Capitolo n.159 – zen
Dreaming dreams and
dreamers
L’idea
di quell’appuntamento era venuta a Robert.
Certo,
per i regali di Natale poteva essere presto, ma a Glam faceva piacere
trascorrere qualche ora insieme a lui, parlare delle bimbe, di quell’adozione,
ormai insperata, sentire il cuore di Rob scalpitare nelle parole di
gratitudine, affetto, quasi ammirazione per l’uomo, che gli aveva permesso di
realizzare un sogno.
Parole
anche di Jude.
Geffen
non se ne dava alcun merito, semmai ripeteva che Diamond era stata fortunata e
Mrs Gramble intelligente abbastanza, da contribuire al suo futuro semplicemente
radioso.
Come
gli occhi di Robert.
Un
po’ meno incantevoli quelli di chi quasi li spiava, criticando quell’amicizia
spesso finita in prima pagina, sui tabloid di gossip, soprattutto i peggiori,
che morbosamente lucravano vendendo fantasie, basate su scatti rubati alle loro
vite.
Il
prezzo della notorietà, ma Geffen non l’ambiva e tanto meno amava.
Lui
amava Robert.
Forse
in un modo diverso, senza più rimpianti, sensi di colpa, nostalgiche
conversazioni.
Almeno
così credeva, finché l’attore non gli chiese di svoltare verso una strada
laterale, che puntava dritta ad un resort, dove egli stesso aveva prenotato una
suite.
Dalle
loro risate, nel snocciolare aneddoti sulla nuova arrivata a quella visione di Rob,
totalmente diversa, seduto sopra le sue gambe, piegate a fargli da comodo
appoggio, quando lui si rilassava un minimo, per sentirselo dentro, sino alla
fine del proprio cuore, mentre ondeggiava, saliva, scendeva, custodendo il
membro di Glam, come il bene più prezioso ed agognato.
Anche
questi rimaneva addossato alla testata imbottita d’avorio setoso, madido quanto
lui, che si sentiva scoppiare un dolore al centro del petto, dove le mani di
Robert si erano posate, puntandosi quasi, mentre si baciavano e quel dolore
sembrava sparire, distratto dai singulti del suo amante, che lo cavalcava,
venendo nel medesimo attimo, ebbri di un piacere mai dimenticato.
La
fitta tornava, ma i turchesi di Glam cercavano quanto di più attraente c’era in
Downey: il suo volto appagato; poi quanto di più eccitante, con l’imbarazzo
della scelta, ma i suoi capezzoli turgidi, gli sembrarono abissi vibranti, così
che il semplice sfiorarli, da parte dell’avvocato, provocarono un orgasmo più
intenso di quello precedente nel moro, che stava perdendo i sensi.
“Rob
… Robert io …”
Si
strinsero forte.
La
scena mutava; lo sguardo di Glam era riflesso nello specchio del bagno.
Da
lì poteva sentire nitidi i singhiozzi di Robert.
In
essi, ora, non c’era più niente di gradevole.
La
sua faccia, contorta dal rimorso, quasi schiacciata nei suoi palmi, che
sapevano di Geffen, tanto da intossicarlo.
“A
cosa …?”
“Glam
…”
“Glam?
Sai dire solo questo?”
Era
davanti a lui, ormai rivestiti entrambi.
Che
squallore, pensò l’uomo più controverso di Los Angeles: quello che in aula
chiamavano ancora lo squalo: per quanto tempo?
“Glam
io dovevo farlo accadere”
“Che
ti stai inventando? Per ottenere quale risultato? Aggiungere il nulla al nulla
più assoluto?!! Rispondi!!”
Geffen
stava urlando: che sentissero tutti, quanto erano patetici ed orrendi.
“Glam
…”
“Glam …? Glam!”
“Sì … Rob …”
Il suo sorriso era
incantevole.
“Glam ti sei
addormentato in auto” – rise – “Abbiamo fatto benzina, tempo di prendere questo
per Dady e Camy e tu”
L’artista gli stava
mostrando due peluche buffi, ma Geffen, sotto il giaccone, provava un disagio
ben preciso.
“Non mi sento bene …
Dovrei … Dovrei cambiarmi … Queste medicine mi stanno prosciugando” – si lamentò,
preoccupando immediato Downey, che rimise in moto, dirigendosi verso il
quartiere dove abitavano Shannon e Tomo, i primi che gli vennero in mente, per
consentire a Glam di riprendersi in un ambiente familiare.
Le restanti residenze
erano troppo distanti, per non parlare di Palm Springs, dove Geffen doveva
comunque tornare entro sera: Kevin, Tim e Lula erano attesi per cena, anche per
discutere di eventuali aggiornamenti su Ivo e presentare i nuovi bodyguards a
Glam.
Una serie di
programmi, che gli sembrarono talmente ingestibili, in quel frangente, da
deprimerlo in una maniera sconosciuta.
Avrebbe voluto
gridare e spaccare il vetro, contro il quale stava appoggiato con la tempia
destra, pulsante e gelida, come le sue dita, vuote di Robert, al di là dei
sogni.
“Fumi?”
“Ciao Colin … Ne vuoi
una?”
“Sì, ma veloce, sai
che Jared mi sgrida” – rivelò complice ed a Justin sembrò un dejà vu.
Sorrise, porgendogli
una Camel, dopo averla accesa personalmente, senza che a Farrell desse
fastidio.
La sensazione fu
oltremodo positiva, come appartarsi nel retro del locale, dove impazzava una
festa troppo assordante ed alcolica, per l’irlandese, ormai sobrio e pulito da
tempo.
Un tempo in cui
Justin era cresciuto, come notato da Jared, durante quella video chat di alcuni
giorni prima; Jared, che adesso si trovava al centro di una pista improvvisata,
avvinghiato ad Eamon, brillo quanto il cognato, che ridacchiava nel constatare
come Steven avesse un’aria truce, su quel look da “collegiale”, come l’aveva
definito il cantante, sotto voce al marito, appena salirono sull’auto di
Mannion, per recarsi all’inaugurazione del pub.
“I tuoi guys si
divertono” – scherzò Justin, indicando oltre il vetro Jared e soci.
“Sì, ci voleva …
Ultimamente Jared è un po’ in crisi, non che sia una novità”
Quella confidenza,
però, gli apparì subito fuori luogo, soprattutto nel notare come l’altro lo
stava scrutando, imbarazzato.
“Si risolverà tutto,
Jared ha una forte personalità, Colin”
“Certo … Lo amo anche
per questo”
Sembrò rimarcarlo,
come se avesse uno scopo, mentre Justin cercava con lo sguardo Brian, tra la
folla esaltata dall’ottima birra, offerta senza badare a spese.
“Tu come stai?”
“Bene Colin, niente
più casini, niente più botte, con Brian …”
“Botte?”
“All’inizio era così …
Cioè ci si azzuffava … Ecco” – ed avvampò.
“Non lo sapevo … O
non lo rammentavo … Scusa” – e deglutì.
“Per cosa?” – sorrise
dolce – “Del resto era un problema che dovevo risolvere io: quando inizi a
credere di meritarlo, allora sei finito. Ho lavorato su me stesso, sull’autostima
perduta, nel lasciarmi assorbire così tanto da Brian, da annullarmi … Non è
stata una passeggiata, però ci amiamo così tanto che ne valeva la pena”
“Lui aveva tra le
mani un tesoro e lo buttava via, così …?” – chiese assorto.
In pratica era come
avere tracciato un parallelo tra le rispettive relazioni: anche lui, con Jared,
aveva sbagliato spesso e volentieri, dimostrando un’indole aggressiva,
immatura, a tratti bestiale.
Colin strizzò le
palpebre, sentendo un vuoto allo stomaco.
Era traumatizzante
ripercorrere ogni volta quella maledetta notte ad Haiti.
Se fosse esistita una
pillola per cancellarla dalla memoria, l’avrebbe presa al volo.
“Brian sa chi sono …
anzi, cosa siamo noi … ed è bellissimo” – confermò sereno.
“Sì … E’ il minimo” –
sorrise inquieto.
“Devo rientrare … E
dovresti farlo anche tu, Colin, per salvare Jared da Steven: credo se lo voglia
mangiare” – rise allegro, facendo strada.
Farrell spense in
fretta la cicca sul muro e lo seguì, in silenzio.
Shannon li accolse
premuroso.
Tomo preparò del
caffè ed una tisana, la preferita da Geffen, che, seguito amorevolmente anche
da Robert, si ritrovò nella camera degli ospiti, con il batterista alla ricerca
di un cambio nella cabina armadio, dove metteva piede di rado.
“Sai ci sono un mare
di indumenti ancora imbustati, è Jared ad accumularli qui … Rob guarda un po’
questi” – e gli lanciò un completo intimo di pregio.
“Scommetto che tu non
butti nulla, come me …” – osservò Downey, mascherando la propria ansia, senza
successo.
Leto lo fissò – “Ehi,
che c’è?” – domandò con il suo tono caldo.
Glam si stava facendo
una doccia, dopo avere infilato i vestiti nella lavatrice, con una discreta
disinvoltura: gli piaceva stare lì.
“Sono amareggiato …
Per la salute di Glam: temo di avergliela rovinata a mia volta e … Non so, io” –
si commosse.
Shan gli si avvicinò
e sopraggiunse anche Tomo.
“Lui ti vuole così
bene, Robert, non penso abbia un senso la tua teoria … Semmai Jay …”
Il croato, però, gli
lanciò un’occhiata di rimprovero.
“Voglio il meglio per
Glam, anche se poi ne sarei geloso” – sorrise tirato.
Geffen si palesò in
accappatoio, tamponandosi i capelli cortissimi.
“Cos’hanno trovato i
miei angeli custodi?” – domandò scherzoso, ma un po’ pallido.
Tomo lo scortò in
poltrona – “Beverone e biscotti, abbuffati, ok?”
“Ok …” – replicò lui
perplesso, ma compiaciuto.
Shannon scovò
finalmente una tuta e Rob dispiegò boxer e vogatore, neri, sul bracciolo, dove
Glam gli fece spazio – “Ehi tu, vieni qui …” – lo invitò ad accomodarsi, con
fare simpatico.
Tomo e Shan uscirono.
“Quei farmaci Rob …” –
esordì sommesso.
“E’ di questo che si
tratta?” – bissò tormentandosi le mani.
Geffen sorrise – “Sei
incagliato nel mio inconscio, sai?”
“Come …?”
“Prima ti ho …
sognato, durante la mia … catalessi” – rise amaro – “E … ed è era così vero,
reale Robert … Io sono”
“Glam”
Lo interruppe,
sentendosi terribilmente stupido.
“Perdonami, io devo
andare e”
“Non avrei mai voluto
vederti così, Robert, in fuga da me, dalle mie … scomode esperienze”
“Tu sbagli, sai
quanto ci tengo a te”
“Ma le tue priorità
sono altre, lo so Rob” – si alzò, mentre Robert l’aveva fatto da un pezzo.
Erano al centro della
stanza, nel vuoto più assurdo avessero mai dovuto affrontare.
“In me c’è qualcosa
che non va … Ed io comincio ad esserne spaventato a morte: questa è la verità,
che non ho mai voluto nasconderti Rob” – affermò schietto, sebbene scosso.
Downey gli volò al
collo e caddero sul parquet, così come avvenne su quella sabbia, quando
unicamente lui perse le forze, davanti al gesto di Glam, nell’affidare le loro
fedi nuziali all’oceano.
Sembrava anche quello
un frammento onirico, al seguito di una meteora impazzita, quale era Glam
Geffen, nella galassia dei sentimenti falliti e senza futuro, in cui anche mr
Iron Man era stato coinvolto, ma non distrutto.
Lui esisteva, nella
sua integrità, anche di padre, che voleva correre dalle figlie.
Adesso.
Jared lo trascinò
nella toilette.
“Come in Marocco” –
gli soffiò nell’orecchio il leader dei Mars, bollente ed alticcio, ma Colin non
sembrò gradire a pieno quell’iniziativa.
Erano un po’ grandi per farsi beccare in quella
maniera, per di più da amici, che li avevano invitati per un evento simile.
Ormai era tardi e la
serratura scattò, tra le risa di Jared e la musica, filodiffusa sino a lì.
Cominciarono a
baciarsi, ma nel cervello di Farrell sembrarono affiorare altre immagini, meno
concrete del marito, quasi nudo, che si era già inginocchiato tra le cosce del
suo Re d’Irlanda, per spogliarlo senza esitazione alcuna e fargli “… ciò che mi
riesce meglio Cole” – gemette, ammirandolo da quella prospettiva scomoda.
Farrell annuì a corto
di ossigeno, chiudendo gli occhi e vedendo un Justin più acerbo, che si
appendeva a lui, mentre scopavano nell’appartamento del grafico.
L’odore intorno
sapeva di erba ed in effetti qualcuno si stava facendo uno spinello ad un metro
da loro, ignorandone la presenza.
Colin si riprese, ma
abbandonarsi a quelle fantasie, mentre il proprio sesso affondava nella bocca,
ancora perfetta di Leto, aveva il sapore di una trasgressione innocua, anche se
poco edificante.
Il busto esile di
Justin, però, con quelle scie di sudore, saliva ed umori, che si lasciava
impalare, dopo che Colin gli era venuto tra le labbra ed il giugolo, tanto
generoso da traboccare, lo investirono nuovamente.
Un’eccitazione
progressiva, che non gli dava tregua e Justin non chiedeva di meglio, perché il
suo fisico gli permetteva ogni azzardo, sregolato o romantico, senza mai andare
in carenza di energie; semmai sembrava tirarne fuori in quantità smisurata dal
proprio amante, in quel caso Farrell.
Ogni angolo di quel
loft sembrava l’ideale per quell’amplesso, che forse non era mai neppure
avvenuto realmente tra i due, ma, ormai, fantasia e realtà erano fuse all’unisono,
come Colin e Justin … Ops, Jared.
Le guance di lui,
piene, caparbie, le dita di Colin sotto il mento del coniuge, rischiando di
soffocarlo, mentre lo colmava di sé.
C’era una minima
costrizione, ma a Jared non importava, confuso dall’alcol e dal volerlo
stupire, in una rinnovata e mai spenta intesa.
Peccato che Colin
stesse pensando ad un altro, intontito dal fumo passivo della marijuana
consumata da uno sconosciuto, così come percepiva sé stesso, in quel contesto,
verso un Jared tremante ed incerto sulle gambe, che non tardò a perdere i
sensi, come un fantoccio, che non serviva più a nessuno.
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