venerdì 11 novembre 2011

One shot – I nostri anni

One shot – I nostri anni


Era una sensazione sottile, quella che la paura stava trasmettendo a Watson, accucciato dietro ad Holmes, tra frasche lussureggianti ed un ruscello, nel quale erano scivolati almeno un paio di volte, sino alle ginocchia, percorrendo un sentiero troppo stretto, per raggiungere quel magazzino, dove probabilmente si stava nascondendo la banda dei francesi.
Il soldato sfiorava con lo sguardo, la linea delle spalle di Holmes, costrette in una giacca, che gli apparteneva e di cui l’investigatore aveva voluto appropriarsi a tutti i costi.
Era così infantile in certi momenti, talmente possessivo da fare sorridere e persino commuovere l’amico.
Il giorno precedente a quell’assurda missione avevano litigato sui rischi della stessa.
In quell’edificio abbandonato, erano almeno una ventina i delinquenti, riunitisi per spartirsi il bottino di numerose rapine in quel di Londra.
La contessa Wallace aveva ingaggiato Holmes per recuperare un prezioso gioiello, dono di un amante segreto: se fosse arrivato nelle mani della polizia, in via ufficiale, rischiava il divorzio dal ricco marito, dal quale non poteva separarsi per intricate ragioni familiari.
Watson protestò con veemenza, vista la natura poco ortodossa delle motivazioni, in base alle quali era stato offerto quell’incarico, ma Holmes fu irremovibile.
“Non dobbiamo giudicare, ma solo agire!”
C’era in lui una rabbia, molto simile ad una protesta recondita verso altri argomenti, che nessuno dei due aveva il coraggio di affrontare, non dopo quella notte di dieci giorni prima, durante la quale caddero l’uno nelle braccia dell’altro.
Avevano corso l’ennesimo rischio, avventurandosi in un cantiere navale, dove operai e carpentieri chiassosi, stavano assemblando un vascello enorme: durante un inseguimento, era successo un tale parapiglia, che gli ormeggi vennero demoliti, mettendo in serio pericolo la vita di Holmes, incastrato tra lamiere e catene.
Watson lo salvò per miracolo.
Il terrore di perderlo fu atroce e lui non esitò a dirglielo, una volta che si calmò, dopo avere pianto sul cuore di Holmes, che gli accarezzava i capelli, emozionato e stordito da quell’improvvisa dimostrazione esplicita di affetto e devozione, da parte dell’unica persona che egli per primo amava: il suo John.
Lo aveva spogliato timidamente, mentre si baciavano ed anche quel contatto fu inaspettato e magnifico.
Il sapore di John lo stava come narcotizzando, nei pensieri e nel suo desiderio di esprimergli quanto fosse importante per lui: i loro corpi erano percorsi da un’eccitazione devastante e fu semplicemente armonioso e spontaneo congiungersi, tra le lenzuola candide del letto del medico.
“Ti … ti faccio male Sherlock …?” – domandò, sentendosi terribilmente stupido.
Il volto di Holmes era come pervaso dall’estasi ed i suoi ripetuti baci, distribuiti sul petto di Watson, che incombeva su di lui, muovendosi ormai convulsamente, in preda ad orgasmi continui, rappresentava tutto il compiacimento del suo uomo.
“Tu sei il mio compagno … ti amo … ti amo Sherlock …” – ripeteva in affanno, sporgendosi tra lo stipite e la porta, che Holmes stava per chiudere, costringendolo a salutarlo, per non destare sospetti nella padrona di casa, abituata a svegliarli separatamente, portando la colazione ogni mattina.
Così fu strano ed incomprensibile quel gelo che Watson frappose tra loro, quando si ritrovarono da soli nella camera di Holmes e questi provò a baciarlo.
“John io credevo …” – mormorò con la morte nel cuore.
“Mi scusi Holmes, ho trasceso e … e lei ha frainteso …”
“Frainteso? Trasceso??” – esclamò divorando l’aria intorno e lo stesso Watson, che retrocesse di un passo, intimorito da tale veemenza.
“E’ stato un momento di debolezza Holmes … Lo ammetto, la colpa è soltanto mia, lei … lei non doveva assecondarmi, certo e …” – ma un fragoroso schiaffo si infranse sul suo zigomo sinistro, ponendo fine alla conversazione ed al dialogo, sino a quell’ennesimo scontro, per il caso Wallace.


Adesso Watson era lì, ad una distanza minima da Holmes, poteva persino coglierne il battito agitato, ammirando quell’adorabile arteria, che segnava un percorso nitido lungo quel collo, dove lo aveva tempestato di baci, succhiando la pelle pallida, ma compatta, assaporandolo in ogni sfumatura.
“Mi dispiace …” – disse flebile.
Holmes ebbe un tremito, poi si voltò con aria sbigottita – “Watson faccia silenzio, potrebbero scoprir …” – un bacio lo interruppe.
Watson lo investì con le proprie labbra calde e morbide, in quella notte di fine estate, con l’aroma del dopo barba che usava prima di uscire a cena con la fidanzata, che Holmes non gradiva affatto, ma che stava metabolizzando per amore del suo amico più caro.
Le dita del dottore, flessuose e febbrili, si stavano ramificando intorno alla nuca di Sherlock, che perse numerosi battiti in quello scambio di attenzioni appassionate.
Sembrava non finire mai, quando uno sparo non li fece trasalire: come da copione, qualcuno aveva fatto il furbo, sottraendo parte della refurtiva alla distribuzione comune.
“Andiamocene John.”
“Ma il collier …?”
“Non mi importa niente, non posso esporti a questo stupido gioco, miss Wallace dovrà assumersi le proprie responsabilità. Non ci riguarda …” – e sorrise, prendendolo per mano, trascinandolo oltre quella radura, dove avrebbero ripreso la loro carrozza.
Iniziò a piovere: “C’è una locanda Sherlock, fermiamoci, il temporale sta peggiorando.”
“Sei sicuro?” – disse tra il baccano dei tuoni.
Watson lo guardò, annuendo con un sorriso.


“Voglio soltanto accarezzarti …”
Nel riverbero di una vecchia abat jour, le parole di Holmes scivolarono insieme alle sue dita sulle guance di Watson, che socchiuse le palpebre, inspirando un istante dopo l’essenza dell’altro, che non osava baciarlo.
Si erano fatti un lungo bagno, tenendosi stretti, senza dire nulla.
Tra quelle lenzuola, color cenere, adesso si sentivano come esuli in quel mondo, che non li avrebbe accettati.
Watson baciò il palmo di quella mano, che gli stava donando una gioia immensa, così forte da strappargli il cuore in brandelli, per poi ricomporlo più solido e convinto di prima, su quel sentimento al quale non avrebbe mai rinunciato, ne era certo.
“Fammi ciò che vuoi Sherlock … Tranne lasciarmi …”
“Come potrei?” – sospirò, lasciandosi andare nel suo abbraccio, avvolgente e puro.
Si addormentarono, consegnando a quell’alba ed a quegli anni, il loro destino, segnato da una storia d’amore incredibile, quanto immortale.


THE END



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