Capitolo n. 275 – zen
Lux lo guardava addentare
quell’hamburger, come forse Jimmy prendeva a morsi anche la propria vita, da
sempre.
Come quei cuccioli
abbandonati, che cercano di accaparrarsi almeno un boccone, tra decine di
rivali, da un piatto mezzo vuoto.
Quello di Scott gli
era di sicuro sembrato appetibile e confortante, dopo tante amarezze, però lo
stesso non era privo di insidie.
Queste avevano un
nome ed un cognome: Glam Geffen.
Eppure Jimmy non lo
odiava; lui, semmai, detestava il modo in cui Scott si faceva calpestare dal
comportamento di colui il quale non era più soltanto il suo migliore amico; da
un pezzo.
Era un ibrido, tra un
amante, una dipendenza, mascherata di complicità.
Jimmy gliela aveva
spiegata così, quella malattia di Scott, che curava tutti, tranne sé stesso.
“Capisco che di Glam
nessuno guarisca” – sorrise amaro il ragazzino.
Sembrava Jacques,
quando si lamentava della scuola, del meccanico, che gli aveva truccato il
motorino, fregandogli troppa grana.
Del fatto, però, che
quello stronzo gli avrebbe procurato una bella moto, a buon prezzo.
Già, maledetta moto.
E Jacques ci provava,
tamponandosi la bocca umida di coca cola, a convincere il padre poliziotto, a
farsi dare la differenza, per pagarla.
Il resto lo aveva
risparmiato procurandosi dei lavoretti, trascurando la scuola, facendo
incazzare Lux.
“Finisci
il tuo panino, ne riparleremo a casa”
“No
dai, dammi una risposta ora, Vincent!”
“Non
potresti chiamarmi papà, una volta tanto, accidenti!”
Lux ringhiava,
schiacciando la cicca nel posacene, mangiavano sempre all’aperto, anche se
pioveva, come quella sera, sotto a delle tettoie posticce, fuori quel locale
sempre pieno di gente, che non sapeva cucinare bene, come Vincent, o non ne
aveva voglia di rincasare, quanto lui.
Jacques ci dormiva e
ci studiava appena in quel bilocale a Parigi.
Jerome ci passava più
tempo di lui, anche a sentire le lagnanze di Vincent davanti ad una birra.
“Gli
manca la madre e tu come genitore fai un po’ schifo” – gli
ridacchiava in faccia brillo, il più anziano e Lux grugniva, lo mandava al
diavolo.
“E’
che facciamo un lavoro di merda Jer”
“Ehi Vincent” – Jimmy
rise, schioccando le dita.
“Co cosa dicevi?”
Le mani di Colin
erano sempre state più grandi delle sue.
Quelle di Jared,
sempre più arrendevoli, rispetto a quelle dell’irlandese.
C’era più foga, in
ogni gesto, anche poco coordinato, sia quando era sobrio, che quando era fatto,
quell’irlandese dallo sguardo sfuggente, quando qualcosa gli faceva troppo
male.
Leto lo stava
scrutando, mentre Farrell pagava in anticipo la stanza dell’hotel.
Senza saperlo erano
di fronte al locale, dove Vincent aveva portato Jimmy.
“Perché qui?” –
chiese il cantante, dandogli le spalle, nella semioscurità della camera, dove
erano saliti da poco.
“Perché no?” –
sorrise in un tono torbido il marito.
Solo che era un gioco
e non si conoscevano, altro che insieme da una vita.
“Facciamo
finta di esserci incontrati per caso al mercato delle spezie, io ti abbordo e
tu”
“Cole,
ma sei pazzo?”
A momenti ci
scopavano sotto quei portici semi deserti, venti minuti prima.
Tre stronzi stavano
ancora scappando, spaventati da chissà cosa, però anche Jared, nel scorgerli
oltre le colonne, passare sotto ai lampioni, venne scosso da un fremito di
paura.
“Andiamo
via da qui”
“Sì
Jay, prendiamo una stanza, ti va?”
Leto annuì.
Ed ora erano lì,
nella 326, sudati, avvinghiati, nudi e bellissimi, nel chiarore arancio della
lampada in carta, accesa in un angolo da Colin.
“Perché voglio
guardarti, mentre ti faccio godere Jay” – gli parlò nella bocca spalancata,
mentre lo teneva fermo per i polsi, oltre la testa, spingendo e gemendo, con
lui.
“Non sapevi il mio
nome …” – sorrise a fatica, oppresso dalla cassa toracica in giù.
Stava venendo, senza
nemmeno che Colin lo sfiorasse.
Si baciarono.
Stavano facendo
troppo rumore.
“Ci cacceranno” –
ridacchiò l’attore, tirandolo su, per sedersi al centro del materasso.
Provarono a calmarsi,
però non era semplice.
Jared si tirò
indietro i lunghi capelli, appoggiandosi poi con i palmi dietro ai fianchi, a
cavalcioni sopra Colin, incastrato alle sue gambe incrociate.
Il suo busto, dorato
e teso, inspirava ed espirava, in un movimento sensuale, mentre il leader dei
Mars riprendeva fiato.
“Ho ancora voglia …”
“Un bel casino direi
Jay”
“Non avevamo detto
che”
“Io sono Colin”
“Io Jared”
Risero.
"Bene … prima ti
fai il sottoscritto come un animale e adesso”
“Un animale Jay?” –
replicò acceso, fissandolo ed umettandosi le labbra.
“Sì, dicevo prima mi
illudi e poi dici che ci sono dei
problemi”
“Mai detto … E’ che
ho finito i preservativi”
“I che? Che cazzo
dici” – sussurrò stranito – “Tu ne hai usato uno, no perché non me ne sono
accorto?!” – Jared parlava come una macchinetta, divertito e stando al gioco
dell’altro.
“Improvvisavo”
“Oh ecco …” – e cominciò
a masturbarlo, in equilibrio precario, ora, reggendosi solo con la mano
sinistra sopra le lenzuola sporche di loro.
Farrell buttò
indietro la testa madida, ossigenandosi – “Cazzo questo sì che mi piace”
“Che bestia” –
bisbigliò Leto.
“La tua … e poi mi sa
che anche tu non sei da meno …” – ansimò - “Del resto ti conosco appena …” –
sorrise spavaldo, tornando a guardarlo ed a sbirciare ciò che Jared combinava
tra le sue cosce muscolose.
“E’ un bello
spettacolo, vero Colin? Tua moglie è brava quanto me?”
“Mai stato sposato …
Forse ho un fidanzato …”
“Cornuto”
Risero come matti,
precipitando di traverso, per intrecciarsi e darsi un bacio.
“Mi hai mollato sul
più bello Jay …”
“Non scopo con gli
uomini impegnati …”
“Allora sposami”
“Ci penserò” – e con
un guizzo si infilò nella doccia poco distante, non senza che Farrell lo
seguisse a ruota.
Lux si sciacquò la
faccia.
La suite 426, all’attico,
era l’unica rimasta libera.
Il bagno era
spazioso, c’era persino la vasca ovale.
Jimmy ci aveva dato
un’occhiata veloce, dicendo distratto – “Potremmo farcene uno”
“Cosa?”
“Un idromassaggio
Vincent? Ti andrebbe?”
“Non so neppure perché
siamo qui” – sospirò, andandosi a piazzare sul davanzale.
Il ragazzo si spogliò
– “Facciamolo al buio, tu fai finta che io sia”
“Non sparare cazzate!”
– lo interruppe brusco il francese, il cuore in gola.
Portarsi a letto uno
che non fosse son petit, per giunta
il compagno di Scott, era così assurdo.
“Ne abbiamo bisogno
entrambi invece” – ribatté il giovane, risoluto.
“No … Io ho solo
bisogno di dimenticare Louis, di andare avanti, di resettare l’ordine delle
cose e dare un senso alle mie priorità, per esserne appagato e non schiacciato”
– bissò schietto.
Jimmy sorrise,
grattandosi la nuca – “Il tuo ragionamento non fa una piega, peccato tu non ci
possa riuscire tanto facilmente”
“Non viverlo come un
rifiuto, sei molto attraente, ma non è questa la soluzione, per me almeno” – e provò
ad andarsene.
Jimmy lo trattenne
per un braccio, mortificato.
“Non lasciarmi qui da
solo …”
“Ti riporto all’accampamento”
“Non ci voglio
tornare da Scott, dai suoi rimproveri, dalle sue paternali!” – protestò amaro,
gli occhi lucidi.
“Cercati un ragazzo
come te, non uno come Scott … Non funzionerà mai davvero, a me puoi credere” –
e gli diede una carezza paterna sulla guancia sinistra.
“Ma io lo amo”
Lux sorrise,
desiderando per un istante che al posto di Jimmy ci fosse Louis, a dirgli le
stesse cose, scegliendo lui e non Harry.
Un sms lo distrasse.
§
Volevo darti la buona notte … Non so dove sei Vincent e non mi piace questa
cosa. E sapere la verità, forse, mi piacerebbe ancora meno … Ti abbraccio, Lou
§
“Che succede?” –
domandò Jimmy, rivestendosi con calma.
“Rien ... c'est juste
un fantôme”
“Un … fantasma?”
“Sì Jimmy … E mi
perseguiterà sino alla fine dei miei giorni, se ogni volta mi sento morire così”
– ammise lucido, quanto sconfortato.
“Andiamo …?”
“Pronto ad affrontare
Scott, dunque?”
“No, me ne andrò a
dormire sul camper … Niente prediche, almeno fino a domani” – ed uscirono.
In silenzio.
Nessun commento:
Posta un commento