacrime.
Gocce di pioggia.
Lacrime.
Sul parabrezza, sui
finestrini, accese dalla luce dei lampioni, che ferivano il buio, tetro,
assoluto, mentre le auto seguivano l’ambulanza.
Eppure lì c’era il
sole.
In quel posto, che
neppure esiste, di sicuro non su questa terra, pensò Glam, guardando l’orizzonte,
seduto sugli scogli, insieme a Lula.
Al suo fianco.
Sempre.
“Dicono che ti passi
davanti tutta la vita, in certi momenti … In questo … credo” – disse assorto l’uomo,
al suo bambino.
Poi si girò e lo vide
adulto.
Forse venticinquenne,
forse poco di più.
Lula sorrise.
“Non ti vedrò mai
così, angelo mio …”
“E’ difficile papà …
E’ impossibile, credimi, ma non importa”
Lula tornò indietro,
con i suoi riccioli, i suoi occhioni puliti.
Era più piccolo di
quel tempo, in cui Glam se ne stava andando.
Era di nuovo il
cucciolino dell’orfanotrofio e rideva, con quel peluche, dimenticato sotto le
macerie della Fondazione, dopo l’attentato.
Brady, il bradipo,
lento nel suo vivere sereno, contemplativo, perché nulla, in fondo, sarebbe
cambiato davvero.
Forse tutto rimaneva
uguale, da qualche parte, al mondo.
Un mondo che Glam
Geffen non voleva lasciare.
Spalancò le palpebre,
facendo fare un sussulto a Scott, che gli teneva le mani, seduto accanto alla
sua barella iper tecnologica.
Lula era invece in un
angolo, allacciato ad un sedile con la cintura, educato, in silenzio.
Eppure stava
parlando, a quel suo genitore così speciale.
Soldino
di cacio, quanto gli piaceva quel nomignolo, era qualcosa
di suo e di Glam.
E basta.
“Sono ancora qui” –
sussurrò Geffen, ma solo nella propria testa e davanti a quell’oceano, dai
riflessi dorati e cobalto, come gli occhi di Jared.
Jared era poco
distante, che correva sulla sabbia insieme ad Isotta.
Ridevano, felici.
E poi Jay era a pochi
metri da lui, anche su quella strada verso l’ospedale.
Jay che ricordava
ogni attimo di loro, come un frammento, di un prezioso vaso, andato in pezzi,
dopo che una sorte malvagia, gli aveva dato uno strattone.
E’
solo un gioco la vita.
Geffen glielo aveva
detto, quando si conoscevano appena, quando si stavano innamorando, senza
saperlo.
Lui, l’uomo che
teneva per le briglie un’esistenza fatta di sbagli, di cose non dette, di non
amore, che gli piombò addosso, tutto insieme, con lo sguardo di Jared, la sua
bocca, il suo corpo, flessuoso e morbido, nella luce della loro camera a Port
au Prince, in quell’appartamento, ora vuoto.
Ci avevano fatto l’amore
così tante volte, senza poterle contare.
Robert, invece,
camminava solitario su di un pontile, alla desta di quella visione, colorata e
solare.
Lo salutava, Geffen
rispondeva con un cenno del capo e Lula agitava le manine.
Le labbra di Rob
stavano dicendo qualcosa.
“Io
ti amo Glam …”
Le braccia calde e robuste
di Kevin lo avvolsero da dietro, mentre Glam annuiva, voltandosi poi verso il
suo ex, per dargli un lungo bacio.
“Ti amerò per sempre …”
– gli sussurrò il ragazzo della motocicletta, che si fermò a soccorrerlo,
quando la sua Ferrari aveva forato.
Appena si tolse il
casco, Geffen perse un battito.
Kevin sarebbe stato
il suo appoggio, in eterno.
L’eterno
che non c’è.
“Sai non è giusto
Lula …”
“E’ così e basta
papà, non devi lamentarti, non puoi …” – e sospirò, aprendo le sue piccole ali.
Milioni di farfalle
sembrarono esplodere, stagliandosi contro quel celeste perfetto, sino verso il
sole.
Un sole di
mezzanotte.
Colin guardò l’orologio
in acciaio, appeso alla parete della saletta di attesa, gremita dagli occhi e
dai silenzi, di chi amava Glam.
“Mezzanotte …” –
mormorò, cercando poi gli zaffiri di Jared, rannicchiato in un angolo, con la
testa di Kevin sulla spalla sinistra e la figura rigida di Robert, quasi
appiccicata alla sua.
Tutti e tre su di una
panchina metallica, scomoda e fredda.
Avevano smesso di
piangere.
Forse perché era
inutile.
Forse perché Geffen
non li avrebbe voluti vedere in quello stato.
Lui amava vederli
sorridere.
Sempre.
Styles aprì la porta
di quell’alloggio, minuscolo, ma accogliente.
“Eccoci Louis … Siamo
arrivati” – rise, togliendogli la benda, che scherzosamente gli aveva messo,
durante il loro viaggio in taxi dal Lax, sino a quel quartiere semi centrale,
davanti al mare, però in una zona più modesta, rispetto a quella precedente,
dove abitava Hopper.
L’albero di Natale,
spelacchiato, se ne stava nel mezzo del living, ancora privo di mobili, a parte
un materasso e due scatoloni, pieni di addobbi.
“I nostri robot …” –
disse flebile Boo, avvicinandosi a quel tesoro.
“Vivremo qui, se sei
d’accordo, devo ancora firmare il contratto di affitto … E non è finita …” –
rivelò il giovane avvocato.
“Il … il tuo lavoro,
Haz?”
“Sì, ho lasciato lo
studio Geffen, per aprire un ufficio tutto mio, vicino al tribunale dei minori,
per patrocinare chiunque abbia bisogno di una mano, senza dovere sborsare un
salasso di quattrini … Certo fanno comodo, però voglio sgobbare, senza
scorciatoie, anche se potevo essere all’altezza della situazione, ma senza
alcuna gioia … Senza di te, amore”
Si baciarono,
divorandosi, come due sopravvissuti.
Louis, poi, lo fissò,
ammirandolo.
Il suo ragazzino era
cresciuto, era diventato un uomo, più uomo di qualunque adulto, avessero
conosciuto sino a quell’istante.
“Ti amo Harry …” –
disse emozionato, trattenendo un pianto liberatorio.
“Ti amo anch’io Louis”
George controllò le
taniche di gasolio, appese al fuoristrada, che li avrebbe condotti in aeroporto.
Il viaggio era
piuttosto lungo e non voleva imprevisti.
Zayn gli si avvicinò,
caricando i bagagli di entrambi, scuro in volto.
“Ehi, ma che succede?”
– gli chiese tenero l’archeologo.
“Voglio solo
andarmene ed in fretta, papà!” – replicò brusco, guardandosi intorno.
“Hai litigato anche
con Liam?” – insistette, più serio.
“No, cioè sì, ma
lasciami in pace, almeno tu” – inspirò, fermandosi, per scrutarlo, in
imbarazzo.
“Perché ti comporti
così, Zayn? Credevo di averti cresciuto in modo diverso”
“E ti sbagliavi, temo”
– rise, gli occhi lucidi e bassi.
“Guardami Zayn”
“Ok ti guardo! E cosa
vedo? Un padre fantastico, che mi ha sempre protetto, accettato, esortato a non
nascondermi, a vivere la mia sessualità, a realizzare i miei sogni, TU sei
perfetto, sei una meraviglia in ogni senso, ma io non sono niente di ciò che
speravi, non sono il tuo capolavoro, scusami!”
Malik scosse il capo,
prendendolo tra le braccia.
“Scusami papà …” –
singhiozzò, mentre l’altro lo cullava.
“E di cosa? … Le
esperienze, che accumuliamo lungo il cammino, non sempre ci gratificano, ma ci
mettono in discussione, ci costringono ad affrontare i nostri limiti Zayn e
vorrei che tu la smettessi di chiuderti, ogni volta che qualcuno prova ad
amarti” – e sorrise amorevole, tornando a guardarlo.
“Ma io cosa avrei
dovuto fare, dopo … Dopo Ivo, poi …”
“Vincent non era Ivo …”
– ed alzò gli occhi – “E Liam non è Vincent …”
Payne era alle loro
spalle, intento a smontare un tavolino ed impilare sedie, badando più alla loro
conversazione che al resto.
Zayn lo sbirciò,
ancora rifugiato nell’incavo della spalla di George, che lo staccò da sé lento,
girandolo in favore del vulcanologo, ormai immobile, nel fondere le loro
reciproche occhiate, in un misto di impaccio agrodolce.
“Ho così tanta paura
di farmi male …” – disse Zayn, senza muoversi.
Anche Liam restò
fermo, ma per un unico secondo.
Il successivo era già
lì, a dargli una carezza tra le chiome scure e spettinate.
Le ciglia di Zayn
erano folte e racchiudevano, come una preziosa conchiglia, i suoi opali neri e
profondi.
“Sei più carino
quando sorridi …” – Liam ruppe quella staticità assurda.
Erano così giovani,
che tormentarsi in quella maniera, poteva sembrare un oltraggio, a ciò che la
vita aveva saputo donare loro, generosamente.
“Prima di …” – Zayn tirò
su dal naso – “Prima di riciclare altre battute da film, potresti baciarmi?”
“Guarda che non sarai
sempre tu a decidere le cose, tra noi, ok?” – Liam rise piano, poi lo baciò,
catturandolo forte e sicuro a sé.
George Malik, ormai
alla guida, sorrise.
“Ci vediamo a Parigi,
per la vigilia, ok Zayn? La mamma te la saluto io! Arrivederci ragazzi” – e partì,
dopo avere lanciato la sacca e gli appunti al figlio, che rimase un po’
stranito dalla sua decisione, ma non senza provare un pizzico di felicità, che
non lo spaventava più.
All’improvviso.
Nessun commento:
Posta un commento