Capitolo n. 54 - zen
La notte, alla
periferia di Parigi, gli trasmetteva delle sensazioni sinistre.
Robert pagò il taxi
frettolosamente e, con lo stesso incedere veloce, entrò nella hall di un
albergo a cinque stelle, appena costruito nel centro di quel quartiere nuovo di
zecca.
Ne aveva sentito
parlare da dei colleghi, ad una noiosa cena, sei mesi prima: avevano
partecipato all’inaugurazione di studi cinematografici all’avanguardia, dove
venivano girate tre serie, piuttosto note, distribuite unicamente in Europa.
La descrizione
coincideva con ciò che Downey notò oltre il vetro del finestrino, scrutando un
insieme di palazzi, illuminati a giorno, dove un brulicare di addetti ai lavori
stava di certo seguendo la realizzazione di qualche episodio.
A suo tempo, Jude
parlò con dei produttori francesi, ma i copioni passati all’attore non lo
convinsero affatto.
Robert espresse un
parere innocuo, senza capire se a Law potesse interessare una carriera sul
piccolo schermo.
C’era una certa
civetteria nel declinare specifiche offerte, seppure altamente remunerative.
Mentre preparava i
bagagli, Robert, comunque, non trovò più quelle scartoffie e dedusse, con l’ausilio
della dritta ricevuta da Rossi, che i conti tornavano.
Così come Jude stava
tornando all’albergo di fronte a quello di Downey, senza che lui lo sapesse, in
compagnia di parecchi colleghi.
Sembravano più una
chiassosa equipe teatrale, euforica per un debutto di successo.
Alla reception, il
direttore della struttura riconobbe l’americano.
“Anche lei è qui per
il film, mr Downey?”
“Sì … in effetti” –
abbozzò.
“Una manna per i
nostri affari, perdoni la franchezza, considerato che si sono viste solo mezze
calzette sino ad ora, tranne ovviamente suo …”
“Mio marito?” –
sorrise ironico.
“Ovviamente” – bissò ossequioso
il maturo interlocutore.
“La mia presenza, in
ogni caso, è … una sorpresa”
“Ah capisco …”
“Quindi se lei non lo
avvisasse mi farebbe una cortesia”
“Non alloggia qui,
sfortunatamente …” – precisò zelante.
“Capisco … la
sorpresa l’ha fatta lui a me” – e rise teso.
“Un semplice
equivoco, del resto siamo dirimpettai con la concorrenza, dove mr Law è sceso,
insieme al regista credo e le signore … Le attrici, protagoniste della
pellicola intendo.”
“Interessante …” –
osservò Robert, stringendo i bordi del ripiano a cui era appoggiato.
“Doppia coppia,
quindi” – sbottò, mostrando un sorriso di circostanza.
“Prego …?” – replicò flebile
l’altro.
“Lasci stare, pensavo
ad alta voce … Ora salgo, il viaggio mi ha distrutto. Posso avere del tè ed una
fetta di sacher?”
“Tra cinque minuti mr
Downey e buona permanenza.”
Colin rispose a
diverse e-mail prima di coricarsi.
Jared aveva messo a
dormire le bimbe, occupandosi poi dei gemelli con l’ausilio di miss Wong.
Si distese, guardando
la schiena di Colin, spaziosa e rigida, sopra alla seggiola davanti al pc.
Farrell chiuse le
varie finestre aperte sul desktop, riponendo infine il blocco di appunti nel
cassetto di quella scrivania vittoriana, dono del fratello Eamon.
“Faccio una doccia,
se vuoi spegni pure” – disse assorto, togliendosi la casacca senza slacciarla,
restando a torso nudo, jeans e null’altro.
“No, ti aspetto …” –
replicò incerto Jared, spiando i suoi movimenti naturali.
“Do un bacio ai
cuccioli prima” – ed uscì, dirigendosi alla nursery.
Jared aveva il cuore
in gola.
Avevano cenato con
serenità, circondati dai figli, ma Farrell gli aveva rivolto a mala pena la
parola, se non per chiedere di passargli il sale o di cambiare programma alla
tv.
Manteneva una linea
di freddezza, senza la minima scortesia nei suoi riguardi, ma sembrava la calma
prima della tempesta.
E Jared sperava gli
arrivasse addosso questa tempesta: il silenzio lo torturava.
La luce si spense,
improvvisa, lasciando l’ambiente nel buio assoluto.
Jared si raggomitolò,
sotto alle lenzuola, sentendole muovere al proprio fianco: il profumo di
Farrell era inconfondibile, così come il sentore di lui.
“Cole …” – sussurrò esitante.
Un attimo dopo, i suoi
polsi sottili vennero bloccati alla testata, con dei lacci piuttosto stretti.
Un bacio gli impedì
di protestare o semplicemente chiedere a Colin cosa stesse facendo.
La sua curiosità fu
esaudita.
“Io mi sento
prigioniero del nostro amore: voglio tu sappia cosa si prova” – gli respirò nel
collo e sotto il mento, per poi leccare diverse porzioni di pelle, in rapida
successione, mentre gli si sistemava tra le gambe inermi ed arrendevoli.
Jared gemette,
percependo la circolazione rallentare verso le dita, già indolenzite.
Per il resto Colin
appariva dolce ed attento: generosamente lubrificato, lo dilatò con altrettanta
cura, penetrandolo con calma e metodo.
Jared tremò.
Diede un lieve
strattone con le braccia, sperando che quei nodi fossero blandi e posticci, ma
sbagliava.
Colin gli tolse il
cuscino da sotto la nuca, atterrandolo totalmente ed iniziò a spingersi in lui,
toccandolo dappertutto.
“Fa male …”
Ansimò il cantante,
riferendosi alle sue estremità superiori, intrappolate drasticamente.
“Lo so … Fa male
anche a me … ogni volta … Ogni volta, Jay” – ribatté deciso Colin.
Quel piccolo dolore,
quel disagio, la sua invasione, non stavano mortificando affatto Jared, che
cercò ripetutamente la bocca di Colin.
La sua eccitazione
divenne spasmodica, per quanto il compagno gli stava facendo, in una maniera
assurdamente bella e coinvolgente.
Iniziò a venire, senza
neppure che Colin gli sfiorasse il sesso, turgido e traboccante di lì a poco,
tra i rispettivi ventri contratti e ben proporzionati.
Jared iniziò ad
urlare ciò che sentiva nell’infinità di terminazioni nervose stimolate da Colin,
sempre più forte, sempre più energico.
L’irlandese si
inclinò, raccogliendo le cosce di Jared intorno ai fianchi, ritmando e colpendo
dove sapeva riuscire meglio, nell’intento di farlo impazzire di piacere.
La sua cavalcata maestosa
si interruppe brusca.
Uscì da lui, contraendosi
in uno spasmo, per impedirsi di godergli dentro.
Inginocchiato in
mezzo al materasso, accese una luce laterale, piuttosto fioca.
Jared era in crisi di
ossigeno, straziato da quel mancato apice, che sembrava implorargli con lo
sguardo lacerato di lacrime gioiose ed estatiche.
“Cole …”
“Ed alla fine è così
che io vivo la mia sconfitta Jay: volevo lo sapessi, ad un secondo dalla pura
realizzazione, tu mi lasci brutalmente, nonostante i miei sentimenti sinceri,
la mia abnegazione” – sbottò ansante, il respiro mozzato da una sensazione
indescrivibile.
Lo slegò.
“Vado a lavarmi.”
Si dileguò, senza
concedere replica alcuna.
Jared si raccolse,
riportando la camera nell’oscurità.
Stava ancora piangendo
quando Colin tornò da lui, cingendolo alle spalle, senza neppure avere aperto l’acqua.
Lo sperma di entrambi
sembrava marchiare e sigillare i loro sembianti carichi dell’unica paura, mai
superata, di perdersi.
“Ti amo da morire Jay”
– disse piano, masturbandosi.
“Nessuno sa rendermi
felice come sai fare tu, Cole … nessuno.”
Il set era in
fermento.
Correva voce di un
nuovo arrivo, molto celebre, che si era presentato per un provino.
I dirigenti stavano
valutando la sua assunzione.
“Mr Downey i nostri
fondi sono all’osso, questo episodio pilota non fornisce neppure le garanzie
apprezzabili per un”
“Lavorerò gratis” –
disse schietto, davanti ad una commissione improvvisata dallo staff, piuttosto
perplesso davanti alla sua disponibilità.
“Ok … Le assegneremo
una parte marginale, visto che quelle di spicco sono già state prese.”
“Perfetto. Dov’è il
mio camerino?”
Jude si allacciò la
casacca, sentendola stretta in vita.
“Troppi croissant?”
Il tono squillante di
Debra gli fece arricciare il naso.
“Sei simpatica” –
sibilò acido.
“Non ti crucciare
tesoro, del resto il tempo passa anche per il mitico Watson!” – e rise,
cambiando un cappellino vezzoso con uno meno appariscente.
“Questo progetto è
proprio alla fame se dobbiamo dividerci gli spazi vitali in questa maniera” –
sbottò l’inglese, dando una pacca al muro in cartongesso, che per poco non
cascò nella parte opposta.
Robert fece un balzo
all’indietro, essendoci a ridosso per carpire lo scambio di battute tra i due.
“Oh miseria …” –
disse sconsolato Jude.
Debra uscì,
ridacchiando, mentre si scontrava nell’angusto corridoio con una collega semi
nuda, alla ricerca di un accappatoio, che nessuno si decideva a passarle.
Law crollò sulla
seggiola da trucco, massaggiandosi le tempie, afflitto per quella stupida
decisione di unirsi a quel deprimente contesto.
Aveva imparato le
battute svogliatamente, passando la notte tra il divano ed il letto, in una
suite pretesa per il suo indiscusso prestigio, dormendo un paio d’ore appena.
Sentì un odioso
spiffero, ma non si girò.
“ La porta,
accidenti!” – sbottò svilito.
“Leggevo questa, la
sua preferita …”
Il tono dolce, dell’uomo
che più aveva amato al mondo, sembrò accendersi, ad una distanza breve dalla
sua schiena, che lasciò inesplorata, almeno nell’immediato, per la sorpresa.
“Camilla legge
seguendo la riga con il suo indice minuscolo e …” – Downey fece una pausa,
serena, dignitosa nel porgersi, poi proseguì.
Appoggiato allo
stipite, teneva in grembo un libro, nello stesso identico modo in cui aveva
fatto tre sere prima con la figlia, nel loro salotto.
“Voltando pagina, è apparso
il disegno che più l’entusiasma … il principe, dai capelli biondi e gli occhi
azzurri … Ha detto, papi Jude ed io ho …”
Adesso era
drammaticamente difficile proseguire, ma non demorse.
“Io ho annuito, il
mio narrare spezzato qui, tra le corde vocali e lo sterno, dove il cuore aveva
cominciato a pulsare come un martello”
I suoi zigomi si
incendiarono, soprattutto perché Law si era levato da quella seduta ormai
scomoda.
Lo stava fissando,
rapito da un’emozione devastante.
“Papi Jude sta
lavorando, le ho detto e lei ha fatto segno di sì, con quella testolina di riccioli
e mollette colorate, che Pamela le sistema sempre, quando le fa visita”
“Rob …”
“Ho spiegato alla
nostra piccola che anch’io dovevo farlo e dovevo farlo subito, prima che fosse
troppo tardi”
“Robert” – bruciò un
metro, poi un secondo e fu arrivato.
Downey rimase con le
braccia lungo il busto, la raccolta di storie gli scivolò sul pavimento, le ali
di Jude lo avvolsero, con devozione, con rispetto.
La fronte stempiata
appoggiata alla sua spalla sinistra, bagnata dopo un istante dalle sue lacrime,
mute e febbrili.
“Robert …”
“Dillo ancora … il
mio … nome, amore”
“Robert” – e lo
guardò, diretto e fremente.
Anche Downey lo
abbracciò, stringendolo con maggiore convinzione, quando si baciarono, intensi.
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