mercoledì 30 luglio 2014

ZEN - CAPITOLO N. 332

Capitolo n. 332 – zen




Shan si aggiustò la cuffia, nascondendo la sua ricrescita minima.

Anche se non se ne vergognava, non si piaceva granché, con quelle occhiaie appena accennate, sul viso scarno, ma sbarbato, dove i suoi occhi sembravano ancora più grandi, nell’immagine rimandata dallo specchio del settecento, in uno dei numerosi salottini, al secondo piano di villa Rice.

Owen lo raggiunse con trepidazione e gioia.

“Tesoro, Thelma mi ha detto che eri qui e sono corso subito” – lo abbracciò, su quelle parole colme del suo sorriso, che Leto ricambiò, non senza impaccio.

“Sì, la tua governante voleva farmi mangiare almeno tre fette di torta, ma le ho spiegato che ho un po’ di nausea, spero non si sia offesa Owen”

“Figurati … Dai sediamoci, in effetti sei pallido, vuoi qualcosa di caldo?”

“Magari un tè … Con dei salatini, riesco a mangiare unicamente quelli, dopo la chemio, non vorrei disturbare però”

“Ma scherzi?” – Rice prese un respiro, fissandolo, mentre gli raccoglieva le mani tra le proprie – “Questa è casa tua amore … Scusa se ti chiamo così, però è ciò che mi ispiri e poi sei bellissimo” – disse sincero.

“No, sono orrendo” – il batterista si schernì, adorabile con quel suo vocione caldo, che ad Owen mancava da morire.

Il gallerista gli diete una carezza con il pollice sinistro, su entrambi gli zigomi asciutti – “Tu sei tutto ciò che amo, voglio ripetertelo, nel caso te ne fossi scordato” – sorrise arrossendo.

Shannon non lo aveva mai visto così.



Lux non gli aveva dato alcuna risposta, la sera precedente.

Si era coricato insieme a lui, tenendolo stretto a sé, ma nulla più.
Kirill si stava cambiando per andare al lavoro, dopo essersi svegliato da solo.

Aveva preso un caffè, un nodo alla gola, che ancora lo tormentava, mentre sbirciava fuori la finestra del soggiorno, seguendo i passi veloci di quel brulichio di gente, in affanno per le ultime compere.

Era la vigilia e lui avrebbe fatto doppio turno.

Il giorno dopo era di riposo ed aveva programmato il tutto, nella speranza di trascorrere il giorno di Natale con Vincent, al momento sparito.
Perduto, forse.

Kirill iniziò a piangere, dannandosi a mezza voce per averci creduto, almeno per un attimo, che potesse funzionare.

Quindi si accasciò lungo la parete; era in ritardo, così riscattò in piedi, come un soldato, con una missione da compiere.

Lui non voleva mollare, non voleva deludersi ulteriormente: certo sarebbe stato facile vendersi anche nella grande mela, on line c’erano annunci sibillini e loschi, che lo avrebbero fatto rientrare nel giro in un nano secondo.

Kirill non avrebbe ceduto alla tentazione, anche se ormai doveva mettersi in testa che il percorso era in solitaria.

Insomma doveva crescere, responsabilizzarsi e, magari, avrebbe anche trovato qualcuno che lo amasse almeno un po’, per ciò che era diventato, finalmente.


La blindata si spalancò e lui ebbe un sussulto.

“Mon Dieux trovare un abete vero in questo manicomio ed a quest’ora è stata una pazzia!”

Vincent rise, spingendo all’interno del loft un albero, di almeno due metri, con i rami intrappolati in una retina verdastra.

“Ti … ti do una mano, aspetta!” – esclamò balbettando il giovane, precipitandosi da lui.

“Grazie cucciolo … E non potevamo mica cenare con quel coso a fibre ottiche in mezzo al tavolo”

“Sì, sì, non ci avevo pensato …”

“Tutto a posto Kirill? Stai facendo tardi …”

“No, no, se mi accompagni”

“Certo” – lo interruppe, avvolgendolo per baciarlo intenso.

Quando si distaccarono, il tremore del suo addome, andò a scontrarsi con quello più solido e sicuro di Lux, che gli sorrise dolce.

“Buon Natale Kirill … Ciò che voglio è trascorrerlo insieme a te, così i giorni a venire” – disse fermo e deciso.

“Dio … io … non so cosa dire …”

“Semplicemente sì, se lo vuoi anche tu”

Kirill annuì, le pulsazioni accelerate.

Lux lo baciò nuovamente.

Fuori ricominciò a nevicare.



https://www.youtube.com/watch?v=YsdqqqMKkT4



Vederlo scendere con l’ascensore interno, ma panoramico, fu un colpo al cuore un po’ per tutti i presenti, già riuniti a tavola, sotto la veranda, che era stata chiusa ermeticamente da ampie vetrate.

Glam era visibilmente stanco, ma quell’intruglio di morfina e vitamine, che aveva in circolo da ore, sembrò aiutarlo, sia a comandare la sedia a rotelle elettronica, sia a fare persino un brindisi.

Lula sempre al suo fianco, ad accarezzargli i polsi, a sorridergli, come un angelo custode.
Instancabile.

“Grazie per essere qui … Non sarò di compagnia, nel divorare le prelibatezze preparate da David, Carmela, Pam, Sveva, Sylvie e Miss Wong, ma farò il possibile” – sorrise ed era bello, ancora così bello, pensarono sia Jared, che Kevin ed anche Robert, fissandolo, senza quasi più respirare.

Nemmeno per loro sarebbe stato semplice mangiare e divertirsi, in quella strana e straziante attesa, di un epilogo dietro l’angolo, per l’uomo che adoravano, oltre ogni buon senso.

L’amore non ne avrebbe avuto mai.

I bimbi rallegrarono la serata e l’estrazione a sorte dei gioielli della collezione Geffen, fu come un gioco per loro.

Quel testamento andava al di là dei beni materiali.

Geffen raccomandava e consegnava a Kevin e Tim, i propri figli, non faceva che ripeterlo.
Lula rimaneva vicino a lui, come un’ombra, anche verso la mezzanotte.

Lo scambio di auguri e doni fu commovente.

Geffen aveva chiesto di raccogliere del denaro, al posto di strenne, che non avrebbe potuto godersi: l’equivalente, così monetizzato in una somma cospicua, sarebbe stato inviato all’orfanotrofio di Miss Gramble, il giorno seguente.


Downey gli si avvicinò, comunque, con una lettera.

“Forse non ti senti di leggerla, ma io non posso farlo Glam, non andrei più avanti della prima riga” – gli sussurrò, gli occhi lucidi.

“Ti amo Robert … Ti amo così tanto, che vorrei rimanere solo per ricordartelo, fino ad annoiarti” – sorrise.

“Non accadrebbe e tu lo sai … Sai tutto di me” – ed appoggiò la fronte sulla sua spalla, piangendo in silenzio.

Jude li osservava, Glam nella sua compostezza, per non creare inutili ed estremi imbarazzi, Robert nel più totale abbandono, a quei sentimenti incancellabili.


Ancora una fetta di dolce, ancora una favola, raccontata da Meliti.


“Io salgo … Vorrei dormire, non riesco a stare sveglio” – si congedò l’avvocato e Colin esortò Jared a scortarlo, sino al piano di sopra.

“Tesoro, se vuoi rimanere con lui, io capirò” – gli disse amorevole l’irlandese, ma Leto stava tremando, al pensiero di vedere morire Geffen, perché sembrava ormai privo di energie.

In ogni caso annuì, sostenuto da Kevin, esortato a fare lo stesso da Tim.

Il bassista ed il cantante accolsero il loro invito, prendendosi cura di Glam, forse per l’ultima volta.



Schiacciarlo contro il materasso, mentre gli veniva dentro per la seconda volta, fu così facile per Rice e così inutile al tempo stesso, nella speranza di trattenerlo lì.

Shannon gli aveva detto di no, alla proposta di matrimonio, ma poi quel silenzio fu colorato da un cercarsi in un bacio, di appartenenza e di addio al tempo stesso.

Fecero l’amore, lui ed Owen in quel tardo pomeriggio, ma ora Shan, dopo lo scoccare della mezzanotte, era sulla spiaggia di Palm Springs, allacciato a Tomo, che non gli aveva chiesto dove fosse finito in quelle ore, lontano da lui.

Shan c’era, era lì, non importava altro.

Rice ed i suoi figli, invece, stavano già volando verso Londra, per trascorrere le feste con i nonni inglesi.

Il miliardario si guardava intorno: aveva tutto, apparentemente ed in fondo nulla, privato di quell’amore, che aveva custodito come la cosa più preziosa al mondo, sentendosi così stupido, da essersela lasciata scappare, quando la possedeva totalmente.


C’est la vie.













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