lunedì 29 luglio 2013

ZEN - CAPITOLO N. 159

Capitolo n.159 – zen


Dreaming dreams and dreamers



L’idea di quell’appuntamento era venuta a Robert.
Certo, per i regali di Natale poteva essere presto, ma a Glam faceva piacere trascorrere qualche ora insieme a lui, parlare delle bimbe, di quell’adozione, ormai insperata, sentire il cuore di Rob scalpitare nelle parole di gratitudine, affetto, quasi ammirazione per l’uomo, che gli aveva permesso di realizzare un sogno.
Parole anche di Jude.
Geffen non se ne dava alcun merito, semmai ripeteva che Diamond era stata fortunata e Mrs Gramble intelligente abbastanza, da contribuire al suo futuro semplicemente radioso.
Come gli occhi di Robert.
Un po’ meno incantevoli quelli di chi quasi li spiava, criticando quell’amicizia spesso finita in prima pagina, sui tabloid di gossip, soprattutto i peggiori, che morbosamente lucravano vendendo fantasie, basate su scatti rubati alle loro vite.
Il prezzo della notorietà, ma Geffen non l’ambiva e tanto meno amava.
Lui amava Robert.
Forse in un modo diverso, senza più rimpianti, sensi di colpa, nostalgiche conversazioni.
Almeno così credeva, finché l’attore non gli chiese di svoltare verso una strada laterale, che puntava dritta ad un resort, dove egli stesso aveva prenotato una suite.

Dalle loro risate, nel snocciolare aneddoti sulla nuova arrivata a quella visione di Rob, totalmente diversa, seduto sopra le sue gambe, piegate a fargli da comodo appoggio, quando lui si rilassava un minimo, per sentirselo dentro, sino alla fine del proprio cuore, mentre ondeggiava, saliva, scendeva, custodendo il membro di Glam, come il bene più prezioso ed agognato.
Anche questi rimaneva addossato alla testata imbottita d’avorio setoso, madido quanto lui, che si sentiva scoppiare un dolore al centro del petto, dove le mani di Robert si erano posate, puntandosi quasi, mentre si baciavano e quel dolore sembrava sparire, distratto dai singulti del suo amante, che lo cavalcava, venendo nel medesimo attimo, ebbri di un piacere mai dimenticato.

La fitta tornava, ma i turchesi di Glam cercavano quanto di più attraente c’era in Downey: il suo volto appagato; poi quanto di più eccitante, con l’imbarazzo della scelta, ma i suoi capezzoli turgidi, gli sembrarono abissi vibranti, così che il semplice sfiorarli, da parte dell’avvocato, provocarono un orgasmo più intenso di quello precedente nel moro, che stava perdendo i sensi.
“Rob … Robert io …”
Si strinsero forte.

La scena mutava; lo sguardo di Glam era riflesso nello specchio del bagno.
Da lì poteva sentire nitidi i singhiozzi di Robert.
In essi, ora, non c’era più niente di gradevole.

La sua faccia, contorta dal rimorso, quasi schiacciata nei suoi palmi, che sapevano di Geffen, tanto da intossicarlo.

“A cosa …?”
“Glam …”
“Glam? Sai dire solo questo?”
Era davanti a lui, ormai rivestiti entrambi.
Che squallore, pensò l’uomo più controverso di Los Angeles: quello che in aula chiamavano ancora lo squalo: per quanto tempo?

“Glam io dovevo farlo accadere”
“Che ti stai inventando? Per ottenere quale risultato? Aggiungere il nulla al nulla più assoluto?!! Rispondi!!”
Geffen stava urlando: che sentissero tutti, quanto erano patetici ed orrendi.
“Glam …”

“Glam …? Glam!”
“Sì … Rob …”
Il suo sorriso era incantevole.
“Glam ti sei addormentato in auto” – rise – “Abbiamo fatto benzina, tempo di prendere questo per Dady e Camy e tu”
L’artista gli stava mostrando due peluche buffi, ma Geffen, sotto il giaccone, provava un disagio ben preciso.

“Non mi sento bene … Dovrei … Dovrei cambiarmi … Queste medicine mi stanno prosciugando” – si lamentò, preoccupando immediato Downey, che rimise in moto, dirigendosi verso il quartiere dove abitavano Shannon e Tomo, i primi che gli vennero in mente, per consentire a Glam di riprendersi in un ambiente familiare.
Le restanti residenze erano troppo distanti, per non parlare di Palm Springs, dove Geffen doveva comunque tornare entro sera: Kevin, Tim e Lula erano attesi per cena, anche per discutere di eventuali aggiornamenti su Ivo e presentare i nuovi bodyguards a Glam.
Una serie di programmi, che gli sembrarono talmente ingestibili, in quel frangente, da deprimerlo in una maniera sconosciuta.
Avrebbe voluto gridare e spaccare il vetro, contro il quale stava appoggiato con la tempia destra, pulsante e gelida, come le sue dita, vuote di Robert, al di là dei sogni.


“Fumi?”
“Ciao Colin … Ne vuoi una?”
“Sì, ma veloce, sai che Jared mi sgrida” – rivelò complice ed a Justin sembrò un dejà vu.

Sorrise, porgendogli una Camel, dopo averla accesa personalmente, senza che a Farrell desse fastidio.
La sensazione fu oltremodo positiva, come appartarsi nel retro del locale, dove impazzava una festa troppo assordante ed alcolica, per l’irlandese, ormai sobrio e pulito da tempo.
Un tempo in cui Justin era cresciuto, come notato da Jared, durante quella video chat di alcuni giorni prima; Jared, che adesso si trovava al centro di una pista improvvisata, avvinghiato ad Eamon, brillo quanto il cognato, che ridacchiava nel constatare come Steven avesse un’aria truce, su quel look da “collegiale”, come l’aveva definito il cantante, sotto voce al marito, appena salirono sull’auto di Mannion, per recarsi all’inaugurazione del pub.

“I tuoi guys si divertono” – scherzò Justin, indicando oltre il vetro Jared e soci.
“Sì, ci voleva … Ultimamente Jared è un po’ in crisi, non che sia una novità”

Quella confidenza, però, gli apparì subito fuori luogo, soprattutto nel notare come l’altro lo stava scrutando, imbarazzato.

“Si risolverà tutto, Jared ha una forte personalità, Colin”
“Certo … Lo amo anche per questo”
Sembrò rimarcarlo, come se avesse uno scopo, mentre Justin cercava con lo sguardo Brian, tra la folla esaltata dall’ottima birra, offerta senza badare a spese.

“Tu come stai?”
“Bene Colin, niente più casini, niente più botte, con Brian …”
“Botte?”
“All’inizio era così … Cioè ci si azzuffava … Ecco” – ed avvampò.
“Non lo sapevo … O non lo rammentavo … Scusa” – e deglutì.
“Per cosa?” – sorrise dolce – “Del resto era un problema che dovevo risolvere io: quando inizi a credere di meritarlo, allora sei finito. Ho lavorato su me stesso, sull’autostima perduta, nel lasciarmi assorbire così tanto da Brian, da annullarmi … Non è stata una passeggiata, però ci amiamo così tanto che ne valeva la pena”
“Lui aveva tra le mani un tesoro e lo buttava via, così …?” – chiese assorto.
In pratica era come avere tracciato un parallelo tra le rispettive relazioni: anche lui, con Jared, aveva sbagliato spesso e volentieri, dimostrando un’indole aggressiva, immatura, a tratti bestiale.
Colin strizzò le palpebre, sentendo un vuoto allo stomaco.
Era traumatizzante ripercorrere ogni volta quella maledetta notte ad Haiti.
Se fosse esistita una pillola per cancellarla dalla memoria, l’avrebbe presa al volo.

“Brian sa chi sono … anzi, cosa siamo noi … ed è bellissimo” – confermò sereno.
“Sì … E’ il minimo” – sorrise inquieto.
“Devo rientrare … E dovresti farlo anche tu, Colin, per salvare Jared da Steven: credo se lo voglia mangiare” – rise allegro, facendo strada.
Farrell spense in fretta la cicca sul muro e lo seguì, in silenzio.


Shannon li accolse premuroso.
Tomo preparò del caffè ed una tisana, la preferita da Geffen, che, seguito amorevolmente anche da Robert, si ritrovò nella camera degli ospiti, con il batterista alla ricerca di un cambio nella cabina armadio, dove metteva piede di rado.

“Sai ci sono un mare di indumenti ancora imbustati, è Jared ad accumularli qui … Rob guarda un po’ questi” – e gli lanciò un completo intimo di pregio.
“Scommetto che tu non butti nulla, come me …” – osservò Downey, mascherando la propria ansia, senza successo.
Leto lo fissò – “Ehi, che c’è?” – domandò con il suo tono caldo.

Glam si stava facendo una doccia, dopo avere infilato i vestiti nella lavatrice, con una discreta disinvoltura: gli piaceva stare lì.

“Sono amareggiato … Per la salute di Glam: temo di avergliela rovinata a mia volta e … Non so, io” – si commosse.
Shan gli si avvicinò e sopraggiunse anche Tomo.

“Lui ti vuole così bene, Robert, non penso abbia un senso la tua teoria … Semmai Jay …”
Il croato, però, gli lanciò un’occhiata di rimprovero.

“Voglio il meglio per Glam, anche se poi ne sarei geloso” – sorrise tirato.
Geffen si palesò in accappatoio, tamponandosi i capelli cortissimi.

“Cos’hanno trovato i miei angeli custodi?” – domandò scherzoso, ma un po’ pallido.
Tomo lo scortò in poltrona – “Beverone e biscotti, abbuffati, ok?”
“Ok …” – replicò lui perplesso, ma compiaciuto.
Shannon scovò finalmente una tuta e Rob dispiegò boxer e vogatore, neri, sul bracciolo, dove Glam gli fece spazio – “Ehi tu, vieni qui …” – lo invitò ad accomodarsi, con fare simpatico.

Tomo e Shan uscirono.

“Quei farmaci Rob …” – esordì sommesso.
“E’ di questo che si tratta?” – bissò tormentandosi le mani.
Geffen sorrise – “Sei incagliato nel mio inconscio, sai?”
“Come …?”
“Prima ti ho … sognato, durante la mia … catalessi” – rise amaro – “E … ed è era così vero, reale Robert … Io sono”
“Glam”
Lo interruppe, sentendosi terribilmente stupido.

“Perdonami, io devo andare e”
“Non avrei mai voluto vederti così, Robert, in fuga da me, dalle mie … scomode esperienze”
“Tu sbagli, sai quanto ci tengo a te”
“Ma le tue priorità sono altre, lo so Rob” – si alzò, mentre Robert l’aveva fatto da un pezzo.

Erano al centro della stanza, nel vuoto più assurdo avessero mai dovuto affrontare.

“In me c’è qualcosa che non va … Ed io comincio ad esserne spaventato a morte: questa è la verità, che non ho mai voluto nasconderti Rob” – affermò schietto, sebbene scosso.
Downey gli volò al collo e caddero sul parquet, così come avvenne su quella sabbia, quando unicamente lui perse le forze, davanti al gesto di Glam, nell’affidare le loro fedi nuziali all’oceano.
Sembrava anche quello un frammento onirico, al seguito di una meteora impazzita, quale era Glam Geffen, nella galassia dei sentimenti falliti e senza futuro, in cui anche mr Iron Man era stato coinvolto, ma non distrutto.
Lui esisteva, nella sua integrità, anche di padre, che voleva correre dalle figlie.
Adesso.


Jared lo trascinò nella toilette.
“Come in Marocco” – gli soffiò nell’orecchio il leader dei Mars, bollente ed alticcio, ma Colin non sembrò gradire a pieno quell’iniziativa.

Erano un po’ grandi per farsi beccare in quella maniera, per di più da amici, che li avevano invitati per un evento simile.

Ormai era tardi e la serratura scattò, tra le risa di Jared e la musica, filodiffusa sino a lì.

Cominciarono a baciarsi, ma nel cervello di Farrell sembrarono affiorare altre immagini, meno concrete del marito, quasi nudo, che si era già inginocchiato tra le cosce del suo Re d’Irlanda, per spogliarlo senza esitazione alcuna e fargli “… ciò che mi riesce meglio Cole” – gemette, ammirandolo da quella prospettiva scomoda.
Farrell annuì a corto di ossigeno, chiudendo gli occhi e vedendo un Justin più acerbo, che si appendeva a lui, mentre scopavano nell’appartamento del grafico.

L’odore intorno sapeva di erba ed in effetti qualcuno si stava facendo uno spinello ad un metro da loro, ignorandone la presenza.

Colin si riprese, ma abbandonarsi a quelle fantasie, mentre il proprio sesso affondava nella bocca, ancora perfetta di Leto, aveva il sapore di una trasgressione innocua, anche se poco edificante.

Il busto esile di Justin, però, con quelle scie di sudore, saliva ed umori, che si lasciava impalare, dopo che Colin gli era venuto tra le labbra ed il giugolo, tanto generoso da traboccare, lo investirono nuovamente.

Un’eccitazione progressiva, che non gli dava tregua e Justin non chiedeva di meglio, perché il suo fisico gli permetteva ogni azzardo, sregolato o romantico, senza mai andare in carenza di energie; semmai sembrava tirarne fuori in quantità smisurata dal proprio amante, in quel caso Farrell.
Ogni angolo di quel loft sembrava l’ideale per quell’amplesso, che forse non era mai neppure avvenuto realmente tra i due, ma, ormai, fantasia e realtà erano fuse all’unisono, come Colin e Justin … Ops, Jared.

Le guance di lui, piene, caparbie, le dita di Colin sotto il mento del coniuge, rischiando di soffocarlo, mentre lo colmava di sé.
C’era una minima costrizione, ma a Jared non importava, confuso dall’alcol e dal volerlo stupire, in una rinnovata e mai spenta intesa.
Peccato che Colin stesse pensando ad un altro, intontito dal fumo passivo della marijuana consumata da uno sconosciuto, così come percepiva sé stesso, in quel contesto, verso un Jared tremante ed incerto sulle gambe, che non tardò a perdere i sensi, come un fantoccio, che non serviva più a nessuno.









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