Capitolo n. 320 – zen
Save me
“Non hai quasi
toccato cibo, Jay”
“Anche tu …”
“Ma io sono assente
giustificato, dal piatto” – Geffen sorrise.
Leto lo fissò, un po’
smarrito – “Cosa ci facciamo, qui, Glam?”
“Ci rilassiamo”
“Come è andata con
Pam? Il matrimonio è domani”
“Un delirio, un
parapiglia, ma quando ha visto l’abito, si è emozionata” – rise.
Aveva un bel colorito
e, se non fosse stato per il notevole dimagrimento, Geffen non sembrava neppure
malato, quella sera.
“Ha accettato
quindi?”
“Piangevano tutte,
lei, le gemelle, Carmela, un gineceo travolto da un fiume di lacrime … Poi si
sono riprese ed hanno provato i vestiti, chiamato il parrucchiere”
“Dai non ci credo” –
anche Jay, rise, finalmente.
Geffen lo scrutò, con
amorevole devozione.
“Ho dei testimoni!” –
affermò divertito.
“Robert? Vas e
Peter?”
“Sì, ma anche Xavier
e Phil …” – sospirò – “Sarà una cosa in famiglia, affettuosa, insomma nulla di
straordinario, non certo la cerimonia che sognavo di vivere con te” – disse più
serio, ma sereno, tornando a guardarlo intenso.
“Ci pensi ancora
Glam?”
“Ogni giorno” –
tossì, prendendo dell’acqua – “Ogni ora, tesoro mio” – e strizzò le palpebre,
forse per una fitta.
“Non stai bene?” – il
cantante si allarmò immediato.
Geffen sorrise o
almeno si sforzò di farlo – “Sono a posto, arriverò sino in fondo a questa
strada, anzi, a questo tunnel”
“Dopo avrai la tua
luce …” – la voce di Jared si spezzò.
Glam annuì mesto –
“Dopo … Io non avrò più niente … E sarà … complicato”
“Cosa …?”
“Tutto Jay. Tutto.”
Colin si era scolato
un paio di drink analcolici, standosene a debita distanza da un tavolo da sei,
dove sedeva Sven, con Kirill letteralmente al guinzaglio.
Quel collarino
intorno al suo collo, fece rabbrividire l’attore, che capì a cosa servisse l’aggeggio,
prontamente nascosto dal ragazzo, il giorno prima quando erano insieme.
C’erano altri due
tizi, piuttosto volgari, anche se eleganti, accompagnati da una giovane ed un
ragazzino, forse minorenne, nelle stesse condizioni, come se fossero stati
ridotti ad una sorta di schiavitù.
Per giunta erano
mezzi nudi, la ragazza con un perizoma, Kirill e l’altro con dei boxer ridotti
ed aderenti, come una seconda pelle.
Le luci erano
soffuse, ma non troppo, come a mostrare uno spettacolo di corpi, che si agitava
intorno.
Diversi ballerini, si
muovevano sinuosi su cubi retroilluminati di rosso e viola, altre coppie
amoreggiavano, piuttosto disinibite, il personale del locale neppure ci faceva
caso, servendo champagne e cibi ricercati.
L’atmosfera era
sgradevole, Farrell avrebbe voluto andarsene eppure non ci riusciva.
Kirill era adulto e
vaccinato, quelle prestazioni erano di sicuro ben remunerate, però i suoi occhi
erano spenti o, forse, spaventati.
Il medico ridacchiò
sulla battuta del suo vicino di posto, che allungò le mani sul petto di Kirill
e poi più in basso, alzandosi per toccarlo meglio.
Fu tutto molto
veloce: Somerhalder fece un cenno di assenso, umettandosi le labbra, come a
pregustare uno spettacolo, che di lì a poco si sarebbe consumato
inevitabilmente.
Con uno strattone, lo
sconosciuto tirò su Kirill, facendolo piegare sulla lastra di vetro, spostando
sulla stessa bicchieri e bottiglie mezze vuote.
L’avrebbe posseduto
senza farsi molti problemi, pensò Colin, ormai scattato in piedi, per poi farsi
largo tra i vari avventori, che neppure si erano accorti di quanto stava
succedendo, forse perché abituati a simili consuetudini.
L’irlandese si
palesò, facendo fare un sussulto a Sven, più che altro infastidito per la
brusca interruzione, per nulla in imbarazzo.
“Kirill ora tu vieni
via con me” – sibilò Colin, afferrandolo per un polso, per tirarlo via da sotto
le grinfie di quel maiale, con i pantaloni già calati e lo sguardo inferocito.
“E tu chi sei, che
diavolo vuoi??!” – esclamò paonazzo.
Farrell gli diede una
spinta, Sven rise forte, tirando la cinghia collegata alla striscia di pelle
borchiata, stretta intorno al collo di Kirill – “Lui è mio, dove credi di
portarlo Mr. Irlanda?!” – lo investì arrogante.
Colin strappò di
forza quell’odioso collare, coprendo poi con la giacca il giovane, conducendolo
in salvo, senza esitare oltre.
Sven non si mosse:
era sposato, con figli, stimato nella sua attività di ricercatore, un
insospettabile, davvero poco desideroso di scatenare uno scandalo,
fortunatamente.
La jeep di Lux lo
sfilò per un soffio, nella via dei mercatini.
Louis vi era sceso
con un vecchio catorcio, che a mala pena rimaneva in strada.
Il giovane non si
arrese, tornando al volante, per seguire Vincent, in quella che sembrava una
fuga definitiva.
Il francese, forse
stava andando in aeroporto, per sparire nel nulla o rientrare a Los Angeles,
per riflettere sulle sue ultime decisioni, anche in campo sentimentale.
Boo immaginava ogni
sorta di ipotesi, ma quando vide il fuoristrada deviare verso un sentiero
sterrato, ebbe un brutto presentimento.
Il suo mezzo precario
fece fatica a salire verso la cima di una collina, ma quando la pendenza
divenne proibitiva, nei pressi di un successivo promontorio, ben più alto,
Louis decise di fermarsi.
Compose il numero di
Lux, ma il suo satellitare era spento.
Recuperati sul sedile
posteriore, una borraccia ed un berretto, il ragazzo si incamminò, non senza
imprecare, pregando che l’altro sostasse sul pianoro ben visibile dalla
posizione di Lou.
Da lì, inoltre, era
evidente la presenza di uno strapiombo, al di sotto del quale scorreva un fiume
impetuoso e poco rassicurante.
Boo accelerò il
passo.
Quando scorse l’auto
di Vincent, provò gioia e sollievo, ma, notando l’uomo sul ciglio di quel
baratro, con in mano della vodka, Louis perse un battito.
Si avvicinò con
cautela, quasi senza respirare.
Lux si tolse la fede
con le labbra tremanti, il viso sfigurato dal pianto, la barba incolta e l’aspetto
di chi non aveva riposato affatto.
“Vi Vincent …”
La voce di Lou gli
giunse debole, terrorizzata: si girò con uno movimento scomposto, tanto da
accennare una perdita di equilibrio, subito dominata.
“Che cosa vuoi, mon
petit …?” – domandò straziato.
“Vincent adesso noi
ce ne andiamo, sei d’accordo?” – e, rimanendo fermo, gli tese le mani.
“No … No, mi dispiace
tu sia venuto sin quassù a vedermi morire”
“Ma cosa dici??! Qui
non muore nessuno!” – sbottò esasperato.
Era senza speranze,
troppo distante per salvarlo sul serio.
“Voglio andarmene …
da Jacques … Tu puoi capirmi … Tu devi farlo, Louis”
“No e sai perché?
Jacques non ha bisogno di te, ma noi sì!” – ed iniziò a piangere, senza
comunque smarrire la grinta in ciò che stava dicendo sincero come non mai – “Noi
siamo una famiglia Vincent, che ti piaccia o no, tu, io, Harry e Petra e lei ti
vuole bene, le mancheresti da impazzire e non puoi darle questo dolore e così
Harry … Sei un padre per lui, più di chiunque e tu questo lo sai!”
“Per … Per Harry …?
No, non sono niente” – sorrise mesto.
“Ti sbagli … Non vedi
come si appoggia a chi è più adulto? L’ha fatto anche con Jude e non poteva
esserci opzione più sbagliata” – accennò a propria volta un sorriso – “…
Ricordi ad Aspen? Quando siete rimasti isolati dalla tempesta di neve, tu ed
Harry e gli hai detto che saresti stato orgoglioso di averlo come figlio, non
puoi averlo dimenticato!”
Lux annuì, gettando
la vera nel vuoto.
Senza saperlo, i due
erano osservati da George Malik, in visita agli scavi e troppo lontano per
intervenire.
“No mon petit, non l’ho
dimenticato …”
“E’ Haz ad avermelo
raccontato, sai? Ne era orgoglioso, anche senza ammetterlo, perché forse era
una situazione strana, ma noi siamo così, Vincent, siamo fuori dai canoni, però
ci vogliamo bene … ci amiamo …” – e singhiozzò, vedendo che il suo discorso
sembrava non funzionare.
Vincent buttò anche
la bottiglia.
“Voglio solo andare
da Jacques … Lui mi manca così tanto” – e vibrò, indietreggiando
pericolosamente.
“E tu manchi a me, a
noi! Non lasciarci … Non permettere a nessuno di farci questo Vincent … Io ti
amo e verrò con te, facendo soffrire la bambina che tu hai portato nelle nostre
vite … Vuoi che accada?”
“Louis … avrai per sempre
il mio amore”
“Vincent …”
Fu un attimo.
Di quelli che durano
un’eternità.
La polvere, i sassi,
un rumore scomposto ed improvviso.
Il terreno aveva
ceduto, senza che Lux decidesse nulla.
Louis si gettò in
avanti, senza esitare, per afferrarlo.
Le loro dita si
intrecciarono e, con un gesto sovrumano per la corporatura esile di Boo, egli
riuscì a trattenere Vincent.
Arrancando tra i
ciottoli, i piedi dell’affarista riuscirono a puntarsi su delle sporgenze
minime, ma provvidenziali.
Appena il sapore dell’erba
investì le sue narici, Lux strinse forte a sé Louis, inginocchiandosi,
sconvolto.
“Sei salvo … Sei ancora
qui … Ancora qui, con me.”
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