martedì 22 aprile 2014

ZEN - CAPITOLO N. 282

Capitolo n. 282 – zen



Il tonfo della blindata chiusa bruscamente, lo fece sobbalzare.

“Cazzo … che ore sono?” – chiese Lux, strofinandosi la faccia stropicciata da una notte insonne.

Adam transitò verso la cucina, l’aria torva e delusa.

“Le nove e trenta, vuoi un caffè?” – chiese, armeggiando nervosamente tra il lavello e gli armadietti.

Memore di quello della sera precedente, il francese preferì rinunciare alla brodaglia imbevibile preparata dal nuovo amico, optando timidamente per un semplice succo di frutta.

Faceva un caldo tremendo: le finestre erano spalancate, il loft invaso dai rumori della strada sottostante, oltre a quelli del traffico, piuttosto caotico, diretto verso il centro della città.

Vincent si alzò, in boxer, avviandosi in bagno, un po’ in imbarazzo – “Temo che la tua audizione sia andata male …”

“Sì, uno schifo” – bissò aspro l’artista, fissando il vuoto.

“La prossima volta andrà meglio …”

“Non ci sarà, me ne torno a fare il barista o lo spogliarellista, finché il fisico regge” – brontolò amaro, andando verso il davanzale.

“Ti arrendi?”

“No Vincent, mi rassegno, credo sia sinonimo di maturità o buon senso!” – e gli si avvicinò, con rabbia.

“Sei così giovane …” – sospirò l’uomo, allungandogli una carezza innocente.

“Dacci un taglio, mai fatto da tappabuchi e, se mai è successo, ne valeva la pena, senza offesa, ok?!”

“Sei solo incazzato nero e se vuoi sfogarti, io resto in ascolto, ma per gli insulti rivolgili a chi ti è passato davanti, grazie!” – e gli sorrise a muso duro.

“Non darti pena, non mi conosci nemmeno, non sai un cazzo di me Vincent! Passi ciò che resta della tua vita a rimpiangere un ragazzino, che ti ha usato, anche se in buona fede, ammesso sia così!”

“Anche tu non sai un cazzo di me e tanto meno di Louis, non osare quindi prendertela con lui!”

Adam ridacchiò, dandogli le spalle – “Oh cielo, che paura, altrimenti cosa mi fai?” – lo provocò blandamente, in fondo non gli importava di Louis e non un granché di quel tizio dalle iridi di ghiaccio, il corpo asciutto ed abbronzato, lo sguardo da canaglia, spesso mescolato ad uno più paterno e dolce.

Le dita di Lux arpionarono le braccia di Adam, di colpo e con la stessa foga l’affarista lo voltò a sé, sbattendolo contro la parete, dove lo bloccò con un bacio lungo ed intenso.

Adam non chiuse mai gli occhi.



Hiroki gli si muoveva sopra, evanescente quanto un miraggio, appannato dalla disidratazione, come se Geffen fosse in cammino lungo il deserto, lasciato da poche ore, in Africa.

A New York era un giorno di pioggia, a metà di un agosto afoso quanto quello europeo.

Gli zampilli sulle vetrate creavano un crepitare avvolgente, anche se lontano.

Tutto era ovattato: dai suoni, di una musica in sottofondo, ai rumori, alla voce di Hiroki, che aveva intrecciato le loro mani.

Glam sentì un brivido alla spina dorsale, gli ansiti dell’altro nel proprio collo, infine un singulto bagnato, così tra le sue gambe, come se il canale stretto di Hiroki non riuscisse a contenere il dilagante orgasmo, di quell’adulto fatto a pezzi dalla malattia, però ancora capace di andare oltre l’ostacolo, di qualsiasi disgrazia terrena.

Forse lo stava unicamente sognando, grazie alla droga, che aveva in circolo: Glam lo pensò, sbirciando la siringa in bilico sopra al comodino.

Un raggio di sole improvviso sembrò trafiggerla, creando uno strano gioco di colori, come se la stessa fosse divenuta un prisma lucente e limpido.

L’animo di Hiroki lo era di sicuro, quindi perché sporcarlo così inutilmente?
Un ulteriore quesito, che sembrò tormentarlo per qualche secondo, trascorso completamente in affanno; no, non aveva immaginato nulla.

Riverso al proprio fianco, il ragazzo si accucciolò, aspettando che Geffen dicesse qualcosa.
Qualsiasi cosa.

“Ehi piccolo … ti voglio bene …”

Hiroki sorrise, avvinghiandosi a lui, come se potessero fondersi.

I tatuaggi sembrarono animarsi sulla carnagione del giapponese, rimessosi in ginocchio, a scrutare Geffen, tamponandone il sudore della fronte e degli zigomi scarni.

Il suo peso era diminuito sensibilmente nelle ultime settimane.
Le crisi, l’inappetenza e la nausea post terapie, stavano frantumando colui il quale era ricordato, anche dalla stampa, come una roccia, un invincibile.

A rifletterci, forse non aveva mai vinto davvero niente.



Jared si allungò a pancia in giù, nel mezzo del letto, dove Colin stava provando a rileggersi un copione, che stava valutando se accettare o meno.

“Ehi folletto dei boschi …” – lo salutò l’irlandese, dandogli un buffetto sul naso.

In risposta, il leader dei Mars cominciò a tirargli i baffi, piuttosto folti, richiesti per quella nuova parte.

Farrell rise, buttando sul parquet il plico, per stringere forte a sé il busto esile di Jared, altrettanto gioioso e divertito, per quella vacanza al cottage in Irlanda.

Eamon e Steven erano in veranda, impegnati a preparare una grigliata di verdure e qualche “brandello” di carne di pollo, come l’aveva definito con orrore Leto, con una pantomima, a colazione, degna di lui.

“E tu pensi che io non riesca a tenerti a bada Jay, dopo avere cresciuto undici pargoli meravigliosi ahahah??”

“Ma quello lo hai fatto con me!” – replicò allegro, sovrastandolo con una mossa abile e felina.

“Ok, ok mi arrendo …” – esclamò Colin, sventolando un fazzoletto bianco.

Jared rise di gusto, planando su di lui, per baciarlo voluttuoso.

Farrell inspirò, proseguendo quel contatto morbido e caldissimo, dal mento del compagno, sino alle sue tempie, dove passò le labbra dal contorno un po’ ispido.

“Uhi … Pungi!”

“Sempre a lamentarti Jay, sei incontentabile … ed adorabile” – lo scrutò, rapito dalla sua bellezza integra, dagli zaffiri screziati di amore ed appartenenza.

Si sentivano così presi l’uno dall’altro, come se quella malinconia perpetua, quell’angoscia per Geffen, li avesse finalmente abbandonati o vanamente lasciati in pace.

Eamon suonò la campana del pranzo.

Il profumo era invitante.

“Ho una fame!” – Jared balzò giù dal materasso.

Il suo appetito era un segnale positivo, rassicurante per l’intera famiglia, sempre in apprensione per il suo stato di salute e psicologico.

Colin pensò che forse sarebbe cambiato qualcosa: la sua speranza era granitica o forse si autoconvinceva con estrema destrezza, provando ad infondere fiducia anche nel prossimo, senza mai riuscirvi del tutto, sul destino di Glam.



Adam tremò, contro il muro dipinto di arancio vivo.
Si sentiva in quel modo anche lui, dopo molto tempo.

“Non farlo Vincent … Non usarmi anche tu” – disse piano, ma con dignità, nessun vittimismo ci circostanza.

Era terribilmente sincero.

Lux lo lasciò andare – “Scusami … So meglio di te che non stiamo andando da nessuna parte … E poi io non ti piaccio” – scrollò le spalle, l’aria un po’ guascona.

Adam sorrise, avvampando – “Questo non è vero!”

Deglutì a vuoto: gli era uscita troppo netta quella contestazione simpatica.

“Sono un vecchio … Un signore di mezza età, che gioca ancora a fare il ragazzino, con i ragazzini: avevi ragione tu Adam” – concluse serio, vestendosi con calma.

“Non l’ho mai pensato e se ti ho offeso con le mie considerazioni, ne sono dispiaciuto, davvero” – ed azzerando la distanza tra loro, provò a convincerlo, senza nemmeno sapere lui su che cosa esattamente.

“Andiamo avanti e parliamo di affari: tu fai musica, reciti, hai quindi un manager?”

“No … Non proprio … Ecco, sì, c’è un tipo, in un’agenzia, che mi chiama quando ci sono i provini, ma non ho mai firmato contratti, con nessuno” – spiegò incuriosito.

“Bene: i miei interessi sono multipli e quando si tratta di investire, di puntare su di un progetto oppure una persona, allora mi faccio avanti, se ne vale la pena e quindi voglio proporti a Jared Leto, poi se il meccanismo scatta, pretenderò la mia parte, che ne pensi?” – e gli sorrise, allungandogli il palmo destro, per sigillare quell’improvviso accordo.

Adam aggrottò la fronte, poi accettò risoluto – “Ok, proviamoci: quando si comincia Vincent?”

“Lo certo subito: tu intanto prepara i bagagli per Los Angeles.”



Hiroki preparò degli involtini dall’aspetto invitante.

Geffen lo stava spiando dal living, quando il suo palmare si illuminò.

Era Styles.

“Sì Harry, dimmi …” – rispose gentile.

“Ciao Glam, vero che sei nella grande mela anche tu?” – esordì il riccio, con entusiasmo.

La voce di Louis, mescolata a quella di Petra, era poco distante.

“In effetti … Siete qui anche voi?”

“Appena scesi in hotel, ho voluto fare una sorpresa ai miei tesori” – e sorrise in direzione della figlia e del consorte, che annuì, con la testa altrove.

Seppure tutto filasse liscio tra loro, anche fuori dalle lenzuola, dove riuscivano sempre a fare pace, Boo voleva sapere cosa stesse combinando Lux.
Era altresì convinto che il loro rapporto si sarebbe ridimensionato con il passare del tempo, a passi brevi, ma definitivi.

In realtà, Louis, non avrebbe sopportato e superato alcun traumatico distacco, se mai Vincent gli avesse presentato una nuova fidanzata o, peggio, uno sconosciuto, in grado di rimpiazzarlo, in ogni senso.
Quindi auspicava un aggiornamento, che tardava ad arrivare.

Le sue preghiere vennero esaudite appena Haz filò sotto la doccia, dopo avere messo Petra a nanna ed ordinato la cena in camera.

“Pronto …” – Boo aprì la chiamata, con le pulsazioni a mille.

“Ciao tesoro, tutto bene?”

“Sì … Siamo a New York … E tu?”

“Ancora a Londra” – disse, accendendosi una sigaretta, coprendo il trillo di un campanello.

Adam si alzò dal divano, posando l’i-pod velocemente – “Saranno le nostre pizze, vado io”

Louis rimase come sospeso.

“Mangi una pizza alle due del mattino …?” – domandò con un filo di voce.

“Veramente è l’una mon petit … Sì, sto concludendo una transazione, abbiamo fatto tardi”

“Il fuso orario non è la mia specialità Vincent …” – ribatté ridendo goffo, mentre la vista sui grattacieli iniziò a pungere di sale e rabbia.

“Torno a Los Angeles domani mattina, abbiamo prenotato il volo via internet, speriamo di non precipitare in pieno oceano” – Lux provò a scherzare, tra il tintinnio di posate e bicchieri, distribuiti in tavola da un Adam canterino ed un po’ su di giri per le nuove prospettive, offertigli da Lux.

“Avete? Tu e la tua transazione?” – bissò irritato.

Era inutile fingere.

Lux prese fiato – “Louis vogliamo vederci quando sarò in città?”

“Non lo so, con Harry e Petra abbiamo un bel programma da goderci qui”

“Ne sono certo Boo … Sentiamoci, quando sarai pronto, ok …?” – propose affettuoso, ma non melenso.

“Ma pronto per cosa??!” – gridò piano, specchiandosi nella vetrata.

Era sconvolto.
Era ridicolo.

“Boo con chi stai parlando?”

Style stava uscendo dal box, alla ricerca del telo spugna, che Louis aveva lasciato piegato sopra una mensola.

“Con Brent!” – gli gridò.

“Perché menti a tuo marito?”

“E tu perché fai lo stronzo?!”

“Cosa diavolo stai dicendo Louis, ma dai i numeri??!”

Tomlinson riattaccò brusco, il respiro corto.
Il cuore scheggiato.








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