venerdì 15 febbraio 2013

ZEN - CAPITOLO N. 54



Capitolo n. 54  -  zen


La notte, alla periferia di Parigi, gli trasmetteva delle sensazioni sinistre.
Robert pagò il taxi frettolosamente e, con lo stesso incedere veloce, entrò nella hall di un albergo a cinque stelle, appena costruito nel centro di quel quartiere nuovo di zecca.
Ne aveva sentito parlare da dei colleghi, ad una noiosa cena, sei mesi prima: avevano partecipato all’inaugurazione di studi cinematografici all’avanguardia, dove venivano girate tre serie, piuttosto note, distribuite unicamente in Europa.
La descrizione coincideva con ciò che Downey notò oltre il vetro del finestrino, scrutando un insieme di palazzi, illuminati a giorno, dove un brulicare di addetti ai lavori stava di certo seguendo la realizzazione di qualche episodio.
A suo tempo, Jude parlò con dei produttori francesi, ma i copioni passati all’attore non lo convinsero affatto.
Robert espresse un parere innocuo, senza capire se a Law potesse interessare una carriera sul piccolo schermo.
C’era una certa civetteria nel declinare specifiche offerte, seppure altamente remunerative.
Mentre preparava i bagagli, Robert, comunque, non trovò più quelle scartoffie e dedusse, con l’ausilio della dritta ricevuta da Rossi, che i conti tornavano.

Così come Jude stava tornando all’albergo di fronte a quello di Downey, senza che lui lo sapesse, in compagnia di parecchi colleghi.
Sembravano più una chiassosa equipe teatrale, euforica per un debutto di successo.

Alla reception, il direttore della struttura riconobbe l’americano.
“Anche lei è qui per il film, mr Downey?”
“Sì … in effetti” – abbozzò.
“Una manna per i nostri affari, perdoni la franchezza, considerato che si sono viste solo mezze calzette sino ad ora, tranne ovviamente suo …”
“Mio marito?” – sorrise ironico.
“Ovviamente” – bissò ossequioso il maturo interlocutore.
“La mia presenza, in ogni caso, è … una sorpresa”
“Ah capisco …”
“Quindi se lei non lo avvisasse mi farebbe una cortesia”
“Non alloggia qui, sfortunatamente …” – precisò zelante.
“Capisco … la sorpresa l’ha fatta lui a me” – e rise teso.
“Un semplice equivoco, del resto siamo dirimpettai con la concorrenza, dove mr Law è sceso, insieme al regista credo e le signore … Le attrici, protagoniste della pellicola intendo.”
“Interessante …” – osservò Robert, stringendo i bordi del ripiano a cui era appoggiato.
“Doppia coppia, quindi” – sbottò, mostrando un sorriso di circostanza.
“Prego …?” – replicò flebile l’altro.
“Lasci stare, pensavo ad alta voce … Ora salgo, il viaggio mi ha distrutto. Posso avere del tè ed una fetta di sacher?”
“Tra cinque minuti mr Downey e buona permanenza.”


Colin rispose a diverse e-mail prima di coricarsi.
Jared aveva messo a dormire le bimbe, occupandosi poi dei gemelli con l’ausilio di miss Wong.
Si distese, guardando la schiena di Colin, spaziosa e rigida, sopra alla seggiola davanti al pc.
Farrell chiuse le varie finestre aperte sul desktop, riponendo infine il blocco di appunti nel cassetto di quella scrivania vittoriana, dono del fratello Eamon.
“Faccio una doccia, se vuoi spegni pure” – disse assorto, togliendosi la casacca senza slacciarla, restando a torso nudo, jeans e null’altro.
“No, ti aspetto …” – replicò incerto Jared, spiando i suoi movimenti naturali.
“Do un bacio ai cuccioli prima” – ed uscì, dirigendosi alla nursery.
Jared aveva il cuore in gola.
Avevano cenato con serenità, circondati dai figli, ma Farrell gli aveva rivolto a mala pena la parola, se non per chiedere di passargli il sale o di cambiare programma alla tv.
Manteneva una linea di freddezza, senza la minima scortesia nei suoi riguardi, ma sembrava la calma prima della tempesta.
E Jared sperava gli arrivasse addosso questa tempesta: il silenzio lo torturava.

La luce si spense, improvvisa, lasciando l’ambiente nel buio assoluto.
Jared si raggomitolò, sotto alle lenzuola, sentendole muovere al proprio fianco: il profumo di Farrell era inconfondibile, così come il sentore di lui.
“Cole …” – sussurrò esitante.
Un attimo dopo, i suoi polsi sottili vennero bloccati alla testata, con dei lacci piuttosto stretti.
Un bacio gli impedì di protestare o semplicemente chiedere a Colin cosa stesse facendo.
La sua curiosità fu esaudita.
“Io mi sento prigioniero del nostro amore: voglio tu sappia cosa si prova” – gli respirò nel collo e sotto il mento, per poi leccare diverse porzioni di pelle, in rapida successione, mentre gli si sistemava tra le gambe inermi ed arrendevoli.
Jared gemette, percependo la circolazione rallentare verso le dita, già indolenzite.
Per il resto Colin appariva dolce ed attento: generosamente lubrificato, lo dilatò con altrettanta cura, penetrandolo con calma e metodo.
Jared tremò.
Diede un lieve strattone con le braccia, sperando che quei nodi fossero blandi e posticci, ma sbagliava.
Colin gli tolse il cuscino da sotto la nuca, atterrandolo totalmente ed iniziò a spingersi in lui, toccandolo dappertutto.
“Fa male …”
Ansimò il cantante, riferendosi alle sue estremità superiori, intrappolate drasticamente.
“Lo so … Fa male anche a me … ogni volta … Ogni volta, Jay” – ribatté deciso Colin.
Quel piccolo dolore, quel disagio, la sua invasione, non stavano mortificando affatto Jared, che cercò ripetutamente la bocca di Colin.
La sua eccitazione divenne spasmodica, per quanto il compagno gli stava facendo, in una maniera assurdamente bella e coinvolgente.
Iniziò a venire, senza neppure che Colin gli sfiorasse il sesso, turgido e traboccante di lì a poco, tra i rispettivi ventri contratti e ben proporzionati.
Jared iniziò ad urlare ciò che sentiva nell’infinità di terminazioni nervose stimolate da Colin, sempre più forte, sempre più energico.
L’irlandese si inclinò, raccogliendo le cosce di Jared intorno ai fianchi, ritmando e colpendo dove sapeva riuscire meglio, nell’intento di farlo impazzire di piacere.
La sua cavalcata maestosa si interruppe brusca.
Uscì da lui, contraendosi in uno spasmo, per impedirsi di godergli dentro.
Inginocchiato in mezzo al materasso, accese una luce laterale, piuttosto fioca.
Jared era in crisi di ossigeno, straziato da quel mancato apice, che sembrava implorargli con lo sguardo lacerato di lacrime gioiose ed estatiche.
“Cole …”
“Ed alla fine è così che io vivo la mia sconfitta Jay: volevo lo sapessi, ad un secondo dalla pura realizzazione, tu mi lasci brutalmente, nonostante i miei sentimenti sinceri, la mia abnegazione” – sbottò ansante, il respiro mozzato da una sensazione indescrivibile.
Lo slegò.
“Vado a lavarmi.”
Si dileguò, senza concedere replica alcuna.
Jared si raccolse, riportando la camera nell’oscurità.

Stava ancora piangendo quando Colin tornò da lui, cingendolo alle spalle, senza neppure avere aperto l’acqua.
Lo sperma di entrambi sembrava marchiare e sigillare i loro sembianti carichi dell’unica paura, mai superata, di perdersi.
“Ti amo da morire Jay” – disse piano, masturbandosi.
“Nessuno sa rendermi felice come sai fare tu, Cole … nessuno.”


Il set era in fermento.
Correva voce di un nuovo arrivo, molto celebre, che si era presentato per un provino.
I dirigenti stavano valutando la sua assunzione.

“Mr Downey i nostri fondi sono all’osso, questo episodio pilota non fornisce neppure le garanzie apprezzabili per un”
“Lavorerò gratis” – disse schietto, davanti ad una commissione improvvisata dallo staff, piuttosto perplesso davanti alla sua disponibilità.
“Ok … Le assegneremo una parte marginale, visto che quelle di spicco sono già state prese.”
“Perfetto. Dov’è il mio camerino?”


Jude si allacciò la casacca, sentendola stretta in vita.
“Troppi croissant?”
Il tono squillante di Debra gli fece arricciare il naso.
“Sei simpatica” – sibilò acido.
“Non ti crucciare tesoro, del resto il tempo passa anche per il mitico Watson!” – e rise, cambiando un cappellino vezzoso con uno meno appariscente.
“Questo progetto è proprio alla fame se dobbiamo dividerci gli spazi vitali in questa maniera” – sbottò l’inglese, dando una pacca al muro in cartongesso, che per poco non cascò nella parte opposta.
Robert fece un balzo all’indietro, essendoci a ridosso per carpire lo scambio di battute tra i due.
“Oh miseria …” – disse sconsolato Jude.
Debra uscì, ridacchiando, mentre si scontrava nell’angusto corridoio con una collega semi nuda, alla ricerca di un accappatoio, che nessuno si decideva a passarle.

Law crollò sulla seggiola da trucco, massaggiandosi le tempie, afflitto per quella stupida decisione di unirsi a quel deprimente contesto.
Aveva imparato le battute svogliatamente, passando la notte tra il divano ed il letto, in una suite pretesa per il suo indiscusso prestigio, dormendo un paio d’ore appena.

Sentì un odioso spiffero, ma non si girò.
“ La porta, accidenti!” – sbottò svilito.

“Leggevo questa, la sua preferita …”
Il tono dolce, dell’uomo che più aveva amato al mondo, sembrò accendersi, ad una distanza breve dalla sua schiena, che lasciò inesplorata, almeno nell’immediato, per la sorpresa.

“Camilla legge seguendo la riga con il suo indice minuscolo e …” – Downey fece una pausa, serena, dignitosa nel porgersi, poi proseguì.
Appoggiato allo stipite, teneva in grembo un libro, nello stesso identico modo in cui aveva fatto tre sere prima con la figlia, nel loro salotto.
“Voltando pagina, è apparso il disegno che più l’entusiasma … il principe, dai capelli biondi e gli occhi azzurri … Ha detto, papi Jude ed io ho …”
Adesso era drammaticamente difficile proseguire, ma non demorse.

“Io ho annuito, il mio narrare spezzato qui, tra le corde vocali e lo sterno, dove il cuore aveva cominciato a pulsare come un martello”
I suoi zigomi si incendiarono, soprattutto perché Law si era levato da quella seduta ormai scomoda.
Lo stava fissando, rapito da un’emozione devastante.
“Papi Jude sta lavorando, le ho detto e lei ha fatto segno di sì, con quella testolina di riccioli e mollette colorate, che Pamela le sistema sempre, quando le fa visita”
“Rob …”
“Ho spiegato alla nostra piccola che anch’io dovevo farlo e dovevo farlo subito, prima che fosse troppo tardi”
“Robert” – bruciò un metro, poi un secondo e fu arrivato.

Downey rimase con le braccia lungo il busto, la raccolta di storie gli scivolò sul pavimento, le ali di Jude lo avvolsero, con devozione, con rispetto.
La fronte stempiata appoggiata alla sua spalla sinistra, bagnata dopo un istante dalle sue lacrime, mute e febbrili.
“Robert …”
“Dillo ancora … il mio … nome, amore”
“Robert” – e lo guardò, diretto e fremente.
Anche Downey lo abbracciò, stringendolo con maggiore convinzione, quando si baciarono, intensi.



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