Capitolo n. 332 – zen
Shan si aggiustò la
cuffia, nascondendo la sua ricrescita minima.
Anche se non se ne
vergognava, non si piaceva granché, con quelle occhiaie appena accennate, sul
viso scarno, ma sbarbato, dove i suoi occhi sembravano ancora più grandi,
nell’immagine rimandata dallo specchio del settecento, in uno dei numerosi
salottini, al secondo piano di villa Rice.
Owen lo raggiunse
con trepidazione e gioia.
“Tesoro, Thelma mi
ha detto che eri qui e sono corso subito” – lo abbracciò, su quelle parole
colme del suo sorriso, che Leto ricambiò, non senza impaccio.
“Sì, la tua
governante voleva farmi mangiare almeno tre fette di torta, ma le ho spiegato
che ho un po’ di nausea, spero non si sia offesa Owen”
“Figurati … Dai
sediamoci, in effetti sei pallido, vuoi qualcosa di caldo?”
“Magari un tè … Con
dei salatini, riesco a mangiare unicamente quelli, dopo la chemio, non vorrei
disturbare però”
“Ma scherzi?” – Rice
prese un respiro, fissandolo, mentre gli raccoglieva le mani tra le proprie –
“Questa è casa tua amore … Scusa se ti chiamo così, però è ciò che mi ispiri e
poi sei bellissimo” – disse sincero.
“No, sono orrendo” –
il batterista si schernì, adorabile con quel suo vocione caldo, che ad Owen
mancava da morire.
Il gallerista gli
diete una carezza con il pollice sinistro, su entrambi gli zigomi asciutti –
“Tu sei tutto ciò che amo, voglio ripetertelo, nel caso te ne fossi scordato” –
sorrise arrossendo.
Shannon non lo aveva
mai visto così.
Lux non gli aveva
dato alcuna risposta, la sera precedente.
Si era coricato
insieme a lui, tenendolo stretto a sé, ma nulla più.
Kirill si stava
cambiando per andare al lavoro, dopo essersi svegliato da solo.
Aveva preso un
caffè, un nodo alla gola, che ancora lo tormentava, mentre sbirciava fuori la finestra
del soggiorno, seguendo i passi veloci di quel brulichio di gente, in affanno per
le ultime compere.
Era la vigilia e lui
avrebbe fatto doppio turno.
Il giorno dopo era
di riposo ed aveva programmato il tutto, nella speranza di trascorrere il
giorno di Natale con Vincent, al momento sparito.
Perduto, forse.
Kirill iniziò a
piangere, dannandosi a mezza voce per averci creduto, almeno per un attimo, che
potesse funzionare.
Quindi si accasciò
lungo la parete; era in ritardo, così riscattò in piedi, come un soldato, con
una missione da compiere.
Lui non voleva
mollare, non voleva deludersi ulteriormente: certo sarebbe stato facile
vendersi anche nella grande mela, on line c’erano annunci sibillini e loschi,
che lo avrebbero fatto rientrare nel giro in un nano secondo.
Kirill non avrebbe
ceduto alla tentazione, anche se ormai doveva mettersi in testa che il percorso
era in solitaria.
Insomma doveva
crescere, responsabilizzarsi e, magari, avrebbe anche trovato qualcuno che lo
amasse almeno un po’, per ciò che era diventato, finalmente.
La blindata si
spalancò e lui ebbe un sussulto.
“Mon Dieux trovare
un abete vero in questo manicomio ed a quest’ora è stata una pazzia!”
Vincent rise,
spingendo all’interno del loft un albero, di almeno due metri, con i rami
intrappolati in una retina verdastra.
“Ti … ti do una
mano, aspetta!” – esclamò balbettando il giovane, precipitandosi da lui.
“Grazie cucciolo … E
non potevamo mica cenare con quel coso a fibre ottiche in mezzo al tavolo”
“Sì, sì, non ci
avevo pensato …”
“Tutto a posto
Kirill? Stai facendo tardi …”
“No, no, se mi
accompagni”
“Certo” – lo
interruppe, avvolgendolo per baciarlo intenso.
Quando si
distaccarono, il tremore del suo addome, andò a scontrarsi con quello più
solido e sicuro di Lux, che gli sorrise dolce.
“Buon Natale Kirill
… Ciò che voglio è trascorrerlo insieme a te, così i giorni a venire” – disse
fermo e deciso.
“Dio … io … non so
cosa dire …”
“Semplicemente sì,
se lo vuoi anche tu”
Kirill annuì, le
pulsazioni accelerate.
Lux lo baciò
nuovamente.
Fuori ricominciò a
nevicare.
https://www.youtube.com/watch?v=YsdqqqMKkT4
Vederlo scendere con
l’ascensore interno, ma panoramico, fu un colpo al cuore un po’ per tutti i
presenti, già riuniti a tavola, sotto la veranda, che era stata chiusa
ermeticamente da ampie vetrate.
Glam era visibilmente
stanco, ma quell’intruglio di morfina e vitamine, che aveva in circolo da ore,
sembrò aiutarlo, sia a comandare la sedia a rotelle elettronica, sia a fare
persino un brindisi.
Lula sempre al suo
fianco, ad accarezzargli i polsi, a sorridergli, come un angelo custode.
Instancabile.
“Grazie per essere
qui … Non sarò di compagnia, nel divorare le prelibatezze preparate da David, Carmela,
Pam, Sveva, Sylvie e Miss Wong, ma farò il possibile” – sorrise ed era bello,
ancora così bello, pensarono sia Jared, che Kevin ed anche Robert, fissandolo,
senza quasi più respirare.
Nemmeno per loro
sarebbe stato semplice mangiare e divertirsi, in quella strana e straziante
attesa, di un epilogo dietro l’angolo, per l’uomo che adoravano, oltre ogni
buon senso.
L’amore non ne
avrebbe avuto mai.
I bimbi rallegrarono
la serata e l’estrazione a sorte dei gioielli della collezione Geffen, fu come
un gioco per loro.
Quel testamento
andava al di là dei beni materiali.
Geffen raccomandava
e consegnava a Kevin e Tim, i propri figli, non faceva che ripeterlo.
Lula rimaneva vicino
a lui, come un’ombra, anche verso la mezzanotte.
Lo scambio di auguri
e doni fu commovente.
Geffen aveva chiesto
di raccogliere del denaro, al posto di strenne, che non avrebbe potuto godersi:
l’equivalente, così monetizzato in una somma cospicua, sarebbe stato inviato
all’orfanotrofio di Miss Gramble, il giorno seguente.
Downey gli si
avvicinò, comunque, con una lettera.
“Forse non ti senti
di leggerla, ma io non posso farlo Glam, non andrei più avanti della prima riga”
– gli sussurrò, gli occhi lucidi.
“Ti amo Robert … Ti
amo così tanto, che vorrei rimanere solo per ricordartelo, fino ad annoiarti” –
sorrise.
“Non accadrebbe e tu
lo sai … Sai tutto di me” – ed appoggiò la fronte sulla sua spalla, piangendo
in silenzio.
Jude li osservava,
Glam nella sua compostezza, per non creare inutili ed estremi imbarazzi, Robert
nel più totale abbandono, a quei sentimenti incancellabili.
Ancora una fetta di
dolce, ancora una favola, raccontata da Meliti.
“Io salgo … Vorrei
dormire, non riesco a stare sveglio” – si congedò l’avvocato e Colin esortò
Jared a scortarlo, sino al piano di sopra.
“Tesoro, se vuoi
rimanere con lui, io capirò” – gli disse amorevole l’irlandese, ma Leto stava
tremando, al pensiero di vedere morire Geffen, perché sembrava ormai privo di
energie.
In ogni caso annuì,
sostenuto da Kevin, esortato a fare lo stesso da Tim.
Il bassista ed il
cantante accolsero il loro invito, prendendosi cura di Glam, forse per l’ultima
volta.
Schiacciarlo contro
il materasso, mentre gli veniva dentro per la seconda volta, fu così facile per
Rice e così inutile al tempo stesso, nella speranza di trattenerlo lì.
Shannon gli aveva
detto di no, alla proposta di matrimonio, ma poi quel silenzio fu colorato da
un cercarsi in un bacio, di appartenenza e di addio al tempo stesso.
Fecero l’amore, lui
ed Owen in quel tardo pomeriggio, ma ora Shan, dopo lo scoccare della
mezzanotte, era sulla spiaggia di Palm Springs, allacciato a Tomo, che non gli
aveva chiesto dove fosse finito in quelle ore, lontano da lui.
Shan c’era, era lì,
non importava altro.
Rice ed i suoi
figli, invece, stavano già volando verso Londra, per trascorrere le feste con i
nonni inglesi.
Il miliardario si
guardava intorno: aveva tutto, apparentemente ed in fondo nulla, privato di
quell’amore, che aveva custodito come la cosa più preziosa al mondo, sentendosi
così stupido, da essersela lasciata scappare, quando la possedeva totalmente.
C’est la vie.
Nessun commento:
Posta un commento