Capitolo n. 292 - gold
The sign of the dark
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Jamie fece scivolare il proprio corpo con cautela, mescolata alla voglia di lui, che gli stava procurando un’ebbrezza, ormai dimenticata.
Quell’odioso preservativo aveva un unico pregio, l’abbondante lubrificazione, che gli permise di lasciarsi penetrare con una facilità piacevole.
Era a cavalcioni sopra le gambe di Hopper, che stava inclinando il capo, sopra al cuscino stropicciato dal suo sudore, godendo per ogni centimetro che Jamie conquistava, umettandosi le labbra, deglutendo e fissandolo a tratti.
I loro occhi si incontravano, scontravano, ma poi fondevano, come gli ansiti di quell’amplesso: l’addome asciutto e definito del ballerino, si arcuava, seguendo il movimento della sua respirazione sempre più affannosa.
Si librò come in un volo, per poi ricadere, sino in fondo al sesso di Marc, così turgido da fare male, ma gli bastò inclinarsi, assecondato da Hopper, che seguì l’ondeggiare sinuoso e capace del ragazzo.
Il giovane si piegò verso di lui, per baciarlo, divorando i suoi gemiti lussuriosi.
Era una danza, dove soltanto loro erano al centro della scena e la visione di Jamie, che infine sorrise, trovando la posizione migliore, che compiaceva entrambi, fu qualcosa di indimenticabile per Marc.
Lo avvolse con quelle sue braccia robuste e muscolose, sentendo la bocca, la lingua, i denti di Jamie tormentargli il collo taurino.
Stavano venendo, ma lui voleva guardarlo e tempestarlo di ulteriori baci, così lo girò sotto di sé, lasciando che si ancorasse a lui, per prenderlo con foga, una foga devastante.
“Ti … ti amo Jamie … ti amo …” – ed uscì da lui, togliendosi la protezione.
“Non … non farlo Marc … non voglio senza … non … non voglio …” – ma nonostante le sue deboli proteste, Marc rientrò in lui, fluido e caldissimo.
Jamie ebbe come un sussulto di ribellione rabbiosa – “Ma sei impazzito? … Marc!”
“Marc sa quello che sta facendo … adesso guardami … sentimi piccolo mio … tu lo sarai per sempre, sempre hai capito?” – sembrò un fragore appassionato, quello che salì dal suo cuore, piombando in quello di Jamie come un fulmine, sventrando tutte le sue paure, come in un assurdo, ma meraviglioso incantesimo.
Quando se lo ritrovò di fronte, Colin sentì come se il pavimento avesse tremato sotto ai suoi piedi.
“Mi fai entrare?”
Jared glielo chiese, scrollandosi il cappuccio della felpa, a causa della pioggia leggera, che lo sorprese una volta sceso dal taxi davanti al cottage di Sonia.
Lei non c’era.
“Accomodati. Scusa, ho delle cose sul fuoco.” – replicò Farrell, tornando veloce in cucina.
Spense i fornelli e chiuse il gas.
Jared lo seguì incerto, constatando che il tavolo era apparecchiato per due.
“Stavo cuocendo delle verdure, Sonia è una salutista, nemmeno lo sapevo.”
“Ricordavo che l’accoglienza irlandese era diversa …” – disse il cantante accomodandosi.
“Vuoi bere qualcosa?”
“Solo dell’acqua, grazie Cole …”
“Serviti pure.” – e gli indicò i calici e la bottiglia, andando ad appoggiarsi al davanzale, incrociando le braccia.
Jared inspirò, curiosando con lo sguardo nei particolari di quell’ambiente ordinato.
“Sonia ha una bella casa …”
“E’ confortevole, sì …”
“Anche lei è confortevole?” – chiese con un sorriso Jared, bevendo con calma, però Colin non gli rispose.
“Ok Colin, ho avuto il tuo messaggio da Glam, certo avrei preferito fossi tu a parlarmene e …” – “Chi ti ha detto che ero qui?” – lo interruppe secco.
Jared scrollò le spalle – “Eamon, l’avresti comunque scoperto. Certo avrei potuto riferire a lui i miei pensieri, ma sembrava una vigliaccata madornale, soprattutto in un momento particolare come questo per la nostra famiglia.”
“Non vi sarei stato d’aiuto, l’ho spiegato a Glam.”
“Già … l’uomo che non sono, hai detto così, vero? … E che uomo saresti ora? O quale vorresti essere …?”
“Vorrei soltanto riprendere fiato, lontano da te Jared, poi tornerò a Los Angeles, mi cercherò un appartamento e farò visita ai miei figli, come succede con James ed Henry, anche se non viviamo sotto allo stesso tetto. Loro sono cresciuti bene, sarà così anche per gli altri. Restate pure alla End House, non creerò problemi a nessuno.” – disse assorto, ma deciso.
Jared fece una smorfia, che avrebbe voluto essere un sorriso, ma non lo era.
“Hai le idee chiare … La tua freddezza poi …”
“Ti ho lasciato libero! Neppure tu vedi quanto ami quell’uomo, ma io ne sono consapevole da mesi e ne ho preso finalmente atto!” – il suo tonò si elevò.
“E’ penoso affermare il proprio amore, di fronte a tanta ostilità Cole, ma io non mi arrenderò, sai?”
“Non voglio più ascoltarti! O pensi di dissuadermi con una dei tuoi melodrammi teatrali?!” – ribattè con cattiveria.
Jared si rialzò, appoggiando il palmo fremente, della mano destra, sulla tovaglia candida.
“Dissuaderti da cosa Colin?? Hai deciso di ferirmi a morte, sacrificando la nostra famiglia e preferendole Sonia ed il tuo bambino??”
Farrell ridacchiò svilito – “Il mio bambino … oh sì, vorrei proprio che anche lei la vedesse in questo modo, ci pensi? Una vita normale, con una donna che mi darà un altro figlio … Forse sarebbe un’autentica rinascita per me.”
Jared ingoiò qualcosa di simile al catrame rovente, nell’ascoltare quell’affermazione spietata.
“Sarebbe quindi questo l’uomo che vorresti essere? … Peccato che potresti anche essere quello che mi ha stuprato … oppure quello che si drogava, beveva e poi mi picchiava quando gli nascondevo Jack Daniels e cocaina …”
Farrell chiuse i pugni nelle tasche dei jeans, arrossendo vistosamente.
Si trattenne nel dirgli cosa pensava, accorgendosi che i pensieri erano in realtà azzerati da quelle considerazioni di Jared.
“Io ti ho amato in tutti i modi in cui hai deciso di vivere ed esistere Colin … peccato che tu non l’abbia mai davvero capito, a quanto pare …” – concluse, gli zaffiri colmi di lacrime, che corsero veloci lungo le sue guance incavate dalla frustrazione.
Riprese la sacca da viaggio, andandosene.
Fuori diluviava.
Colin rimase come cristallizzato, nell’osservare in sequenza il bicchiere usato da Jared, le orme lasciate dalle sue scarpe sul parquet, il leggero aroma di lui, quel profumo, che gli regalava ad ogni compleanno.
Jared era ancora lì, eppure non c’era più.
“Amore …” – sussurrò come in un lamento.
Si precipitò fuori.
“Jared!!!”
Lui era troppo lontano.
Con passi veloci era già in fondo alla strada e poco distante c’era una fermata del bus, che portava verso la stazione e l’aeroporto.
Farrell prese le chiavi dell’utilitaria di Sonia, partendo come un forsennato.
Era un vero catorcio, lei ci aveva riso sopra, parlandone, la sera precedente.
Una volta in strada, fu superato da un’auto scura.
Il suo cervello memorizzò dei fotogrammi, che lui in quell’istante non vide concretamente.
Accelerò, ma il motore sembrava ingolfato.
“Accidenti!!”
Notò che quella berlina stava rallentando in prossimità di Jared, ma accelerò, proseguendo, quando un fuoristrada accostò, lampeggiando: ne scese Geffen.
“Glam …?”
Anche Colin inchiodò il mezzo, seguendo la scena di lui che andava incontro ad un incredulo Jared singhiozzante.
Geffen gli disse qualcosa, spaventato probabilmente dal suo pallore e dalla disperazione, che ormai stava devastando il suo corpo, in una sorta di convulsione diffusa.
Jared si accasciò: Glam lo portò sotto ad una pensilina, cercando il proprio cellulare.
Colin si precipitò verso di loro, chiamando i soccorsi immediatamente.
“Shock catatonico. Vede signor Farrell il vostro amico è come in coma e …”
“Lui è il mio compagno, siamo sposati, abbiamo dei figli … io lo amo …” – disse flebilmente, stringendosi nella coperta, che al pronto soccorso diedero sia a lui che a Glam.
“Vi conosco, lei poi è una gloria nazionale … ascolti, la condizione del signor Leto è come una sorta di muro, che il suo organismo ha alzato per difendersi dai condizionamenti esterni, dall’ansia … E potrebbe durare poche ore, giorni, settimane … Anche per sempre.”
A Colin apparve come una sentenza, a Glam come ad una punizione.
“Vi terrò aggiornati, lo stiamo monitorando e nutrendo per via endovenosa, di più non possiamo fare.” – e li lasciò nella saletta deserta.
Geffen iniziò ad ossigenarsi, accartocciando il bicchiere del caffè.
“Cosa gli hai detto per ridurlo così?” – sibilò furente.
Colin crollò su di una panca, liberandosi da quella coltre, divenuta soffocante.
“Ti ho fatto una domanda, rispondimi!!?”
Fu inutile, l’attore sembrava essersi blindato in un mutismo doloroso.
Glam lo artigliò per il bavero, sbattendolo al muro – “Dimmelo Colin, DIMMELO!!”
In quel preciso istante, oltre le vetrate, in parte zigrinate, in parte trasparenti, passò un’ombra massiccia.
Quello non fu il dettaglio, che attirò l’attenzione di Glam, bensì una musica ovattata, una melodia conosciuta.
Farrell sembrava come un fantoccio, non reagiva alle invettive di Geffen, che si spostò repentino in corridoio.
Quando lo vide, rimase interdetto, almeno quanto Colin, che si era palesato al suo fianco, rivedendo come in un flash quell’auto, che l’aveva superato: nello specchietto esterno, era riflessa un’immagine precisa.
“Ma … non posso crederci …”
Era un clown, con lo stesso travestimento di Charly, portava dei palloncini con la mano sinistra e le cuffiette nelle orecchie, che rimandavano quella cantilena odiosa.
“Ehi … Ehi!! Signore, signore!!” – gli gridò Geffen, inseguendolo con cautela, insieme a Colin.
“Signore dico a lei, si fermi!!” – ma quello non lo fece.
Nei pannelli a specchio, posti a lato del padiglione successivo, Glam lo vide sorridere, ma, soprattutto, vide i suoi occhi.
Glam perse un battito: “LEE SUGAR COLEMAN TI HO DETTO DI FERMARTI!” – esclamò.
L’altro si bloccò, schiudendosi in un’espressione del volto compiaciuta.
Con un movimento repentino mise la mano libera sotto al panciotto, lasciando i palloncini.
Glam istintivamente prese una seggiola e nel mentre il pagliaccio roteò su sé stesso, estraendo un revolver, l’avvocato lo colpì, disarmandolo.
L’arma volò a diversi metri.
Colin era frastornato, ma quando quel tizio si avventò su Geffen, aggredendolo violentemente, provò ad aiutarlo.
Ne seguì una colluttazione selvaggia, dove il travestimento andò in brandelli, rivelando un fisico molto diverso da quello che Glam ricordava, ma specialmente le fattezze di Lee: era davvero lui.
Aveva una forza spaventosa, era palestrato, agile e le sue percosse devastanti.
Colin finì contro ad un carrello dei medicinali, sbattendoci la mandibola.
Glam fu tramortito da cazzotti e calci.
“Pezzo di merda, ho aspettato questo momento da anni!” – ringhiò Coleman, con la bava alla bocca, dopo di che sfondò a calci il vetro di una teca, contenente la manichetta e l’ascia usata dai pompieri.
L’afferrò veemente, per poi tornare zoppicando verso Glam, che non riusciva a muoversi, la vista annebbiata, il sangue che gli usciva dal naso, lo zigomo spaccato.
“Il tuo tempo è scaduto Geffen … poi penserò ai tuoi amici ahahahah!” – ed alzò la scure.
Glam era inerme e sopraffatto: nella sua mente solo le risate di Lula, rincorso da Kevin, il nipotino, la voce di Pamela, il canto di Jared ad un concerto, Colin che faceva la spesa con lui.
Una girandola di scatti indimenticabili, stupendi, che forse lo avrebbero aiutato nell’attimo in cui Coleman avrebbe infierito.
Sentì un rumore assordante.
Le pupille di Lee si dilatarono, come le sue palpebre, sbarrate e sbalordite.
Un altro fragoroso suono seguì al precedente e poi un terzo: erano spari.
Jared aveva raccolto la pistola, facendo fuoco, mentre avanzava barcollante dal fondo della corsia.
Centrò i polpacci di Coleman, infine il braccio armato.
L’uomo stramazzò sul pavimento.
Jared gettò la rivoltella in un cestino metallico.
“Colin … Glam … mioddio …”
Farrell si era trascinato sui gomiti sino a loro, mentre dagli ascensori uscirono delle persone: erano agenti di sorveglianza, accompagnati da Costa e Kiro Usami, oltre ad alcuni infermieri, che prestarono le prime cure.
Coleman sembrava fuori gioco, ma sbagliavano: alla caviglia teneva nascosta una calibro nove.
La prese, approfittando della confusione generale, ma Usami fu più veloce di lui: lo colpì in pieno viso, con una raffica di proiettili, che posero fine alla sua esistenza, definitivamente.
http://www.youtube.com/watch?v=TlGXDy5xFlw&feature=related
LEE SUGAR COLEMAN
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