One shot – A kind of magic
Cast Colin Farrell - Colin
Jared
Leto - Jared
Jude Law - Jude
Robert
Downey Junior - Robert
Shemar
Moore - Shemar
Matthew
Gray Gubler - Matthew
New York …….. Aprile 2000
Jude tossì.
Lo fece in maniera educata,
come al solito.
Robert aggrottò la
fronte – “Che c’è che non va?”
La sua curiosità era
distratta e la sua indifferenza palese.
“Pensavo”
“Cosa?” – chiese secco,
alzando finalmente lo sguardo dal libro di diritto internazionale, su cui non
trovava una soluzione alla causa Miller.
Le sue mezzelune,
griffate Cartier, vennero attraversate dal bagliore della Churchill, accesa
sopra la sua scrivania da avvocato di classe.
Jude era solo un
praticante e Robert lo aveva assunto più per fate un favore al vecchio giudice
Larry, zio del giovane, piuttosto che a sé stesso.
Certo gli piaceva
guardarlo mentre si affannava ad accampare scuse, quando faceva tardi ed aveva
dei segni piuttosto evidenti sotto il colletto della camicia firmata, sempre
fresca di lavanderia.
In onestà, non aveva
ancora capito se fosse gay quanto lui, ma, di sicuro, la persona che Jude amava
era estremamente focosa al martedì, giovedì e sabato mattina.
Sadicamente gli
piaceva obbligarlo al lavoro anche in un giorno nel quale il resto dell’ufficio
era beatamente a casa, ma per Robert, inacidito single, non per scelta propria,
era rimasto davvero poco con cui dileggiarsi, se non tormentare il dolce, piccolo
Jude.
Di anni ne aveva
trenta a mala pena, mentre lui, il potente Robert Downey Junior della Downey,
Glass, Kramer, ormai sfiorava i quarantotto, pur dichiarandone quarantacinque,
ai vari pischelli abbordati nei bar di lusso della quinta strada.
Era penoso.
E si faceva anche
schifo, quando infilava i soldi nei jeans stretti di quei disperati da alto
bordo, ma pure sempre disperati.
Quanto lui.
“E’ uno stronzo, uno
stramaledetto stronzo!!”
Colin rise – “E dai,
calmati Jude … Il tuo boss non è poi tanto male …”
“Parli bene tu, cazzo!!”
“Come vuoi che ti
consoli, facendoti venire con la bocca?” – glielo chiese suadente, arrivandogli
addosso e stringendolo, con aria beffarda e pericolosamente erotica.
“Ma fottiti … cazzo”
“E ma sei tu a
provocare, ce l’hai sempre in”
“Che battuta, ma
bravo, applausi per l’irlandese dell’anno!” – Jared sbottò, interrompendo il
suo prezioso lavoro al pc.
“Ah che palle che
siete, io me ne vado al cinema!” – ribatté Colin, prendendo la giacca dalla
sedia.
“Cole non dimentichi
qualcosa?” – disse Jared, puntandolo dalla gigantesca poltrona a forma di mano,
sulla quale stava rannicchiato con il suo portatile.
Il moro si avvicinò, piegandosi,
per poi baciarlo profondamente.
Jude sbuffò – “Meglio
che ci vada io a vedere quel film …”
disse sconfortato.
Colin gli lanciò il
biglietto, già preso on line, senza staccarsi da Jared, già mezzo nudo, in un
groviglio di t-shirt, jeans ed orpelli, con cui Colin si agghindava, con poco
gusto.
“Matt inclina la
testa … bravo così”
Shemar rise,
regolando poi luci ed obiettivo.
“Sei stanco?” –
chiese fingendo gentilezza.
Quel ragazzino era
una gallina dalle uova d’oro: la sua anoressia adolescenziale aveva lasciato un
segno indelebile sul suo corpo esile ed affascinante.
I capelli
scapigliati, l’indole perennemente fra le nuvole, gli occhioni da cerbiatto,
rendevano Matthew davvero unico come modello: le migliori case di moda se lo
contendevano ed il contratto capestro, che Shemar gli aveva fatto firmare,
quando il giovane era da poco maggiorenne, lo incatenavano a lui
indissolubilmente.
“No, ma ho un impegno
Shem … posso andare adesso? – chiese fremente, stringendo i pugni ossuti.
“Quattro scatti e sei
libero, anche se …” – e lo fissò, mordendosi il labbro inferiore senza neppure
rendersene conto.
“Anche se cosa?” –
bissò flebile e come impaurito.
Shemar posò la sua
Reflex, avvicinandosi a quella scenografia scarna di arredi, ma ricca di
lampade d’epoca.
Gli accarezzò i
fianchi, provando ad abbracciarlo, però Matthew sgusciò via, con un risolino
nevrotico.
“Ti ho detto che ho
da fare … miseria … scusami Shem”
“Ok, vai, a domani” –
ribatté seccato.
Matthew non se lo
fece ripetere.
“Pop corn, cola,
caramelle?”
La ragazza,
travestita con un buffo costume da scoiattolo, lo fece sorridere.
“No, grazie …”
Jude le mostrò il
tagliando e lei gli indicò la sala quattro.
Cercò un posto in
ultima fila, notando che c’era il deserto intorno.
Il film era di quelli
epici, un misto di sangue, urla e spade, che a lui non dispiaceva come trama e
poi qualsiasi cosa andava bene, pur di non rientrare prima di mezzanotte nel
loft, che divideva con Jared e Colin.
L’effimero Jared,
scrittore di buon successo, ma che pubblicava sotto falso nome, romanzi
erotici, a tematica omosessuale.
Il più concreto
Colin, che lavorava sodo nell’azienda del padre, dove aveva iniziato con la
mansione di fattorino ed ora dirigeva il personale ed i magazzini di
approvvigionamento.
Il buio inghiottì l’ultimo
spot, prima dell’inizio, ma qualche ritardatario si affrettò a sedersi, creando
un minimo scompiglio nell’esiguo pubblico.
Un tizio, goffamente,
inciampò tra le poltrone, raggiungendo quella accanto a Jude, che provò
immediato fastidio.
Voleva rimanere in
santa pace, ma la malasorte, a quanto pare lo perseguitava.
Anzi, era proprio
sfiga.
“Signor Downey …?!” – sibilò stupito.
“Jude?!” – replicò
con la medesima sorpresa.
“Jared …”
“Che vuoi …?” –
sospirò, già in piedi, con la sigaretta accesa.
“Potresti non”
“No!” – scrollò le
spalle, gironzolando nudo sulla moquette, alla ricerca dei pantaloni.
Colin si avvinghiò al
cuscino, chiudendo le palpebre – “Perché te ne vai sempre via subito dopo che …”
– ingoiò amaro – “E poi dove, potrei saperlo?”
“Le coccole fattele
fare da Jude il martedì, giovedì e sabato mattina” – disse sarcastico,
allacciandosi le braghe attillate.
“Geloso?” – lo provocò,
provando comunque un nodo alla gola.
Jared si bloccò,
puntandolo mentre il fumo lo infastidiva, facendogli strizzare lo sguardo di
zaffiro.
“Con chi scopi, a me
non frega un bel cazzo, ok Colin?”
“Jude, almeno, non è
isterico quanto te, visto che sembra darti fastidio che io riesca a farti
venire come nessuno!” – sbraitò, inginocchiandosi in mezzo al materasso.
“E chi dovrebbe
farlo, eh?? Quel maiale che” – la sua voce si elevò e si spense immediata,
mentre il suo busto tonico, ma asciutto, vibrò, impercettibile, come il suo
tono, aggressivo e drammatico.
Continuava a
difendersi dal passato.
“Jared …” – mormorò l’amico,
provando ad azzerare la distanza tra loro, per stringerlo sul petto.
Lui non glielo
permise, come al solito.
E come al solito, se
ne andò a mezzanotte.
“Dio che orrore!”
“Insomma …”
“Ma no Jude, un vero
abominio, il regista deve essere un sadico depresso, lo sceneggiatore
psicotico!”
Jude scoppiò a
ridere, fermandosi davanti ad un bar.
Robert lo fissò
compiaciuto.
“Sono arrivato …” –
disse piano il biondo.
Downey analizzò il
palazzo.
Era un quartiere
piuttosto elegante.
“La tua fidanzata
sarà in pensiero …” – azzardò.
Jude avvampò.
“Non ho una …”
“Oh capisco”
“Co-cosa?” – balbettò,
sentendosi allo scoperto e vulnerabile.
“Niente Jude, la mia
deduzione era …” – deglutì, incapace di reggere il suo sguardo – “Era una
deduzione perché sei un bel tipo, di quelli che piacciono alle ragazze” – si riprese,
con la sua consueta verve.
“A me non piacciono
le ragazze. Ci vediamo domani in studio.” – replicò serio e dignitoso, come uno
schiaffo al buffone che gli pagava uno stipendio da fame e che adesso avrebbe
voluto sprofondare.
Jude stava pensando
alle conseguenze della sua sincerità, ai due soci omofobi, con cui Downey aveva
fondato lo studio più rinomato della grande mela, mentre quest’ultimo, per lui,
era quanto meno indecifrabile.
Spense il cervello
appena varcata la soglia.
Colin dormiva,
russando come un orso.
Era lunedì sera.
“Matt dove diavolo
eri finito?”
Jared si rannicchiò
sul divanetto di quel club sulla nona.
“Eccomi, eccomi” – farfugliò,
trafficando con una sacca in pelle, souvenir della quinta elementare; non se ne
separava mai.
“Ce l’hai?” – domandò
angosciato.
“Ma sì, Cristo! Anche
se questa storia deve finire Jared!” – ringhiò debole, passandogli un blister.
“Me lo devi …”
“Cosa ti devo,
accidenti?!” – chiese svuotato.
“Ti ho introdotto nei
posti giusti, stai facendo una carriera da invidia!” – protestò, inghiottendo
tre pasticche.
Matthew si raccolse
la faccia tra i palmi gelidi.
“I tuoi posti giusti
sono abitati da fotografi ingordi che mi palpano e che fanno gli stronzi!”
Jared ridacchiò,
ormai fatto di un antidolorifico sintetico: un’autentica porcheria.
Matthew, per lui,
rubava di tutto nella farmacia della madre.
“Shemar è un figo pazzesco
…” – obiettò.
“Quello vuole
scoparmi dal primo booking e non gli importa nulla di me, Jared”
“E a te dispiace …
vero?” – chiese più lucido.
“Cambiamo discorso?
Mi offri da bere?” – la sua richiesta aveva una sfumatura forzatamente
superficiale.
“Sì Matt … senti …
posso dormire da te?”
Si abbracciarono, con
una tenerezza che stonava con quel luogo modaiolo e banale, senza dirsi altro.
Colin preparò il
caffè con la moka.
Jude adorava quel
momento; non avevano fatto l’amore.
Se la negavano quella
pura verità, facendo finta di scopare, quando invece i loro baci rivelavano
emozioni più sincere.
“Sei in ritardo?”
“No Colin … Puoi
venire qui?”
“Certo …” – gli
sorrise dolce.
Si rannicchiarono tre
le lenzuola, intrecciandosi.
Cominciarono a
baciarsi, toccandosi, dapprima timidi, poi con una frenesia adolescenziale
stucchevole per entrambi.
Quando si salutarono,
pronti per uscire, Colin lo richiamò, mentre Jude era ormai sulla porta.
“Sì?”
Colin sorrise – “No,
ecco … Ci vediamo a cena?”
“Se non faccio tardi,
volentieri. Buona giornata.”
Quel bussare sembrò a
Matt come un martello pneumatico.
Jared era sotto la
doccia: lo capì dai rumori provenienti dal bagno.
Aveva vomitato in
cucina, verso le due del mattino, dove si era diretto, dopo essersi scusato con
il modello per averlo svegliato.
“Shemar …”
“Ciao pretty boy,
come mai non rispondi al telefono?” – inveii brusco, varcando la soglia.
“Non chiamarmi in
quel modo, sai che non lo sopporto” – bofonchiò, sfregandosi gli occhi
assonnati.
“Avevamo un
appuntamento Matt”
“Me ne sono
dimenticato, ma il mondo andrà avanti ugualmente … Tanto, come dici tu, sono
solo foto”
“Sputi nel piatto in
cui mangi?”
Jared si palesò,
avvolto in un telo dalla vita in giù.
“Ah … non sei solo …”
“Ciao Shem … Hai
portato la colazione?” – chiese ironico.
“No. Assente
giustificato” – sottolineò aspro, tornando a fissare Matthew.
“Sono pronto in dieci
minuti, aspettami in auto, Shemar.” – disse freddo, per poi sparire verso il
corridoio.
Jared lo seguì, senza
salutare Shemar, che si sentì un coglione, come non mai.
“Jude hai cinque
minuti?”
La voce di Downey all’interfono
era inconsuetamente garbata.
“Chiudi pure Jude … è
una conversazione privata.”
“D’accordo … sembra
grave” – provò a scherzare.
“Non con me, ma i
blues brothers potrebbero rovinarti la vita.”
Downey li chiamava in
quel modo buffo, Glass e Kramer, per di più cognati, sposati a due sorelle
ereditiere, conservatori, puttanieri e bastardi.
Jude si irrigidì
sulla poltroncina in pelle nera.
“Per lei invece, non
è un problema?”
“No Jude.” – disse limpido.
“Lei ieri è stato”
“Potremmo darci del
tu? Abbiamo lo stesso segreto” – affermò diretto, le iridi lucide.
A Jude tremò lo
stomaco.
“Tu ieri sei stato
affabile, gradevole ed io sgarbato. Ti chiedo scusa Robert.” – si sforzò di
essere spontaneo, ma era pure sempre il suo titolare.
“Affabile, gradevole?
Un miracolo!” – disse simpatico.
Risero.
“Ok Jude …” – inspirò
– “Posso chiederti una cosa?”
“Certo”
“Nessuna donna, nella
tua vita, ma parlando di uomini?”
“Perché vuoi saperlo
Rob?”
“Per valutare la
concorrenza” – spiegò secco.
“Ogni volta che mi
fai venire, mi vergogno a morte.”
“Jared …? Sei già qui
…”
Colin avrebbe voluto
fare finta di non avere capito, poi accese la lampada del living.
“Non dovresti stare
al buio Jay …”
Gli si affiancò
cauto, sopra al divano, cingendogli le spalle.
Jared appoggiò la
tempia destra sulla spalla sinistra di Colin, che lo strinse maggiormente.
“Lo so, ma non voglio
più avere paura Cole …”
Pianse.
Il patrigno lo aveva
violentato durante un black out: Jared scappò di casa all’alba, sporco di quell’uomo,
che la madre aveva voluto assolutamente nelle loro esistenze, perché si sentiva
sola, perché beveva quanto lei e pagava i conti, dove la donna non arrivava,
con il suo impiego part time in una tintoria a basso costo.
Jared aveva solo
quattordici anni, il suo volto bellissimo, turbato, arrabbiato, malinconico,
derubato.
Un editore lesse per caso
una sua raccolta di poesie e racconti: era una persona onesta e benevola.
Pagò gli studi di
Jared, fino ad una laurea in lettere antiche, di cui andavano entrambi fieri.
Quando morì, Jared
voleva seguirlo, ma non aveva abbastanza palle per farlo.
In università aveva
conosciuto Matthew e la sua riserva di preziose droghe autorizzate, alle quali
poteva accedere comodamente.
Uno scambio di favori
ed un abisso senza fine, sul bordo del quale Jared camminava, in un oblio che
durava ormai da due anni.
Nel frattempo aveva
incontrato Colin e Jude, amici di infanzia ed in cerca di un posto dove
abitare, dividendo i gravosi affitti di New York.
Per caso avevano
creato quella che Jared definiva “un’allegra famigliola di cani bastonati”.
“Jay ascoltami …”
“Anche con lui … io
Cole … ho avuto un orgasmo”
“Sì, lo avevo capito”
– gli raccolse gli zigomi, guardandolo innamorato – “Tu pensi che io sia scemo,
adoro smentirti” – provò a scherzare.
“Mi sono fidato
esclusivamente di te Colin … Quindi non ho mai pensato che sei scemo … Scemo!” –
rise flebile.
“Appunto” – rise anche
lui, provando un’emozione bellissima.
La stessa che abitava
il cuore di Jared, finalmente.
Si baciarono.
“E tu mi dici queste
cose davanti ad un’aranciata, Shemar?”
Matthew aveva le
pulsazioni a mille.
Il fotografo si
lisciò il capo rasato, incredulo.
“La bevanda è così
determinante Matt?!”
Iniziò a piovere.
Nel fuggi fuggi
generale, in quel locale all’aperto, rimasero soltanto loro, abbarbicati sugli
sgabelli, ad un tavolino rotondo in acciaio.
Fradici si
contemplarono per diversi minuti, ricordando, senza dirselo, il loro primo
incontro, la sensazione di euforia reciproca durante un servizio a Central Park
sotto la neve, una passeggiata senza meta in agosto, tra mercatini e botteghe
cinesi.
“Te lo ripeto zuccone
… Io ti amo Matthew. Ti amo da impazzire”
Robert gli prese la
mano, davanti a quella scultura incomprensibile.
Jude si massaggiò la
nuca, lo faceva sempre quando era agitato.
“Lo so … come primo
appuntamento è … palloso, vero Jude?”
“Sbagli … amo questo
posto …”
“Anch’io, non c’è un
cane a pagarlo!” – bisbigliò Downey, avvicinandosi pericolosamente al collo di
Jude, che senza volerlo, si girò verso di lui, collidendo con la sua bocca
perfetta.
Il sapore di Robert
era magnifico, caldo, sconvolgente.
New
York in primavera era incantevole.
Come
quelle tre, nuove, storie d’amore.
Qualcosa
di magico.
The
end
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