domenica 17 febbraio 2013

ONE SHOT - A KIN OF MAGIC



One shot – A kind of magic


Cast  Colin Farrell                         - Colin
         Jared Leto                             - Jared
         Jude Law                               - Jude
         Robert Downey Junior                   - Robert
         Shemar Moore                       - Shemar
         Matthew Gray Gubler           - Matthew


New York …….. Aprile 2000


Jude tossì.
Lo fece in maniera educata, come al solito.
Robert aggrottò la fronte – “Che c’è che non va?”
La sua curiosità era distratta e la sua indifferenza palese.
“Pensavo”
“Cosa?” – chiese secco, alzando finalmente lo sguardo dal libro di diritto internazionale, su cui non trovava una soluzione alla causa Miller.
Le sue mezzelune, griffate Cartier, vennero attraversate dal bagliore della Churchill, accesa sopra la sua scrivania da avvocato di classe.
Jude era solo un praticante e Robert lo aveva assunto più per fate un favore al vecchio giudice Larry, zio del giovane, piuttosto che a sé stesso.
Certo gli piaceva guardarlo mentre si affannava ad accampare scuse, quando faceva tardi ed aveva dei segni piuttosto evidenti sotto il colletto della camicia firmata, sempre fresca di lavanderia.
In onestà, non aveva ancora capito se fosse gay quanto lui, ma, di sicuro, la persona che Jude amava era estremamente focosa al martedì, giovedì e sabato mattina.
Sadicamente gli piaceva obbligarlo al lavoro anche in un giorno nel quale il resto dell’ufficio era beatamente a casa, ma per Robert, inacidito single, non per scelta propria, era rimasto davvero poco con cui dileggiarsi, se non tormentare il dolce, piccolo Jude.
Di anni ne aveva trenta a mala pena, mentre lui, il potente Robert Downey Junior della Downey, Glass, Kramer, ormai sfiorava i quarantotto, pur dichiarandone quarantacinque, ai vari pischelli abbordati nei bar di lusso della quinta strada.
Era penoso.
E si faceva anche schifo, quando infilava i soldi nei jeans stretti di quei disperati da alto bordo, ma pure sempre disperati.
Quanto lui.


“E’ uno stronzo, uno stramaledetto stronzo!!”
Colin rise – “E dai, calmati Jude … Il tuo boss non è poi tanto male …”
“Parli bene tu, cazzo!!”
“Come vuoi che ti consoli, facendoti venire con la bocca?” – glielo chiese suadente, arrivandogli addosso e stringendolo, con aria beffarda e pericolosamente erotica.
“Ma fottiti … cazzo”
“E ma sei tu a provocare, ce l’hai sempre in”
“Che battuta, ma bravo, applausi per l’irlandese dell’anno!” – Jared sbottò, interrompendo il suo prezioso lavoro al pc.
“Ah che palle che siete, io me ne vado al cinema!” – ribatté Colin, prendendo la giacca dalla sedia.
“Cole non dimentichi qualcosa?” – disse Jared, puntandolo dalla gigantesca poltrona a forma di mano, sulla quale stava rannicchiato con il suo portatile.
Il moro si avvicinò, piegandosi, per poi baciarlo profondamente.
Jude sbuffò – “Meglio che ci vada io a vedere quel film …”  disse sconfortato.
Colin gli lanciò il biglietto, già preso on line, senza staccarsi da Jared, già mezzo nudo, in un groviglio di t-shirt, jeans ed orpelli, con cui Colin si agghindava, con poco gusto.


“Matt inclina la testa … bravo così”
Shemar rise, regolando poi luci ed obiettivo.
“Sei stanco?” – chiese fingendo gentilezza.
Quel ragazzino era una gallina dalle uova d’oro: la sua anoressia adolescenziale aveva lasciato un segno indelebile sul suo corpo esile ed affascinante.
I capelli scapigliati, l’indole perennemente fra le nuvole, gli occhioni da cerbiatto, rendevano Matthew davvero unico come modello: le migliori case di moda se lo contendevano ed il contratto capestro, che Shemar gli aveva fatto firmare, quando il giovane era da poco maggiorenne, lo incatenavano a lui indissolubilmente.

“No, ma ho un impegno Shem … posso andare adesso? – chiese fremente, stringendo i pugni ossuti.
“Quattro scatti e sei libero, anche se …” – e lo fissò, mordendosi il labbro inferiore senza neppure rendersene conto.
“Anche se cosa?” – bissò flebile e come impaurito.
Shemar posò la sua Reflex, avvicinandosi a quella scenografia scarna di arredi, ma ricca di lampade d’epoca.
Gli accarezzò i fianchi, provando ad abbracciarlo, però Matthew sgusciò via, con un risolino nevrotico.
“Ti ho detto che ho da fare … miseria … scusami Shem”
“Ok, vai, a domani” – ribatté seccato.
Matthew non se lo fece ripetere.


“Pop corn, cola, caramelle?”
La ragazza, travestita con un buffo costume da scoiattolo, lo fece sorridere.
“No, grazie …”
Jude le mostrò il tagliando e lei gli indicò la sala quattro.
Cercò un posto in ultima fila, notando che c’era il deserto intorno.
Il film era di quelli epici, un misto di sangue, urla e spade, che a lui non dispiaceva come trama e poi qualsiasi cosa andava bene, pur di non rientrare prima di mezzanotte nel loft, che divideva con Jared e Colin.
L’effimero Jared, scrittore di buon successo, ma che pubblicava sotto falso nome, romanzi erotici, a tematica omosessuale.
Il più concreto Colin, che lavorava sodo nell’azienda del padre, dove aveva iniziato con la mansione di fattorino ed ora dirigeva il personale ed i magazzini di approvvigionamento.

Il buio inghiottì l’ultimo spot, prima dell’inizio, ma qualche ritardatario si affrettò a sedersi, creando un minimo scompiglio nell’esiguo pubblico.
Un tizio, goffamente, inciampò tra le poltrone, raggiungendo quella accanto a Jude, che provò immediato fastidio.
Voleva rimanere in santa pace, ma la malasorte, a quanto pare lo perseguitava.
Anzi, era proprio sfiga.
“Signor Downey …?!” – sibilò stupito.
“Jude?!” – replicò con la medesima sorpresa.


“Jared …”
“Che vuoi …?” – sospirò, già in piedi, con la sigaretta accesa.
“Potresti non”
“No!” – scrollò le spalle, gironzolando nudo sulla moquette, alla ricerca dei pantaloni.
Colin si avvinghiò al cuscino, chiudendo le palpebre – “Perché te ne vai sempre via subito dopo che …” – ingoiò amaro – “E poi dove, potrei saperlo?”
“Le coccole fattele fare da Jude il martedì, giovedì e sabato mattina” – disse sarcastico, allacciandosi le braghe attillate.
“Geloso?” – lo provocò, provando comunque un nodo alla gola.
Jared si bloccò, puntandolo mentre il fumo lo infastidiva, facendogli strizzare lo sguardo di zaffiro.
“Con chi scopi, a me non frega un bel cazzo, ok Colin?”
“Jude, almeno, non è isterico quanto te, visto che sembra darti fastidio che io riesca a farti venire come nessuno!” – sbraitò, inginocchiandosi in mezzo al materasso.
“E chi dovrebbe farlo, eh?? Quel maiale che” – la sua voce si elevò e si spense immediata, mentre il suo busto tonico, ma asciutto, vibrò, impercettibile, come il suo tono, aggressivo e drammatico.
Continuava a difendersi dal passato.
“Jared …” – mormorò l’amico, provando ad azzerare la distanza tra loro, per stringerlo sul petto.
Lui non glielo permise, come al solito.
E come al solito, se ne andò a mezzanotte.


“Dio che orrore!”
“Insomma …”
“Ma no Jude, un vero abominio, il regista deve essere un sadico depresso, lo sceneggiatore psicotico!”
Jude scoppiò a ridere, fermandosi davanti ad un bar.
Robert lo fissò compiaciuto.
“Sono arrivato …” – disse piano il biondo.
Downey analizzò il palazzo.
Era un quartiere piuttosto elegante.
“La tua fidanzata sarà in pensiero …” – azzardò.
Jude avvampò.
“Non ho una …”
“Oh capisco”
“Co-cosa?” – balbettò, sentendosi allo scoperto e vulnerabile.
“Niente Jude, la mia deduzione era …” – deglutì, incapace di reggere il suo sguardo – “Era una deduzione perché sei un bel tipo, di quelli che piacciono alle ragazze” – si riprese, con la sua consueta verve.
“A me non piacciono le ragazze. Ci vediamo domani in studio.” – replicò serio e dignitoso, come uno schiaffo al buffone che gli pagava uno stipendio da fame e che adesso avrebbe voluto sprofondare.
Jude stava pensando alle conseguenze della sua sincerità, ai due soci omofobi, con cui Downey aveva fondato lo studio più rinomato della grande mela, mentre quest’ultimo, per lui, era quanto meno indecifrabile.
Spense il cervello appena varcata la soglia.
Colin dormiva, russando come un orso.
Era lunedì sera.


“Matt dove diavolo eri finito?”
Jared si rannicchiò sul divanetto di quel club sulla nona.
“Eccomi, eccomi” – farfugliò, trafficando con una sacca in pelle, souvenir della quinta elementare; non se ne separava mai.
“Ce l’hai?” – domandò angosciato.
“Ma sì, Cristo! Anche se questa storia deve finire Jared!” – ringhiò debole, passandogli un blister.
“Me lo devi …”
“Cosa ti devo, accidenti?!” – chiese svuotato.
“Ti ho introdotto nei posti giusti, stai facendo una carriera da invidia!” – protestò, inghiottendo tre pasticche.
Matthew si raccolse la faccia tra i palmi gelidi.
“I tuoi posti giusti sono abitati da fotografi ingordi che mi palpano e che fanno gli stronzi!”
Jared ridacchiò, ormai fatto di un antidolorifico sintetico: un’autentica porcheria.
Matthew, per lui, rubava di tutto nella farmacia della madre.
“Shemar è un figo pazzesco …” – obiettò.
“Quello vuole scoparmi dal primo booking e non gli importa nulla di me, Jared”
“E a te dispiace … vero?” – chiese più lucido.
“Cambiamo discorso? Mi offri da bere?” – la sua richiesta aveva una sfumatura forzatamente superficiale.
“Sì Matt … senti … posso dormire da te?”
Si abbracciarono, con una tenerezza che stonava con quel luogo modaiolo e banale, senza dirsi altro.


Colin preparò il caffè con la moka.
Jude adorava quel momento; non avevano fatto l’amore.
Se la negavano quella pura verità, facendo finta di scopare, quando invece i loro baci rivelavano emozioni più sincere.
“Sei in ritardo?”
“No Colin … Puoi venire qui?”
“Certo …” – gli sorrise dolce.
Si rannicchiarono tre le lenzuola, intrecciandosi.
Cominciarono a baciarsi, toccandosi, dapprima timidi, poi con una frenesia adolescenziale stucchevole per entrambi.

Quando si salutarono, pronti per uscire, Colin lo richiamò, mentre Jude era ormai sulla porta.
“Sì?”
Colin sorrise – “No, ecco … Ci vediamo a cena?”
“Se non faccio tardi, volentieri. Buona giornata.”


Quel bussare sembrò a Matt come un martello pneumatico.
Jared era sotto la doccia: lo capì dai rumori provenienti dal bagno.
Aveva vomitato in cucina, verso le due del mattino, dove si era diretto, dopo essersi scusato con il modello per averlo svegliato.

“Shemar …”
“Ciao pretty boy, come mai non rispondi al telefono?” – inveii brusco, varcando la soglia.
“Non chiamarmi in quel modo, sai che non lo sopporto” – bofonchiò, sfregandosi gli occhi assonnati.
“Avevamo un appuntamento Matt”
“Me ne sono dimenticato, ma il mondo andrà avanti ugualmente … Tanto, come dici tu, sono solo foto”
“Sputi nel piatto in cui mangi?”
Jared si palesò, avvolto in un telo dalla vita in giù.
“Ah … non sei solo …”
“Ciao Shem … Hai portato la colazione?” – chiese ironico.
“No. Assente giustificato” – sottolineò aspro, tornando a fissare Matthew.
“Sono pronto in dieci minuti, aspettami in auto, Shemar.” – disse freddo, per poi sparire verso il corridoio.
Jared lo seguì, senza salutare Shemar, che si sentì un coglione, come non mai.


“Jude hai cinque minuti?”
La voce di Downey all’interfono era inconsuetamente garbata.

“Chiudi pure Jude … è una conversazione privata.”
“D’accordo … sembra grave” – provò a scherzare.
“Non con me, ma i blues brothers potrebbero rovinarti la vita.”
Downey li chiamava in quel modo buffo, Glass e Kramer, per di più cognati, sposati a due sorelle ereditiere, conservatori, puttanieri e bastardi.
Jude si irrigidì sulla poltroncina in pelle nera.
“Per lei invece, non è un problema?”
“No Jude.” – disse limpido.
“Lei ieri è stato”
“Potremmo darci del tu? Abbiamo lo stesso segreto” – affermò diretto, le iridi lucide.
A Jude tremò lo stomaco.
“Tu ieri sei stato affabile, gradevole ed io sgarbato. Ti chiedo scusa Robert.” – si sforzò di essere spontaneo, ma era pure sempre il suo titolare.
“Affabile, gradevole? Un miracolo!” – disse simpatico.
Risero.
“Ok Jude …” – inspirò – “Posso chiederti una cosa?”
“Certo”
“Nessuna donna, nella tua vita, ma parlando di uomini?”
“Perché vuoi saperlo Rob?”
“Per valutare la concorrenza” – spiegò secco.


“Ogni volta che mi fai venire, mi vergogno a morte.”
“Jared …? Sei già qui …”
Colin avrebbe voluto fare finta di non avere capito, poi accese la lampada del living.
“Non dovresti stare al buio Jay …”
Gli si affiancò cauto, sopra al divano, cingendogli le spalle.
Jared appoggiò la tempia destra sulla spalla sinistra di Colin, che lo strinse maggiormente.
“Lo so, ma non voglio più avere paura Cole …”
Pianse.
Il patrigno lo aveva violentato durante un black out: Jared scappò di casa all’alba, sporco di quell’uomo, che la madre aveva voluto assolutamente nelle loro esistenze, perché si sentiva sola, perché beveva quanto lei e pagava i conti, dove la donna non arrivava, con il suo impiego part time in una tintoria a basso costo.
Jared aveva solo quattordici anni, il suo volto bellissimo, turbato, arrabbiato, malinconico, derubato.
Un editore lesse per caso una sua raccolta di poesie e racconti: era una persona onesta e benevola.
Pagò gli studi di Jared, fino ad una laurea in lettere antiche, di cui andavano entrambi fieri.
Quando morì, Jared voleva seguirlo, ma non aveva abbastanza palle per farlo.
In università aveva conosciuto Matthew e la sua riserva di preziose droghe autorizzate, alle quali poteva accedere comodamente.
Uno scambio di favori ed un abisso senza fine, sul bordo del quale Jared camminava, in un oblio che durava ormai da due anni.

Nel frattempo aveva incontrato Colin e Jude, amici di infanzia ed in cerca di un posto dove abitare, dividendo i gravosi affitti di New York.
Per caso avevano creato quella che Jared definiva “un’allegra famigliola di cani bastonati”.

“Jay ascoltami …”
“Anche con lui … io Cole … ho avuto un orgasmo”
“Sì, lo avevo capito” – gli raccolse gli zigomi, guardandolo innamorato – “Tu pensi che io sia scemo, adoro smentirti” – provò a scherzare.
“Mi sono fidato esclusivamente di te Colin … Quindi non ho mai pensato che sei scemo … Scemo!” – rise flebile.
“Appunto” – rise anche lui, provando un’emozione bellissima.
La stessa che abitava il cuore di Jared, finalmente.
Si baciarono.


“E tu mi dici queste cose davanti ad un’aranciata, Shemar?”
Matthew aveva le pulsazioni a mille.
Il fotografo si lisciò il capo rasato, incredulo.
“La bevanda è così determinante Matt?!”
Iniziò a piovere.
Nel fuggi fuggi generale, in quel locale all’aperto, rimasero soltanto loro, abbarbicati sugli sgabelli, ad un tavolino rotondo in acciaio.
Fradici si contemplarono per diversi minuti, ricordando, senza dirselo, il loro primo incontro, la sensazione di euforia reciproca durante un servizio a Central Park sotto la neve, una passeggiata senza meta in agosto, tra mercatini e botteghe cinesi.
“Te lo ripeto zuccone … Io ti amo Matthew. Ti amo da impazzire”


Robert gli prese la mano, davanti a quella scultura incomprensibile.
Jude si massaggiò la nuca, lo faceva sempre quando era agitato.
“Lo so … come primo appuntamento è … palloso, vero Jude?”
“Sbagli … amo questo posto …”
“Anch’io, non c’è un cane a pagarlo!” – bisbigliò Downey, avvicinandosi pericolosamente al collo di Jude, che senza volerlo, si girò verso di lui, collidendo con la sua bocca perfetta.
Il sapore di Robert era magnifico, caldo, sconvolgente.

New York in primavera era incantevole.
Come quelle tre, nuove, storie d’amore.
Qualcosa di magico.

The end










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