Capitolo n. 282 – zen
Il tonfo della
blindata chiusa bruscamente, lo fece sobbalzare.
“Cazzo … che ore
sono?” – chiese Lux, strofinandosi la faccia stropicciata da una notte insonne.
Adam transitò verso
la cucina, l’aria torva e delusa.
“Le nove e trenta,
vuoi un caffè?” – chiese, armeggiando nervosamente tra il lavello e gli
armadietti.
Memore di quello
della sera precedente, il francese preferì rinunciare alla brodaglia imbevibile
preparata dal nuovo amico, optando timidamente per un semplice succo di frutta.
Faceva un caldo
tremendo: le finestre erano spalancate, il loft invaso dai rumori della strada
sottostante, oltre a quelli del traffico, piuttosto caotico, diretto verso il
centro della città.
Vincent si alzò, in
boxer, avviandosi in bagno, un po’ in imbarazzo – “Temo che la tua audizione
sia andata male …”
“Sì, uno schifo” –
bissò aspro l’artista, fissando il vuoto.
“La prossima volta
andrà meglio …”
“Non ci sarà, me ne
torno a fare il barista o lo spogliarellista, finché il fisico regge” – brontolò
amaro, andando verso il davanzale.
“Ti arrendi?”
“No Vincent, mi
rassegno, credo sia sinonimo di maturità o buon senso!” – e gli si avvicinò,
con rabbia.
“Sei così giovane …”
– sospirò l’uomo, allungandogli una carezza innocente.
“Dacci un taglio, mai
fatto da tappabuchi e, se mai è successo, ne valeva la pena, senza offesa,
ok?!”
“Sei solo incazzato
nero e se vuoi sfogarti, io resto in ascolto, ma per gli insulti rivolgili a
chi ti è passato davanti, grazie!” – e gli sorrise a muso duro.
“Non darti pena, non
mi conosci nemmeno, non sai un cazzo di me Vincent! Passi ciò che resta della
tua vita a rimpiangere un ragazzino, che ti ha usato, anche se in buona fede,
ammesso sia così!”
“Anche tu non sai un
cazzo di me e tanto meno di Louis, non osare quindi prendertela con lui!”
Adam ridacchiò,
dandogli le spalle – “Oh cielo, che paura, altrimenti cosa mi fai?” – lo
provocò blandamente, in fondo non gli importava di Louis e non un granché di quel
tizio dalle iridi di ghiaccio, il corpo asciutto ed abbronzato, lo sguardo da
canaglia, spesso mescolato ad uno più paterno e dolce.
Le dita di Lux
arpionarono le braccia di Adam, di colpo e con la stessa foga l’affarista lo
voltò a sé, sbattendolo contro la parete, dove lo bloccò con un bacio lungo ed
intenso.
Adam non chiuse mai
gli occhi.
Hiroki gli si muoveva
sopra, evanescente quanto un miraggio, appannato dalla disidratazione, come se
Geffen fosse in cammino lungo il deserto, lasciato da poche ore, in Africa.
A New York era un
giorno di pioggia, a metà di un agosto afoso quanto quello europeo.
Gli zampilli sulle
vetrate creavano un crepitare avvolgente, anche se lontano.
Tutto era ovattato:
dai suoni, di una musica in sottofondo, ai rumori, alla voce di Hiroki, che
aveva intrecciato le loro mani.
Glam sentì un brivido
alla spina dorsale, gli ansiti dell’altro nel proprio collo, infine un singulto
bagnato, così tra le sue gambe, come se il canale stretto di Hiroki non
riuscisse a contenere il dilagante orgasmo, di quell’adulto fatto a pezzi dalla
malattia, però ancora capace di andare oltre l’ostacolo, di qualsiasi disgrazia
terrena.
Forse lo stava
unicamente sognando, grazie alla droga, che aveva in circolo: Glam lo pensò,
sbirciando la siringa in bilico sopra al comodino.
Un raggio di sole improvviso
sembrò trafiggerla, creando uno strano gioco di colori, come se la stessa fosse
divenuta un prisma lucente e limpido.
L’animo di Hiroki lo
era di sicuro, quindi perché sporcarlo così inutilmente?
Un ulteriore quesito,
che sembrò tormentarlo per qualche secondo, trascorso completamente in affanno;
no, non aveva immaginato nulla.
Riverso al proprio
fianco, il ragazzo si accucciolò, aspettando che Geffen dicesse qualcosa.
Qualsiasi cosa.
“Ehi piccolo … ti
voglio bene …”
Hiroki sorrise,
avvinghiandosi a lui, come se potessero fondersi.
I tatuaggi sembrarono
animarsi sulla carnagione del giapponese, rimessosi in ginocchio, a scrutare
Geffen, tamponandone il sudore della fronte e degli zigomi scarni.
Il suo peso era
diminuito sensibilmente nelle ultime settimane.
Le crisi,
l’inappetenza e la nausea post terapie, stavano frantumando colui il quale era
ricordato, anche dalla stampa, come una roccia, un invincibile.
A rifletterci, forse
non aveva mai vinto davvero niente.
Jared si allungò a
pancia in giù, nel mezzo del letto, dove Colin stava provando a rileggersi un
copione, che stava valutando se accettare o meno.
“Ehi folletto dei
boschi …” – lo salutò l’irlandese, dandogli un buffetto sul naso.
In risposta, il
leader dei Mars cominciò a tirargli i baffi, piuttosto folti, richiesti per
quella nuova parte.
Farrell rise,
buttando sul parquet il plico, per stringere forte a sé il busto esile di
Jared, altrettanto gioioso e divertito, per quella vacanza al cottage in
Irlanda.
Eamon e Steven erano
in veranda, impegnati a preparare una grigliata di verdure e qualche
“brandello” di carne di pollo, come l’aveva definito con orrore Leto, con una
pantomima, a colazione, degna di lui.
“E tu pensi che io
non riesca a tenerti a bada Jay, dopo avere cresciuto undici pargoli
meravigliosi ahahah??”
“Ma quello lo hai
fatto con me!” – replicò allegro, sovrastandolo con una mossa abile e felina.
“Ok, ok mi arrendo …”
– esclamò Colin, sventolando un fazzoletto bianco.
Jared rise di gusto,
planando su di lui, per baciarlo voluttuoso.
Farrell inspirò,
proseguendo quel contatto morbido e caldissimo, dal mento del compagno, sino
alle sue tempie, dove passò le labbra dal contorno un po’ ispido.
“Uhi … Pungi!”
“Sempre a lamentarti
Jay, sei incontentabile … ed adorabile” – lo scrutò, rapito dalla sua bellezza
integra, dagli zaffiri screziati di amore ed appartenenza.
Si sentivano così
presi l’uno dall’altro, come se quella malinconia perpetua, quell’angoscia per
Geffen, li avesse finalmente abbandonati o vanamente lasciati in pace.
Eamon suonò la
campana del pranzo.
Il profumo era
invitante.
“Ho una fame!” –
Jared balzò giù dal materasso.
Il suo appetito era
un segnale positivo, rassicurante per l’intera famiglia, sempre in apprensione
per il suo stato di salute e psicologico.
Colin pensò che forse
sarebbe cambiato qualcosa: la sua speranza era granitica o forse si
autoconvinceva con estrema destrezza, provando ad infondere fiducia anche nel
prossimo, senza mai riuscirvi del tutto, sul destino di Glam.
Adam tremò, contro il
muro dipinto di arancio vivo.
Si sentiva in quel modo
anche lui, dopo molto tempo.
“Non farlo Vincent …
Non usarmi anche tu” – disse piano, ma con dignità, nessun vittimismo ci
circostanza.
Era terribilmente
sincero.
Lux lo lasciò andare –
“Scusami … So meglio di te che non stiamo andando da nessuna parte … E poi io
non ti piaccio” – scrollò le spalle, l’aria un po’ guascona.
Adam sorrise,
avvampando – “Questo non è vero!”
Deglutì a vuoto: gli
era uscita troppo netta quella contestazione simpatica.
“Sono un vecchio … Un
signore di mezza età, che gioca ancora a fare il ragazzino, con i ragazzini:
avevi ragione tu Adam” – concluse serio, vestendosi con calma.
“Non l’ho mai pensato
e se ti ho offeso con le mie considerazioni, ne sono dispiaciuto, davvero” – ed
azzerando la distanza tra loro, provò a convincerlo, senza nemmeno sapere lui
su che cosa esattamente.
“Andiamo avanti e
parliamo di affari: tu fai musica, reciti, hai quindi un manager?”
“No … Non proprio …
Ecco, sì, c’è un tipo, in un’agenzia, che mi chiama quando ci sono i provini,
ma non ho mai firmato contratti, con nessuno” – spiegò incuriosito.
“Bene: i miei
interessi sono multipli e quando si tratta di investire, di puntare su di un
progetto oppure una persona, allora mi faccio avanti, se ne vale la pena e
quindi voglio proporti a Jared Leto, poi se il meccanismo scatta, pretenderò la
mia parte, che ne pensi?” – e gli sorrise, allungandogli il palmo destro, per
sigillare quell’improvviso accordo.
Adam aggrottò la
fronte, poi accettò risoluto – “Ok, proviamoci: quando si comincia Vincent?”
“Lo certo subito: tu
intanto prepara i bagagli per Los Angeles.”
Hiroki preparò degli
involtini dall’aspetto invitante.
Geffen lo stava
spiando dal living, quando il suo palmare si illuminò.
Era Styles.
“Sì Harry, dimmi …” –
rispose gentile.
“Ciao Glam, vero che
sei nella grande mela anche tu?” – esordì il riccio, con entusiasmo.
La voce di Louis,
mescolata a quella di Petra, era poco distante.
“In effetti … Siete
qui anche voi?”
“Appena scesi in
hotel, ho voluto fare una sorpresa ai miei tesori” – e sorrise in direzione
della figlia e del consorte, che annuì, con la testa altrove.
Seppure tutto filasse
liscio tra loro, anche fuori dalle lenzuola, dove riuscivano sempre a fare pace,
Boo voleva sapere cosa stesse combinando Lux.
Era altresì convinto
che il loro rapporto si sarebbe ridimensionato con il passare del tempo, a
passi brevi, ma definitivi.
In realtà, Louis, non
avrebbe sopportato e superato alcun traumatico distacco, se mai Vincent gli
avesse presentato una nuova fidanzata o, peggio, uno sconosciuto, in grado di
rimpiazzarlo, in ogni senso.
Quindi auspicava un
aggiornamento, che tardava ad arrivare.
Le sue preghiere
vennero esaudite appena Haz filò sotto la doccia, dopo avere messo Petra a
nanna ed ordinato la cena in camera.
“Pronto …” – Boo aprì
la chiamata, con le pulsazioni a mille.
“Ciao tesoro, tutto
bene?”
“Sì … Siamo a New
York … E tu?”
“Ancora a Londra” –
disse, accendendosi una sigaretta, coprendo il trillo di un campanello.
Adam si alzò dal
divano, posando l’i-pod velocemente – “Saranno le nostre pizze, vado io”
Louis rimase come
sospeso.
“Mangi una pizza alle
due del mattino …?” – domandò con un filo di voce.
“Veramente è l’una
mon petit … Sì, sto concludendo una transazione, abbiamo fatto tardi”
“Il fuso orario non è
la mia specialità Vincent …” – ribatté ridendo goffo, mentre la vista sui
grattacieli iniziò a pungere di sale e rabbia.
“Torno a Los Angeles
domani mattina, abbiamo prenotato il volo via internet, speriamo di non
precipitare in pieno oceano” – Lux provò a scherzare, tra il tintinnio di
posate e bicchieri, distribuiti in tavola da un Adam canterino ed un po’ su di
giri per le nuove prospettive, offertigli da Lux.
“Avete? Tu e la tua transazione?” – bissò irritato.
Era inutile fingere.
Lux prese fiato – “Louis
vogliamo vederci quando sarò in città?”
“Non lo so, con Harry
e Petra abbiamo un bel programma da goderci qui”
“Ne sono certo Boo …
Sentiamoci, quando sarai pronto, ok …?” – propose affettuoso, ma non melenso.
“Ma pronto per
cosa??!” – gridò piano, specchiandosi nella vetrata.
Era sconvolto.
Era ridicolo.
“Boo con chi stai
parlando?”
Style stava uscendo
dal box, alla ricerca del telo spugna, che Louis aveva lasciato piegato sopra
una mensola.
“Con Brent!” – gli gridò.
“Perché menti a tuo
marito?”
“E tu perché fai lo
stronzo?!”
“Cosa diavolo stai
dicendo Louis, ma dai i numeri??!”
Tomlinson riattaccò
brusco, il respiro corto.
Il cuore scheggiato.
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