lunedì 30 giugno 2014

ZEN - CAPITOLO N. 320

Capitolo n. 320 – zen


Save me


“Non hai quasi toccato cibo, Jay”

“Anche tu …”

“Ma io sono assente giustificato, dal piatto” – Geffen sorrise.

Leto lo fissò, un po’ smarrito – “Cosa ci facciamo, qui, Glam?”

“Ci rilassiamo”

“Come è andata con Pam? Il matrimonio è domani”

“Un delirio, un parapiglia, ma quando ha visto l’abito, si è emozionata” – rise.

Aveva un bel colorito e, se non fosse stato per il notevole dimagrimento, Geffen non sembrava neppure malato, quella sera.

“Ha accettato quindi?”

“Piangevano tutte, lei, le gemelle, Carmela, un gineceo travolto da un fiume di lacrime … Poi si sono riprese ed hanno provato i vestiti, chiamato il parrucchiere”

“Dai non ci credo” – anche Jay, rise, finalmente.

Geffen lo scrutò, con amorevole devozione.

“Ho dei testimoni!” – affermò divertito.

“Robert? Vas e Peter?”

“Sì, ma anche Xavier e Phil …” – sospirò – “Sarà una cosa in famiglia, affettuosa, insomma nulla di straordinario, non certo la cerimonia che sognavo di vivere con te” – disse più serio, ma sereno, tornando a guardarlo intenso.

“Ci pensi ancora Glam?”

“Ogni giorno” – tossì, prendendo dell’acqua – “Ogni ora, tesoro mio” – e strizzò le palpebre, forse per una fitta.

“Non stai bene?” – il cantante si allarmò immediato.

Geffen sorrise o almeno si sforzò di farlo – “Sono a posto, arriverò sino in fondo a questa strada, anzi, a questo tunnel”

“Dopo avrai la tua luce …” – la voce di Jared si spezzò.

Glam annuì mesto – “Dopo … Io non avrò più niente … E sarà … complicato”

“Cosa …?”

“Tutto Jay. Tutto.”



Colin si era scolato un paio di drink analcolici, standosene a debita distanza da un tavolo da sei, dove sedeva Sven, con Kirill letteralmente al guinzaglio.

Quel collarino intorno al suo collo, fece rabbrividire l’attore, che capì a cosa servisse l’aggeggio, prontamente nascosto dal ragazzo, il giorno prima quando erano insieme.

C’erano altri due tizi, piuttosto volgari, anche se eleganti, accompagnati da una giovane ed un ragazzino, forse minorenne, nelle stesse condizioni, come se fossero stati ridotti ad una sorta di schiavitù.

Per giunta erano mezzi nudi, la ragazza con un perizoma, Kirill e l’altro con dei boxer ridotti ed aderenti, come una seconda pelle.

Le luci erano soffuse, ma non troppo, come a mostrare uno spettacolo di corpi, che si agitava intorno.

Diversi ballerini, si muovevano sinuosi su cubi retroilluminati di rosso e viola, altre coppie amoreggiavano, piuttosto disinibite, il personale del locale neppure ci faceva caso, servendo champagne e cibi ricercati.

L’atmosfera era sgradevole, Farrell avrebbe voluto andarsene eppure non ci riusciva.

Kirill era adulto e vaccinato, quelle prestazioni erano di sicuro ben remunerate, però i suoi occhi erano spenti o, forse, spaventati.

Il medico ridacchiò sulla battuta del suo vicino di posto, che allungò le mani sul petto di Kirill e poi più in basso, alzandosi per toccarlo meglio.

Fu tutto molto veloce: Somerhalder fece un cenno di assenso, umettandosi le labbra, come a pregustare uno spettacolo, che di lì a poco si sarebbe consumato inevitabilmente.

Con uno strattone, lo sconosciuto tirò su Kirill, facendolo piegare sulla lastra di vetro, spostando sulla stessa bicchieri e bottiglie mezze vuote.

L’avrebbe posseduto senza farsi molti problemi, pensò Colin, ormai scattato in piedi, per poi farsi largo tra i vari avventori, che neppure si erano accorti di quanto stava succedendo, forse perché abituati a simili consuetudini.

L’irlandese si palesò, facendo fare un sussulto a Sven, più che altro infastidito per la brusca interruzione, per nulla in imbarazzo.

“Kirill ora tu vieni via con me” – sibilò Colin, afferrandolo per un polso, per tirarlo via da sotto le grinfie di quel maiale, con i pantaloni già calati e lo sguardo inferocito.

“E tu chi sei, che diavolo vuoi??!” – esclamò paonazzo.

Farrell gli diede una spinta, Sven rise forte, tirando la cinghia collegata alla striscia di pelle borchiata, stretta intorno al collo di Kirill – “Lui è mio, dove credi di portarlo Mr. Irlanda?!” – lo investì arrogante.

Colin strappò di forza quell’odioso collare, coprendo poi con la giacca il giovane, conducendolo in salvo, senza esitare oltre.

Sven non si mosse: era sposato, con figli, stimato nella sua attività di ricercatore, un insospettabile, davvero poco desideroso di scatenare uno scandalo, fortunatamente.



La jeep di Lux lo sfilò per un soffio, nella via dei mercatini.
Louis vi era sceso con un vecchio catorcio, che a mala pena rimaneva in strada.

Il giovane non si arrese, tornando al volante, per seguire Vincent, in quella che sembrava una fuga definitiva.
Il francese, forse stava andando in aeroporto, per sparire nel nulla o rientrare a Los Angeles, per riflettere sulle sue ultime decisioni, anche in campo sentimentale.

Boo immaginava ogni sorta di ipotesi, ma quando vide il fuoristrada deviare verso un sentiero sterrato, ebbe un brutto presentimento.

Il suo mezzo precario fece fatica a salire verso la cima di una collina, ma quando la pendenza divenne proibitiva, nei pressi di un successivo promontorio, ben più alto, Louis decise di fermarsi.

Compose il numero di Lux, ma il suo satellitare era spento.

Recuperati sul sedile posteriore, una borraccia ed un berretto, il ragazzo si incamminò, non senza imprecare, pregando che l’altro sostasse sul pianoro ben visibile dalla posizione di Lou.

Da lì, inoltre, era evidente la presenza di uno strapiombo, al di sotto del quale scorreva un fiume impetuoso e poco rassicurante.

Boo accelerò il passo.

Quando scorse l’auto di Vincent, provò gioia e sollievo, ma, notando l’uomo sul ciglio di quel baratro, con in mano della vodka, Louis perse un battito.


Si avvicinò con cautela, quasi senza respirare.

Lux si tolse la fede con le labbra tremanti, il viso sfigurato dal pianto, la barba incolta e l’aspetto di chi non aveva riposato affatto.

“Vi Vincent …”

La voce di Lou gli giunse debole, terrorizzata: si girò con uno movimento scomposto, tanto da accennare una perdita di equilibrio, subito dominata.

“Che cosa vuoi, mon petit …?” – domandò straziato.

“Vincent adesso noi ce ne andiamo, sei d’accordo?” – e, rimanendo fermo, gli tese le mani.

“No … No, mi dispiace tu sia venuto sin quassù a vedermi morire”

“Ma cosa dici??! Qui non muore nessuno!” – sbottò esasperato.

Era senza speranze, troppo distante per salvarlo sul serio.

“Voglio andarmene … da Jacques … Tu puoi capirmi … Tu devi farlo, Louis”

“No e sai perché? Jacques non ha bisogno di te, ma noi sì!” – ed iniziò a piangere, senza comunque smarrire la grinta in ciò che stava dicendo sincero come non mai – “Noi siamo una famiglia Vincent, che ti piaccia o no, tu, io, Harry e Petra e lei ti vuole bene, le mancheresti da impazzire e non puoi darle questo dolore e così Harry … Sei un padre per lui, più di chiunque e tu questo lo sai!”

“Per … Per Harry …? No, non sono niente” – sorrise mesto.

“Ti sbagli … Non vedi come si appoggia a chi è più adulto? L’ha fatto anche con Jude e non poteva esserci opzione più sbagliata” – accennò a propria volta un sorriso – “… Ricordi ad Aspen? Quando siete rimasti isolati dalla tempesta di neve, tu ed Harry e gli hai detto che saresti stato orgoglioso di averlo come figlio, non puoi averlo dimenticato!”

Lux annuì, gettando la vera nel vuoto.

Senza saperlo, i due erano osservati da George Malik, in visita agli scavi e troppo lontano per intervenire.


“No mon petit, non l’ho dimenticato …”

“E’ Haz ad avermelo raccontato, sai? Ne era orgoglioso, anche senza ammetterlo, perché forse era una situazione strana, ma noi siamo così, Vincent, siamo fuori dai canoni, però ci vogliamo bene … ci amiamo …” – e singhiozzò, vedendo che il suo discorso sembrava non funzionare.

Vincent buttò anche la bottiglia.

“Voglio solo andare da Jacques … Lui mi manca così tanto” – e vibrò, indietreggiando pericolosamente.

“E tu manchi a me, a noi! Non lasciarci … Non permettere a nessuno di farci questo Vincent … Io ti amo e verrò con te, facendo soffrire la bambina che tu hai portato nelle nostre vite … Vuoi che accada?”

“Louis … avrai per sempre il mio amore”

“Vincent …”

Fu un attimo.
Di quelli che durano un’eternità.

La polvere, i sassi, un rumore scomposto ed improvviso.

Il terreno aveva ceduto, senza che Lux decidesse nulla.

Louis si gettò in avanti, senza esitare, per afferrarlo.

Le loro dita si intrecciarono e, con un gesto sovrumano per la corporatura esile di Boo, egli riuscì a trattenere Vincent.

Arrancando tra i ciottoli, i piedi dell’affarista riuscirono a puntarsi su delle sporgenze minime, ma provvidenziali.

Appena il sapore dell’erba investì le sue narici, Lux strinse forte a sé Louis, inginocchiandosi, sconvolto.

“Sei salvo … Sei ancora qui … Ancora qui, con me.”








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